GRIDO muto (podcast)

anni90

🌟 I miei anni '90: quando le mie mani funzionavano da Dio! 🙌✨

“Se le tue mani funzionano o funzionano ancora abbastanza bene, ti invito ad usarle.

Usale finché puoi, perché anche se non soffri di una delle patologie degli invisibili, è vero che prima o poi quasi tutti non potremo più usarle, ad un certo punto.”

Se preferisci ascoltare questo episodio (il n. 9), anziché leggerlo, puoi farlo qui:

[...]

In questo episodio ti racconto come le mie mani siano sempre state forti, capaci e molto attive e di come la malattia le abbia cambiate radicalmente. All'incirca alla metà degli anni '90, gli anni delle superiori volavano via tra lo stress della scuola, che richiedeva un impegno sempre crescente, e la scoperta di nuovi gruppi musicali: i Queen, ad esempio, ma anche i Mr Big, i Metallica e diversi chitarristi virtuosi come Joe Sateiani e, soprattutto, Steve Vai, di cui mi innamorai istantaneamente. Non tanto per le melodie che produceva con lo strumento, che erano quasi sempre incomprensibili, ma per i suoni che riusciva a tirare fuori dalla sua chitarra elettrica, qualcosa di incredibile, mai sentito prima. Riusciva a farla addirittura parlare in inglese, ad esempio. Non si distinguevano chiaramente le parole, ma era come se una persona stesse parlando e intonando il senso del discorso sulla chitarra. Ed era chiaro: la sua tecnica mi avrebbe dato tantissimi nuovi spunti più avanti e avrebbe anche definitivamente modificato il mio orecchio musicale, che da quel momento avrebbe considerato musica anche melodie che, fino a poco prima, mi sarebbero sembrate suoni buttati lì a caso. E invece no, c'era un disegno, una logica in quelle note che aspettava solo di essere scoperta. Non per niente Steve Vai era stato il chitarrista prodigio di Frank Zappa, un altro pioniere della musica moderna.

Per un periodo mi ero distaccato dal mio gruppo storico a causa della nostra differenza di vedute dal punto di vista musicale. Avevo bisogno di suonare più cose che mi piacessero, mentre il gruppo stava insistendo molto sulla musica italiana, in quel periodo, che a me piaceva meno. Così, a Pontremoli, incontrai Emanuele e Giovanni. Emanuele era un chitarrista, ma anche un bassista, mentre Giovanni era un pianista di talento. Entrambi mi fecero fare un salto evolutivo enorme: due persone molto in gamba a suonare, a cui però era più difficile stare dietro. E in più c'era un altro problema: volevano fare un concerto di fine anno all'Azione Cattolica di Pontremoli. Tutto bello, ma mancavano un bassista e un batterista per fare qualcosa di decente. Il batterista si trovò facilmente, mentre il basso... beh, iniziai a suonarlo io!

Che emozione! Uno strumento simile alla chitarra, ma completamente diverso nella sua funzione, che aspettava solo di essere scoperto. Riesci a immaginare qualcosa di più bello? Io, no!

Emanuele era già abituato a suonare il basso perché lo usava come strumento principale a casa, e così mi insegnò cosa significasse suonare senza accordi, cercare la nota giusta lungo il manico piuttosto che vicino a quella che stai già suonando, perché l'effetto sonoro che si ottiene è completamente diverso. E spesso è proprio quello l'effetto che si cerca sul basso! Imparai i vari modi di creare ritmo in una canzone, perché il basso in fondo è di quello che si occupa. Mi incantava quel suono pieno, non distorto, che ti faceva vibrare la pancia e faceva da collante tra tutti gli altri strumenti. Uno strumento che non si notava, insomma, ma la sua voce c'era, eccome, ed era importante. Insomma, un altro invisibile.

Se la chitarra metteva sotto stress le dita, il basso era ancora più difficile da suonare. Ci voleva ancora più forza sulla punta delle dita; ci voleva più forza per stringere abbastanza le corde, che erano molto più spesse rispetto a quelle della chitarra. E poi, visto che con la mano destra suonavo le corde direttamente, senza il plettro che usavo sulla chitarra, l'avambraccio mi faceva malissimo. L'indice e il dito medio, infatti, dovevano muoversi molto rapidamente per pizzicare le corde; anche i polsi mi facevano molto male all'inizio. Insomma, quello strumento mi costringeva anche a una serie di esercizi per preparare il fisico a poterlo suonare, ma ne valeva assolutamente la pena. Ti racconto tutto questo per farti capire qual era la mia abilità di ignorare il dolore, o persino di sentirlo: quella che viene chiamata soglia del dolore, insomma, e poi anche per farti capire la mia determinazione. Non ero una persona che si tirava indietro di fronte agli ostacoli o a quello che non conosceva; anzi.

Il tempo trascorse velocemente e arrivò anche Capodanno. Il concerto andò molto bene e ne conservo ancora una registrazione. Suonammo musica dei Queen, dei Doors, dei Nomadi, di Baglioni e naturalmente anche dei Pink Floyd, la nostra passione comune. Subito dopo però tornai al gruppo storico, quello del mio paese, un po' per impegni vari, ma anche perché il gruppo di Capodanno non aveva più ragione di essere. Mi presentai ai miei amici del paese con il mio nuovo basso in mano: finalmente avevamo un bassista: io!

Per un po' suonai con piacere quello strumento insieme a loro, ma non bastava. Decidemmo allora che ci serviva un batterista. Ma chi? In paese non c'era nessuno che suonasse la batteria. Il tempo passava e questo salto di qualità non si riusciva a fare. Così, pur di continuare a suonare con loro, decisi che il batterista sarei stato io. Marco, che era il nostro cantante poeta, comprò il mio basso e da quel momento lo avrebbe suonato lui. Io invece acquistai una batteria economica, altra opportunità di imparare. È così che iniziai a suonare anche la batteria, e il mio super orecchio mi aiutò non poco. Riuscivo ad ascoltare le cassette dei miei musicisti preferiti e poi deducevo, dai suoni che ascoltavo, in quale sequenza colpire i pezzi della mia batteria per riprodurre la parte di batteria del brano musicale.

Tutto questo processo avveniva velocemente nella mia mente, a volte anche in pochi millisecondi, e riuscivo così a suonare anche sul momento alcuni semplici pezzi che non avevo mai sentito. A pensarci, oggi mi sento molto orgoglioso delle mie capacità di allora.

In breve tempo, un colpo di sfortuna ci costrinse a cambiare ancora. Danilo, per un infortunio grave a un dito, non avrebbe mai più potuto suonare la chitarra, o almeno non bene quanto prima. Poteva essere la fine e invece cogliemmo l'occasione: perché non scambiarsi le parti? Lui avrebbe suonato la batteria e io di nuovo alla chitarra, con il ruolo di solista che era stato suo. L'anno successivo avremmo dovuto incidere il nostro primo CD dimostrativo, che avremmo poi potuto distribuire. Però occorrevano strumenti migliori. Questa volta non avrei potuto contare sui miei: ero grande ormai e giustamente mi dissero che avrei dovuto guadagnarmi quello che volevo. Lavorai per tutta l'estate, tra la quarta superiore e la quinta, come cameriere. Imparai a conoscere il lavoro e pensai bene di iniziare col botto: 10, 12, anche 14 ore al giorno per tutta l'estate. Ma a settembre comprai il mio primo strumento, che mi ero guadagnato con le mie stesse mani: una soddisfazione incredibile. Era una bellissima chitarra elettrica Ibanez, completamente nera, con un amplificatore Fender a valvole che ancora oggi produce suoni fantastici.

Finalmente potevamo andare in studio e quell'esperienza ci fu molto utile per unirci ancora di più come amici e musicisti. I pezzi che avevamo preparato erano venuti abbastanza bene per le nostre possibilità ed eravamo molto soddisfatti.

Dopo pochi mesi partecipammo a un concorso a Castrocaro. Chi si fosse piazzato ai primi posti avrebbe potuto partecipare al famoso Festival di Castrocaro e, se fosse andata bene lì, a Sanremo. Con nostra grande sorpresa, la prima serata andò benissimo: arrivammo primi, ma decidemmo di non continuare. Il concorso sarebbe stato troppo impegnativo economicamente, considerando anche che qualcuno di noi lavorava già e non poteva mancare ai suoi impegni. Nel frattempo iniziai a frequentare altri gruppi che suonavano pezzi degli AC/DC, degli Iron Maiden, dei Metallica e dei Deep Purple. Mi dava sempre più soddisfazione saper suonare i pezzi dei grandi della musica, espormi come chitarra solista, sapere che tutti gli occhi, o meglio tutte le orecchie, sarebbero state puntate su di me. Era anche una grande responsabilità: bastava una nota sbagliata e avrei fatto una pessima figura. Mi stavo abituando sempre di più a essere un punto di riferimento, e a mio modo mi sarebbe stato molto utile poco tempo dopo.

La maturità fu l'esperienza forse più stressante della mia vita, ma per fortuna passò anche quella. Mi sentivo svuotato, esausto. Finalmente ero riuscito ad arrivare sulla cima di quella montagna che solo tre anni prima mi sembrava impossibile da scalare. Ero pronto a ricominciare? No, assolutamente no! E infatti decisi di non fare l'università, seguendo anche l'esempio dei miei fratelli maggiori, a cui stava costando moltissimo (prima che l'abbandonassero).

Finalmente non avevo più obblighi scolastici. Iniziai così ad affacciarmi al mondo del lavoro soltanto con un diploma da ragioniere programmatore in mano. Valeva poco anche allora, ma sicuramente qualcosa in più di quanto possa valere oggi. Salutai i miei, il paesello e i suoi inverni bui e lunghi e decisi di andare a cercare fortuna a Parma. Una città grande avrebbe offerto senz'altro di più a una persona in cerca di lavoro, ed era vero, ma non fu così facile ottenere il mio primo impiego da sviluppatore software. Ci vollero tre lunghi anni, in cui nel frattempo mi adattai a fare di tutto: il facchino in un hotel, con grande gioia per le mie giovani vertebre, e poi il fattorino, l'operaio in fabbrica e tante altre professioni. Non amavo nessuna di queste: ciascuna a proprio modo, tutte erano pericolose. Avevo visto alcune cose decisamente inquietanti nei reparti di verniciatura e montaggio delle varie fabbriche dove avevo lavorato. Avevo deciso, allora, che avrei dovuto fare l'impiegato, anche perché ci tenevo molto al mio corpo, alla sua integrità e alla sua salute. Questa cosa, detta oggi, è al limite del tragicomico, visto come sono andate le cose. Sono il genere di persona che non farebbe mai un piercing o un tatuaggio, non per chissà quale implicazione morale, ma semplicemente perché credo che i corpi siano belli così come sono, senza bisogno di cambiarli in maniera permanente, se non c'è un motivo di salute per farlo. Semplice gusto personale. E pensa a cosa è accaduto al mio corpo. Pensa a tutto quello che ti ho raccontato finora. Le mie dita allora erano capaci di muoversi agilmente e velocemente, in pochi millimetri, con grande precisione e velocità, applicando forze anche piuttosto importanti per un dito solo. I muscoli delle mie mani erano grandi, pulsanti e bene in vista. Riuscivo ad aprire le noci schiacciandole tra pollice e indice.

Oggi la forza le ha abbandonate. Ci sono momenti in cui quasi non riesco a credere che quello che ti sto raccontando sia vero. Ho la sensazione che siano i ricordi di un'altra persona e faccio fatica ad accettare quello che sono diventato oggi, soprattutto in relazione a ciò che sono stato.

Per effetto dell'artrite e della fibromialgia, le mie mani hanno poca forza e, fino a poco tempo fa, tremavano quando chiedevo loro di afferrare. Ora non tremano più, semplicemente perché la forza non c'è. Se voglio stringere la mano, questa rimane poco più che inerte. Al mattino le mani sono rigide, prima che si sciolgano un po', e sono gonfie e dolorose. Niente a che vedere con ciò che sono state.

Qualcuno mi dice che prima o poi invecchiamo tutti e io rispondo che sì, è vero, invecchiamo tutti, ma non tutti si ritrovano così prima dei 50 anni. Non è la stessa cosa ed è buffo notare che chi ci dice queste cose non soffre dei problemi degli invisibili.

Ma tant'è.

Se le tue mani funzionano o funzionano ancora abbastanza bene, ti invito ad usarle.

Usale finché puoi, perché anche se non soffri di una delle patologie degli invisibili, è vero che prima o poi quasi tutti non potremo più usarle, ad un certo punto.

Non rimandare quello che vuoi fare. Fallo oggi, perché la vita può sorprenderti in modi che non ti aspetti neanche.

Accarezza qualcuno a cui vuoi bene; usale per aiutare: penso che sia la cosa più bella che si possa fare.

Crea qualcosa di bello, gioiscine, suona: io non posso più farlo.

Ci sentiamo martedì.

Stammi bene.

Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia. Non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute, ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

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⚡ Fibromialgia, Artrite e Burnout: la mia battaglia contro l'esaurimento cronico continua! 💪🌟

“[...] Tutti i malati invisibili nel nostro Paese stanno subendo una ENORME INGIUSTIZIA: perché la loro capacità di affrontare la vita è ridotta. Così come per una persona con disabilità può essere ridotta la capacità motoria, per noi è ridotta la capacità di sopportare il peso di qualsiasi cosa, ma sembra un nostro capriccio; sembriamo sfaticati agli occhi degli altri. Niente di più sbagliato!”

Se preferisci ascoltare questo episodio (il n. 8), anziché leggerlo, puoi farlo qui:

Gli anni delle scuole superiori, tra il '91 e il '96, sono stati molto belli da un punto di vista della mia crescita personale e musicale, ma anche molto difficili per tutto il resto. Oggi ho il sospetto che le malattie iniziassero a manifestarsi, ma in quegli anni non potevo neanche immaginarlo. In questo episodio ti racconto dell’esaurimento, una condizione psicofisica che chi soffre di malattie invisibili tende a vivere molto più facilmente.

[...]

Quel periodo lo avevo iniziato in bellezza, di ritorno da un viaggio in Sardegna in cui eravamo stati a trovare i nostri nonni paterni e, naturalmente, anche in visita allo splendido mare della regione. Durante quella vacanza, ero andato a supplicare un vicino di casa dei nonni perché mi prestasse la sua chitarra per un pomeriggio. Non riuscivo a stare senza! Ora, non vorrai fare dei paragoni azzardati; ti dico solo che questo succedeva anche a Jimi Hendrix, a suo tempo, uno dei chitarristi più influenti della storia.

Oggi lo capisco perfettamente: suonare, infatti, è un po' come una droga. E a proposito di droghe, proprio in quel periodo avevo iniziato ad assumere farmaci regolarmente per qualche mese. Avevo dei dolori alle ginocchia, un po' forti. Ero giovanissimo; non poteva essere niente di serio, io mi dicevo. Il medico curante mi aveva dato del Nimesulide, ma i dolori non passavano e continuai a prenderlo a cicli per molte settimane. Quando finalmente il male passò, venne attribuito a “qualcosa di legato allo sviluppo”.

A te sembra normale che un ragazzino di 13 anni debba prendere il Nimesulide a cicli? Non lo era, e già questo, forse, avrebbe dovuto fare scattare qualche campanello d’allarme. Ma poi era tutto normale; si andava a giocare a pallone e al fiume a nuotare nell'acqua gelida, e non ne risentivo più di tanto.

L'idea di iniziare le superiori mi aveva messo un certo fermento addosso, anche se la scuola di ragioneria ad indirizzo informatico non era stata una vera e propria scelta, ma piuttosto un obbligo imposto dalla scarsissima varietà che Pontremoli poteva offrire. Diciamo che per me era la meno peggio e credevo che mi avrebbe aiutato, più avanti, a trovare lavoro facilmente.Nonostante tutto, mi restava un senso di entusiasmo speciale, come mi capitava sempre prima di iniziare qualsiasi cosa.

Le mie aspettative furono deluse molto presto, perché se alle scuole medie avevo avuto sempre voti molto alti, alle superiori mi fu subito evidente che la musica era cambiata. Ci voleva molto più impegno e quando i primi voti pessimi cominciarono ad arrivare, non la presi molto bene. Cominciai a pensare di non essere adeguato e ogni giorno, paradossalmente, anziché dedicare più tempo allo studio, mi buttavo sull'unica cosa che mi dava un po' di gioia: la musica.

Nel '91, io e mio fratello maggiore avevamo messo insieme le forze e acquistato il nostro primo lettore CD, una cosa del tutto nuova che consentiva di ascoltare la musica con una qualità pazzesca, una qualità che oggi non abbiamo più, sostituita dalla bassa qualità dei vari servizi di musica in streaming.

Quando uscivo da scuola, esausto, la corriera impiegava più di un’ora a riportarmi a casa, perché doveva fare il giro di tutti i paesi della valle e il nostro era quello più in alto. Nei giorni peggiori ci impiegava un'ora e tre quarti. Da ottobre in avanti, mi sedevo a tavola per mangiare, da solo, alle 14:35 del pomeriggio, e non facevo in tempo a finire il mio piatto di pasta che il sole calava dietro la montagna del paese. Da noi, la notte arrivava molto presto. Io mi sdraiavo sul letto, con delle cuffie di ottima qualità, ad ascoltare l'unico CD che avevo: il concerto dei Deep Purple a Stoccolma del 1970. Può sembrarti strano, ma tra le urla di Ian Gillan e gli assoli di chitarra strazianti di Ritchie Blackmore, mi addormentavo quasi subito. Mi calmavano; e se conosci quel gruppo capirai quanto sono strano!

Alla fine del disco, il mio cervello percepiva il silenzio e allora mi svegliavo quasi subito, con un senso di smarrimento e solitudine. Dov'era andata quella musica così bella? E poi via, si iniziava a studiare. Facevo tutto in fretta, il più in fretta possibile, per liberarmi da tutte quelle cose che mi interessavano davvero poco e potermi così dedicare finalmente alla musica.

Nel periodo natalizio, per la prima volta io e il mio gruppo andammo a suonare per altri: una festa di Capodanno tra ragazzi, credo non più di un centinaio di persone. Nonostante avessimo solo chitarre, facemmo del nostro meglio e fu davvero emozionante, così tanto da essere sul punto di bloccarmi, ma tutto andò bene.

Al secondo anno di scuola accadde una cosa terribile: i voti stavano prendendo una brutta piega. Fui costretto ad aumentare l'impegno e così, durante l'inverno, oltre a non vedere più il sole e a rinunciare anche alle passeggiate nei boschi con il mio cane, dovetti anche intensificare lo studio, sacrificando la passione musicale.

Verso la fine della primavera, ero completamente scarico. Non riuscivo più a ragionare lucidamente; mi sembrava che il peso di ogni cosa del mondo fosse sulle mie spalle e che la condizione che stavo vivendo, la scuola, non avrebbe mai avuto fine. Pensavo ai duri anni che avevo ancora davanti e poi all’università; ai faticosi viaggi in corriera e alla musica che avrei dovuto sacrificare. Di fronte a una montagna così grande da scalare, mi chiedevo se la ricompensa, sulla cima, sarebbe stata abbastanza da giustificare la scalata. Decisi che...no, non ne valeva la pena.

Volevo abbandonare gli studi.

Fortunatamente, quella Santa donna che è mia madre, dopo discussioni estenuanti anche per lei, mi convinse a non farlo: e meno male, perché con le conseguenze di quel diploma sto mangiando ancora oggi. Mi disse di continuare, di fare quello che potevo e poi avremmo visto.

Non so se tu, che mi stai ascoltando, abbia mai usato audiocassette. Te le ricordi? C'era dentro un nastro che si arrotolava mentre le si ascoltavano, come la nostra vita. Ma alla fine del nastro, la cassetta si poteva riavvolgere e ricominciare, o cambiare lato, mentre per noi il tempo scorre solo in una direzione. In quella cassetta, come in tutte le altre, c’era un foglietto dentro la custodia in plastica. Mio fratello aveva scritto tre parole sul dorso di quel foglietto: “Led Zeppelin” e un 4 in numeri romani.

Ma sì, proviamo a sentire cos'è!

Mi misi sul letto, cuffie addosso, e premetti “Play”. In quel preciso istante, la mia vita musicale cambiò per sempre. La prima canzone della cassetta era qualcosa che non avrei mai immaginato neanche in 100 vite: qualcosa di alieno, possiamo dire. Una canzone assurda, in cui una voce sguaiata introduceva gli strumenti che suonavano una melodia quasi irritante, con il batterista che andava per conto suo, senza seguire il tempo degli altri. “Ma che roba è?” Poi, tutti zitti. Di nuovo quella voce insopportabile, la melodia stranissima di prima e via così fino alla fine.

Sembra assurdo, ma c’era qualcosa di veramente ipnotico in quella melodia, tanto che ci arrivai in fondo. La seconda canzone era orecchiabile, una specie di rock and roll bello carico, la terza di nuovo strana, la quarta un capolavoro: “Stairway to Heaven”. Credo che chiunque l'abbia ascoltata almeno una volta nella vita. Alla fine di quell’album, avevo il cervello un po’ sconvolto, ma dentro di me avevo gli occhi spalancati e la bocca aperta. Evidentemente, quella roba strana era musica; si poteva fare anche così.

Per qualche tempo non ascoltai altro: quella voce sguaiata, la chitarra possente, il basso con i suoi ritmi incalzanti e un batterista che, per la prima volta da che avevo memoria, era un piacere ascoltare e non era solo qualcosa in sottofondo che dava il tempo. Incredibile! Nessuno dei miei conoscenti condivideva con me la passione per questo strano, disturbante gruppo. Dall’esterno sarò sembrato un pazzo, sempre con le cuffie in testa ad ascoltare qualcuno che urla su suoni strazianti. Questa mia nuova passione mi isolava ancora di più dal mio mondo di allora. Scoprii che restare calmo, solo con me stesso a fare qualcosa che amavo, mi aiutava a concentrarmi su qualcosa, dimenticando tutto il resto. Nessuno capiva, ma non mi importava: nel poco tempo libero, scimmiottavo i Led Zeppelin con la chitarra, e questo mi bastava a sentirmi meglio.

Paradossalmente, in questo isolamento, ritrovai me stesso. Piano piano, rifugiandomi in quegli ascolti, il periodo terribile passò e l’estate arrivò nuovamente, carica di novità stimolanti ed eventi fondamentali per la mia evoluzione musicale.

E dal momento che avevo ritrovato un minimo di serenità, con mia sorpresa le cose andarono meglio anche a scuola. Alla fine, non ci fu nessuna conseguenza pesante sul mio curriculum scolastico. Mancavano solo tre anni alla fine; ormai ragionavo così.

Ricordo sempre con tanta emozione quell’anno, perché è stato quello in cui ho incontrato la prima delle situazioni insormontabili della vita. In quel caso, in qualche modo ce l’avevo fatta, come ce l’avrei fatta in futuro. Ma con il passare del tempo avrei notato che ogni botta sarebbe stata più difficile delle precedenti da superare.

Ogniqualvolta mi si presenta una situazione senza via d’uscita, è come rivivere la crisi in corso più tutte le precedenti, a partire da quella in cui i Led Zeppelin e la chitarra mi avevano salvato. Ogni volta è più difficile uscirne, e nemmeno la musica può nulla, oramai.

Oggi, come credo che capiti ad ogni malato invisibile, vivo crisi di fatica ed esaurimento continuamente. A volte, faccio persino fatica a riconoscerne una dalla successiva.

Quando ti alzi terribilmente stanco, e ogni giorno hai meno energie di quando sei andato a letto, è facile che qualsiasi cosa ti sembri una situazione senza via d’uscita: la famiglia, se ne hai una; magari dei figli da mandare a scuola, che vanno seguiti, ma anche un animale domestico. Qualsiasi cosa, anche piccola, ti sembra – ed è – difficilissima da completare. Figuriamoci il lavoro. Eppure è così importante per me, terminare queste cose. C’è già una brutta situazione in corso, della quale non si vede la fine. E così, ogni cosa incompleta o che non si può finire per me diventa un’eco della mia vita da ammalato, situazione che non finirà mai. Almeno ciò che posso, ho bisogno di vederlo chiuso, finito, a posto.

Le cose però possono accumularsi, essere sempre di più, sempre più pesanti. Non completarsi.

Se non hai particolari patologie e pensi che tutte queste cose che ti ho elencato prima siano già pesanti anche per te, figurati com’è la vita per me, e immagina com’è per tutti gli altri malati invisibili.

Sì, perché a noi non vengono fatti sconti. La famiglia la devi comunque gestire. La spesa. I traslochi. I genitori anziani, i suoceri. La cura di te stesso, il mutuo da pagare. Figurati poi com’è lavorare in queste condizioni: scadenze, impegni, ingegno per trovare soluzioni sempre nuovi a problemi sempre diversi, mentre il mal di testa è sempre lì, la tua difficoltà a concentrarti non sembra lasciarti andare, e chiunque ti chiede qualcosa che si aggiunge alla lista di cose da fare, sempre urgenti, che non te ne fanno completare altre. Questo, almeno, in ufficio. Non oso pensare a chi svolge un lavoro fisico: muratori, operai, facchini, agricoltori, eccetera!

Ecco perché dico che tutti i malati invisibili nel nostro Paese stanno subendo una enorme ingiustizia: perché la loro capacità di affrontare la vita è ridotta. Così come per una persona con disabilità può essere ridotta la capacità motoria, per noi è ridotta la capacità di sopportare il peso di qualsiasi cosa, ma sembra un nostro capriccio; sembriamo sfaticati agli occhi degli altri. Niente di più sbagliato!

Ricorda tutto quello che ti ho raccontato finora, e che, se mi hai seguito con attenzione, dovrebbe cominciare a prendere una forma più chiara. Pensa a come dev’essere vivere così, sempre in balia di un problema fisico che, lentamente come il ghiaccio, ti penetra nell’animo. Capisci ora perché si dice che i malati invisibili tendano ad isolarsi? Capisci perché siamo tendenzialmente nervosetti?

Se mi stai ascoltando ma non soffri delle patologie che ti sto raccontando, questo mi rende felice, ma spero di riuscire a trasmetterti la conoscenza su quello che noi invisibili viviamo tutti i giorni.

Se invece ti riconosci in questo eterno ciclo di esaurimento e ripresa, magari anche depressione, sappi che ti capisco benissimo. Non servono patologie croniche per esaurirsi o cadere in depressione, e anche queste, lo so, sono malattie invisibili, per gli altri non esistono.

Fatti coraggio, anche se so che è difficile, trova i tuoi Led Zeppelin.

Per me, almeno allora, è stata essenziale la musica: trova i tuoi Led Zeppelin. Per te, il palo in cui aggrapparsi durante la tempesta può essere qualcos’altro: magari coltivare un fiore, leggere un libro, andare continuamente in un luogo in cui ti senti un po’ meglio. Tutto aiuta, anche se lì per lì ti sembra che sia inutile.

Bisogna continuamente ritornare a fare qualcosa che ci fa stare un po’ meglio, attingere alle scorte della bellezza, della tranquillità senza sentirsi giudicati. Credo che se costruirai queste condizioni, gradualmente potrai stare, se non bene, almeno un po’ meglio.

Stammi bene!

Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia. Non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute, ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

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