La Guerra delle Formiche

Musica e parole per nessuno

Non c'è nessun'altra motivazione per scrivere questo post se non la necessità di scrivere qualcosa, qualsiasi cosa. Voglio ritornare alla libertà e al desiderio di riempire pagine bianche che avevo quasi venti anni fa, ai tempi dei miei primi blog, quando scrivevo pur sapendo che nessuno leggeva. La scrittura è veramente pura e si modella secondo i confini della propria anima quando la mettiamo in atto unicamente per noi stessi, pur lasciando aperta la possibilità che qualcuno legga. È con questo spirito che ho riempito fin da ragazzo pagine e pagine di diari; è con quest'intenzione che nei miei primi blog riuscivo a forgiare le frasi modellandole secondo le mie più intime vibrazioni. Non mancava inoltre una comunicazione profonda con altre persone, anche se pochissime. I social network hanno radicalmente inquinato questo spirito e la nostra intera vita, intossicandoci con un sovraccarico psichico che ha determinato in ultima istanza una paralisi comunicativa. Nella frenesia di trovare un pubblico e di interagire sempre più velocemente abbiamo perso noi stessi: più ampliavamo la nostre cerchia di contatti, più il cerchio della nostra vita interiore si stringeva fino a soffocare la fonte stessa del nostro spirito. Per questo motivo avevo bisogno di uno spazio completamente neutro, come un foglio bianco, privo di distrazioni e iper-stimoli. Si tratta di una forma di metaforico esilio da un mondo oramai malato, una fuga che ogni giorno che passa sento sempre più necessaria, anche se devo combattere per capirne di volta in volta i confini.

Il tempo è scaduto, devo uscire, ma non importa. Ho scritto qualcosa, ho rotto il silenzio, ho cullato il mio bisogno di esserci pur non essendoci. Ho scritto nel poco tempo che mi era concesso stasera un qualcosa di inutile e che nessuno o quasi leggerà, ma che per me ha grande importanza.

(Originariamente pubblicato il 26/07/2009)

Suonare musica “pop”, in senso molto lato: tra le molteplici attività possibili, per un giovane medio dell'Occidente opulento, una di quelle che più coltiva la propria vanità. Non da meno è tenere un blog, un diario pubblico. Ci vuole una dose di narcisismo non trascurabile per farlo con un certo rigore ed una discreta regolarità. Sono atti che richiedono il plauso di un pubblico per sussistere. Da lì traiamo la nostra gratificazione, la nostra gioia, il nutrimento per alimentare il nostro ego. Ricercare la bellezza in questo bisogno di essere stimati richiede molto coraggio in più: la fatica della ricerca, la difficoltà di accettare il compromesso ed allo stesso tempo, sempre, la necessità di non chiudersi nella propria nicchia, di arrivare a più gente possibile. Inutile dire che nel nostro sistema tutto questo non è mai potuto sfuggire alle logiche di un mercato, di una domanda e di un'offerta. Come cerchiamo il plauso, abbiamo bisogno di applaudire, qualunque sia il nostro livello di consapevolezza e profondità nell'agnizione della bellezza. Ognuno riconosca secondo la propria “etica”, tra ciò che è “mainstream” e ciò che è “indipendente” (concetti piuttosto vaghi, su cui si potrebbe scrivere molto), le gradazioni diverse di “giusto” e “sbagliato” in fatto di cultura (o di “bello” e “brutto”, secondo la propria coscienza estetica, e ammesso che non vogliamo escludere o meno un certo assolutismo o relativismo in questi campi). Riflettiamo abbastanza però sul perché di quello che stiamo facendo? Un atto molto coraggioso, ed allo stesso tempo sofferente e liberatorio, è stato quello di rendermi conto molto presto che avrei dovuto rinunciare fin da principio a tutto il bagaglio di sogni adolescenziali e lustrini indie rock che a livello più o meno inconscio mi animavano: azzerare le aspettative, smettere di pensare il proprio presente in funzione di chissà quale futuro. Non che un futuro di celebrità non sia un obiettivo allettante, desiderabile e gratificante da raggiungere; sarei un ipocrita a sostenerlo: nessuno si espone per rimanere nell'anonimato, per quanto fedele ad una propria etica culturale. È un controsenso (il fatto che poi ormai le possibilità di vivere di “arte”, pur essendo dotati di buon talento, rasentino praticamente lo zero è un altro discorso). Ma prendere coscienza dei miei più profondi bisogni di creatura umana ha portato a stravolgere in parte la concezione di ciò che produco, di ciò che offro e di come lo offro. È il bisogno di umanità, di rapporti umani profondi, di una propria compagnia e nicchia di resistenza culturale ed esistenziale, della conoscenza critica di sé e degli altri, della costruzione di un'etica sui pilastri dei propri assoluti, che mi appartenga davvero il più possibile, proprio quando si sa che è solo vuoto e buio quello che ci circonda. È il bisogno di respirare, di camminare con le proprie gambe a testa alta per quanto possibile. È il bisogno così intimo di amare e di essere amati. Amore, quest'entità ontologicamente inconsistente, se non creata ad hoc come irraggiungibile ideale da cui dipendere per alimentare il cieco ciclo dello spreco pianificato. Ma al di là di ogni sovrastruttura, come si fa a non vedere dietro questo concetto “una misteriosa corrispondenza con non si sa qual bisogno costitutivo della natura umana”? “Comunque sia l'amore esiste, in quanto se ne possono osservare gli effetti” (Houellebecq, in Estensione del dominio della lotta). Ma ci guarderemo bene dal formulare anche la più sobria delle ipotesi sulla natura di suddetto bisogno. Comunque sia, tutto questo è un completo suicidio dal punto di vista del mercato, e non parlo tanto di musica o di qualsiasi altra pretenziosa attività “artistica”, parlo proprio del valore umano tarato secondo il metro dell'attuale Paradigma. Si rischia in pratica di non esistere, o di essere condannati ad una solitudine dolorosa. Solo chi ricerca il Bello mettendo così profondamente in gioco se stesso sa quanta sofferenza in più deve sopportare per raccogliere granelli di vera gioia. Questo avviene anche perché, oltre la creazione del proprio nucleo, ovvero del proprio nido di resistenza umana alla volgarità massimalista del mercato, c'è sempre la necessità di raggiungere più individui possibili del consorzio umano, ma stavolta per scambiare anche solo un briciolo di profondità in più oltre al solito rapporto star/fan. Qualcosa insomma che assomigli molto di più ad un rapporto di scambio orizzontale, più umano, non imposto dall'alto, non da sopra un palco, ma dallo stesso livello di creature senzienti. Questo non esclude il mercato, d'accordo. Ma forse vorrebbe almeno crearne un altro, più Giusto ed Utile, che parta dal basso, dal raggio corto. È un atto d'utopia, è un atto che richiede una grande stima di sé per meritarla dagli altri ed un grande sforzo di conoscenza e maturazione del sé, in modo tale che sia pronto alla dialettica e provenga da una creatura che sa comunque in partenza di essere destinata a perdere, se non altro per estinzione in un milieu che richiede tutt'altro per la lotta alla sopravvivenza; una creatura quindi che pur adattandosi non può esistere altrimenti per affermarsi, consapevole della sofferenza che richiede la ricerca di una felicità dalle radici più salde. Sembrerebbe una contraddizione esistenziale, perché pure se non si vede che buio e vuoto, si vive nel bisogno di esprimersi, di comunicare, di costruire, di amare e di essere amati.

Link alla pagina della prima pubblicazione

Con questo post inauguro un nuovo spazio dove riversare i miei scritti. Dopo più di un decennio di scrittura compulsiva sui social commerciali, scrivere in un ambiente pubblico protetto dagli attacchi feroci dei lettori incattiviti dagli algoritmi di Facebook è diventata un'esigenza impellente. Alle soglie dei quarant'anni, non so nemmeno io esattamente cosa vorrei scrivere, né se dovrei presentarmi a qualcuno in questo nuovo contesto che, per la sua estrema sobrietà, mi comunica comunque tutta quella tranquillità di cui avevo grande bisogno. Se qualche avventore del Fediverso italiano si trovasse a passare di qui per puro caso e magari fosse anche incuriosito dal sapere chi sono, posso dire che non è importante sapere il mio nome e cognome, ma può cercarmi nel web al nome “La Guerra delle Formiche”, poiché con questo alias sono attivo come musicista in ambito rock da quasi vent'anni e ho pubblicato diversi dischi. Su Mastodon e sugli altri social, il cui uso progressivamente vorrei limitare visto il loro alto grado di tossicità, mi chiamo Myrornas Krig, che altro non è che “La guerra delle formiche” in svedese, lingua da cui ho tratto questo pseudonimo. Il perché di questa scelta è una lunga storia che forse un giorno racconterò. Per vivere pratico il mestiere di professore di lettere in un piccolo liceo di provincia di un paesino campestre. Fin da ragazzo, nonostante la mia attività di musicista, pensavo che avrei praticato questo mestiere e quindi posso ritenermi fortunato perché mi piace, ma di anno in anno la situazione dal punto di vista sociale e politico peggiora al punto che temo non manchi molto arrivi il momento in cui la frustrazione e la rabbia, dovute alle assurdità che devo quotidianamente tollerare, superino la soddisfazione che ricavo dal praticare il mio mestiere con passione. Fondamentalmente comunque ricerco la bellezza e tutto ciò che possa riempire di senso la vita, in un mondo in cui la ricerca della bellezza e di questo senso è stata soffocata da un'incessante e fanatica corsa verso il nulla. Di questo e di altro vorrei parlare in questo blog, mentre continuo ad esprimermi anche attraverso i miei dischi.