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Pensieri, parole, opere senza omissioni

Il filo rosso del destino Wei era un uomo che, rimasto orfano di entrambi i genitori in tenera età, desiderava sposarsi e avere una grande famiglia. Nonostante il suo impegno ed i suoi sforzi era giunto all’età adulta senza essere riuscito a trovare moglie. Durante un viaggio Wei incontrò sui gradini di un tempio, un anziano appoggiato con la schiena a un sacco che stava consultando un libro. Wei incuriosito, chiese all’uomo cosa stesse leggendo; l’anziano rispose di essere il Dio dei matrimoni e, dopo aver guardato il libro, disse a Wei che sua moglie ora era una bimba di tre anni e che avrebbe dovuto attendere altri quattordici anni prima di conoscerla. Wei, deluso dalla risposta, chiese cosa contenesse il sacco; l’uomo rispose che lì dentro c’era del filo rosso che serviva per legare i piedi di mariti e mogli. Quel filo è invisibile e impossibile da tagliare, per cui una volta che due persone sono legate tra loro saranno destinate a sposarsi indipendentemente dai loro comportamenti o dagli eventi che vivranno. Queste parole non convinsero Wei che, per sentirsi libero di scegliere da solo la donna da sposare, ordinò al suo servo di uccidere la bambina destinata a diventare sua moglie. Il servo pugnalò la bambina ma non la uccise: riuscì soltanto a ferirla alla testa e Wei, dopo quegli eventi, continuò la sua solita vita alla ricerca della moglie. Quattordici anni dopo Wei, ancora celibe, conobbe una bellissima ragazza diciassettenne proveniente da una famiglia agiata e si sposò con lei. La ragazza portava sempre una pezzuola sulla fronte e Wei, dopo molti anni, le chiese per quale motivo non se la togliesse nemmeno per lavarsi. La donna, in lacrime, raccontò che quando aveva tre anni fu accoltellata da un uomo e che le rimase una cicatrice sulla fronte che per vergogna la nascondeva con la pezzuola. A quelle parole Wei, ricordandosi dell’incontro con il Dio dei matrimoni e dell’ordine che dette al suo servo, confidò alla donna di essere stato lui a tentare di ucciderla. Una volta che Wei e la moglie furono a conoscenza della storia si amarono più di prima e vissero sereni e felici. Quella del filo rosso del destino è una credenza molto diffusa in Giappone, anche se la leggenda affonda le proprie radici in Cina. La mitologia narra che ognuno di noi nasce con un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra. Questo filo ci lega indissolubilmente alla persona cui siamo destinati, quella che per noi occidentali è l’anima gemella. Le due persone sono destinate a incontrarsi. Non importa il tempo che dovrà passare, le distanze che le separano o le circostanze della vita. Il filo rosso è lunghissimo e resistente tanto che, grazie al destino, non si spezzerà mai..

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Il diavolo di Milano Nel Medio Evo avevano calcolato il numero di demoni degli inferi: 133.306.608. Ma il loro signore era uno solo e abitava a Milano. Questa è una piccola storia che da secoli viene tramandata tra gli abitanti della città di Milano, la storia del demone di Porta Romana e del palazzo immortale. Più precisamente in corso di Porta Romana 3. Così almeno si diceva nel 1630. In quell’anno tragico Milano venne falcidiata dalla peste che uccise in media mille persone al giorno. In un clima del genere c’era ben poca voglia di festeggiare, tranne che all’interno di un palazzo. Che, in breve, divenne famoso in tutta la città. Come raccontano Francesca Belotti e Gianluca Margheriti nel testo Milano Segreta, un contadino raccontò di essere stato invitato in quella casa e di avere visto molte “larve sedute a congresso da un uomo con aspetto di principe ma con la fronte infuocata e occhio fiammeggiante”. Un cronista dell’epoca disse di avere incontrato satana in quel palazzo e così lo descrisse: “Di anni cinquanta circa con barba quadra et longa, né magro né grasso, né bianco né nero. Comparisce ogni giorno in carrozza superbissimo con sedici staffieri giovani, sbarbati, vestiti di livrea verde dorata et con assai copia di gioie e sei cavalli tirano la sua carrozza”. L’uomo che ritenevano fosse satana si chiamava Ludovico Acerbi, marchese di Cisterna. Era arrivato a Milano da Ferrara nel 1615 su incarico del governo spagnolo. Ricco di famiglia, Acerbi acquista l’intero palazzo di Corso di Porta Romana 3 e lo fa ristrutturare in stile barocco, che conserva anche oggi. In anni di crisi economica faceva scalpore un tale sfarzo e dispendio di denaro, tanto che su di lui iniziarono ad aleggiare ombre sinistre. Ma la vera e propria consacrazione di principe del male avvenne con la violenta epidemia di peste. Mentre i cittadini morivano nelle strade, satana che faceva? Se la godeva con feste sfrenate. Acerbi se la spassava i nvitando la nobiltà che era rimasta in città e più i morti crescevano più le sue feste diventavano sontuose. Chi passava la notte in quella strada, sentiva risuonare la musica, le risate e le urla di gioia di una nobiltà che si credeva immortale. La peste se ne andò e in casa Acerbi nessuno risultò colpito dal morbo. E, si dice, neanche i nobili che parteciparono alle feste lo furono. E come avrebbero potuto, visto che avevano venduto l’anima al Diavolo di Porta Romana? La presenza del diavolo sembra proteggere non solo i frequentatori delle sue feste. Sembra estendersi all’intero palazzo. Proprio al numero 3 di corso di Porta Romana c’è una palla di cannone conficcata sul muro. Non si tratta di una palla di cannone qualsiasi, no: è una di quelle scagliate dall’esercito austriaco per contrastare l’insurrezione dei cittadini milanesi in occasione delle celebri cinque giornate del marzo 1848. Una palla rimasta inesplosa così da salvare le sorti al palazzo e ai suoi inquilini. Storia meneghina della bella e vecchia Milano che ancora oggi si narra volentieri ed è meta di esperti del settore paranormale.

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Serendipità Vi è mai capitato di fare delle scoperte fortunate per caso? Non per caso però accadano avvenimenti e situazioni che spesso richiedono una profonda riflessione su come sono accadute e perché. Vi ricorderete il film del 2001 “Serendepity” con Kate Backinsale e John Cusack nei panni di due persone entrambe impegnate sentimentalmente ma che vorrebbero affidare il loro amore al destino. Lei scrive il proprio recapito su un vecchio libro che andrà a rivendere sulle bancarelle il giorno dopo, lui su una banconota: si guardano un’ultima volta e si separano. Passano dieci anni, entrambi stanno per sposarsi, ma Jonathan riceve in regalo dalla promessa sposa proprio quel libro che riporta un numero di telefono. Serendipity in inglese significa “trovare una cosa senza cercarla”: il fatto che i due si ritrovino dopo dieci anni senza apparentemente essersi cercati ci fa arrivare alla conclusione che probabilmente gli Stati Uniti in realtà sono grandi come un paese di montagna. Nel 1754 lo scrittore inglese Horace Walpole scrisse una lettera a un amico ispirato dal racconto di molti anni prima di Cristoforo Armeno dal titolo “Viaggi e avventure dei tre principi di Serendippo”. Per farla breve i tre principi che stavano viaggiando senza alcuno scopo preciso e meta, se non il guardare e scoprire il mondo, capiscono osservando altro che un cammello scomparso era cieco e zoppicava. In pratica avevano avuto un’intuizione, un’idea, qualcosa che esulava e non aveva nulla a che vedere con quanto stessero facendo. Da qui l’origine del termine che indica proprio una scoperta inattesa, qualcosa che accade non per caso, e lascia stupore e un guizzo di soddisfazione e felicità. Vivere con piena serendipità è lasciarsi andare alle idee che scorrono dentro di noi aprendoci alla possibilità di lasciarsi meravigliare dalle cose ma anche e soprattutto dalle proprie intuizioni. La serendipità appare inizialmente come un concetto estratto dal romanticismo ma in realtà sono molteplici gli esempi nella storia e nella quotidianità. Cristoforo Colombo sbarcò nelle Americhe dopo un viaggio che inizialmente doveva essere solamente un’avventura invece si rivelò una scoperta straordinaria come fu per Alexander Fleming la scoperta della penicillina o per Isaac Newton la forza della gravità. La storia, la scienza e l’intera esistenza è caratterizzata da scoperte inaspettate dettate anche dall’istinto e dal ruolo che esso svolge. A livello quotidiano si può sperimentare quando, per esempio, si sta cercando qualcosa e si trova qualcosa d’altro, inaspettatamente, o quando dopo ore ed ore su un progetto o lavoro arriva l’intuizione che dà la svolta. Quindi ogni volta che per caso, in modo casuale si arriva a qualcosa. Attenzione però che niente è caso a tutto c’è un progetto, un disegno una grande mappa dentro la quale ci siamo noi, esseri umani senzienti, consapevoli che vivere la vita con serendipità dona sempre gioia, felicità e successi inaspettati. Sì, perché fare una scoperta, arrivare ad una soluzione, rendersi conto di qualcosa di inaspettato, dona emozioni positive e riempi il cuore e l’anima di bellezza e soddisfazione. La vita è sempre trionfo dell’improbabile e miracolo dell’imprevisto. (Henri de Lubac)

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I primi in assoluto Loro sono stati i primi ma i primi in cosa? Cos’hanno creato di così diverso rispetto agli altri gruppi emergenti di quella burrascosa fine degli anni ’60? È l’agosto del 1967 e gli “extraterrestri” sono sbarcati sul mercato discografico inglese. L’astronave si chiama “The Piper at the Gates of Dawn” e l’equipaggio è composto da Syd Barrett alla chitarra e al canto, Roger Waters al basso, Nick Mason alla batteria e Rick Wright alle tastiere. Loro, i Pink Floyd hanno sempre avuto una marcia in piu’ se non forse due marce in piu’ perché hanno creato un certo aspetto di musica rock diverso dal resto del mondo musicale che allora prevaricava il mercato discografico grazie ai Beatles, Rolling Stones e Led Zeppelin. Questo post vuole proporre al pubblico appassionato di musica le origini del gruppo inglese ed i loro primi passi in seguito diventati successi mondiali intramontabili. I Pink Floyd sono il risultato di due gruppetti ragazzi che collidendo (pacificamente) come placche tettoniche innalzano una catena montuosa che si staglierà su tutto. Da una parte ci sono Syd Barrett e David Gilmour, prima complementari e poi esclusivi uno rispetto all’altro, sull’altro lato della strada ecco Roger Waters, Rick Wright e Nick Mason. È giusto il tempo di attraversarlo, quello spazio che li separa, per cominciare un lungo percorso comune che porterà i cinque ragazzi ad Astra, le stelle: la fama, la gloria, la ricchezza, i risultati artistici e i riconoscimenti universali e totalizzanti. Prima che la band riuscisse a farsi conoscere con il suo leggendario nome, il gruppo utilizzò per circa quattro anni diversi nomi, tra cui The Megadeaths, The Spectrum 5 e The Screaming Abdabs, abbreviato successivamente in The Abdabs. Questi nomi non furono tra i più fortunati e per cercare il vero successo scelsero come nome “The Tea Set”, Sembrò suonare molto bene per i quattro membri della band fino ad un bel giorno, in cui il gruppo al completo si recò ad assistere ad un concerto nel 1965 ad una base dell’aviazione inglese. All’arrivo i futuri Pink Floyd rimasero sconvolti scoprendo che in cartellone era attesa un’altra band con lo stesso nome, The Tea Set. Il leggendario nome della band inglese nacque dall’unione dei nomi di Pinkney “Pink” Anderson e di Floyd Council, due leggendari bluesman neri americani. La band decise di chiamarsi “The Pink Floyd Sound”. Nel 1970 esce un disco che segna la svolta nella poetica dei Pink Floyd: “Atom Hearth Mother”. La band, per sperimentare nuove sonorità, ricorre a un’orchestra e fa uso di cori; la facciata A del disco è occupata da una suite in sei parti. Nel 1973 una nuova svolta: esce “The Dark Side of the Moon”, che sarà nella classifica dei duecento dischi più venduti degli Stati Uniti per quasi 14 anni. Il resto che verrà è solo gloria.

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Scenari Tutto si muove e tutto si ricrea niente si distrugge. Non c’era intro migliore da poter scrivere se non quello di contribuire a fare informazione in modo chiaro, pulito e soprattutto libero. Libero come questo sito Liberamente News e libero come Radio Libera il podcast che non è soltanto la voce della consapevolezza ma anche il canale dove la cultura si unisce con la libertà di pensiero e di parola. Gli scenari di cui oggi voglio parlare con, appunto in totale libertà di espressione sono i “paesaggi” che si aprono davanti ai nostri occhi ogni giorno e che ogni giorno poi si chiudono per riaprirsi l’indomani. Gli scenari delle lotte politiche, delle guerre, della criminalità, degli attacchi al potere e di simulazioni che a noi popolo del mondo ce la danno a bere con l’Ucraina e le difese per questa nazione in lotta con la Russia. Ci fanno credere che nel mar Mediterraneo e nel mar Tirreno ci sono oltre quaranta navi militari che controllano le coste e le isole. Ci sono Paesi che secondo i “simulatori” stanno conquistando altri Paesi, ci danno da bere tutto quello che loro vogliono impostare come verità ma non è assolutamente vero nulla. E poi non ci sono solamente le “manovre” di pseudo-guerre che vanno ad ingrandire il già ben fornito campionario di manipolazioni mentali mediatiche ma ci sono anche i “tagliatori di teste” che sbarcano clandestinamente oppure irregolarmente sul territorio italiano e mietono violenze, aggressioni e tutto quello che c’è di peggio sugli scenari urbani delle nostre grandi città. Motivare uno stato di guerra globale ed una legge marziale, istituire stati di Polizia, gestire l’economia e la finanza attraverso il sistema del “lavo io che lavi anche tu” è l’obiettivo principale. Perché coloro che ce la danno a bere dormono sereni di notte perché sanno che soltanto cosi possono tenerci tranquilli e al guinzaglio come hanno provato e ci sono riusciti a fare dopo la seconda guerra mondiale facendoci credere che gli Stati Uniti erano i salvatori dell’Europa e dell’ Italia quando invece abbiamo subito un’invasione che ci ha resi schiavi dello Zio Sam. Ricordo che l’Italia come l’Europa intera è il satellite di Biden & Co. Che storia vero? Tutto torna. Non lo sapevate? Tornando a casa nostra non vi siete accorti che la pandemia o covid che dir si voglia è stata una delle burle piu’ assurde nella storia dell’umanità di questi ultimi due secoli? Il regime totalitario delle grandi corporazioni ha creato disordine per far nascere un nuovo ordine mondiale. E pensare che George Orwell nella sua opera letteraria distopica “1984” (scritta nel 1949) attaccava i regimi totalitari del XX secolo che avevano caratterizzato gli anni ’30 e ’40 dando un avvertimento ai lettori sulle possibili conseguenze dell’oppressione politica sulla società futura. Le menti umane vengono soggiogate in modo da far accettare loro il pensiero dello stato attraverso tre fasi: apprendimento, comprensione, accettazione. Nulla è vero ma ce lo vogliono sbattere in faccia perché sanno che ci crediamo e come popolo di ignoranti seguiamo il pensiero della massa critica, carne da macello per i molossi guardiani del mondo occulto.

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La sicurezza innanzitutto La sicurezza della rete comprende tutti i processi, le tecnologie, le strategie e le policy utili per proteggere il perimetro di rete aziendale, prevenendo gli accessi non autorizzati e gli eventuali attacchi informatici. La rete è infatti estremamente vulnerabile e se non è difesa a dovere può facilmente diventare bersaglio di virus o hacker: per questo è fondamentale adottare i giusti accorgimenti ed evitare che tali minacce si diffondano al suo interno. In particolare l’obiettivo è tenere al sicuro le reti, il traffico di rete, le risorse accessibili in rete – come dati, applicazioni e sistemi – e i dispositivi connessi adottando un approccio a più livelli e sfruttando piattaforme utili per l’integrazione e l’automazione. Una buona strategia di sicurezza di rete deve inoltre essere predisposta per il Cloud, garantire connettività continua e offrire la migliore esperienza utente possibile ai dipendenti e ai clienti. Contare sulla sicurezza di rete aziendale, però, non significa solo prevenire intrusioni e difendersi da malintenzionati. Predisporre il giusto piano di cyber security, infatti, è utile anche per gestire meglio le patch, coordinare con efficacia il personale preposto e organizzare potenziali sistemi legacy. Nonostante ci siano diversi punti in comune, è più corretto definire la sicurezza di rete come un sottoinsieme del più ampio concetto di sicurezza informatica. La sicurezza informatica ha infatti un raggio d’azione più esteso e comprende ogni elemento legato al mondo del web. Si prefigge di difendere l’integrità delle reti, dei dispositivi e dei programmi da potenziali attacchi, focalizzandosi sulla sicurezza dei dati durante l’archiviazione e il transito. La sicurezza di rete, invece, si limita a ciò che riguarda prettamente il perimetro aziendale, occupandosi di protezione di dati e reti, ma anche di tutela hardware, sistemi operativi, storage e tutto ciò che compone l’infrastruttura IT di un business. Protegge directory e file di rete di computer da usi impropri, accessi non autorizzati e violazioni e preserva l’integrità tutelando le risorse accessibili. La sicurezza è l’esigenza primaria per tutti: aziende e privati hanno il diritto di essere protetti e assicurati e spesso purtroppo questi diritti vengono violati e senza pietà vengono privati della loro incolumità devastando la propria attività ed il proprio stato d’animo. E’ impensabile non usare Internet per effettuare le operazioni di progettualità e di commercio, vendite, acquisti online ecc., le applicazioni di rete e i dispositivi connessi sono parte integrante dell’ecosistema di un business, implicando grossi benefici ma aumentando anche i possibili rischi quindi è necessario prevenire piuttosto che curare un problema che potrebbe diventare deleterio per l’attività. Rimanere sempre vigili e attenti per prevenire ogni genere di attacco è fondamentale anche se spesso i costi per mantenere la sicurezza informatica non sono cosi abbordabili ma per un buon servizio ed un eccellente qualità il gioco vale sempre la candela.

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Culturalmente in rock Sono un rockettaro doc, ebbene si e ne vado orgoglioso sin da quando all’età di sei anni mi regalarono il 33 giri dei Led Zeppelin – Led Zeppelin 1 che prontamente infilai nel mio allora mitico mangiadischi verde e ascoltai per ore ed ore Black Dog, Immigrant Song, Stairway to heaven, ecc. Da quel momento non ascoltai altro che musica rock. Allo stesso tempo, il rock ha anche incorporato influenze dal soul, dal funk e dalla musica latina. Negli anni sono nati altri generi derivati come il pop rock, l’hard rock, il rock psichedelico, il glam rock, l’heavy metal e il punk rock. Gli anni ottanta hanno poi visto sbocciare il filone new wave, l’hardcore punk, il rock elettronico e il rock alternativo, mentre negli anni novanta si è assistito alla diffusione del grunge, del britpop, dell’indie rock e del post-rock. La musica rock ha inoltre contribuito al diffondersi di movimenti culturali e sociali, portando alla nascita di sottoculture come i mod e i rocker nel Regno Unito e la controcultura hippie, che, da San Francisco, si diffuse negli Stati Uniti negli anni sessanta. In modo analogo, la cultura punk degli anni settanta ha poi portato alla nascita delle sottoculture goth ed emo. Il rock trasmette la libertà di ascoltare senza nessun vincolo quello che piu’ ci piace mettendo in evidenza l’importanza il senso della musica e delle sue radici che affondano nel blues e nel rhythm and blues. Non riesco ad immaginare me stesso senza la musica rock perché non riuscirei a vedere certe cose dal punto di vista personale senza cadere nel perbenismo di coloro che ancora oggi nel 2024 sono convinti che questa cultura musicale è opera del demonio. Non sto dicendo che esiste solo il rock come genere musicale e che come genere supremo tutti gli altri generi nono sono nulla; niente di tutto ciò. Il mio pensiero è che piu’ rock ascoltiamo e piu’ ci liberiamo di ancestrali vincoli che ci legano ad un passato che non ha piu’ alcun valore. Il rock è terapia ed è un pò la carta d’identità della nostra vita. Le canzoni dicono molto anche di noi adulti. Se provassimo a scrivere in un foglio le dieci canzoni che hanno segnato la nostra adolescenza ci accorgeremmo come molte di queste siano state ereditate dal bagaglio culturale dei nostri genitori, una sorta di DNA musicale tramandato. Presentarci all’altro attraverso la nostra “carta d’identità musicale”, racconta molto più dei nostri dati anagrafici o biologici. Ascoltare rock fa bene e non è rumore oppure musica del diavolo oppure ancora frastuono e mal di testa. Il rock è cultura.

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Coloro che sono di là Mi piace pensare e spero davvero che sia proprio così, che tutti noi una volta giunti al termine della nostra attuale esistenza umana, dopo aver fatto una delle tante esperienze di reincarnazione, passiamo in una seconda fase che gli stereotipi hanno definito come l’al di là. Un mondo parallelo al nostro, oppure una dimensione spirituale aliena che ci consente di ritrovare noi stessi dopo la morte e di ritrovare loro stessi già precedentemente arrivati. Ma quando siamo ancora vivi come possiamo comportarci con coloro che sono andati di là? Basterebbe una preghiera ed un ricordo, molti direbbero, ma non è semplicistico? Non lo trovate troppo banale? Dobbiamo e possiamo fare di più con il nostro pensiero. I nostri pensieri sono qualcosa di reale anche per loro. Essi percepiscono infatti la luce della verità spirituale, per cui la cosa più bella, il regalo più grande che possiamo fare, è leggere per loro qualcosa che abbia un vero contenuto spirituale. In questo modo, il pensiero luminoso si solleva verso loro, fino alle regioni dello Spirito o a dimensioni aliene, mentre essi irradiano le loro forze giù sui viventi. Noi dovremmo pensare, parlare, agire con la coscienza di poter reggere lo sguardo dei nostri cari che sono tornati “dall’altra parte’”. Certo è comprensibile che noi piangiamo i nostri cari defunti, ma se non possiamo superare questo stato d’animo, significa che non abbiamo fiducia nella sapienza che regna nel mondo e il desiderio che il nostro caro non sia morto e che si trovi ancora con noi, è un sentimento che danneggia l’anima che sta per affrontare il viaggio verso la disincarnazione. Possiamo facilitare il loro percorso di ascesa soltanto se abbiamo la giusta consapevolezza che la sapienza che regna nel mondo, ha voluto prenderli con sé nel momento giusto, perché essa aveva bisogno di loro, in un campo dell’esistenza diverso da quello della vita terrena. L’attaccamento alla materialità ci impedisce di lasciare andare coloro che hanno terminato il loro compito sulla Terra. Coloro che sono passati oltre si muovono in mezzo a noi, essi restano legati con gli esseri della Terra, fili di contatto scendono da essi verso l’esistenza terrena. Noi non possiamo né sentire né volere, senza che nel nostro sentire e nel nostro volere non operino queste entità, che erano legate karmicamente a noi. Una verità? Forse sì, forse no, ma una buona preparazione spirituale porta a livelli di consapevolezza molto importanti e per contro possiamo avere in cambio aspetti piu’ profondi dell’immaterialità.

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La nostra no-fly-zone Vi siete mai chiesti perché quando ci troviamo in ascensore non ci si guarda mai negli occhi e si tiene sempre lo sguardo rivolto verso terra? Allontanare lo sguardo è di per sé un segnale che mette in evidenza la distanza tra noi e le persone che in quel momento ci circondano e che non si conoscono. Questa distanza siamo noi a proporla agli altri perché lanciamo quel segnale che dice: “non ho piacere di parlare con te/voi” tra l’altro anche in uno spazio cosi ridotto come l’ascensore. Il nostro spazio fisico e mentale è uno spazio che siamo tenuti a proteggere per non essere invasi dagli altri e si chiama spazio prossemico ovvero quello spazio che tendiamo a conservare in tutti i rapporti sociali. Attraverso l’utilizzo della prossemica che personalmente la ritengo una specie di “no fly-zone”, comunichiamo agli altri determinate informazioni e questo insieme di comunicazioni si chiama prossemica che concerne appunto l’organizzazione, la percezione e l’uso dello spazio. La definizione di prossemica risale all’antropologo Hall, che definisce la prossemica lo studio dell’uso della distanza nei rapporti interpersonali e le forme di comunicazione che essi sottendono. Abbiamo detto che viene definito bolla o uovo prossemico lo spazio identificato come personale, e dentro il quale poniamo delle regole specifiche che derivano dalla persona, dalla cultura e dalla società. Nella prossemica ci sono ben tre livelli di spazio. Il primo è lo spazio fisso ovvero quello spazio fissato da frontiere e confini, case e luoghi posti all’interno di una determinata città o luogo geografico. Il secondo è lo spazio semifisso dove sono gli oggetti che delimitano questo spazio ma non lo fanno permanentemente perché vengono spesso spostati. Infine lo spazio personale. Lo spazio che non vogliamo venga invaso. In poche parole non vogliamo essere toccati. Un esempio di spazio prossemico influenzato dalla cultura di quel Paese è quello delle distanza tra due persone che stanno parlano tra di loro. Nei paesi arabi due persone che parlano tra loro stanno molto vicino, quasi gomito a gomito, in Europa e in Asia invece si tende a mantenere una distanza di almeno un braccio.
No fly zone, nessuno deve permettersi di volare dentro a quel “cerchio” immaginario che fa parte della mia vita ma anche io non devo permettere agli altri di invadermi migliorando in modo semplice ed immediato la qualità della stessa e vivere in armonia con tutto ciò che mi circonda compresa la gente. La distanza umana, sulla base della quale vengono regolati i rapporti interpersonali, viene definita spazio vitale o spazio prossemico. Le quattro distanze prossemiche sono:

distanza intima (0-50 cm), caratteristica dei rapporti stretti, dove è presente intimità, come tra partner, tra madre e figlio, tra familiari, ecc. A questa distanza si è talmente vicini da potersi perfino toccare e odorare distanza personale (50–150 cm), utilizzata per l’interazione con gli amici distanza sociale (150-300 cm), utilizzata per la comunicazione tra conoscenti, nel rapporto insegnante-allievo o tra colleghi distanza pubblica (oltre i 300 cm), utilizzata per le relazioni pubbliche. In questo caso specifico il coinvolgimento che si viene a creare non è tanto con il singolo bensì con l’insieme delle persone in generale.

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Consigli per gli acquisti online Con l’aumento della popolarità dello shopping online, la sicurezza informatica è diventata una questione importante per i consumatori. Lo shopping online ha consentito alle persone di effettuare acquisti di prodotti e servizi con la comodità della propria casa. Tuttavia, ciò ha reso anche più facile per i criminali informatici rubare i dati personali e utilizzarli per scopi fraudolenti. In questo articolo discuteremo le migliori pratiche di sicurezza informatica durante lo shopping online. L’utilizzo di una password forte è importante, poiché aiuta a proteggere le tue informazioni sensibili da accessi non autorizzati da parte di hacker e criminali informatici. Le password deboli, facili da indovinare o da decifrare, come “123456” o “password”, sono un obiettivo comune per i criminali informatici che utilizzano strumenti automatici per cercare di accedere ai conti degli utenti. Quando un hacker ottiene accesso al tuo account, potenzialmente può rubare i tuoi dati personali e finanziari, come numeri di carte di credito, dettagli di conti bancari e altri dati sensibili. Potrebbero anche usare il tuo account per perpetrare truffe o diffondere malware su altri account degli utenti. D’altra parte, una forte password è molto più difficile da indovinare o da hackerare. Dovrebbe essere composta da almeno 12 caratteri e contenere una combinazione di lettere maiuscole e minuscole, numeri e simboli. Ciò rende difficile per gli strumenti automatici indovinare o violare la password, fornendo un ulteriore livello di protezione per i tuoi account online. Usando password forti e praticando buone procedure di gestione delle password, puoi aiutare a proteggerti da furti di identità, truffe e altre minacce legate al cyber crimine. Alcuni piccoli e importanti accorgimenti da seguire. Abilitare l’autenticazione a due fattori (2FA) ed è molto importante perché aumenta il livello di sicurezza. Con la 2FA, gli utenti sono tenuti a fornire una seconda forma di identificazione oltre alla password, come un codice inviato al telefono, uno scanner di impronte digitali o una chiave di sicurezza. Abilitando la 2FA, si può ridurre notevolmente il rischio di accesso non autorizzato agli account e nello stesso si aiuta a proteggere meglio i dati personali e finanziari da furti, frodi e minacce. Un’ altro importante accorgimento è evitare di collegarsi alle WI-FI pubbliche quando si effettuano acquisti online è importante poiché le reti Wi-Fi pubbliche sono spesso non protette e l’uso di esse può esporsi ai rischi di intercettazione da parte di hacker dei propri dati personali e finanziari. Le reti pubbliche Wi-Fi, come quelle presenti nei caffè, negli aeroporti o negli hotel, sono spesso aperte e non criptate, il che significa che chiunque abbia le giuste attrezzature può teoricamente intercettare i dati che viaggiano tra il tuo dispositivo e la rete. Ciò include informazioni sensibili come numero di carta di credito, dati di accesso e altri dati personali. ’utilizzo di una rete privata virtuale (VPN) per crittografare la tua connessione a Internet è importante poiché fornisce un ulteriore livello di sicurezza e privacy per le tue attività online. La VPN crittografa il tuo traffico Internet, rendendo più difficile per gli hacker, i criminali informatici o altre persone terze intercettare e accedere alle tue attività online e ai tuoi dati sensibili. Dulcis in fundo ma non per ultimo installare sempre le ultime patch di sicurezza nel computer. Mantenere aggiornati i computer e i dispositivi mobili poiché aiuta a garantire che il dispositivo disponga delle più recenti funzionalità di sicurezza e protezione contro vulnerabilità e minacce informatiche note. Le patch di sicurezza sono aggiornamenti rilasciati dai produttori di software che indirizzano le vulnerabilità e gli errori di sicurezza nei loro prodotti. Per ulteriori approfondimenti sull’argomento vi rimando al podcast Radio Libera.

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