La filosofia del mistero
rieditato nell'agosto 2025
Durante il periodo della laurea, ragionavo sul modo in cui far costruire ai robot una mappa dell'ambiente, partendo per esempio da immagini tridimensionali (che contengono una informazione sulla profondità) che si possono ricostruire da una semplice coppia di foto binoculari.
Coppia di immagini stereo, una immagine displacement, e la relativa immagine di profondità. In basso una la ricostruzione 3d della parte vista, dalla quale si possono percepire le parti nascoste
Ogni vista parziale permette di ricostruire una parte “istantanea” del modello dell'ambiente, che poi va aggiunta e contestualizzata in una mappa più ampia, che in qualche maniera definisce il “ricordo” del robot.
Osservando immagini come queste ci si rende conto in modo oggettivo della parzialità e della limitatezza di quanto in realtà il robot veda in ogni istante, e solo se si inserisce una forma di memoria, il suo modo di percepire l'ambiente è confrontabile con il nostro. La cosa interessante è che anche l'informazione istantanea alla quale ha accesso l'occhio umano risente delle stesse limitazioni, ma la nostra consapevolezza di questa basilare limitazione non è scontata, per rendercene conto dobbiamo porvi attenzione.
In ogni istante non vediamo un sacco di cose. Non vediamo dietro di noi: vediamo sì con la coda dell'occhio un po' lateralmente, ma se uno confronta il nostro campo visivo con quello di altri animali non siamo messi benissimo. Non vediamo dietro e dentro gli oggetti, non vediamo fuori dalla stanza dove siamo. Poi... non vediamo le cose piccolissime e vediamo le cose grandissime solo se siamo abbastanza lontani, vediamo a colori, e qui ci va bene rispetto ad altri animali che vedono solo in bianco e nero, ma anche riguardo a questo aspetto, in realtà vediamo solo una piccola parte dello spettro elettromagnetico, sono assenti sono infrarossi ed ultravioletti che vedono le api o gli uccelli.
Questo dev'essere un fenomeno psicologico particolare. Noi pensiamo di conoscere bene il nostro ambiente, man mano che diventiamo adulti abbiamo l'impressione inconscia che esso non abbia segreti per noi. Secondo me questo dipende dalla nostra abitudinarietà e dal vivere in un ambiente che abbiamo reso tutto sommato statico e prevedibile. Credo che l'uomo della foresta avesse (o abbia ancora) una maggior percezione della sua ignoranza rispetto all'ambiente in cui vive. Forse questo lo rende più umile, più attento, più saggio.
Come dicevo prima, però anche se siamo in città, abbiamo l'impressione di conoscere, ma in molti casi si tratta di memoria o interpolazione, più che reale conoscenza fattuale. Perdipiù quel che manca è la consapevolezza della mancanza di informazione, ovvero la consapevolezza del mistero.
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