Quello che ci è tolto

Non c'è scandalo più grande della morte di un bambino. Ci sembra che una terribile, intollerabile ingiustizia sia stata compiuta; quella ingiustizia che suscita la ribellione di Ivan Karamazov; quell'ingiustizia che nemmeno l'apocatastasi potrebbe guarire. Ma in cosa consiste questa ingiustizia? Al bambino, pensiamo, è stato tolto il futuro. Gli sono stati sottratti gli anni a venire: la possibilità di diventare adulto, di amare, di lavorare, di avere figli. Ma può essere sottratto solo ciò che è un possesso. E il futuro non è un possesso, semplicemente perché non esiste. E ciò che non esiste non può essere sottratto. Nessuno di noi ha il futuro. Abbiamo solo questo-istante-qui. L'istante successivo potrebbe non esserci. Non abbiamo alcun diritto su di esso. Non abbiamo alcun diritto di vivere un istante in più. Quando moriamo, è solo questo-istante-qui che ci è tolto (come dice Marco Aurelio nel suo pensiero più abissale: Κἂν τρὶς χίλια ἔτη βιώσεσθαι μέλλῃς, κἂν τοσαυτάκις μύρια, ὅμως μέμνησο ὅτι οὐδεὶς ἄλλον ἀποβάλλει βίον ἢ τοῦτον ὃν ζῇ, οὐδὲ ἄλλον ζῇ ἢ ὃν ἀποβάλλει: II, 14). E questo vale a dodici anni come ad ottanta.

{Domenico Scarlatti, Sonata in F Minor, K.183: Allegro} {230820}

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