Due semi

Come tutte le religioni, il cristianesimo ha in sé tanto i semi della violenza quanto quelli della nonviolenza. A far la differenza è il modo in cui si concepisce la figura del Diavolo. Che è, come si legge nel Vangelo di Giovanni, il “principe di questo mondo” (ὁ τοῦ κόσμου τούτου ἄρχων) (Giovanni, 14, 30). La lectio facilior di questo ed altri testi è che il Diavolo governa effettivamente il mondo, la realtà secolare, sicché tutti i governanti non ne sono che espressione. La stessa morte di Cristo si concilia con un simile interpretazione: Dio sacrifica il Figlio mettendolo nelle mani del suo Nemico, e in concreto dei poteri terreni che lo condannano. Ed è una interpretazione che era confermata, per i primi cristiani, dalle persecuzioni subite dal potere romano. Ma con una simile interpretazione il cristianesimo non avrebbe fatto molta strada. Una religione si diffonde solo se intercetta il potere e viene a patti con esso. Il cristianesimo è passato dalla condizione di religione perseguitata a quella di religione perseguitante – e perseguitante con una ferocia devastante – grazie ad una serie di accomodamenti di cui si è incaricato Paolo di Tarso. I poteri sono stabiliti da Dio, e ognuno è tenuto a sottomettervisi. “Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c'è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio.” (Romani, 13, 1-2; trad CEI). Una simile idea consente per il momento di farsi accettare dal potere, di rassicurare, di evitare le persecuzioni; in un futuro prossimo di sostenere e giustificare quello stesso potere, sempre più in difficoltà; e infine di investire il potere. È grazie a questa lettura che il cristianesimo è diventato la religione dominante. Ma in che senso allora il Diavolo è il principe di questo mondo? L'interpretazione, la lectio difficilior, è al tempo stesso preziosissima per il potere. Benché stabilito da Dio, il potere è sempre minacciato. C'è sempre qualcosa che lo insidia: c'è la minaccia della ribellione, dell'insubordinazione, dell'eresia. C'è la minaccia interna, che viene da chi rivendica una identità diversa o qualche cambiamento nell'assetto socio-economico, e c'è la minaccia esterna. E il Diavolo diventa il simbolo di tutto questo. Pensarlo come minaccioso, potente, insidioso serve da un lato ad ottenere il consenso naturale che viene dalla percezione di una minaccia, dall'altro a giustificare la ferocia della repressione. Il cristianesimo diventa la religione del potere e, conseguentemente, del massacro. Una religione violenta. L'altro seme — l'altra interpretazione — resiste nelle sette. I mennoniti, i quaccheri, parte degli anabattisti ecc. Che si tratti di sette minoritarie è logico: se “il mondo intero giace nel maligno” (ὁ κόσμος ὅλος ἐν τῷ πονηρῷ κεῖται: 1 Giovanni, 5, 19), allora chi è con Dio non può avere successo, è condannato a una condizione minoritaria, marginale: da pietra scartata. Ho parlato di germi di nonviolenza. Si potrebbe aggiungere: o di violenza rivoluzionaria. Se nonviolenza è il rifiuto della violenza personale, quale si trova nei quaccheri — e che può prendere anche forme socialmente rivoluzionarie — cristiana è anche la rivendicazione di un mondo più giusto, in nome di quel primato degli ultimi affermato nel Discorso della montagna. In questo senso il i quaccheri e Tolstoj sono sviluppi diversi, ma affini, degli stessi semi che hanno dato vita alle lotte di Thomas Müntzer.

#diabolusnovus