La privatizzazione dello spazio pubblico scolastico

Un'aula digitale — un ambiente nel quale si seguono lezioni, si discute sui forum, si caricano esercizi eccetera — è uno spazio virtuale in tutto e per tutto simile all'aula fisica. Ora, se fosse richiesta, per accedere ad un'aula fisica di una scuola pubblica, la tessera di iscrizione ad una qualsiasi realtà commerciale privata, come un ipermercato o una catena di negozi di abbigliamento, la cosa apparirebbe assurda e scandalosa. Pare normale ed accettabile allo stesso Miur, invece, che l'accesso all'aula virtuale sia subordinato all'iscrizione/affiliazione a multinazionali come Google o Microsoft. Si dirà: ma sono le multinazionali che mettono a disposizione i servizi necessari. Una risposta che ignora l'esistenza di servizi alternativi open source. E c'è da chiedersi come mai il Miur, che ha speso non pochi soldi per la digitalizzazione delle scuole — il Piano Nazionale Scuola Digitale — non abbia mai pensato a costruire una piattaforma per la didattica pubblica, gratuita e in grado di soddisfare tutte le richieste della legge in fatto di privacy. La didattica a distanza anticipa, sul piano virtuale, un futuro probabile e per molti desiderabile nel quale le scuole sono mantenute grazie alla sponsorizzazione dei privati e il diritto all'istruzione è merce di scambio. Intanto si educano gli studenti fin da piccoli ad accettare che lo spazio virtuale — che è sempre più uno spazio vitale — sia generosamente offerto da Google & Co., e che non vi sono alternative.

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