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scuola

È responsabilità di don Milani aver introdotto nel dibattito pedagogico l'infelicissima metafora dell'“ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Infelice, tra le altre cose, perché un ospedale ha in primo luogo il dovere di non dimettere chi è ancora malato: e l'equivalente scolastico di questa non dimissione è esattamente la bocciatura. Ma soprattutto diverso è il rapporto tra medico e paziente e tra docente e studente. Un chirurgo può addormentare il paziente, aprirgli il petto, sistemargli il cuore e richiudere. Se è stato bravo, il paziente guarirà. Non gli si chiede se non di lasciar fare al medico e di dare un consenso iniziale all'operazione. Il docente ha bisogno invece di una continua collaborazione dello studente. L'operazione dell'apprendimento è comune. Nonostante il lessico scolastico tenda alla passivizzazione, uno studente non è un paziente. Insegnare è una cosa che non si può fare senza chiedere permesso. Di continuo. Non basta un consenso preliminare. L'intervento di chi insegna è non meno invasivo di quello di un chirurgo che apra il petto. Si tratta di operare trasformazioni profonde; di cambiare ben più del corpo. Ritenere che questa operazione così invasiva si possa fare senza un costante consenso, che si possa perfino imporre con la minaccia, è una delle tante espressioni del delirio del potere. Riteniamo, ed a ragione, che nessuno possa toccare parti sensibili del corpo altrui senza il suo consenso. E farlo è molestia sessuale. Riteniamo però al tempo stesso che alcuni abbiano il diritto di entrare senza permesso — spesso sbraitando, minacciando, blandendo, ricattando — nell'interiorità altrui. Bisognerebbe cominciare parlare di molestie pedagogiche, e perseguirle come si perseguono le molestie sessuali.

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  1. A scuola non si apprende, se non in modo accidentale. Perché l'apprendimento è impossibile senza interesse, ed è semplicemente impossibile provare interesse contemporaneamente per più di dieci discipline, e per tutti gli argomenti di quelle discipline. Si apprende quando, in modo casuale, uno dei temi proposti incontra un nostro reale interesse. Per tutto il resto del tempo si finge un interesse che non c'è e, al momento delle verifiche, si simula di aver appreso ciò che non è stato appreso.
  2. È una sciocchezza che il docente debba far nascere l'interesse. Il suo compito è quello di non spegnere un interesse in atto.
  3. Quand'anche in una scuola tutti i docenti fossero miracolosamente in grado di suscitare un interesse per ciò che insegnano, il sistema nervoso degli studenti non reggerebbe. Perché l'apprendimento è una impresa profondamente coinvolgente, eccitante, adrenalinica. Dopo mezz'ora di apprendimento reale c'è bisogno di un'altra mezz'ora per metabolizzare, riflettere, calmarsi. Cinque ore di apprendimento reale sono semplicemente impossibili.
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Secondo l'antico grammatico indiano पतञ्जलि la parola sanscrita छात्त्र, che indica uno studente, deriva da छत्त्र, ombrello. La sua spiegazione è: “L'ombrello è l'insegnante; lo studente dev'essere riparato dall'insegnante come da un ombrello, e l'insegnante dev'essere protetto dallo studente come da un ombrello” (H. Scharfe, Education in Ancient India, Brill, Leiden-Boston-Koln 2002, p. 122). Occorre ricordare che nel sistema ācāryakula (o gurukula) lo studente va a vivere a casa dell'ācārya e lo accudisce: di qui il reciproco ripararsi. Nel sistema educativo occidentale questa reciprocità è impensabile. Lo studente, sottomesso per secoli, diventa infine l'utente di un servizio.

#scuola

Un'aula digitale — un ambiente nel quale si seguono lezioni, si discute sui forum, si caricano esercizi eccetera — è uno spazio virtuale in tutto e per tutto simile all'aula fisica. Ora, se fosse richiesta, per accedere ad un'aula fisica di una scuola pubblica, la tessera di iscrizione ad una qualsiasi realtà commerciale privata, come un ipermercato o una catena di negozi di abbigliamento, la cosa apparirebbe assurda e scandalosa. Pare normale ed accettabile allo stesso Miur, invece, che l'accesso all'aula virtuale sia subordinato all'iscrizione/affiliazione a multinazionali come Google o Microsoft. Si dirà: ma sono le multinazionali che mettono a disposizione i servizi necessari. Una risposta che ignora l'esistenza di servizi alternativi open source. E c'è da chiedersi come mai il Miur, che ha speso non pochi soldi per la digitalizzazione delle scuole — il Piano Nazionale Scuola Digitale — non abbia mai pensato a costruire una piattaforma per la didattica pubblica, gratuita e in grado di soddisfare tutte le richieste della legge in fatto di privacy. La didattica a distanza anticipa, sul piano virtuale, un futuro probabile e per molti desiderabile nel quale le scuole sono mantenute grazie alla sponsorizzazione dei privati e il diritto all'istruzione è merce di scambio. Intanto si educano gli studenti fin da piccoli ad accettare che lo spazio virtuale — che è sempre più uno spazio vitale — sia generosamente offerto da Google & Co., e che non vi sono alternative.

#scuola

Cara *, gli esami di Stato non sono andati come speravi ed ora ti senti delusa, amareggiata, arrabbiata. Hai l’impressione che l’impegno di anni non sia servito a nulla e che la scuola ti abbia ingannata. Hai ragione, e comprendo perfettamente la tua rabbia. Non ti scrivo per cercare di lenirla, ma per continuare il discorso di questi cinque anni: e cercare insieme qualche conclusione. Ragioniamo di esami. Li amo poco, come amo poco tutto ciò che serve a creare gerarchie, vincitori e vinti, primi secondi e terzi. Io sono per i giochi a somma positiva, quelli nei quali vincono tutti. E così penso un po’ la scuola. Io metto sul tavolo quello che so, tu quello che sai tu. Io quello che penso, tu quello che pensi tu. E ragioniamo insieme, cerchiamo insieme, scaviamo insieme. Ci arrichiamo insieme. Ma questo non basta. La scuola ha bisogno di classificare – in alcune scuole gli studenti vengono addirittura divisi in tre fasce: i bravi, quelli così così, i pessimi.

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