Molestie pedagogiche
È responsabilità di don Milani aver introdotto nel dibattito pedagogico l'infelicissima metafora dell'“ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Infelice, tra le altre cose, perché un ospedale ha in primo luogo il dovere di non dimettere chi è ancora malato: e l'equivalente scolastico di questa non dimissione è esattamente la bocciatura. Ma soprattutto diverso è il rapporto tra medico e paziente e tra docente e studente. Un chirurgo può addormentare il paziente, aprirgli il petto, sistemargli il cuore e richiudere. Se è stato bravo, il paziente guarirà. Non gli si chiede se non di lasciar fare al medico e di dare un consenso iniziale all'operazione. Il docente ha bisogno invece di una continua collaborazione dello studente. L'operazione dell'apprendimento è comune. Nonostante il lessico scolastico tenda alla passivizzazione, uno studente non è un paziente. Insegnare è una cosa che non si può fare senza chiedere permesso. Di continuo. Non basta un consenso preliminare. L'intervento di chi insegna è non meno invasivo di quello di un chirurgo che apra il petto. Si tratta di operare trasformazioni profonde; di cambiare ben più del corpo. Ritenere che questa operazione così invasiva si possa fare senza un costante consenso, che si possa perfino imporre con la minaccia, è una delle tante espressioni del delirio del potere. Riteniamo, ed a ragione, che nessuno possa toccare parti sensibili del corpo altrui senza il suo consenso. E farlo è molestia sessuale. Riteniamo però al tempo stesso che alcuni abbiano il diritto di entrare senza permesso — spesso sbraitando, minacciando, blandendo, ricattando — nell'interiorità altrui. Bisognerebbe cominciare parlare di molestie pedagogiche, e perseguirle come si perseguono le molestie sessuali.