Socrate meritocratico

Policrate accusava Socrate, oltre che di essere stato il maestro di due criminali come Crizia e Alcibiade, di aver sostenuto che “era insensato eleggere con sorteggio i governanti della città, quando nessuno vorrebbe servirsi di un pilota scelto con sorteggio, né di un costruttore, né di un flautista, né di alcuno scelto per un'attività di questo tipo nella quale gli sbagli producono danni molto minori di quelli commessi nella guida dello Stato” (Senofonte, Memorabili, Libri I, 2). Socrate sarebbe stato, dunque, il primo teorico della meritocrazia. O, se si preferisce, il più confuciano dei filosofi occidentali. Perché, come è noto, nell'ottica confuciana non è l'elezione a legittimare il potere, ma il merito personale, sancito poi dal decreto celeste, che si esprime però attraverso il popolo. La garanzia consiste nel fatto che quando uno stato è governato male, il popolo di ribella, e ciò dimostra che il governante ha perso il tian ming, il decreto celeste. Probabilmente la crisi della nostra democrazia – che è sotto gli occhi di tutti, e in particolare in Italia, un paese in cui il metodo democratico ha portato al potere una successione impressionante di soggetti inadeguati, a voler essere buoni – renderà sempre più suggestiva l'alternativa meritocratica (si pensi a Il modello Cina di Daniel Bell). C'è una terza via? Qualche riga dopo il passo citato, Senofonte difende Socrate dall'accusa di far diventare violenti i giovani, con simili ragionamenti. E lo difende osservando che ragionamento e violenza sono incompatibili. “Perciò l'essere violenti non è proprio di chi esercita il ragionamento; di coloro che hanno forza senza intelligenza proprio invece compiere azioni di questo genere.” L'unica via per salvare la nostra democrazia è qui: opporre il ragionamento alla violenza. Diffondere socraticamente la pratica del ragionamento nella società. Lavorare per creare una società razionale e ragionante. Ma è un'impresa disperata, perché tutto va nella direzione opposta.

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