Ti amo, dice l'uno

Ti amo, dice l'uno. Ti amo, risponde l'altro. Nel ti amo dell'uno ci sono l'odore del fieno e dell'erba appena tagliata, il tepore di certe mattine d'estate, gli occhi buoni di un cane, la pioggia sui campi vista attraverso i vetri. Nel ti amo dell'altro ci sono i mille rumori della città che si risveglia, l'emozione delle prime carezze, la soddisfazione di chi ha appena segnato un gol decisivo, il senso di potere di chi ha ottenuto quello che voleva. Ognuno ha la propria personale costellazione del bene. Eppure credono di dire la stessa cosa, quando dicono ti amo. Pensano che questa cosa così personale, l'amore, possa essere al tempo stesso un universale, qualcosa che sta oltre l'io e il tu, e che unisce l'io e il tu. Si illudono di poter comprendere il bene che l'altro ha dentro, e di poter essere compresi. Ignorano che in realtà non esiste nessun bene, che anche quella cosa così personale è una menzogna: perché non esiste un io, non esiste un tu. Ignorano che il cosiddetto io non è che la scena d'un teatro, sulla quale compaiono numerosi attori: e quello che uno dice è contraddetto dall'altro. L'uno parla dell'odore del fieno, l'altro degli occhi buoni di un cane. Il terzo entra in scena sbraitando, e dileggia i primi due. Un quarto in un angolo guarda tutti e se la ride. Ti amo, dice l'uno. Ti amo, risponde l'altro. E si prendono per mano, pronti a recitare fino in fondo la loro tragica commedia degli equivoci.

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