Transit

poverty

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Nota: questo sarà un post noioso, ma, a volte, le aride cifre fotografano nitidamente le situazioni, anche quelle molto grandi, anche quelle che dentro hanno milioni di persone. D’altro canto sono certo che chiunque vorrà leggere queste righe sa comprendere benissimo numeri e percentuali. Altrimenti sarebbe un guaio.

Nel corso del 2024, l’Italia ha registrato un aggravamento significativo sia della #povertà assoluta sia di quella relativa, alla luce di dati ufficiali e referti della società civile. Secondo l’ultimo rapporto ISTAT e della “Caritas”, la quota di persone in condizione di povertà assoluta ha raggiunto il 9,7 %, pari a circa 5,6–5,7 milioni di individui, corrispondente a circa 2,2 milioni di famiglie. Lo stesso rapporto segnala come la povertà assoluta, benché stabile tra il 2022 e il 2023, risulti al livello più elevato dell’ultimo decennio, con una progressione costante dal 2014 (dal 6,9 % al 9,7 %) per quanto riguarda le persone.

Sul versante della povertà relativa, si evidenzia un ulteriore peggioramento: nel 2023 le famiglie colpite dal fenomeno superavano i 2,8 milioni (10,6 %) e le persone in difficoltà ammontavano a 8,4 milioni (14,5 %). Parallelamente, l’Eurostat stima che nel 2024 il 23,1 % degli italiani – circa 13,5 milioni – viva in condizioni di rischio di povertà o esclusione sociale, con aumenti particolarmente allarmanti per quanto riguarda i minori e le persone over 60.

A questi numeri drammatici si accompagna la crescita del fenomeno dei “Working poor”: in Italia il 21 % dei lavoratori percepisce un reddito insufficiente per condurre una vita dignitosa, con una situazione che colpisce in modo particolarmente intenso le classi operaie (tra le quali la povertà assoluta ha superato il 16,5 %) e i 35-54enni, oltre il 30 % dei quali non riesce a evitare uno stato di indigenza.

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Tale contesto si dispiega in un quadro di politiche pubbliche inadeguate: le misure statali di contrasto alla povertà — dal “reddito di inclusione” alla spesa sociale — risultano insufficienti e, in molti casi, inefficaci. Nonostante il “Reddito di cittadinanza” abbia avuto un impatto importante, ben il 56 % delle persone povere non lo ha percepito, per cause che vanno dai problemi di residenza alla burocrazia. Le politiche di welfare restano lacunose e non affrontano adeguatamente la questione del “lavoro povero”, né investono in una rete di protezione robusta per le famiglie vulnerabili.

Questa fragilità sociale si inserisce in un contesto europeo che appare sempre più orientato verso la militarizzazione. Il “ReArm Europe – Readiness 2030”, lanciato a marzo 2025 dalla Commissione UE, punta a mobilitare fino a 800 miliardi di euro in spese per la difesa, tra aumenti delle spese nazionali, fondi comuni e prestiti SAFE da 150 miliardi, con la possibilità di dirottare risorse dai fondi di coesione e sostenibilità. Secondo le ultime stime, per colmare il gap militare si dovrebbe arrivare a investire fino al 5 % del PIL, una cifra che in Francia, Regno Unito e in molti altri Paesi corrisponde all’intero ammontare delle loro politiche di welfare e di protezione sociale. Analisti economici sottolineano che una simile quantità di risorse sarà sottratta a capitoli cruciali per combattere la povertà, rafforzare l’istruzione, la sanità e l’inclusione sociale, aumentando di conseguenza le disuguaglianze e l’emarginazione delle fasce più deboli.

La convergenza tra crisi del reddito, insufficienza delle politiche sociali e spinta europea verso spese militari aggressive aggrava la condizione dei più deboli. Se non si rivedono le priorità — affiancando politiche attive per il lavoro, la dignità universale del reddito e un welfare veramente inclusivo — il rischio è quello di lasciare milioni di cittadini italiani ed europei in una situazione di esclusione sempre più profonda.

Ma, forse, è proprio questo lo scopo ultimo di tutta questa sequela di mancanze, di tutti i soldi che non andranno ad aiutare le persone, soprattutto quelle povere, emarginate, fastidiose: la loro eliminazione. Se non fisica (almeno lo spero), almeno dalla vita pubblica, dalla società. Relegare coloro che non possono più permettersi la dignità sarebbe un ottimo viatico alla dittatura totale del liberismo, dell’effimero, del domani concesso solo a chi i soldi li ha e non viene disturbato da Governi sempre più distanti da una minima idea di democrazia. Se il futuro deve ancora essere scritto, non può diventare così. Non dovrebbe permetterlo nessuno, mai.

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