Con lo zaino in spalla

profiling

Nei post precedenti ho parlato diverse volte di Cambridge Analytica. Questo nome è comunemente associato al concetto di “vendita di dati degli utenti di Facebook”. In realtà stato molto più di questo: è stato un complesso apparato di propaganda e manipolazione dell'opinione pubblica, che ha fatto leva su rilevazioni psichiche di milioni di utenti per indurli a votare in un modo piuttosto che in un altro per mezzo della paura e dell'odio, e queste operazioni hanno portato a scelte sostanziali i cui esempi più conosciuti – ma non sono gli unici – sono la Brexit e l'elezione di Trump. E lo stesso ex tecnico che ha segnalato queste operazioni dall'interno dell'azienda (il whistleblower Christopher Wylie) ha affermato che operazioni simili sono state condotte anche in Italia, a beneficio di un partito politico non specificato. In questo post desidero entrare un po' più nel dettaglio della vicenda, a partire dal film-documentario “The great hack” e dalle parole dell'ex CEO di Cambridge Analytica, in cui ha descritto per filo e per segno a cosa si dedicasse la sua azienda.

Lungi dal pretendere di essere un'analisi esaustiva, questo post vuole fornire un paio di strumenti per capire il potere persuasivo delle reti ed il ruolo che questo può avere nelle nostre vite.

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Non ho niente in contrario alla piattaforma di videoconferenza (big blue button); il big blue a cui mi riferisco è Facebook, con annessi e connessi, tipo instagram e whatsapp, advertising, ecc. Alla fine del post do alcuni consigli pratici per abbandonare la piattaforma.

Nel 2005 scoprii facebook, e accolsi con piacere e curiosità la nuova rete. In Italia non la conosceva nessuno, e infatti non avevo amici. Poi ci fu il boom; all'improvviso ritrovai sullo schermo del computer vecchi amici e conoscenti che non vedevo ormai da anni. Davvero entusiasmante, anche perché si potevano condividere dei messaggini (status) visibili solo dai contatti, e questi potevano reagire con il famoso like e qualche commento.

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