Politica estera. Solidarietà alla ristoratrice napoletana accusata di antisemitismo per aver preso posizione su Gaza
“Chi alza la voce contro l’occupazione militare e il massacro in Palestina non è un antisemita: è una persona che difende i diritti umani. Trovo grave che, nel cuore di Napoli, una ristoratrice venga travolta da insulti e minacce solo per aver espresso un’opinione politica legittima. Le immagini pubblicate non raccontano tutto ma anche ammesso che il tono del confronto sia degenerato, strumentalizzare un dissenso per trasformarlo in un’accusa di antisemitismo è scorretto e pericoloso. Esprimo piena solidarietà a Nives Monda e ai lavoratori della Taverna di Santa Chiara, realtà storica e viva del centro di Napoli, che da anni è presidio di cultura, accoglienza e impegno civile. Difendere la libertà di parola significa soprattutto difendere chi oggi paga il prezzo più alto per aver detto qualcosa che non piace. In un’Europa che chiude gli occhi sul genocidio in corso a Gaza, chi prende posizione non deve essere isolato, ma sostenuto”, così in una nota Danilo Della Valle, europarlamentare del Movimento 5 Stelle.(IOD edizioni). Gaza, occupazione e disumanità: un appello per la verità Ai giornalisti italiani ed europei rivolgiamo un appello accorato: seguite la vostra coscienza, non il potere. Raccontate la verità, anche se scomoda. Anche se fa male. Anche se non conviene. È in gioco non solo l’informazione, ma la dignità stessa della professione. “Conquista totale di Gaza. Con le armi e con la fame. Il gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato l’allargamento su vasta scala dell’offensiva nella Striscia. E per raggiungere questo obiettivo lo Stato israeliano bloccherà ogni tir con aiuti umanitari, cibo, acqua, farmaci e ogni bene di prima necessità diretto a Gaza.” La decisione del governo israeliano di procedere con l’occupazione totale della Striscia di Gaza segna una drammatica escalation in un conflitto che ha già superato ogni soglia di crudeltà e ingiustizia. Mentre si parla di “conquista” e “pressione strategica”, intere comunità civili vengono straziate da mesi di bombardamenti, fame e isolamento. Oltre 51.000 vittime civili, in gran parte donne e bambini. E ancora si discute di legittimità militare. La fame, il blocco degli aiuti umanitari, la distruzione sistematica delle infrastrutture vitali, non sono strumenti di difesa. Sono strumenti di annientamento. E chi li approva, li giustifica o li tace, si assume una responsabilità storica di fronte alla comunità internazionale e alla propria coscienza. Ma c’è un altro fronte: quello della libertà di stampa. Oltre 210 giornalisti sono stati uccisi a Gaza e in Cisgiordania. Stando alle informazioni raccolte dal sindacato dei giornalisti palestinesi, sono 210 gli operatori dei media uccisi dal 7 ottobre 2023, cui vanno sommati i 390 feriti e i 49 detenuti nelle carceri israeliane. Si tratta di cifre purtroppo in continuo aggiornamento, che rappresentano solo una piccola parte delle decine di migliaia di persone orrendamente uccise nella Striscia e in Cisgiordania. Donne e uomini che hanno pagato con la vita la loro scelta di documentare la realtà, di raccontare i volti dei bambini sotto le macerie, di denunciare l’orrore quotidiano inflitto a una popolazione inerme. A loro va il nostro rispetto, il nostro ricordo, il nostro impegno a continuare a dare voce a ciò che si tenta in ogni modo di cancellare. Ai giornalisti italiani ed europei rivolgiamo un appello accorato: seguite la vostra coscienza, non il potere. Raccontate la verità, anche se scomoda. Anche se fa male. Anche se non conviene. È in gioco non solo l’informazione, ma la dignità stessa della professione. La credibilità del giornalismo democratico si misura proprio nei momenti in cui la verità è sotto assedio. Il giornalismo non può piegarsi a logiche geopolitiche o interessi economici. Deve illuminare i fatti, dare voce a chi non ce l’ha, resistere alla pressione dei poteri forti che oggi impongono silenzi, omissioni e narrazioni distorte. Questo è il tempo di onorare i morti del giornalismo. Di raccoglierne il testimone. Di restituire alla parola la sua forza di resistenza, di denuncia, di umanità. Perché se crolla la verità, crolla anche ogni possibilità di giustizia. E se la stampa smette di cercarla, non sarà più libera.