GRIDO muto (podcast)

EsperienzePersonali

🌿 Esiste una “cura” per l'artrite? 💡 Ecco cosa faccio io. 🌟

Ecco, ecco tutto quello che faccio per farmi passare l'artrite.

In questo episodio ti racconto cosa si può fare concretamente per risolvere una volta per tutte l'artrite.

Se preferisci ascoltare anziché leggere la trascrizione del podcast, puoi trovare l’episodio, il n. 19, in tutte queste piattaforme (e in tutte le altre gratuite).

-Castopod (fediverso): https://castopod.it/@gridomuto/episodes/quali-farmaci-per-l-artrite-scopri-la-cura-che-funziona-per-me-m1tip – Youtube: https://www.youtube.com/@gridomuto (dalle ore 18:00 dell'11/3). – Spotify: https://open.spotify.com/episode/6g0VZX6gfaxXIZf5e1muJS

Beh, se dovessi dirti cosa si può fare concretamente per risolvere l'artrite, potremmo già chiudere qui la puntata, perché non c'è niente che si possa fare per risolvere definitivamente questo problema.

“Ma come!”, mi dirai tu, “Non esiste una cura? Ti stai sbagliando, Simone, le cure ci sono!”.

A mio avviso, questo è un grande equivoco e, se mi segui attentamente, ti spiego il perché. Per farlo, però, dobbiamo vedere insieme alcune informazioni sui diversi farmaci. Sarà un po' tecnica questa puntata, ma credo che ne valga la pena, perché alla fine ti darò quelle che ritengo le mie soluzioni.

Come sempre, è importante partire dalle parole, perché le parole codificano i nostri pensieri e i concetti e, su certi temi, occorre procedere con la precisione che solo le parole giuste riescono a darci. Se cerco la parola “cura” sul dizionario Treccani, trovo diversi significati, ma per quanto riguarda l'ambito medico, la definizione di cura è “il complesso dei mezzi terapeutici e delle prescrizioni mediche che hanno il fine di guarire una malattia”. Prendiamo questa definizione e mettiamola un attimo da parte e andiamo a vedere quali sono oggi i farmaci che si possono usare per il trattamento dei pazienti che soffrono di artrite e vediamo alla fine se è vero che esiste una cura. Va detto che non sono un medico e quindi cercherò di semplificare al massimo in base alle ricerche che ho fatto e al mio grado di comprensione. Se qualcuno all'ascolto è più esperto di me e desidera correggermi, ben venga. Scrivetemi le vostre osservazioni nei commenti sotto questo episodio.

Il trattamento più semplice per i pazienti che soffrono di artrite è quello che abbiamo ampiamente visto, di cui abbiamo ampiamente parlato: gli antiinfiammatori. Questi farmaci, di solito, vengono chiamati FANS, ossia antiinfiammatori non steroidei. Sono quelli che si possono trovare in farmacia e non c'è bisogno di ricetta per acquistarli. Risolvono per sempre l'artrite? No. Tolgono l'infiammazione al corpo per un po' di tempo e il dolore naturalmente, che viene di pari passo con l'infiammazione. Ma visto che i nostri corpi si infiammano da soli a causa del sistema immunitario che non funziona bene, una volta finito l'effetto dell'antinfiammatorio, l'infiammazione e il dolore torneranno. Infatti, il nostro sistema immunitario continuerà a funzionare male come sempre e ricomincerà ad infiammare le articolazioni e il corpo. Gli antiinfiammatori sono una cura per l'artrite, dunque? No.

Gli effetti collaterali più comuni di queste sostanze, come l'Ibuprofene ad esempio, sono ulcere a livello dello stomaco e sanguinamento dell'intestino o anche gravi problemi a carico del fegato e del cuore. Insomma, non sono una passeggiata. Come dicevo nelle puntate precedenti, non sempre sono sufficienti per togliere il dolore e, non essendo risolutivi, avremmo bisogno di prenderli troppo spesso per stare bene sempre.

Salendo di livello, c'è il cortisone e tutti i farmaci conosciuti come corticosteroidi. Occorre parlarne con il proprio medico o reumatologo, ovviamente, prima di assumerli, che valuterà se è il caso e li prescriverà. Anche in questo caso, non si possono prendere in eterno. Sono abbastanza efficaci nel ridurre l'infiammazione, ma ci possono essere effetti collaterali anche gravi. Alcuni di questi sono l'aumento del peso, il diabete, cambiamenti di umore repentini, maggiore esposizione ad alcuni tipi di infezioni fungine, ad esempio, e altre cose.

Con la progressione della malattia, però, arriva un momento in cui questi farmaci non bastano più. L'infiammazione è così forte! E continua ad avanzare e a danneggiare le articolazioni tutti i giorni. I

n questi casi, i farmaci da banco non sono sufficienti per i pazienti che si trovano ad avere un dolore costante e incapacità di fare alcune cose. Allora si va o si torna dal reumatologo che, dopo avere prescritto tante analisi ed esami che si spera portino a una diagnosi accurata, se non esiste già, si può passare alla fase successiva.

In passato si usavano farmaci immunosoppressori. Come dice la parola stessa, sono medicinali che vanno a inibire alcune delle attività del sistema immunitario, che sono quelle che vanno a causare l'infiammazione. Nonostante abbiano ormai una certa età, questi farmaci si usano ancora, ma si è visto che non si limitano ad agire soltanto sul sistema immunitario: possono provocare effetti e problemi anche in altre funzioni del corpo umano. Nei casi più gravi, si parla di danni al fegato, polmoni, nausea e anche a una maggiore facilità per i pazienti di contrarre le infezioni più comuni, virali o batteriche. Con il tempo, si è cercato di trovare altre soluzioni, per così dire, più accurate per il trattamento dei pazienti e sono nati i farmaci biotecnologici o, più semplicemente, biologici. Si chiamano così perché non sono sintetizzati, ma vengono prodotti da organismi cellulari appositamente selezionati. Parliamo anche degli inibitori del TNF alfa.

È come se i biologici fossero una grande famiglia di farmaci e gli inibitori del TNF alfa fossero un ramo specifico di questa famiglia.

Ognuno di questi farmaci agisce in modo mirato su uno dei meccanismi che generano l'infiammazione nelle articolazioni del corpo. Gli effetti indesiderati più gravi vanno dall'aumento del rischio di infezioni all'aumento del rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro, ma anche problemi cardiaci, neurologici e di altro tipo.

Per queste ragioni, sia i biologici che gli immunosoppressori classici non sono in vendita in farmacia come molti altri farmaci, ma vanno somministrati dal reparto di reumatologia, che provvede anche a monitorare il paziente nel tempo per verificare sia l'insorgenza di problemi collaterali che l'effettiva efficacia del farmaco. Certamente, perché oltre a tutti i rischi, il fatto è che questi farmaci non sono immediatamente efficaci su tutti i pazienti. Basta cercare un qualsiasi gruppo di pazienti con l'artrite su qualsiasi social e verificare di persona le esperienze riportate da chi assume questi farmaci. Alcuni riportano di non avere più infiammazione e dolore e questo è fantastico, oggettivamente, mentre per altri l'esperienza è un po' diversa e, dopo anni di tentativi, non riescono ancora a trovare il prodotto giusto e continuano, diciamo, a cambiare un farmaco dopo l'altro, sperimentarlo per un lungo periodo e poi cambiare ancora. Sia gli immunosoppressori che i farmaci biologici vanno assunti a tempo indefinito, perché non appena si smette, il nostro sistema immunitario impazzito ricomincia a fare il suo lavoro. Sì, ci sono casi in cui le persone che hanno assunto i biologici smettono di prenderli e non hanno più alcun problema, ma sono casi davvero rari. In questo caso si parla di remissione della malattia, che, tra l'altro, può non essere una condizione definitiva, la malattia può rimanifestarsi di nuovo e in quel caso bisogna ricominciare tutto da capo. Ti lascio qualche studio linkato in descrizione, se sei interessato o interessata ad approfondire questi numeri maggiormente. T

orniamo quindi al punto di partenza: esiste una cura per l'artrite oppure no? Anche basandoci soltanto su quanto abbiamo detto finora, a me viene da dire di no, perché una cura è qualcosa, come abbiamo visto dal dizionario Treccani, di risolutivo, di definitivo. Un farmaco che va assunto tutti i giorni o tutte le settimane o tutti i mesi affinché il paziente stia meglio non è una cura, è una terapia. Siamo d'accordo su questo? Io lo definirei più una terapia o un trattamento e la definizione della Treccani, in effetti, sembrerebbe darmi ragione, ma anche qui sono pronto ad accettare critiche costruttive e poi, diciamo, non siamo qui a fare questioni di lana caprina. Però, effettivamente, questi farmaci, diciamo così, non risolvono per l'eternità. Nella vita e nel linguaggio di tutti i giorni, nel linguaggio parlato, siamo abituati a parlare di cure per l'artrite come se parlassimo di terapie, ma non sono la stessa cosa. Non diciamo che la cura per il diabete è l'insulina, siamo d'accordo? Questi sono soltanto farmaci che migliorano i sintomi o, al massimo, riducono temporaneamente gli effetti della malattia. Chi soffre di artrite deve prepararsi a fare dei trattamenti, ma una vera e propria cura definitiva, risolutiva, non c'è, secondo me. Quelle poche persone a cui capita di stare bene anche senza assumere più nessun farmaco biologico,secondo me, possono ritenersi davvero molto, molto fortunate. E poi tutto questo riguarda l'artrite. Ma per chi, come me, soffre anche di fibromialgia, non c'è soluzione.

Per quanto mi riguarda, sono stato costretto a meditare su tutto questo già nel 2023. Già all'inizio dell'anno avevo ormai capito che una buona parte del dolore che non mi dava tregua non veniva dall'artrite; non poteva essere l'artrite a provocare quel dolore simile ad una nevralgia che era in tutto il corpo. Avevo la sensazione che tutto il mio corpo fosse percorso da una specie di scossa elettrica dolorosa. Non sarei neanche riuscito ad indicare un punto preciso in cui stavo provando il dolore. Nei muscoli grandi come quelli delle cosce o della schiena, oppure vicino alle spalle, era qualcosa di insopportabile, da non riuscire a dormire. Nei polpacci, anche, c'erano e ci sono ancora dei momenti in cui mi sembrava che qualcuno mi stesse piantando dei chiodi nei muscoli, come delle coltellate; così, senza motivo. Mi capita ancora di provare delle sensazioni così dolorose e improvvise e mi è impossibile non urlare o esclamare. Provo a contenermi perché, per esempio, in ufficio non è il massimo, magari durante una riunione o al cinema, ad esempio. Però succede. Oltre questo, una perenne sensazione di stanchezza e mancanza di forza nei muscoli, in particolare per i movimenti di precisione. Non so se ti ricordi, ma ti ho raccontato che ero un chitarrista e quindi io credo che la mia progressiva incapacità a suonare fosse dipesa proprio...come dire, dall'avvento della fibromialgia. Dicevamo, una perenne sensazione di stanchezza, quasi come in quel periodo in cui non riuscivo neanche ad alzarmi dal letto quando avevo 30 anni. Mi capita di non riuscire a ragionare lucidamente, di non ricordare il nome di alcuni colleghi o il cognome di colleghi che vedo ogni giorno. Tutto questo è stato anche aggravato dalla COVID quando l'ho presa. Prova tu a trovare un'email tra un milione di altre senza ricordare come si chiama chi te l'ha mandata. Dimentico tutto e per questo cerco di scrivermi tutto. Il mio cellulare è pieno di promemoria e appuntamenti.

Nel 2023 ero messo così male da questo punto di vista che non mi rendevo neanche conto di essere in quello stato. Era come se le mie capacità mentali si fossero ridotte di 10 volte e come se fosse così da sempre. Alle Canarie, come ti raccontavo, invece, continuavo a stare benissimo. Praticamente ero una persona diversa, mi sembrava incredibile, avevo la sensazione che tutti i ricordi che avevo della mia condizione quando ero a casa riguardassero un'altra persona. Era così forte la differenza che mi sembrava di essere due persone diverse. E poi c'è la rigidità: la rigidità muscolare, tutto il corpo costantemente teso, anche quando non lo vuoi, anche se non c'è motivo, anche se non sei preoccupato.

Ogni movimento è doloroso, specie al mattino. La sensazione di gonfiore dappertutto è molto fastidiosa; non sai più cosa dipende da una patologia e cosa dall'altra.

È stato proprio nel 2023 che, per la prima volta, anche il reumatologo mi disse che poteva trattarsi di fibromialgia. Poteva, sì...poteva. Anzi, dai sintomi che descrivevo, era molto probabile che fosse così, ma lui non poteva diagnosticarla, perché per diagnosticare la fibromialgia non esiste un esame. Si valuta se il paziente provi dolore in alcuni punti e, nel mio caso, in quei punti anche l'artrite provoca forte dolore. Come si distingue, allora, il dolore dell'artrite da quello che potrebbe dare la fibromialgia? Non si può! Ed ecco perché la fibromialgia non mi è mai stata diagnosticata, neanche nel 2024 quando tentai di avere un secondo parere. Di nuovo la stessa risposta: “Probabilmente c'è, ma non è rilevabile con certezza, perché non c'è un esame oggettivo che possa rilevarla, come un prelievo del sangue, e quindi non è diagnosticabile”.

Oltre il danno, la beffa. Non so se ti sei accorto, tra l'altro, che nel corso di questo podcast a volte ho difficoltà ad articolare le parole, ma non posso farci niente, perché dipende dai muscoli della faccia. Questo è la fibromialgia.

Comunque, fu proprio in quelle due occasioni, nel 2023 e nel 2024, che mi proposero di assumere farmaci biologici come terapia, almeno per contrastare l'artrite, ma c'è un problema: anzi, più di uno.

Devi sapere che da sempre sono ipersensibile ai farmaci. Mi fanno effetto, sì, ma mi vengono sempre anche degli effetti collaterali previsti sul foglietto illustrativo, moltissimi effetti collaterali; e non pensare che io sia ipocondriaco: non è che leggo il foglietto e poi mi convinco anch'io di avere quelle cose. È l'esatto contrario; prendo le medicine, comincio ad avere le cose più strane e, puntualmente, le ritrovo sul foglietto che leggo soltanto dopo per andare a vedere se i sintomi che ho possono essere ricondotti a degli effetti collaterali.

E non sono neanche una persona che rifiuta i farmaci a prescindere! Ho fatto tutte le vaccinazioni possibili, anche più volte; non ne ho paura e sono davvero convinto che siano molto utili. Come reagirebbe il mio corpo ad un farmaco così pesante come il biologico, ad un farmaco che presenta quegli effetti collaterali anche così gravi che ti ho detto prima? Ci ho pensato tantissimo, sono stato combattuto per tantissimo tempo, ma...non è per me. Ho pensato tanto se farlo oppure no, ma davvero non è per me. Vivrei continuamente nel terrore che qualcuno di quegli effetti potrebbe saltare fuori e alcuni di questi effetti sono...come dire...definitivi.

Io sono un codardo, forse, ma il coraggio di provare e vedere come va non ce l'ho.

Anche se il peggio non succedesse, ci sono degli aspetti pratici che non riesco proprio ad ignorare. Per prima cosa, ho paura degli aghi, anzi, diciamo pure una fobia e questi farmaci me li dovrei iniettare da solo, forse anche una volta alla settimana. Non ce la farei mai. Oltre a tutto questo, sarebbe complicatissimo portarli con me in viaggio e, se mi hai seguito sul mio canale principale, che è “Simone viaggiatore” (vallo a vedere se non l'hai ancora visto), sai quanto tengo alla possibilità di viaggiare.

In base al tipo di farmaco che il reumatologo prescriverebbe, ci sarebbero anche altre difficoltà.

Non dovrei espormi al sole (e torniamo al discorso del viaggiare). Ancora: ci vogliono molte precauzioni nel caso in cui si debba fare un intervento chirurgico, ad esempio, nel caso in cui ci si ammalasse. Io, negli ultimi anni, ho fatto, ad esempio, un impianto dentale all'anno, tanto per capirci. Come farei? Sarebbe una continua gestione di questi due mondi. In queste situazioni, i farmaci biologici andrebbero sospesi per poi ricominciare successivamente, quindi perdendo magari gli eventuali effetti positivi. Ricorda cosa ti ho detto prima: con i biologici o gli immunosoppressori ci si può ammalare più facilmente. Se ti ricordi bene, dall'inizio di questo podcast, io ti ho sempre raccontato quanto sia facile per me ammalarmi di qualsiasi cosa o di prendere anche malattie dell'infanzia più volte, intendo. Proprio mentre stavo creando questo podcast, ad esempio, ho preso qualcosa di molto simile alla pertosse che è durato più di due mesi e mi ha costretto a rimandare la registrazione di queste puntate della seconda parte del podcast, mi ha lasciato senza voce e con una tosse continua giorno e notte che era impossibile da fermare.

Se sono già così suscettibile alle malattie senza prendere gli immunosoppressori, te lo immagini cosa mi succederebbe se prendessi un biologico che solitamente abbassa le difese? Io non sono pronto a tutto questo.

Ma allora, mi dice qualcuno, non ti curi?

No, per il momento non prenderò il biologico e nemmeno gli immunosoppressori. Questa è la scelta che ho fatto e sono pronto a cambiare idea in qualsiasi momento se non avessi un'altra via d'uscita. Anche se ho rifiutato questi trattamenti, però, non significa che io non stia facendo nulla. Anzitutto, l'attività fisica è importantissima. Ad aprile del 2024 ho smesso di andare in palestra dopo 25 anni e gli effetti si sono visti dopo poche settimane, come dal giorno alla notte. Non ce la facevo più a mantenere un ritmo regolare degli allenamenti e il costo era anche molto alto (della palestra), visto che ci andavo pochissimo, ma sarebbe stato meglio continuare anche senza essere regolari. Voglio riprendere quest'anno anche per aiutarmi con la gestione del peso. Ho comunque cercato di andare in bici il più possibile e, anche se ne uso una bici elettrica, cerco di regolarla in modo che io faccia almeno metà dello sforzo, a volte di più. Cerco di camminare e, in viaggio, faccio sentieri facili ed esploro le città a piedi. Ogni volta che rientro da un viaggio mi sento molto più vitale e allenato, e viaggio abbastanza spesso. Cerco di curare l'alimentazione integrando la vitamina D e, soprattutto, prendendo tanti Omega3 con l'olio di lino ad esempio e i semi di chia che sono una sorta di antinfiammatorio naturale. È proprio grazie all'olio di lino che, dopo tanti anni, le mie dita hanno finalmente smesso di spaccarsi e la psoriasi è molto meno marcata di prima, anche se ogni tanto rialza la testa, ma si riesce a tenere abbastanza a bada. Provare per credere!

Ma bisogna assumerne tanto durante il giorno. Così ho rimosso dalla dieta l'olio di oliva e il burro per evitare di assumere nel complesso troppi grassi. Ora i grassi che assumo sono principalmente Omega3.

La cosa più importante di tutte, che ha dato una svolta alla gestione della mia malattia, sono stati i farmaci ayurvedici che ho iniziato a prendere tanti anni fa e finalmente sono pronto a darti qualche dettaglio in più, compresi gli effetti collaterali e i rischi di questa soluzione. Acquisto questi prodotti su eBay e mi arrivano direttamente dall'India, ma ci si può rivolgere anche direttamente ai produttori tramite i loro siti. Il rimedio ayurvedico di cui sto parlando si chiama Trayodashang Guggulu; ha un nome un po' particolare e a volte si trova anche come Triyodashang Guggulu e dipende dal produttore, dall'area geografica, suppongo. Comunque, nella descrizione di questa puntata ti lascio tutti i riferimenti con la scritta precisa di come si chiama questo rimedio.

È composto di piante e radici e, con l'aiuto dell'intelligenza artificiale, ho tradotto i nomi delle piante utilizzate, che sono scritte in hindi, e ho potuto capire meglio di cosa si trattasse. Te le lascio anche queste nella descrizione dell'episodio. Ma ad esempio, per farti capire, c'è lo zenzero, c'è del pepe, ci sono i semi di finocchio, la curcuma e altre cose che conosciamo molto bene anche in Occidente. Poi ci sono invece alcune piante che qui da noi non esistono, come ad esempio la Pluchea lanceolata, la cui radice è un immunomodulante. C'è la Withania somnifera, una pianta che troviamo anche qui da noi in erboristeria e che dà la lucidità mentale che mi serve e mi fa tornare la voglia di fare, ma che allo stesso tempo favorisce il rilassamento e il sonno. La componente principale del farmaco è il guggulu, che è la resina di una pianta della famiglia della mirra che qui da noi non cresce, però il suo odore di queste compresse è simile a quello che si sente molto quando si va in chiesa e si sente l'odore della mirra che noi usiamo come incenso. Queste compresse di cui ti parlo hanno il potere di ridurre il dolore dell'artrite anche dell'80%, a volte anche del 90%, specialmente nelle mani e nei piedi. Mi danno energia, voglia di fare, lucidità mentale. Ovviamente, perché arrivino tutti questi benefici, bisogna prenderle per un po', diciamo almeno un mese, pranzo e cena. Per onestà, devo dirti che questi prodotti fanno molto bene per chi soffre di artrite, ma hanno anche loro dei rischi. A mio avviso, sono rischi ridotti rispetto a quelli del biologico, ma i rischi ci sono eccome, così come anche degli effetti collaterali.

Il primo appunto è che sono prodotti in India; non è un pregiudizio il mio, sono stato in India tre volte, però non posso dire se la produzione è rigorosa come per i farmaci che produciamo in Occidente oppure no. Sono preparati, diciamo, erboristici, quindi, in sostanza, bisogna fidarsi di chi li produce. Svolgono un effetto fluidificante sul sangue e quindi chi ha problemi di coagulazione, ad esempio, non può assumerli. Anche chi soffre di ulcera, gastrite o disturbi gastrici potrebbe vedere il suo bruciore aumentare o provare nausea e diarrea. Insomma, ci vogliono comunque un po' di precauzioni. Quanto costano? Beh, sicuramente più del biologico, perché il biologico viene passato dal Servizio Sanitario Nazionale, ma diciamo che se una dose di biologico può arrivare a costare anche €1000 al Servizio Sanitario Nazionale, una confezione di queste compresse che dura all'incirca 20-25 giorni costa €15 al mese. Non ringraziatemi per fare risparmiare il Servizio Sanitario Nazionale!

L'effetto più sgradevole che riscontro io di queste compresse, però, è un altro: è che fanno venire una fame terrificante, ti mangeresti anche il tavolo, praticamente non si avverte più il senso di sazietà, si ha sempre fame.

Diciamo che si riesce al contempo a sentirsi pieni, ma ad avere ancora fame, cosa che a lungo andare può essere molto pericolosa, soprattutto perché il peso in questo modo tende ad aumentare. Nel 2023, ti dicevo, dopo avere rifiutato il biologico, mi sono accorto che stavo prendendo questo Trayodashang in maniera irregolare, ma soprattutto alla metà del dosaggio possibile giornaliero che è scritto sopra la confezione. Ho iniziato a prenderlo, quindi, alla dose massima e da allora la mia vita è migliorata molto. Riesco a muovere bene le dita molto più spesso rispetto a prima. Poi certo, le giornate di brutto tempo si fanno sentire. Ci sono dei giorni abbastanza frequenti, a dire il vero, in cui tutti i rimedi che ti ho elencato non sono comunque sufficienti e allora un buon antiinfiammatorio non me lo toglie nessuno; il Brufen, l'Oki, dipende che cosa ho in casa. Ma parliamo di solito di 5, 6, 7 giorni al mese, non di più. Ora, ad esempio, è febbraio del 2025 e l'ultimo antinfiammatorio l'ho preso poco dopo Natale, quindi non male. Quando posso, poi prendo il paracetamolo. Intendo dire, se il dolore non è troppo forte e capita, il paracetamolo non toglie l'infiammazione e quando finisce l'effetto si sta peggio di prima, ma se non c'è altro e per limitare gli effetti degli antiinfiammatori, va benissimo anche quello. Quando posso, come ti dicevo, faccio le terme, quelle di Ischia sono miracolose. Poi ci sono le Isole Canarie, anche quelle mi aiutano molto. Con il tempo e continuando a viaggiare, come ti ho fatto vedere sul canale del “Simone viaggiatore” (vallo a vedere se non l'hai ancora visto), sai quanto tengo alla possibilità di viaggiare. Ho capito che lo stesso effetto benefico delle isole lo sento anche in altri posti, come la Sardegna a nord o la provincia di Murcia in Spagna. Anche l'isola di Krk in Croazia ha avuto un effetto istantaneo e miracoloso per me quando ci sono stato, era il 2024 ed era fine settembre, pioveva a dirotto in quei giorni e c'era un vento umido e fresco, ma a quanto pare l'effetto positivo inspiegabilmente c'era lo stesso. Riuscivo a sollevare pesi anche importanti, come valigie e confezioni d'acqua anche pesanti e nelle mie dita, oltre a non esserci più il dolore, era anche ritornata la forza di un tempo. Come alle Canarie o a Murcia, riuscivo a camminare in posizione eretta senza dolore e senza stancarmi.

Insomma, un'altra vita.

Ecco, ecco tutto quello che faccio per farmi passare l'artrite.

Io non so se sia la soluzione giusta per tutti, questo non lo so e non voglio neanche che tu prenda questi miei suggerimenti come vangelo. Anzi, ti invito proprio a non fidarti, fai tutte le ricerche del caso, documentati su questi rimedi, parlane con il tuo medico, parlane con chi vuoi. Io non sono un medico e quindi non posso darti consigli sulla tua salute. Come dico sempre in questo podcast, l'obiettivo è raccontarti la mia esperienza in modo che tu possa, come dire, valutare e eventualmente approfondire per conto tuo, però mi sembrava giusto e doveroso, prima della fine del podcast, parlarne. Ti do quindi appuntamento alla prossima settimana, sempre di martedì, per l'ultima puntata del podcast che sarà davvero un po' particolare, un po' diversa dal solito.

Io spero di averti aiutato con questi consigli e ci sentiamo presto.

Ciao!

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⚖️ Uomini e Donne: Stesse Patologie, Diverse Battaglie.

In questo episodio voglio condividere con te una riflessione profonda sulle malattie invisibili, in particolare quelle che affliggono me e che vengono vissute in maniera molto diversa dalle donne rispetto agli uomini.

[...]

Se preferisci ascoltare anziché leggere, puoi trovare qui questa puntata del podcast, la numero 18:

Siamo abituati a pensare a uomini e donne sin da bambini: uomini/donne, maschi e femmine. Negli ultimi anni, però, si è iniziato a considerare che il confine non sia così netto e, per quanto mi riguarda, io lo trovo ragionevole. In questa puntata parlerò di uomini e di donne, ma ti chiedo di considerare in senso ampio e inclusivo i miei ragionamenti. Non voglio che nessuno dei miei ascoltatori si senta offeso o offesa se ha un'identità di genere diversa dalle uniche due che sto citando. La mia intenzione non è quella di offendere, ma di rendere fluido e scorrevole il discorso. Fatta questa premessa, possiamo andare avanti. Uomini e donne: in ogni occasione ci viene ricordato che siamo diversi, che ci sono cose da maschi e cose da femmine, che se sei una donna certe cose non puoi e non devi farle e viceversa. A noi maschi viene insegnato, tra le altre cose, che gli uomini, i veri uomini, non piangono mai. Essere uomini significa, innanzitutto, non mostrare le proprie debolezze e i propri limiti. Mostrarsi deboli, quindi, nell'immaginario collettivo, significherebbe essere meno uomini e anche questa cosa ci viene insegnato che non è per niente desiderabile. Quando un bambino piange, spesso gli viene detto: “Ormai sei un ometto”. A volte, quando il bambino dimostra sensibilità o lacrime, gli amichetti gli dicono che è una “femminuccia”. Anche in questo caso, essere femmine viene dipinta come una cosa brutta, persino una colpa, ed essere sensibili è una cosa da femmine e quindi brutta. Da notare che viene usato il diminutivo in senso dispregiativo: femminuccia, piccola femmina, mentre la parola maschietto non ha lo stesso peso. L'insegnamento implicito che ne ricava ogni bambino è che essere femmine è una cosa sbagliata, brutta, meno desiderabile; e le caratteristiche che si attribuiscono convenzionalmente alle bambine sono qualcosa da cui stare alla larga. Stessa cosa, ma ribaltata, per una bambina a cui viene detto che è un maschiaccio. Dal punto di vista di una certa cultura essere maschi, interessarsi a certe cose, è deprecabile: non va bene per una bambina che prima o poi sarà una donna. Sono cose su cui è molto interessante e doveroso riflettere, ma per il discorso che voglio affrontare oggi mi concentrerò sui piccoli uomini, sui bambini, per un momento. Da quando sentiamo quelle parole, la nostra vita di uomini è già segnata. Spesso cresciamo maschilisti senza neanche accorgercene. Nella lingua spagnola c'è una bellissima parola che riassume tutto questo, che è “machismo”. “Macho”, maschio, “machismo”. Breve e concisa. In italiano potremmo tradurla con maschilismo, ma ancora meglio, mascolinità tossica. La mascolinità tossica pervade ogni aspetto della nostra vita. È così tanto diffusa e presente in ogni momento delle nostre giornate che spesso non ce ne accorgiamo neanche; è un dato di fatto. La mascolinità tossica non è soltanto quella di chi uccide la moglie o violenta una donna, ma nasce già dalle parole, come nei casi che ti ho riportato poco fa. Quello che è dentro la mente, in qualche modo, emerge, viene fuori. Se nella nostra mente ci sono pensieri machisti, daranno vita a parole che in altre persone faranno nascere a loro volta simili pensieri, in una catena infinita. Anche io ho usato male le parole per tanti anni, troppi, e continuo a farlo a volte sbagliando. Non mi sto giustificando, ma quello che accade è che, come tanti altri uomini, ci sono così abituato che non ci penso e non va bene, non va affatto bene questa cosa. C'è voluta l'artrite e la fibromialgia per farmi riflettere. Anche tu hai avuto pensieri sessisti e te ne sei accorto o accorta dopo molti anni? Fammi sapere. Lascia un commento. Io, a un certo punto, mi sono reso conto di quanto fossero forti in me i condizionamenti che avevo ricevuto durante l'infanzia e l'adolescenza, anche dall'ambiente in cui mi sono evoluto. La mascolinità tossica è sempre stata presente, a volte silenziosa, ma presente, altre volte latente nella cultura in cui ero immerso. Ho ripensato a tutte le volte in cui, anche inconsciamente, mi sono tenuto tutto dentro perché non se ne doveva parlare, non si poteva dire, non si doveva dire.

Debolezza —> NON PARLARNE!

Stress: —> NON PIANGERE!

Tristezza: —> NON FARLO SAPERE!

Sofferenza: —> TI SCOPRIRANNO!

Fatica: —> E’ PER LE FEMMINE!

Emozioni: —> NON PIANGERE, NON FARLO SAPERE, TI SCOPRIRANNO, NON PARLARNE, E’ PER LE FEMMINE!

Queste sono solo alcune delle cose che ci portiamo dentro.

Se riuscissimo a essere davvero onesti con noi stessi, e sto parlando agli uomini adesso, guarderemmo tutto questo con disgusto e vorremmo togliercela per sempre. Solo che…è tutto molto comodo. ci dà quella sensazione di privilegiata sicurezza a cui è molto difficile rinunciare. Tutto questo non avviene soltanto a scapito delle donne e già questo sarebbe un motivo sufficiente per smettere di farlo, per cambiare, ma provoca tanto danno a tutti: donne, uomini, individui non allineati alle uniche opzioni accettate dalla società. Purtroppo, la verità è che viviamo in una società molto machista, in cui queste dinamiche sono molto più frequenti di quanto si potrebbe pensare e poi siamo tutti costantemente condizionati in questo senso dalla televisione, dalla politica, dalla moda, da chi ci sta intorno e dai modelli idealizzati che ci vengono messi davanti sin dalla tenera età, come se fossero l'unica via giusta, l'unica strada che può essere percorsa. Ma poi questi modelli chi li ha decisi? Il modello è semplice: tanto più ci si allontana da tutto ciò che potrebbe farci passare per femminucce, più veniamo considerati vicini al modello maschile, qualsiasi cosa sia, perché ricordiamoci che per la narrazione tossica le donne sono qualcosa di brutto, di debole, da prendere in giro, da non prendere troppo sul serio e in generale simbolo di fragilità, soprattutto emotiva.

Non mi sto inventando niente.

Basta guardare la storia e i fatti di cronaca, ma anche banalmente la vita di tutti i giorni. Come dicevo, i condizionamenti che riceviamo non fanno male soltanto alle donne o alla società in cui viviamo, ma anche agli stessi uomini. Io ne sono un esempio vivente. Ti ho raccontato cosa ho vissuto e cosa sto vivendo da ammalato di patologie croniche che non avranno mai una soluzione. Immaginati cosa ho provato quando non riuscivo ad alzarmi dal letto attorno al 2010, te lo raccontavo negli episodi precedenti. Più stavo a letto, più mi sentivo morire dentro perché inconsciamente volevo fuggire da quella debolezza, quella debolezza che non credevo fosse giusta per il mio genere.

La stessa cosa mi è successa sempre anche nel mondo del lavoro. Non so dirti perché, ma l'informatica è percepita come una roba da maschi. Per un bel po' di tempo nel mio mestiere si sono visti più uomini che donne e certi ambienti in cui mi sono ritrovato a lavorare erano pesantemente intrisi di mascolinità tossica. In quegli ambienti tutto diventava una gara a chi faceva di più, a chi era il bambino più bravo degli altri, che poi, ovviamente, lo faceva notare. Quando si sbagliava qualcosa, c'era subito la corsa a trovare il colpevole e a farglielo notare con tanto di “io non sbaglio mai”, poi soltanto dopo si risolveva il problema. Spirito di squadra non pervenuto. Io credo che anche questa fosse mascolinità tossica: la voglia di arrivare prima degli altri, di imporsi, di fare la figura del più “macho”.

In un contesto simile si genera molta tensione non necessaria ed è tutto molto più faticoso senza motivo. Immagina come passavo le mie giornate, soprattutto quando ho scoperto di avere qualcosa di più di un'influenza. Mentalmente ero lacerato, diviso in due: da una parte volevo gridare a tutti come mi sentivo, volevo urlare che mi sembravano tutti impazziti e che esistevano problemi più grossi della gara sciocca cui tutti stavamo partecipando, quella gara a mostrarsi sempre perfetti, veloci e con qualche abilità in più rispetto al compagno di scrivania. Perché non sia mai che una debolezza o una carenza possa essere mostrata. È una roba da femmina, no? Dall'altra parte non riuscivo ad esprimermi, sicuramente quello non era l'ambiente migliore per farlo e tutti i condizionamenti che avevo accumulato nella vita non mi aiutavano di sicuro.

Dire che non riuscivo a stare al passo avrebbe significato non solo esternare una mia carenza, una mia mancanza, ma anche espormi a facili ragionamenti di superiorità da parte di alcune persone, perché si sa, per un portatore di mascolinità tossica non c'è niente di più soddisfacente che sentirsi superiori a tutti, anche ad altri maschi. Forse anche per questo motivo tendevo a essere sempre disponibile, a fare sempre di più, a cercare di ignorare le mie fatiche e il malessere per dimostrare a me stesso che, in fondo, nonostante la malattia che si presumeva stesse emergendo (e io lo sentivo molto bene anche prima della diagnosi) potevo comunque fare tutto come gli altri, quelli bravi, per così dire. Potevo portare a termine i compiti che mi venivano affidati e persino spiccare tra loro, a volte. È incredibile quanto un ambiente tossico possa condizionarci!

Questo è solo uno degli esempi di come la mascolinità tossica possa danneggiare anche i maschi stessi. Ci poniamo obiettivi irrealizzabili, ci autocondizioniamo a una sofferenza muta, assurda, incompresa, solo perché crediamo che i veri maschi non piangano e invece c'è da piangere, eccome! È umano, è normale quando si soffre. Anzi, sarebbe strano il contrario. Io mi fido molto di più di chi piange, di chi non ha problemi a mostrare che fa fatica, che soffre. Significa che non mi sta nascondendo nulla e che ha fatto un percorso difficile tra le sue emozioni. Queste persone meritano solo un abbraccio e la mia comprensione.

Purtroppo, però, in questa strana società che ci siamo costruiti non c'è più spazio per le incertezze, per le debolezze, per il pianto, per il crollo emotivo, per le crisi. Se ci pensi bene, come dicevo poco fa, tutte queste cose nell'immaginario collettivo sono caratteristiche che sono ritenute femminili ed è per questo che molti uomini non vogliono mostrarle, temono di essere additati come femminucce, come meno uomini, insomma. E tutto questo perché ci siamo autocreati dei modelli che sono sbagliati o non raggiungibili. Pensaci: le donne non sono tradizionalmente considerate creature fragili, ansiose e soggette a crisi isteriche. Tutto questo, ovviamente, è del tutto falso. Si tratta di pregiudizi, di una visione maschile tossica su un'umanità che in realtà ha milioni di sfaccettature e vive mille condizioni, anche di salute, e il sesso è davvero l'ultima cosa che ci distingue. Ma a parte questo, ti assicuro che quando i dolori non sono periodici, ma giornalieri, e spesso non si riesce neanche a farli passare, beh, allora chiunque di noi avrebbe attacchi di panico, attacchi d'ansia e un facile esaurimento nervoso o crisi di isteria. È normale, e non c'è sesso o identità che sia più o meno meritevole del diritto di piangere. Pensa che persino oggi, nel 2024, mi capita tanto spesso di incontrare persone che quando dico loro di avere la fibromialgia mi rispondono: “Ma sei sicuro? È una roba da donne”. E invece no. È solo che statisticamente ci sono più donne tra i pazienti. Ma poi cosa vuol dire? Sono certo che tanti uomini non raccontano che soffrono proprio per tutti i condizionamenti di cui parlavamo poco fa. E in ogni caso, anche se fosse una roba da donne, cosa vuol dire? Non avrebbe meno valore, no? Quindi dovrei ignorarla? Cosa significano questi ragionamenti? Vedete, altri esempi di mascolinità tossica!

Durante la scrittura dei vari episodi di questo podcast è accaduta una cosa che mi ha colpito molto. Ho postato uno sfogo su un gruppo Facebook dove tantissime persone ammalate cercano risposte, comprensione e supporto. Il gruppo di cui parlo si chiama “Artrite psoriasica”. Lì diverse persone, che ringrazio molto, mi hanno dato conforto, una cosa di cui abbiamo tanto bisogno a volte. È bello comprendersi fra sconosciuti, ci fa sentire meno soli, ma allo stesso tempo ci espone alla consapevolezza che tante, tantissime persone, purtroppo, stanno passando quello che passiamo noi. Bene, su quel gruppo una ragazza di 32 anni mi ha lasciato una risposta più lunga delle altre. Mi diceva che capiva benissimo come mi sentissi e che l'idea di fare il podcast, secondo lei, sarebbe stata fallimentare, purtroppo, perché nessuno ci avrebbe ascoltati. Oggi, tristemente, mi tocca darle ragione. A proposito della mia volontà di parlare di come sto da uomo ammalato, lei mi ha scritto: “Se foste di più, forse avreste e avremmo più speranza. Noi donne, se ci esponiamo, siamo le classiche lamentose, inutili”.

Quest'ultima frase mi ha colpito profondamente perché purtroppo è vera. Le donne, o in generale le persone stigmatizzate ed emarginate, sono costrette in questa società a vivere cose molto diverse da moltissimi maschi, sono destinate a vivere le cose molto diversamente, ma se c'è una cosa che la malattia mi ha insegnato è l'empatia, e non sono riuscito a restare indifferente dopo questo messaggio. Ci ho riflettuto a lungo e continuo a farlo. Ho pensato che una puntata del podcast sarebbe dovuta essere destinata per forza a questo tema.

Penso a chi ha il ciclo e si presume che debba sopportarlo senza lamentarsi troppo. Anzi, ci si aspetta che queste persone siano ugualmente produttive, sia in famiglia che sul lavoro. Penso alle persone transessuali ammalate di artrite e fibromialgia che hanno combattuto o stanno combattendo una battaglia enorme e sono costrette ad accollarsene un'altra infinita. Penso a tutte le altre persone deboli o indebolite dalla vita, anch'esse e anch'essi combattenti in questa battaglia contro la società e l'artrite (ci siamo capiti).

Tornando alle donne, penso a quelle che soffrono di artrite, di fibromialgia o anche di psoriasi e non vengono credute perché donne. In fondo, le donne stanno sempre male, no? Piangono sempre. Ironia della sorte, le donne sono effettivamente la maggior parte dei pazienti che soffrono di questi problemi. Hanno sempre qualcosa che non va nell'immaginario collettivo maschile: il mal di testa, il ciclo, emozioni facili e crolli emotivi. Tanti pensano che piangano continuamente e quindi che differenza fa se piangono perché dicono di avere l'artrite? È un pianto come un altro alla fine. Fino ad ora non avevo mai pensato che potesse esserci una qualche differenza nella percezione di quanto possono soffrire pazienti come me in base al genere e invece c'è e come e sono contento che qualcuno, che ringrazio, mi abbia dato una spinta per tirare fuori tutto questo. Il maschilismo latente mi stava fregando un'altra volta; neanche ci pensavo. Una donna verrà creduta più difficilmente se soffre per artrite e fibromialgia e, purtroppo, le saranno concesse ancora meno scusanti in molti ambienti. Sul lavoro, ad esempio; in Italia non abbiamo nemmeno permessi dedicati per concedere una pausa a chi ha il ciclo e generalmente le donne non possono ancora, di fatto, ambire a posizioni e stipendi sempre identici a quelli di un uomo.

Oltre a tutto questo, poi, tanti lasciano che le faccende domestiche ricadano sulle donne. La cura dei figli, ad esempio, la pulizia, la cucina, sono tutte faccende ritenute ancora da femmine e tutte queste cose si sommano alle eventuali malattie che possono esserci e non riesco neanche a immaginare come potrei fare io se dovessi crescere un figlio da solo e da malato invisibile. Vi sembra giusto tutto questo? A me no. Perché le cose cambino, dobbiamo cambiarle noi, noi uomini anzitutto. Come si fa? Intanto iniziamo a ragionare. Pensiamo a tutti i concetti che ho espresso in questo episodio e a tutti gli altri sottintesi che non ho espresso, e chiediamoci sinceramente se non abbiamo mai avuto pensieri tossici come maschi. Se li abbiamo avuti, abbracciamoli, affrontiamoli e facciamo in modo che non tornino più. Agli uomini dico di non vergognarsi più di piangere, di mostrare quello che siamo e le nostre sofferenze. Il modello di virilità che conosciamo ci è stato imposto ed è tutto falso, non è detto che non lo si possa cambiare. Ciò che siamo, uomini appunto, non cambierà. Ci vuole ben di più di una malattia, di una difficoltà o di un pianto per cambiarlo. Non abbiamo davvero niente da temere, ma tutto da guadagnare. Condividi l'episodio con quante più persone puoi in modo da sensibilizzare tutti su un tema che riguarda tutti, l'uguaglianza.

Donna, uomo o chiunque tu sia, ti aspetto martedì prossimo per un altro importante episodio di Grido Muto in cui ti racconterò cosa faccio per curare l'artrite.

Qui c'è spazio per tutti.

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🌙 Cosa succede se non puoi dormire? 😴 Chi ti capirà? 🚫.

Sembrava che la vita mi stesse abbandonando. In treno, qualche volta ero caduto addormentato, nonostante la sveglia, e mi ero risvegliato a Piacenza o a Milano al ritorno, avendo mancato la mia stazione. Stava cominciando a diventare un problema enorme. Figurati come potevo sentirmi.

Se preferisci ascoltare questo episodio (il n. 12), anziché leggerlo, puoi farlo qui:

[...]

In questo episodio ti racconto le luci e le ombre del mio momento di massima evoluzione musicale e anche alcuni miei pensieri sul sonno.

Ti è mai capitato di pensare al sonno? Quella cosa che da giovane dai per scontata, ma andando avanti con gli anni ti ritrovi a desiderarlo e a trovarlo con difficoltà? Secondo me viviamo in una società che ha un rapporto molto conflittuale con il sonno: da un lato tutti abbiamo sempre più problemi di sonno e, dall'altro, chi dorme viene criticato. Se ci pensi, dormire ha un significato metaforico abbastanza brutto nella nostra lingua, nella nostra società.

Quando diciamo che qualcuno dorme, in tanti casi stiamo dicendo che è poco sveglio, che non è una persona intelligente. Quando abbiamo qualcosa di importante da fare, invece, diciamo che non dobbiamo “dormirci sopra”, dando automaticamente un significato negativo al sonno. Quando una persona vive nel mondo dei sogni, significa che non sta coi piedi per terra, non è una persona concreta. Pensaci bene: quanti modi di dire conosci che sono legati al sonno come cosa negativa? Quanti ne ho dimenticati? Se ne conosci altri, fammelo sapere con un commento e lo leggerò davvero con molto piacere.

Quindi, dicevamo, da un lato tutti vorremmo dormire e, dall'altro, chi dorme tanto viene giudicato come poco intelligente o sfaticato. Poi ci siamo noi, malati invisibili che, per non sbagliarci, riusciamo sia a non dormire sia a dormire. Non dormiamo di notte per i motivi più strani e fantasiosi e poi dormiamo di giorno, essendo stravolti dalla notte in cui abbiamo fatto di tutto tranne che riposare. Anzi, usiamo pure il plurale: le notti sono tutte così per noi. Il giudizio della società nei nostri confronti, quindi, è una cosa abbastanza automatica, vista la nostra cultura di partenza. Anche questo è un modo per essere malati invisibili: la carenza di sonno non si vede, provoca effetti che non saltano all'occhio e l'insonnia è una brutta bestia, che sia l'ansia, o la psoriasi, o l'artrite a tenerti sveglio, qualsiasi cosa. Quindi, in sostanza, per noi non solo non c'è mai pace neanche da questo punto di vista, ma non veniamo visti di buon occhio se mostriamo sonnolenza o stanchezza.

Ti raccontavo della mia situazione negli episodi precedenti: praticamente quasi ogni notte è un incubo per me, immagino anche per te se soffri delle mie stesse patologie, perché, nonostante io sia stanchissimo, spesso non riesco a chiudere occhio prima dell'una del mattino. Questa cosa è inspiegabile, ma è così. Dovendo andare al lavoro e con tutta la trafila che devo fare per svegliarmi, che ti raccontavo nell'episodio 2 del podcast, diventa impossibile svegliarsi più tardi delle 6 per essere al lavoro alle 8:00/8:15 e considera che vivo a 20 minuti di bici dall'ufficio. Ormai sono così sregolato che non ci sono bioritmi che tengano: nei fine settimana mi sveglio comunque prestissimo e, anche quando faccio qualcosa di particolarmente stancante, non c'è nulla da fare, fino all'una non se ne parla.

Come ti dicevo, se hai ascoltato il secondo episodio del podcast, ricorderai che il mio problema, come quello degli altri malati invisibili, non è tanto ansiogeno, ma è causato da mille fattori: dolore, prurito, bassissima soglia di tolleranza al rumore e così via. E quindi qui mi rivolgo in particolare agli amici e conoscenti che, in totale buona fede, mi dicono se ho già provato con la melatonina o con qualche ansiolitico. Sì, abbiamo già provato con la melatonina e anche con gli ansiolitici, ma dormire bene resta un sogno per noi, che a volte si avvera, almeno per me, e ti racconterò come, ma non è così frequente. Il fatto è che i nostri non sono problemi di ansia, o almeno non solo quelli, la situazione è molto più complessa di così.

Ricordo, però, momenti della vita in cui non era così, anzi era molto più facile dormire. Ci sono stati momenti in cui per me dormire era ancora una cosa bella, piacevole, naturale. Quando mi avvicinavo ai 30 anni, ad esempio; erano gli anni tra il 2004 e il 2007 più o meno, dopo varie peripezie acrobatiche per distribuire il mio curriculum vitae in tutto l'emisfero nord del pianeta, finalmente avevo trovato un buon impiego, ma c'era un problema: era a Bologna e dalle colline di Parma, dove vivevo in quegli anni, fino al centro del capoluogo emiliano, beh, c'era tanta strada. Mangiare bisogna pur mangiare e, alla fine, senza un diploma [universitario] era difficile pretendere di meglio. Accettai dunque il lavoro e iniziai a fare il pendolare: in un'ora arrivavo alla stazione di Reggio Emilia, dove prendevo il treno e poi un'altra ora fino a Bologna in treno e poi un'altra mezz'ora a piedi fino all'ufficio, vicinissimo alle Due Torri, in centro. Una lunghissima tirata sia all'andata che al ritorno, che mi stancava moltissimo, di notte, però, dormivo beatamente. In quegli anni ne approfittavo, anzi, per dormire anche in treno, sia all'andata che al ritorno, mettendo una sveglia sul mio cellulare nuovo di zecca per evitare di rimanerci sopra.

Quel cellulare mi aiutava tantissimo a passare il tempo: era un modello tutto blu a conchiglia ed era uno dei primi a basso costo in grado di leggere gli MP3 e usarli come suoneria: avanguardia pura per quegli anni. La cosa che preferivo, però, era il mio iPod, uno dei primi, dove iniziai ad innamorarmi dei podcast. Con un piccolo sforzo, potevo ascoltare la musica e cose nuove per ore su questo dispositivo facilmente trasportabile che per me aveva qualcosa di magico. Naturalmente c'erano anche i libri a tenermi compagnia, ma, come dicevo, tanta, tanta musica. In quegli anni uscirono molti album di un paio di chitarristi che in poco tempo erano diventati i miei preferiti. Si trattava di Joe Satriani e Steve Vai, entrambi statunitensi, ma con radici italiane. Negli episodi precedenti del podcast ti ho già fatto i loro nomi. Se sei un chitarrista, senz'altro li conoscerai perché sono due dei pezzi grossi del nostro tempo per quanto riguarda la chitarra elettrica. Quei due signori sono individui molto influenti che, se non ci fossero stati, la chitarra moderna non sarebbe la stessa cosa.

Come dicevo, entrambi hanno lontane origini italiane pur essendo statunitensi. Te ne parlerò brevemente perché è importante per la mia storia farti capire chi siano. Joe Satriani, nel corso degli anni, ha insegnato a molti altri chitarristi di grande successo, come quello dei Metallica, ad esempio, cioè Kirk Hammett, e lo stesso Steve Vai ha portato nel mondo della chitarra moderna uno stile che è semplice soltanto all'apparenza: melodie canticchiabili con la voce, ma suonate divinamente e, a ben guardare, proprio difficili da suonare, quantomeno come le suona lui. Uno dei suoi brani famosi, ad esempio, è un pezzo iconico che tutti ricordiamo: la colonna sonora del film Top Gun.

Avendo ascoltato Satriani, il passo per conoscere Steve Vai è stato brevissimo. Nonostante Satriani sia stato il suo maestro, Steve Vai ha uno stile completamente diverso. Nei suoi dischi trovano posto suoni tremendamente elaborati, ma che sembrano quanto di più naturale esista. La sua chitarra sembra quasi possederlo, piuttosto che il contrario. È capace di velocità supersoniche, ma anche di avere un timbro speciale che lo distingue da chiunque altro e, naturalmente, una grande capacità di comporre brani e melodie. Steve sa leggere e scrivere perfettamente la musica fin dalla tenera età e il suo cervello, come ti raccontavo anche del mio, anche se non vorrei fare paragoni azzardati, ha la capacità di gestire note anche senza suonarle; ha la capacità di gestirle, diciamo, di sentirle nella sua testa. Nella sua carriera ha scritto pezzi per intere orchestre senza toccare neanche uno strumento, ma la sua musica di solito è quanto di più lontano dal genere orchestrale si possa immaginare. Come il sonno, la sua musica può essere delicata e inquietante, a volte nello stesso tempo. Prova a cercare qualche suo pezzo su internet e capirai di cosa parlo. A volte sembra ascoltabile e un disco intero, in effetti, si ascolta a fatica tutto in una volta, ma lentamente, almeno da chitarrista, ti chiedi: “Ma come fa a fare quei suoni? Cioè, com'è possibile che quella sia una chitarra?”. Sentire per credere.

Per me era naturale che, a forza di ascoltare la musica di Steve Vai, mi venisse voglia di suonarla. Con la mia chitarra del '94, che si prestava molto bene a quel tipo di musica, il passo fu ancora più breve. Le cose che ascoltavo sui dischi dello “zio Steve” mi erano sembrate subito inarrivabili e lo erano. Era frustrante, in un certo senso. Mi chiudevo nel garage della mia casa di Reggio Emilia, dove mi ero trasferito...cioè nella casa, non nel garage...e alla fine suonavo, suonavo, suonavo davanti al mio computer, dove la musica veniva artificiosamente rallentata per cercare di renderla più facilmente suonabile per me. Mi ricordo che mi sedevo alla scrivania spesso alle due del pomeriggio, magari in estate, nei giorni liberi, suonavo e, quando guardavo fuori dalla finestra, mi rendevo conto che era arrivato il buio, era buio pesto e stavo suonando lì da solo al buio da ore. Proprio come mi capitava quando vivevo coi miei nelle montagne. Suonare mi faceva perdere la cognizione del tempo. Ecco quanto era importante per me.

Nonostante questo, nonostante questo impegno, la musica di Steve Vai restava irraggiungibile per le mie dita. Suonavo bene i Led Zeppelin e anche tante cose dei Pink Floyd, ero felicissimo di questo, ero al settimo cielo per le capacità che avevo appreso tutto sommato da solo, ma Steve Vai...niente da fare, era proprio di un altro livello e mi frustrava moltissimo non poterlo suonare.

A furia di viaggi in treno arrivarono persino i 30 anni, tra mille stress sul lavoro. Mi capitava già di non dormire e la causa allora era semplicemente l'ansia. Il pendolarismo era lungo e pesante e, in più, da qualche anno mi ero anche iscritto in palestra. Adoravo come il mio corpo reagisse agli allenamenti. Sul lavoro ero un punto di riferimento per l'assistenza informatica e anche questo mi rendeva tutto tronfio e sicuro di me; diciamolo pure, presuntuoso su alcune cose. Ero persino un po' dittatoriale e sicuramente i colleghi dell'epoca, se sono in ascolto, potranno darmi ragione. Quando ero convinto che una soluzione fosse la migliore, per esempio adottare un nuovo software in particolare ci mettevo tutto me stesso per implementarlo. E fin qui niente di male, ma, se era il caso e potevo farlo, imponevo le mie scelte. In fondo io ero l'esperto lì, i colleghi avrebbero dovuto imparare. Intendiamoci, trovare soluzioni ai problemi e implementarle è uno dei compiti degli informatici e sì, spesso siamo noi quelli che decidono che cosa implementare e come. Comunque, abbiamo una pesante voce in capitolo nel processo, ma io ci mettevo un po' troppo zelo, spesso mi rendevo antipatico e oggi non ho alcun dubbio su questo, ma allora mi veniva spontaneo a credermi un po' migliore degli altri. D'altra parte, non solo sapevo fare un sacco di cose, ma suonavo sempre meglio, sapevo suonare il basso, la batteria, tante cose. Quanti potevano dire di saperlo fare?

Arrivato, ai 30 anni, decisi di iscrivermi all'università, ingegneria informatica, niente meno. Certamente mi sarebbe stata utile, magari anche per trovare un nuovo lavoro più vicino a casa, magari anche più soddisfacente. Non avevo messo in conto, però, che studiare e lavorare a tempo pieno era pesantissimo. Conoscevo così bene la musica di Steve Vai ormai che in treno me la sparavo in cuffia insieme a Satriani, a Guthrie Govan, un altro grande chitarrista contemporaneo, e a tutti gli altri. Mi faceva l'effetto dei Deep Purple quando tornavo a casa dalle scuole superiori. Mi ci ritrovavo così bene che ormai mi rilassava, mi faceva venire voglia di dormire, ma mi imponevo di stare sveglio e, isolandomi dalla confusione del treno, sceglievo io una confusione che conoscevo e che mi consentiva di studiare per l'università. Le serate e i fine settimana liberi erano interamente dedicati allo studio, ma ogni minuto che avevo libero lo passavo sulla chitarra.

All'improvviso, senza che ci fosse nessun segnale ad avvisarmi, accadde qualcosa di veramente terribile per me. Le mie dita iniziarono ad aprirsi, la pelle delle mani perdeva elasticità, i polpastrelli diventavano duri e si spaccavano come se un coltello li avesse tagliati e, per un chitarrista, i polpastrelli sono tutto. Queste lesioni di cui ti sto raccontando sanguinavano, si infettavano e non guarivano più. Suonare stava diventando impossibile. Toccando le corde sottilissime della chitarra elettrica, spesso queste si incastravano nei tagli sui polpastrelli e li aprivano ancora di più. Non sapevo veramente cosa fare. Suonare con i cerotti era impossibile. Un chitarrista è un tutt'uno con le corde, deve poterle sentire, deve tirarle, deve maltrattarle o accarezzarle sapendo dosare bene la forza per tutti i sentimenti diversi che vuole esprimere attraverso lo strumento. Tentai di tutto, dai cerotti spray ai guanti, a creme varie per fare guarire le dita più in fretta, ma niente, nessun risultato apprezzabile.

In quello stesso periodo, una specie di grande macchia violacea che avevo sulla tibia e che mi prudeva già da qualche anno, prese ad allargarsi fino a ricoprire tutta la tibia e una parte del polpaccio, dal ginocchio alla caviglia. Altre due macchie dello stesso colore comparvero al centro dei palmi delle mani. Anche queste, come le dita, come la tibia, si spaccavano e sanguinavano. Immagina la mia gioia nel girare su e giù per i treni con ferite aperte!

Il medico mi mandò da una dermatologa piuttosto in gamba nella nostra regione e lei, dopo avere fatto qualche test e sentita la mia storia, emise un verdetto: allergia al nichel. Le corde della chitarra elettrica, in effetti, sono di nichel. Nella mia testa tutto cominciava ad avere un senso. Toccavo continuamente del nichel nella chitarra, nelle posate e nei computer che configuravo per lavoro, e anche le monete che tenevo in tasca, in fondo, erano anch'esse di nichel. Questo, a detta della dermatologa, poteva benissimo causare una reazione allergica più giù lungo la tibia e sulle mani, e poi quella era una zona colpita dall'ustione dieci anni prima (la tibia, intendo), e quindi tutto poteva succedere a quella povera pelle.

Cominciai quindi a trattare il problema come se fosse un'allergia.

Localmente mettevo del cortisone e, dopo un po', passai alle cose naturali. L'estratto di ribes sembrava farmi ottenere qualche piccolo risultato, ma solo per qualche mese. Funzionò. Si pensò allora che fosse celiachia e, anche in quel caso, migliorai un pochino con la dieta senza glutine, ma non del tutto. Si pensò all'HIV, ma risultai negativo. Si pensò allo stress, ma niente da fare, niente di tutto questo sembrava essere la risposta.

Un po' frustrato, pensai che l'unica soluzione possibile era quella di suonare ancora di più, sacrificando le dita. Vivevo quindi con i cerotti perché le dita sanguinavano sempre. Penso di avere alimentato da solo l'industria dei cerotti fino a pochi anni fa. Me li toglievo soltanto per suonare, i tagli si aprivano, sanguinavano e a quel punto io smettevo di suonare, ma non mi importava, appena potevo ricominciavo. Ogni nota era un bruciore infinito, con le corde che spesso mi penetravano nei polpastrelli. Chi ha visto suonare un chitarrista avrà notato che le corde spesso vanno percorse con il dito lungo tutta la loro lunghezza. Un martirio. Mi ero abituato a suonare in tanti nuovi modi. Se il polpastrello aveva un taglio a destra, mi abituavo a spostare il dito e a usare la parte sinistra del dito e viceversa, se invece era spaccato ai lati, cercavo di usare la punta quando possibile oppure direttamente l'unghia. A un certo punto dovetti rallentare perché capii che avrei perso le dita a furia di infezioni. Ti racconto tutto questo non per disgustarti, ma per farti capire quanto fosse importante per me lo strumento. Non mi fermavo di fronte a niente. Non so se anche tu nella tua vita hai trovato qualcosa che ti piace e che ti completava così tanto da non farti sentire i problemi. Questo per me era la chitarra.

Ma nel 2010 accadde un altro evento terribile, come se non fossero bastati i precedenti.

All'improvviso non riuscivo più ad alzarmi dal letto, ma intendo letteralmente, non ne avevo la forza né le energie. È difficile spiegarti come mi sentissi, ma tutto partì dalla palestra. Un bilanciere con 80 kg che solitamente alzavo come se fosse uno scherzo mi parve all'improvviso pesante come una montagna, non c'era modo di gestirlo. Peccato che in quel frangente l'avessi già sollevato e fosse direttamente sopra la mia testa e in qualche modo avrei dovuto riportarlo in basso. Ci provai, ma ci rimasi sotto e, per fortuna, senza danni gravi quella volta. Chi era lì mi vide in difficoltà e mi aiutò immediatamente, ma io non riuscivo a spiegarmelo il motivo.

Qualche giorno dopo non riuscivo a risvegliarmi al mattino come se fossi drogato, fare una scala era un'impresa, dovevo fermarmi due volte ogni 10 gradini, mantenere la concentrazione sembrava qualcosa di impossibile, mi addormentavo a volte anche guidando e anche mentre parlavo con i colleghi al lavoro. Immaginati cosa avranno pensato di me. Sembrava che la vita mi stesse abbandonando in treno. Qualche volta ero caduto addormentato, nonostante la sveglia, e mi ero risvegliato a Piacenza o a Milano al ritorno, avendo mancato la mia stazione. Stava cominciando a diventare un problema enorme; figurati come potevo sentirmi.

In tutto questo, per i miei familiari più o meno stretti era impossibile che io avessi qualcosa di serio. Più o meno esplicitamente mi stavano comunicando che, secondo loro, mi stavo inventando tutto, stavo fingendo per non mettere a posto la legna nella cantina, era chiaro, per non andarli a trovare, era evidente, per non andare alle tanto pubblicizzate riunioni dei gruppi spirituali che continuavo a frequentare. Mi sentivo tremendamente confuso, non capivo cosa stesse succedendo. Non c'era una risposta e io avevo solo 30 anni. Com'era possibile tutto questo? Era questa la vecchiaia?

I miei amici mi chiedevano di uscire e accettavo sempre, poi all'ultimo non potevo presentarmi alle cene, alle uscite, ero già esausto alle 7:00 di sera. Se tu che mi ascolti sei sano, ti ricordi com'erano i tuoi 30 anni? Ti chiederei la gentilezza di farmelo sapere con un commento perché io non ho conosciuto i 30 anni come tutti gli altri e quindi per me è importante sapere qual è, diciamo, la normalità.

Non ci volle molto prima che mi venisse l'ansia. Come potevo impegnarmi con i miei amici se poi non potevo uscire con loro? Iniziai quindi a non programmare più nulla, evitavo il problema direttamente. Conoscevo solo il lavoro e il sonno, il sonno e il lavoro. Mi ero completamente ritirato dalla mia vita sociale, sabati e domeniche interminabili a letto. Il mio era un sonno malato, innaturale, narcotico. Studiare era diventato impossibile, tentavo di suonare qualcosa, ma riuscivo a malapena a stringere il manico e le dita erano lente, non rispondevano alla velocità che io avevo in testa.

Chiesi consiglio a più di un medico, ma nessuno riusciva a unire i puntini. Alla fine, un otorinolaringoiatra mi disse che la causa di tutto questo poteva essere nei denti del giudizio: erano in brutte condizioni e sarebbero stati da togliere, ma un dentista non ce l'avrebbe fatta.

Strano, perché in generale sono stato così fortunato con la salute!

Più di un dentista mi confermò che non sarebbe stato in grado di toglierli, quella era cosa per un reparto di maxillo-facciale, una vera e propria mini-chirurgia. Mi feci togliere il primo e, dopo tante altre settimane di sonno, di gelato e di dolore, circa tre, finalmente mi sentivo un po' meglio. Stranamente le spaccature sulle dita e la mia chiazza viola sulla gamba e sui palmi si erano molto attenuate. Che fossero state le massicce dosi di antibiotici? Ma allora il mio era un problema battereico? Cosa c'entrava l'allergia al nichel? Non riuscivo più a capirci veramente nulla.

Dopo molte altre settimane tornai in palestra e in un giorno come tanti vidi un annuncio che mi lasciò di stucco: Steve Vai stava per venire a Reggio Emilia. Non potevo aver letto bene. Steve Vai a Reggio Emilia? Il mio idolo, la mia ispirazione, qui vicino a me? No, non era vero.

E invece lo era. Il mio sogno di avvicinarlo stava per avverarsi. Non si trattava di un concerto, ma di una masterclass. In poche parole, un incontro in cui si suppone che il maestro insegni i suoi trucchi e i suoi segreti. Non credo di poterti raccontare cosa provai in quel momento, un misto di gioia e senso di colpa per la spesa che si doveva affrontare, ma dovevo assolutamente andarci, anche se quei soldi me li sarei cavati dalla pelle. L'occasione era davvero allettante. L'incontro non era in una grande città, anzi era un piccolo paese di provincia. Steve non era molto conosciuto come lo è oggi e, in più, non era neanche un concerto. In quanti saremmo mai potuti essere interessati in zona? In quanti avremmo potuto partecipare? Pochi, e l'avrei quindi visto da vicino finalmente.

Nell'episodio precedente ti dicevo che ho perso fiducia nelle entità superiori, l'unica entità superiore che sono certo che esista oggi è l'inquilino del secondo piano, ma nel 2010 ero ancora certo che qualcuno vegliasse su di me e quindi ancora una volta...per me era evidente: cose terribili in quell'anno, cose inspiegabili che non avevano neanche un nome, ma ricompensate da una gioia immensa.

“Grido Muto” nasce per far conoscere le esperienze di chi vive malattie invisibili in una realtà troppo spesso ignorata. Creare questo podcast è una sfida in termini di tempo, energia e competenza, specialmente nelle condizioni di vita che ti sto raccontando. Se il mio lavoro ti ha colpito, considera di supportarmi su Patreon, anche un piccolo contributo può fare la differenza e aiutarmi a continuare a dare voce a chi spesso non ne ha. Il link lo trovi nella descrizione di questa puntata del podcast, quel posto dove nessuno guarda mai. Ti aspetto martedì prossimo con un nuovo episodio in cui ti racconterò il mio incontro con il mio idolo Steve Vai.

Stammi bene.

Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia, non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

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