GRIDO muto (podcast)

Salute

🌿 Esiste una “cura” per l'artrite? 💡 Ecco cosa faccio io. 🌟

Ecco, ecco tutto quello che faccio per farmi passare l'artrite.

In questo episodio ti racconto cosa si può fare concretamente per risolvere una volta per tutte l'artrite.

Se preferisci ascoltare anziché leggere la trascrizione del podcast, puoi trovare l’episodio, il n. 19, in tutte queste piattaforme (e in tutte le altre gratuite).

-Castopod (fediverso): https://castopod.it/@gridomuto/episodes/quali-farmaci-per-l-artrite-scopri-la-cura-che-funziona-per-me-m1tip – Youtube: https://www.youtube.com/@gridomuto (dalle ore 18:00 dell'11/3). – Spotify: https://open.spotify.com/episode/6g0VZX6gfaxXIZf5e1muJS

Beh, se dovessi dirti cosa si può fare concretamente per risolvere l'artrite, potremmo già chiudere qui la puntata, perché non c'è niente che si possa fare per risolvere definitivamente questo problema.

“Ma come!”, mi dirai tu, “Non esiste una cura? Ti stai sbagliando, Simone, le cure ci sono!”.

A mio avviso, questo è un grande equivoco e, se mi segui attentamente, ti spiego il perché. Per farlo, però, dobbiamo vedere insieme alcune informazioni sui diversi farmaci. Sarà un po' tecnica questa puntata, ma credo che ne valga la pena, perché alla fine ti darò quelle che ritengo le mie soluzioni.

Come sempre, è importante partire dalle parole, perché le parole codificano i nostri pensieri e i concetti e, su certi temi, occorre procedere con la precisione che solo le parole giuste riescono a darci. Se cerco la parola “cura” sul dizionario Treccani, trovo diversi significati, ma per quanto riguarda l'ambito medico, la definizione di cura è “il complesso dei mezzi terapeutici e delle prescrizioni mediche che hanno il fine di guarire una malattia”. Prendiamo questa definizione e mettiamola un attimo da parte e andiamo a vedere quali sono oggi i farmaci che si possono usare per il trattamento dei pazienti che soffrono di artrite e vediamo alla fine se è vero che esiste una cura. Va detto che non sono un medico e quindi cercherò di semplificare al massimo in base alle ricerche che ho fatto e al mio grado di comprensione. Se qualcuno all'ascolto è più esperto di me e desidera correggermi, ben venga. Scrivetemi le vostre osservazioni nei commenti sotto questo episodio.

Il trattamento più semplice per i pazienti che soffrono di artrite è quello che abbiamo ampiamente visto, di cui abbiamo ampiamente parlato: gli antiinfiammatori. Questi farmaci, di solito, vengono chiamati FANS, ossia antiinfiammatori non steroidei. Sono quelli che si possono trovare in farmacia e non c'è bisogno di ricetta per acquistarli. Risolvono per sempre l'artrite? No. Tolgono l'infiammazione al corpo per un po' di tempo e il dolore naturalmente, che viene di pari passo con l'infiammazione. Ma visto che i nostri corpi si infiammano da soli a causa del sistema immunitario che non funziona bene, una volta finito l'effetto dell'antinfiammatorio, l'infiammazione e il dolore torneranno. Infatti, il nostro sistema immunitario continuerà a funzionare male come sempre e ricomincerà ad infiammare le articolazioni e il corpo. Gli antiinfiammatori sono una cura per l'artrite, dunque? No.

Gli effetti collaterali più comuni di queste sostanze, come l'Ibuprofene ad esempio, sono ulcere a livello dello stomaco e sanguinamento dell'intestino o anche gravi problemi a carico del fegato e del cuore. Insomma, non sono una passeggiata. Come dicevo nelle puntate precedenti, non sempre sono sufficienti per togliere il dolore e, non essendo risolutivi, avremmo bisogno di prenderli troppo spesso per stare bene sempre.

Salendo di livello, c'è il cortisone e tutti i farmaci conosciuti come corticosteroidi. Occorre parlarne con il proprio medico o reumatologo, ovviamente, prima di assumerli, che valuterà se è il caso e li prescriverà. Anche in questo caso, non si possono prendere in eterno. Sono abbastanza efficaci nel ridurre l'infiammazione, ma ci possono essere effetti collaterali anche gravi. Alcuni di questi sono l'aumento del peso, il diabete, cambiamenti di umore repentini, maggiore esposizione ad alcuni tipi di infezioni fungine, ad esempio, e altre cose.

Con la progressione della malattia, però, arriva un momento in cui questi farmaci non bastano più. L'infiammazione è così forte! E continua ad avanzare e a danneggiare le articolazioni tutti i giorni. I

n questi casi, i farmaci da banco non sono sufficienti per i pazienti che si trovano ad avere un dolore costante e incapacità di fare alcune cose. Allora si va o si torna dal reumatologo che, dopo avere prescritto tante analisi ed esami che si spera portino a una diagnosi accurata, se non esiste già, si può passare alla fase successiva.

In passato si usavano farmaci immunosoppressori. Come dice la parola stessa, sono medicinali che vanno a inibire alcune delle attività del sistema immunitario, che sono quelle che vanno a causare l'infiammazione. Nonostante abbiano ormai una certa età, questi farmaci si usano ancora, ma si è visto che non si limitano ad agire soltanto sul sistema immunitario: possono provocare effetti e problemi anche in altre funzioni del corpo umano. Nei casi più gravi, si parla di danni al fegato, polmoni, nausea e anche a una maggiore facilità per i pazienti di contrarre le infezioni più comuni, virali o batteriche. Con il tempo, si è cercato di trovare altre soluzioni, per così dire, più accurate per il trattamento dei pazienti e sono nati i farmaci biotecnologici o, più semplicemente, biologici. Si chiamano così perché non sono sintetizzati, ma vengono prodotti da organismi cellulari appositamente selezionati. Parliamo anche degli inibitori del TNF alfa.

È come se i biologici fossero una grande famiglia di farmaci e gli inibitori del TNF alfa fossero un ramo specifico di questa famiglia.

Ognuno di questi farmaci agisce in modo mirato su uno dei meccanismi che generano l'infiammazione nelle articolazioni del corpo. Gli effetti indesiderati più gravi vanno dall'aumento del rischio di infezioni all'aumento del rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro, ma anche problemi cardiaci, neurologici e di altro tipo.

Per queste ragioni, sia i biologici che gli immunosoppressori classici non sono in vendita in farmacia come molti altri farmaci, ma vanno somministrati dal reparto di reumatologia, che provvede anche a monitorare il paziente nel tempo per verificare sia l'insorgenza di problemi collaterali che l'effettiva efficacia del farmaco. Certamente, perché oltre a tutti i rischi, il fatto è che questi farmaci non sono immediatamente efficaci su tutti i pazienti. Basta cercare un qualsiasi gruppo di pazienti con l'artrite su qualsiasi social e verificare di persona le esperienze riportate da chi assume questi farmaci. Alcuni riportano di non avere più infiammazione e dolore e questo è fantastico, oggettivamente, mentre per altri l'esperienza è un po' diversa e, dopo anni di tentativi, non riescono ancora a trovare il prodotto giusto e continuano, diciamo, a cambiare un farmaco dopo l'altro, sperimentarlo per un lungo periodo e poi cambiare ancora. Sia gli immunosoppressori che i farmaci biologici vanno assunti a tempo indefinito, perché non appena si smette, il nostro sistema immunitario impazzito ricomincia a fare il suo lavoro. Sì, ci sono casi in cui le persone che hanno assunto i biologici smettono di prenderli e non hanno più alcun problema, ma sono casi davvero rari. In questo caso si parla di remissione della malattia, che, tra l'altro, può non essere una condizione definitiva, la malattia può rimanifestarsi di nuovo e in quel caso bisogna ricominciare tutto da capo. Ti lascio qualche studio linkato in descrizione, se sei interessato o interessata ad approfondire questi numeri maggiormente. T

orniamo quindi al punto di partenza: esiste una cura per l'artrite oppure no? Anche basandoci soltanto su quanto abbiamo detto finora, a me viene da dire di no, perché una cura è qualcosa, come abbiamo visto dal dizionario Treccani, di risolutivo, di definitivo. Un farmaco che va assunto tutti i giorni o tutte le settimane o tutti i mesi affinché il paziente stia meglio non è una cura, è una terapia. Siamo d'accordo su questo? Io lo definirei più una terapia o un trattamento e la definizione della Treccani, in effetti, sembrerebbe darmi ragione, ma anche qui sono pronto ad accettare critiche costruttive e poi, diciamo, non siamo qui a fare questioni di lana caprina. Però, effettivamente, questi farmaci, diciamo così, non risolvono per l'eternità. Nella vita e nel linguaggio di tutti i giorni, nel linguaggio parlato, siamo abituati a parlare di cure per l'artrite come se parlassimo di terapie, ma non sono la stessa cosa. Non diciamo che la cura per il diabete è l'insulina, siamo d'accordo? Questi sono soltanto farmaci che migliorano i sintomi o, al massimo, riducono temporaneamente gli effetti della malattia. Chi soffre di artrite deve prepararsi a fare dei trattamenti, ma una vera e propria cura definitiva, risolutiva, non c'è, secondo me. Quelle poche persone a cui capita di stare bene anche senza assumere più nessun farmaco biologico,secondo me, possono ritenersi davvero molto, molto fortunate. E poi tutto questo riguarda l'artrite. Ma per chi, come me, soffre anche di fibromialgia, non c'è soluzione.

Per quanto mi riguarda, sono stato costretto a meditare su tutto questo già nel 2023. Già all'inizio dell'anno avevo ormai capito che una buona parte del dolore che non mi dava tregua non veniva dall'artrite; non poteva essere l'artrite a provocare quel dolore simile ad una nevralgia che era in tutto il corpo. Avevo la sensazione che tutto il mio corpo fosse percorso da una specie di scossa elettrica dolorosa. Non sarei neanche riuscito ad indicare un punto preciso in cui stavo provando il dolore. Nei muscoli grandi come quelli delle cosce o della schiena, oppure vicino alle spalle, era qualcosa di insopportabile, da non riuscire a dormire. Nei polpacci, anche, c'erano e ci sono ancora dei momenti in cui mi sembrava che qualcuno mi stesse piantando dei chiodi nei muscoli, come delle coltellate; così, senza motivo. Mi capita ancora di provare delle sensazioni così dolorose e improvvise e mi è impossibile non urlare o esclamare. Provo a contenermi perché, per esempio, in ufficio non è il massimo, magari durante una riunione o al cinema, ad esempio. Però succede. Oltre questo, una perenne sensazione di stanchezza e mancanza di forza nei muscoli, in particolare per i movimenti di precisione. Non so se ti ricordi, ma ti ho raccontato che ero un chitarrista e quindi io credo che la mia progressiva incapacità a suonare fosse dipesa proprio...come dire, dall'avvento della fibromialgia. Dicevamo, una perenne sensazione di stanchezza, quasi come in quel periodo in cui non riuscivo neanche ad alzarmi dal letto quando avevo 30 anni. Mi capita di non riuscire a ragionare lucidamente, di non ricordare il nome di alcuni colleghi o il cognome di colleghi che vedo ogni giorno. Tutto questo è stato anche aggravato dalla COVID quando l'ho presa. Prova tu a trovare un'email tra un milione di altre senza ricordare come si chiama chi te l'ha mandata. Dimentico tutto e per questo cerco di scrivermi tutto. Il mio cellulare è pieno di promemoria e appuntamenti.

Nel 2023 ero messo così male da questo punto di vista che non mi rendevo neanche conto di essere in quello stato. Era come se le mie capacità mentali si fossero ridotte di 10 volte e come se fosse così da sempre. Alle Canarie, come ti raccontavo, invece, continuavo a stare benissimo. Praticamente ero una persona diversa, mi sembrava incredibile, avevo la sensazione che tutti i ricordi che avevo della mia condizione quando ero a casa riguardassero un'altra persona. Era così forte la differenza che mi sembrava di essere due persone diverse. E poi c'è la rigidità: la rigidità muscolare, tutto il corpo costantemente teso, anche quando non lo vuoi, anche se non c'è motivo, anche se non sei preoccupato.

Ogni movimento è doloroso, specie al mattino. La sensazione di gonfiore dappertutto è molto fastidiosa; non sai più cosa dipende da una patologia e cosa dall'altra.

È stato proprio nel 2023 che, per la prima volta, anche il reumatologo mi disse che poteva trattarsi di fibromialgia. Poteva, sì...poteva. Anzi, dai sintomi che descrivevo, era molto probabile che fosse così, ma lui non poteva diagnosticarla, perché per diagnosticare la fibromialgia non esiste un esame. Si valuta se il paziente provi dolore in alcuni punti e, nel mio caso, in quei punti anche l'artrite provoca forte dolore. Come si distingue, allora, il dolore dell'artrite da quello che potrebbe dare la fibromialgia? Non si può! Ed ecco perché la fibromialgia non mi è mai stata diagnosticata, neanche nel 2024 quando tentai di avere un secondo parere. Di nuovo la stessa risposta: “Probabilmente c'è, ma non è rilevabile con certezza, perché non c'è un esame oggettivo che possa rilevarla, come un prelievo del sangue, e quindi non è diagnosticabile”.

Oltre il danno, la beffa. Non so se ti sei accorto, tra l'altro, che nel corso di questo podcast a volte ho difficoltà ad articolare le parole, ma non posso farci niente, perché dipende dai muscoli della faccia. Questo è la fibromialgia.

Comunque, fu proprio in quelle due occasioni, nel 2023 e nel 2024, che mi proposero di assumere farmaci biologici come terapia, almeno per contrastare l'artrite, ma c'è un problema: anzi, più di uno.

Devi sapere che da sempre sono ipersensibile ai farmaci. Mi fanno effetto, sì, ma mi vengono sempre anche degli effetti collaterali previsti sul foglietto illustrativo, moltissimi effetti collaterali; e non pensare che io sia ipocondriaco: non è che leggo il foglietto e poi mi convinco anch'io di avere quelle cose. È l'esatto contrario; prendo le medicine, comincio ad avere le cose più strane e, puntualmente, le ritrovo sul foglietto che leggo soltanto dopo per andare a vedere se i sintomi che ho possono essere ricondotti a degli effetti collaterali.

E non sono neanche una persona che rifiuta i farmaci a prescindere! Ho fatto tutte le vaccinazioni possibili, anche più volte; non ne ho paura e sono davvero convinto che siano molto utili. Come reagirebbe il mio corpo ad un farmaco così pesante come il biologico, ad un farmaco che presenta quegli effetti collaterali anche così gravi che ti ho detto prima? Ci ho pensato tantissimo, sono stato combattuto per tantissimo tempo, ma...non è per me. Ho pensato tanto se farlo oppure no, ma davvero non è per me. Vivrei continuamente nel terrore che qualcuno di quegli effetti potrebbe saltare fuori e alcuni di questi effetti sono...come dire...definitivi.

Io sono un codardo, forse, ma il coraggio di provare e vedere come va non ce l'ho.

Anche se il peggio non succedesse, ci sono degli aspetti pratici che non riesco proprio ad ignorare. Per prima cosa, ho paura degli aghi, anzi, diciamo pure una fobia e questi farmaci me li dovrei iniettare da solo, forse anche una volta alla settimana. Non ce la farei mai. Oltre a tutto questo, sarebbe complicatissimo portarli con me in viaggio e, se mi hai seguito sul mio canale principale, che è “Simone viaggiatore” (vallo a vedere se non l'hai ancora visto), sai quanto tengo alla possibilità di viaggiare.

In base al tipo di farmaco che il reumatologo prescriverebbe, ci sarebbero anche altre difficoltà.

Non dovrei espormi al sole (e torniamo al discorso del viaggiare). Ancora: ci vogliono molte precauzioni nel caso in cui si debba fare un intervento chirurgico, ad esempio, nel caso in cui ci si ammalasse. Io, negli ultimi anni, ho fatto, ad esempio, un impianto dentale all'anno, tanto per capirci. Come farei? Sarebbe una continua gestione di questi due mondi. In queste situazioni, i farmaci biologici andrebbero sospesi per poi ricominciare successivamente, quindi perdendo magari gli eventuali effetti positivi. Ricorda cosa ti ho detto prima: con i biologici o gli immunosoppressori ci si può ammalare più facilmente. Se ti ricordi bene, dall'inizio di questo podcast, io ti ho sempre raccontato quanto sia facile per me ammalarmi di qualsiasi cosa o di prendere anche malattie dell'infanzia più volte, intendo. Proprio mentre stavo creando questo podcast, ad esempio, ho preso qualcosa di molto simile alla pertosse che è durato più di due mesi e mi ha costretto a rimandare la registrazione di queste puntate della seconda parte del podcast, mi ha lasciato senza voce e con una tosse continua giorno e notte che era impossibile da fermare.

Se sono già così suscettibile alle malattie senza prendere gli immunosoppressori, te lo immagini cosa mi succederebbe se prendessi un biologico che solitamente abbassa le difese? Io non sono pronto a tutto questo.

Ma allora, mi dice qualcuno, non ti curi?

No, per il momento non prenderò il biologico e nemmeno gli immunosoppressori. Questa è la scelta che ho fatto e sono pronto a cambiare idea in qualsiasi momento se non avessi un'altra via d'uscita. Anche se ho rifiutato questi trattamenti, però, non significa che io non stia facendo nulla. Anzitutto, l'attività fisica è importantissima. Ad aprile del 2024 ho smesso di andare in palestra dopo 25 anni e gli effetti si sono visti dopo poche settimane, come dal giorno alla notte. Non ce la facevo più a mantenere un ritmo regolare degli allenamenti e il costo era anche molto alto (della palestra), visto che ci andavo pochissimo, ma sarebbe stato meglio continuare anche senza essere regolari. Voglio riprendere quest'anno anche per aiutarmi con la gestione del peso. Ho comunque cercato di andare in bici il più possibile e, anche se ne uso una bici elettrica, cerco di regolarla in modo che io faccia almeno metà dello sforzo, a volte di più. Cerco di camminare e, in viaggio, faccio sentieri facili ed esploro le città a piedi. Ogni volta che rientro da un viaggio mi sento molto più vitale e allenato, e viaggio abbastanza spesso. Cerco di curare l'alimentazione integrando la vitamina D e, soprattutto, prendendo tanti Omega3 con l'olio di lino ad esempio e i semi di chia che sono una sorta di antinfiammatorio naturale. È proprio grazie all'olio di lino che, dopo tanti anni, le mie dita hanno finalmente smesso di spaccarsi e la psoriasi è molto meno marcata di prima, anche se ogni tanto rialza la testa, ma si riesce a tenere abbastanza a bada. Provare per credere!

Ma bisogna assumerne tanto durante il giorno. Così ho rimosso dalla dieta l'olio di oliva e il burro per evitare di assumere nel complesso troppi grassi. Ora i grassi che assumo sono principalmente Omega3.

La cosa più importante di tutte, che ha dato una svolta alla gestione della mia malattia, sono stati i farmaci ayurvedici che ho iniziato a prendere tanti anni fa e finalmente sono pronto a darti qualche dettaglio in più, compresi gli effetti collaterali e i rischi di questa soluzione. Acquisto questi prodotti su eBay e mi arrivano direttamente dall'India, ma ci si può rivolgere anche direttamente ai produttori tramite i loro siti. Il rimedio ayurvedico di cui sto parlando si chiama Trayodashang Guggulu; ha un nome un po' particolare e a volte si trova anche come Triyodashang Guggulu e dipende dal produttore, dall'area geografica, suppongo. Comunque, nella descrizione di questa puntata ti lascio tutti i riferimenti con la scritta precisa di come si chiama questo rimedio.

È composto di piante e radici e, con l'aiuto dell'intelligenza artificiale, ho tradotto i nomi delle piante utilizzate, che sono scritte in hindi, e ho potuto capire meglio di cosa si trattasse. Te le lascio anche queste nella descrizione dell'episodio. Ma ad esempio, per farti capire, c'è lo zenzero, c'è del pepe, ci sono i semi di finocchio, la curcuma e altre cose che conosciamo molto bene anche in Occidente. Poi ci sono invece alcune piante che qui da noi non esistono, come ad esempio la Pluchea lanceolata, la cui radice è un immunomodulante. C'è la Withania somnifera, una pianta che troviamo anche qui da noi in erboristeria e che dà la lucidità mentale che mi serve e mi fa tornare la voglia di fare, ma che allo stesso tempo favorisce il rilassamento e il sonno. La componente principale del farmaco è il guggulu, che è la resina di una pianta della famiglia della mirra che qui da noi non cresce, però il suo odore di queste compresse è simile a quello che si sente molto quando si va in chiesa e si sente l'odore della mirra che noi usiamo come incenso. Queste compresse di cui ti parlo hanno il potere di ridurre il dolore dell'artrite anche dell'80%, a volte anche del 90%, specialmente nelle mani e nei piedi. Mi danno energia, voglia di fare, lucidità mentale. Ovviamente, perché arrivino tutti questi benefici, bisogna prenderle per un po', diciamo almeno un mese, pranzo e cena. Per onestà, devo dirti che questi prodotti fanno molto bene per chi soffre di artrite, ma hanno anche loro dei rischi. A mio avviso, sono rischi ridotti rispetto a quelli del biologico, ma i rischi ci sono eccome, così come anche degli effetti collaterali.

Il primo appunto è che sono prodotti in India; non è un pregiudizio il mio, sono stato in India tre volte, però non posso dire se la produzione è rigorosa come per i farmaci che produciamo in Occidente oppure no. Sono preparati, diciamo, erboristici, quindi, in sostanza, bisogna fidarsi di chi li produce. Svolgono un effetto fluidificante sul sangue e quindi chi ha problemi di coagulazione, ad esempio, non può assumerli. Anche chi soffre di ulcera, gastrite o disturbi gastrici potrebbe vedere il suo bruciore aumentare o provare nausea e diarrea. Insomma, ci vogliono comunque un po' di precauzioni. Quanto costano? Beh, sicuramente più del biologico, perché il biologico viene passato dal Servizio Sanitario Nazionale, ma diciamo che se una dose di biologico può arrivare a costare anche €1000 al Servizio Sanitario Nazionale, una confezione di queste compresse che dura all'incirca 20-25 giorni costa €15 al mese. Non ringraziatemi per fare risparmiare il Servizio Sanitario Nazionale!

L'effetto più sgradevole che riscontro io di queste compresse, però, è un altro: è che fanno venire una fame terrificante, ti mangeresti anche il tavolo, praticamente non si avverte più il senso di sazietà, si ha sempre fame.

Diciamo che si riesce al contempo a sentirsi pieni, ma ad avere ancora fame, cosa che a lungo andare può essere molto pericolosa, soprattutto perché il peso in questo modo tende ad aumentare. Nel 2023, ti dicevo, dopo avere rifiutato il biologico, mi sono accorto che stavo prendendo questo Trayodashang in maniera irregolare, ma soprattutto alla metà del dosaggio possibile giornaliero che è scritto sopra la confezione. Ho iniziato a prenderlo, quindi, alla dose massima e da allora la mia vita è migliorata molto. Riesco a muovere bene le dita molto più spesso rispetto a prima. Poi certo, le giornate di brutto tempo si fanno sentire. Ci sono dei giorni abbastanza frequenti, a dire il vero, in cui tutti i rimedi che ti ho elencato non sono comunque sufficienti e allora un buon antiinfiammatorio non me lo toglie nessuno; il Brufen, l'Oki, dipende che cosa ho in casa. Ma parliamo di solito di 5, 6, 7 giorni al mese, non di più. Ora, ad esempio, è febbraio del 2025 e l'ultimo antinfiammatorio l'ho preso poco dopo Natale, quindi non male. Quando posso, poi prendo il paracetamolo. Intendo dire, se il dolore non è troppo forte e capita, il paracetamolo non toglie l'infiammazione e quando finisce l'effetto si sta peggio di prima, ma se non c'è altro e per limitare gli effetti degli antiinfiammatori, va benissimo anche quello. Quando posso, come ti dicevo, faccio le terme, quelle di Ischia sono miracolose. Poi ci sono le Isole Canarie, anche quelle mi aiutano molto. Con il tempo e continuando a viaggiare, come ti ho fatto vedere sul canale del “Simone viaggiatore” (vallo a vedere se non l'hai ancora visto), sai quanto tengo alla possibilità di viaggiare. Ho capito che lo stesso effetto benefico delle isole lo sento anche in altri posti, come la Sardegna a nord o la provincia di Murcia in Spagna. Anche l'isola di Krk in Croazia ha avuto un effetto istantaneo e miracoloso per me quando ci sono stato, era il 2024 ed era fine settembre, pioveva a dirotto in quei giorni e c'era un vento umido e fresco, ma a quanto pare l'effetto positivo inspiegabilmente c'era lo stesso. Riuscivo a sollevare pesi anche importanti, come valigie e confezioni d'acqua anche pesanti e nelle mie dita, oltre a non esserci più il dolore, era anche ritornata la forza di un tempo. Come alle Canarie o a Murcia, riuscivo a camminare in posizione eretta senza dolore e senza stancarmi.

Insomma, un'altra vita.

Ecco, ecco tutto quello che faccio per farmi passare l'artrite.

Io non so se sia la soluzione giusta per tutti, questo non lo so e non voglio neanche che tu prenda questi miei suggerimenti come vangelo. Anzi, ti invito proprio a non fidarti, fai tutte le ricerche del caso, documentati su questi rimedi, parlane con il tuo medico, parlane con chi vuoi. Io non sono un medico e quindi non posso darti consigli sulla tua salute. Come dico sempre in questo podcast, l'obiettivo è raccontarti la mia esperienza in modo che tu possa, come dire, valutare e eventualmente approfondire per conto tuo, però mi sembrava giusto e doveroso, prima della fine del podcast, parlarne. Ti do quindi appuntamento alla prossima settimana, sempre di martedì, per l'ultima puntata del podcast che sarà davvero un po' particolare, un po' diversa dal solito.

Io spero di averti aiutato con questi consigli e ci sentiamo presto.

Ciao!

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La mia vita a Tenerife? ☀️ Speranze e priblemi di un Malato Invisibile 🌫️🧍‍♂️❤️‍🩹.

Se preferisci ascoltare anziché leggere, puoi trovare qui questa puntata del podcast, la numero 17:

Ricordo il 2022 come un altro anno molto impegnativo. Oltre al cambio di lavoro, c'era ancora la pandemia ed era molto presente nelle nostre vite. Non riuscivo ad andare dai miei molto spesso, anche se ce ne sarebbe stato davvero molto bisogno, visto che il mio povero papà si era rotto un braccio cadendo sul ghiaccio; alla sua età non era un trauma da poco.

Guardando indietro a quel periodo, oggi faccio fatica a ricordarlo con precisione. Gli anni della pandemia, nella mia memoria, somigliano a una specie di frullato di ricordi. Faccio fatica a non percepirli come un qualcosa di unico, come se il tempo non fosse passato in quel periodo. Forse perché le giornate sembravano tutte uguali.

Ma i viaggi, quelli me li ricordo benissimo!

Si andava dove si poteva.

A gennaio a Ragusa, per vedere com'era l'inverno laggiù. La zona mi piacque molto, ma il clima non mi ha fatto stare bene. L'inverno lì era tiepidino, sì, ma anche tanto umido. E in estate, mi dicevano, si moriva dal caldo e dall'umidità, come in Emilia, se non peggio.

A marzo andai di nuovo alle Canarie per godermi la mia nuova macchina fotografica ed esplorare tutti gli angoli di Tenerife che ancora non conoscevo. Anche quella volta il suo clima mi fece stare molto bene, e cominciavo a guardarla con occhi diversi, quelli di chi iniziava a chiedersi: “Potrei vivere qui? Con quale professionalità? E in quale zona? E con quali soldi affrontare un trasferimento?”.

Sono tutte domande che chi vuole trasferirsi da qualche parte, qualsiasi parte, deve chiedersi. Figuriamoci per trasferirsi all'estero, e in particolare alle Canarie. E figuriamoci poi nella mia condizione.

Infatti guardavo l'isola valutando i vari paesi, anche in relazione alla distanza dall'ospedale e se fosse presente o meno un reparto di reumatologia.

Mi vedevo già in quella bolla di benessere, lontano da dove vivo ora, lontano da tutti quelli che conoscevo, ma finalmente senza dolore, coccolato da un clima perfetto: non troppo caldo in estate, ma non freddo d'inverno.

Ma poi, all'improvviso, una morsa fredda mi aveva stretto il cuore. Quel viaggio a Tenerife, in cui mi ero messo a fantasticare, è stato quello in cui ho aperto gli occhi sul mio sogno di un futuro migliore e ho cominciato a vedere le isole con una maturità interiore diversa. Non tutto è rose e fiori laggiù.

Da bambino sognavo di fare la rockstar, ma tre malattie invisibili hanno cambiato tutto. Oggi voglio far sentire il mio grido, che finora è rimasto muto, ma che deve essere ascoltato.

Questa è la storia di chi ha perso tanto, ma ogni giorno trova nuovi modi per farcela, in un mondo che non ha posto per i malati invisibili.

Ogni giorno che passa, migliaia e migliaia di persone si riversano alle isole Canarie, a causa della loro particolare bellezza e del loro clima da manuale. Probabilmente molti si sentiranno benebcome mi ci sento io, laggiù, e molti altri penseranno a quanto sarebbe bello viverci per sempre, coccolati dal sole tutto l'anno.

Probabilmente immaginano che vivere nell'arcipelago significhi andare in spiaggia tutti i giorni, a divertirsi estate e inverno, in un ambiente sociale rilassato e pieno di gente felice e allegra che vuole solo rilassarsi. Questo è ciò che immaginano tutti, ed è un'illusione in cui ero caduto anch'io all'inizio.

Grattando sotto la superficie, sia in quel viaggio che in tutti i successivi, sono arrivato a capire qual è la realtà. E la realtà è ben diversa.

Nelle ultime decadi, le isole Canarie sono state letteralmente prese d'assalto. Ogni anno milioni di turisti le visitano, attratti dai prezzi bassi (almeno fino a qualche anno fa) o dal clima. Milioni di europei passano da là: inglesi, francesi, italiani, belgi... chi più ne ha, più ne metta.

Il problema è che, a forza di metterne, in troppi hanno avuto la mia stessa idea.

Il settore edilizio ha praticamente fatto esplodere le isole principali di edifici, edifici e ancora edifici. Le isole maggiori sono al collasso. E intendo dire letteralmente.

Le infrastrutture non sono più sufficienti a contenere tutta quella popolazione in un territorio così piccolo e pieno di parchi nazionali.

Le autostrade sono estremamente trafficate e gli ingorghi sono praticamente costanti. I prezzi degli immobili sono lievitati fino all'inverosimile. Il cibo è sempre più costoso, visto che il 90% di ciò che si mangia e si beve – sì, anche l'acqua – viene importato.

Come se non bastasse, la regione delle isole Canarie è quella che, in tutta la Spagna, è la peggiore per possibilità di impiego e tenore di vita. Il poco lavoro che c'è è nel settore turistico, ormai saturo, e ci sono pochissime altre occasioni.

Vivere oggi alle isole Canarie significa abitare in un posto così lontano dall'Italia che, per raggiungerlo, ci vuole una giornata. Significa vivere in un posto con poca occupazione, con tanta disoccupazione, se vogliamo essere più chiari.

Ancora una volta avevo perso tutto. Ogni speranza di un futuro migliore era svanita.

Cosa mi aspetta ora? Non lo so. Ma so che una vita alle Canarie senza dolore è una prospettiva che vedo allontanarsi di più ogni giorno, a causa dei problemi che ti ho raccontato.

Devo viaggiare ancora per trovare altri posti che mi fanno stare bene, ma in cui è più facile vivere rispetto alle Canarie. Alcuni li ho già trovati: si tratta della Sardegna, della provincia di Murcia (all'interno, non sul mare) che si trova in Spagna, e un'isola della Croazia, l'isola di Krk (credo sia Cherso in italiano).

Speriamo che almeno questi posti restino come sono ora.

Come se tutto questo non fosse abbastanza, nell'estate del 2022 scoprii per puro caso che una collega aveva sintomi simili ai miei. Per la prima volta, dopo tanti anni, provai un senso di sollievo. Non dovevo spiegare nulla: lei sapeva già cosa sentivo.

“Anche tu hai l'artrite?” le chiesi.

E lei mi disse: “No, io ho la fibromialgia”.

Non sapevo neanche cosa fosse quella malattia, ne avevo solo sentito parlare vagamente, ma la collega descriveva il suo malessere con le stesse parole che avrei usato io per i miei.

Questa esperienza scatenò in me diversi ragionamenti. Anzitutto, cominciai a informarmi bene su cosa fosse la fibromialgia.

Sembrava un'altra cosa terribile.

Non appena capii di cosa si trattasse, compresi subito che molte persone che avevo conosciuto nella mia vita si trovavano nella stessa condizione della collega.

Semplicemente, descrivendomi come stavano, non avevano mai usato quella parola. Un'amica del mio paese, ad esempio, la madre di mia cognata e tante altre persone: tutte con gli stessi problemi. Affaticamento costante, dolore diffuso, mancanza di forza e rigidità articolare e muscolare. E, soprattutto, tanto, tanto dolore.

Una parte di me stava cominciando a capire che il problema mi riguardava, ma non avevo la forza per affrontare anche questo. I mesi passavano e non ci pensai. Ci sarei tornato sopra più avanti: avevo un'altra cosa a cui pensare.

Purtroppo, a fine aprile, in qualche modo presi il Covid, nonostante tutte le precauzioni. Fino a quel momento ero riuscito ad evitarlo e, invece, eccomi lì, ammalato di questa malattia strana e nuova e, per di più, con la mia condizione.

Non ho mai capito perché, ma quando ho una malattia molto forte, la psoriasi sparisce all'istante. Forse perché il sistema immunitario impazzito ha qualcosa di reale da combattere e allora si concentra su quello e non sulle mie articolazioni. Fatto sta che, per me, il Covid non è stato una passeggiata. Per i primi giorni la temperatura superò senza troppi problemi i 39 gradi, nonostante tutte le medicine. E quando dico “i primi giorni”, intendo due settimane. Poi si stabilizzò sui 38 per un'altra settimana, poi sui 37 e mezzo per un'altra ancora. E anche quando il tampone diventò negativo, cioè dalla terza settimana, avevo ancora qualche linea di febbre.

Rimasi a letto per tutto il tempo, a volte persino incapace di andare in bagno. Ricordo un dolore lancinante alla schiena, forte come quello che, vent'anni prima, mi aveva costretto all'immobilità per qualche giorno. In questo caso, forse, era ancora più forte. Potevo prendere soltanto del paracetamolo, perché in quel momento non si sapeva con esattezza se gli antinfiammatori avessero un senso nelle prime fasi della malattia. Dopo qualche giorno, però, li presi ugualmente, perché altrimenti non sarei riuscito ad alzarmi dal letto. Non sarei neanche riuscito a stare seduto sul gabinetto per il troppo dolore, figurati.

Nei mesi successivi alla “guarigione” — chiamiamola così — le cose non migliorarono. Non riuscivo a salire una scala senza fermarmi almeno due volte. Sul lavoro non ricordavo i cognomi dei colleghi che vedevo tutti i giorni, ma non ricordavo neppure i nomi. A tratti mi sembrava incredibile.

Prova a immaginare quanto è difficile ritrovare una mail, una qualsiasi mail, per esempio, senza ricordarti il nome, né l'oggetto, né chi te l'ha inviata, né il contenuto. Sai che esiste, sai che la devi trovare, ma non hai la possibilità di farlo. È stato un periodo difficilissimo, del quale ancora oggi sento le conseguenze.

Ci sono volte in cui non ricordo i nomi dei paesi intorno alla mia città, i nomi di persone con cui lavoro tutti i giorni, oppure indirizzi, eccetera. A volte vivo in un mondo tutto mio, in cui la mente è così offuscata e le percezioni esterne così amplificate e disturbanti che non riesco neanche a rendermi conto che sono in quello stato. Tutte le risorse mentali annaspano per cercare di capire qual è lo scopo, qual è l'obiettivo di quello che devo fare, senza riuscirci, senza neanche ricordare perché devo fare una certa cosa, o quale sia l'obiettivo.

Non ricordo i nomi dei programmi che uso o che ho usato in passato. E questo, per un informatico, purtroppo, viene visto come una cosa abbastanza grave. Per me, che la vivo, è chiaro che questa è una difficoltà, non incompetenza. Ma riuscirò a farlo capire all'esterno? Non si sa. Riuscire a farlo capire all'esterno è qualcosa di impossibile.

Nell'età della performance e della competizione, se non hai la risposta sempre pronta, ciò che viene percepito dall'altra parte è sempre che sei un incompetente.

E io sarei anche stufo di tutto questo. Ma è molto difficile sradicare queste convinzioni. È molto difficile far capire che un malato invisibile, pur con tutti questi problemi, rimane comunque una persona, ha un valore intrinseco e, soprattutto, non ha scelto lui o lei di avere questi problemi.

Con un po' di organizzazione e il giusto tempo può comunque fare il proprio lavoro.

Certo, sarebbe bello se le autorità riconoscessero la nostra condizione in qualche modo e ci dessero gli strumenti per affrontare la vita con le stesse possibilità di una persona sana.

Ad esempio, attraverso uno status di invalidità, che potrebbe incoraggiare le aziende a tollerare le nostre caratteristiche, ai loro occhi poco utili al business.

Ma questa è un'altra storia.

Mi auguro che le future generazioni non vivano tutto questo. Ma dipende anche da noi. Quanto siamo disposti a fare oggi affinché questa strana cultura che ci siamo creati cambi per sempre? Dipende anche da noi.

Io ho deciso di fare questo podcast per sensibilizzare le coscienze.

Condividerlo e parlarne, aquesto punto, spetta soltanto a te.

Stammi bene.

Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia. Non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute, ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

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Cosa succede se il dolore non può passare mai più? 💊 Rimedi e conseguenze dei farmaci. E...✈️ il mio viaggio in India! 🌍

“La vita di un malato invisibile ruota attorno al dolore, e ogni giorno si devono fare scelte difficili per affrontarlo”

Se preferisci ascoltare questo episodio (il n. 10), anziché leggerlo, puoi farlo qui:

[...]

Quando sei un malato invisibile, la tua vita ruota attorno al dolore. Mi dispiace farti riflettere su questo, ma non c'è un modo più gentile o più delicato di parlarne. Da invisibile, il tuo rapporto con il dolore è diverso da quello di una persona normale. Le persone sane provano un dolore forte nella loro vita soltanto di rado, a seguito di incidenti magari, o di eventi ben pianificati, come un intervento o l'estrazione di un dente. Una persona sana, anche inconsciamente, sa che il dolore se ne va e, se non se ne andrà, prenderà qualcosa di facile: una pillola, una qualche polvere magica, e non sarà più un problema.

[Il dolore] può presentarsi anche così, senza un motivo apparente, in un attimo, e noi invece sappiamo che non se ne andrà.

Arriviamo a maturare questa consapevolezza dopo qualche tempo che siamo ammalati, ed è una cosa che ti cambia nel profondo. Non c'è modo di abituarsi. A volte qualcuno mi dice: “Mah, guarda, ormai hai queste patologie da tanto, ti sarai abituato!” E invece no, come si fa ad abituarsi? Sì, uno può avere la soglia del dolore più o meno alta, ma quando arrivi a sentirlo, non è che ti abitui. Quella sensazione è nata dall'evoluzione della specie umana, proprio per attirare la nostra attenzione, proprio per farsi notare. È impossibile ignorarla.

Tutti i giorni per noi sono uguali: ci alziamo al mattino, combattiamo il dolore sin da subito, o già da prima, durante la notte, e poi dobbiamo capire una cosa molto importante, cioè come si può affrontare la giornata. Ce la faremo? Se anche ci alziamo con meno dolore del solito, poi la situazione resterà così? Ci arriveremo a fine giornata?

Mah.

Allora dobbiamo fare una scelta tutti i giorni. E questa scelta è: prendo qualcosa oppure no? È uno di quei giorni in cui si riesce a resistere? Oppure, tra un paio d'ore, avrò così tanto male che non riuscirò neanche a ragionare? E credimi, non è una scelta da poco, perché gli antidolorifici non si possono prendere all'infinito. Dobbiamo cercare di limitarli il più possibile per evitare effetti collaterali anche sul lungo periodo.

In passato il mio istinto mi diceva di aspettare, ma le cose sono cambiate. Ora, purtroppo, tendo a prendere più farmaci e forse faccio male. Non so, ma ci sono tanti giorni in cui non posso rischiare di ragionare male con il lavoro che faccio. Io lavoro col pensiero, con la testa. Devo poter pensare, devo essere in condizioni di poter pensare.

Anni fa era tutto diverso. Ci ho messo un po' a prendere coscienza di come stava cambiando la mia vita con il dolore che aumentava, anno dopo anno. Ci sono arrivato gradualmente, un po' alla volta, e a un certo punto mi sono guardato indietro e ho pensato a quando è stata la prima volta in cui ho provato un dolore così intenso da sembrare fuori scala. Me lo ricordo bene quel periodo, e oggi so che lo spartiacque della mia salute risale proprio a quegli anni, in cui le scelte che dovevo fare erano molto più semplici e conducevo ancora una vita spensierata.

Era il 1998, e la mia nuova vita a Parma era certamente stimolante. Trasferirsi lì era stata una scelta naturale, anche se più che ragionata. I miei due fratelli vivevano lì già da tempo, così come alcuni amici, Danilo e Lorenzo, quelli con cui suonavo nel fine settimana quando tornavo dai miei in paese. Ci ricongiungevamo a Pontremoli, ci vedevamo là e dedicavamo almeno un'ora alla domenica pomeriggio per provare le nostre vecchie canzoni, e in più c'era anche un nuovo amico in quegli anni, che aveva iniziato a suonare con noi. Si trattava di Giorgio, molto abile con il basso. A quel punto Marco decise di dedicarsi al canto, mentre a suonare ci avremmo pensato noi. Con questa formazione eravamo anche andati a un festival musicale locale, il Lunigiana Rock. Visto che in questo episodio parliamo di scelte, queste erano le scelte semplici che dovevo fare in quegli anni.

Una scelta che farei oggi, invece, se mi entrasse ancora, sarebbe quella di indossare, ancora una volta, la maglietta che ci avevano dato per l'evento, tutta nera con una scritta gialla sul davanti: Lunigiana Rock.

È un bel ricordo che conservo e rappresenta un periodo davvero spensierato. Era la prima volta che suonavo di fronte a così tante persone, cioè un campo sportivo abbastanza affollato, ed era stato bellissimo. Ero molto tranquillo mentre suonavo, anche grazie alle lezioni che avevo preso negli anni precedenti da un chitarrista professionista a La Spezia. Mi stavo abituando all'idea che quella vita da musicista avrei potuto farla per sempre, perché era davvero l'unica cosa che mi faceva arrivare a sera rilassato e felice.

A volte suonavo per mio conto anche per 7, 8, 10 ore consecutive, senza accorgermene. Una scelta importante di quel periodo, invece, venne presa da me a proposito di un viaggio, cioè una delle passioni che si stava risvegliando in me insieme alla curiosità per il mondo, al volere scoprire cosa ci fosse oltre il proprio confine personale.

Prima di trovare un lavoro stabile, avevo deciso di andare in India a cercare Dio da un maestro spirituale.

Il viaggio mi attirava da sempre e più tardi avrei capito che questa esperienza avevo fatto mi aveva calmato nel profondo, anche se tutto era andato storto sin dall'inizio. In un certo senso, il mio era stato un viaggio risparmio, ma la sorte invece non si era risparmiata. All'arrivo, scoprii che le mie valigie erano state perse e dovetti ricomprare tutto il vestiario, facendomi fare anche qualche abito su misura, visto che laggiù sembravano non esserci abiti della mia taglia.

Nelle settimane successive, poi, mi venne una strana febbre per ben tre volte, senza tosse o raffreddore, ma soltanto una temperatura molto alta che mi faceva venire voglia solo di stare a letto. E a proposito del letto, era un materasso sul pavimento, anzi uno stuoino, possiamo dire, alto solo pochi centimetri. Ma peggio di tutto il resto, al momento di ripartire per tornare a casa, scoprii che il mio biglietto aereo non era stato emesso correttamente.

Così, avevo potuto fare l'andata, ma il ritorno non era valido. Sarei dovuto restare in India per un lungo periodo, in attesa di chiarire questo equivoco con la compagnia aerea, un periodo che durò ben oltre le due settimane che avevo previsto in origine. Insomma, un disastro sotto molti punti di vista. Le notti erano spesso tormentate per il gran caldo che c'era nelle stanze della comune e anche per il vociare degli animali della giungla, stridulo e irritante, che andava avanti tutta la notte. La sveglia suonava molto presto per la meditazione, già alle 3:30 del mattino, e sui monti dell'altopiano del Deccan a dicembre faceva freddo, anche se eravamo quasi all'equatore.

Nel giro di poco tempo iniziai ad avere un gran mal di schiena e non c'erano medici che potessi consultare a poco prezzo nel villaggio per contenere le spese. Andai allora da qualcosa di un po' diverso, un medico ayurvedico, uno di quelli che praticavano l'antica arte curativa tradizionale dell'India, decisamente a buon mercato, ma meglio di niente, mi dissi. Il medico riuscì a capire cosa avevo semplicemente toccandomi una mano e l'avambraccio.

Chiese consigli sull'alimentazione, sugli alimenti che le persone con il mio tipo di fisico avrebbero potuto mangiare oppure no, e tante altre cose. Mi disse che il mal di schiena era dovuto a un eccesso di energia, un eccesso di fuoco. Con qualche massaggio avrebbe potuto alleviare il dolore, ma la causa era molto profonda. Secondo lui avrei dovuto prendere anche alcune compresse che mi prescrisse. Il suo assistente, tale Shrinivas, mi aveva praticato i massaggi. Le sue mani enormi mi sembravano bollenti e anche se alla fine mi ritrovavo tutto unto come un panzerotto uscito dalla friggitrice, in poche sedute il dolore era scomparso.

Effettivamente, Shrinivas sapeva il fatto suo e grazie a lui le compresse che mi aveva suggerito il medico non servirono, e per fortuna! Perché già l'aspetto ricordava gli escrementi di pecora; ti lascio immaginare l'odore! La causa di quel mal di schiena per me era lampante: qualcosa su cui non perdere neanche un momento a riflettere, e cioè che in India si passa la vita seduti sul pavimento e camminando a piedi nudi, e tutto questo, da occidentale, probabilmente non mi aveva giovato.

A parte questo aspetto, però, in India ero stato veramente bene, e ben presto mi scordai del medico ayurvedico. Al mio rientro in Italia, quando l'India era ormai poco più di un bel ricordo, il mal di schiena tornò. Era localizzato in basso, nell'area del bacino, proprio come quando era venuto fuori in India. Il mio medico curante mi fece fare una lastra e per la prima volta in vita mia sentii dire la parola che nessuno di noi vorrebbe mai sentirsi dire: artrite.

L'artrite è una malattia infiammatoria persistente e cronica, caratterizzata da dolore e infiammazione a livello delle articolazioni, con importanti ripercussioni sulla mobilità e il sostegno dello scheletro. Le forme più gravi di artrite possono deformare le articolazioni, determinando rigidità e compromissione dei movimenti e limitando notevolmente la capacità di svolgere anche i più semplici compiti quotidiani. L'artrite può svilupparsi in persone di ogni età, anche nei bambini, e con il passare degli anni, se non riconosciuta e curata adeguatamente, l'infiammazione tende a peggiorare.

[Fonte: ISS]

Il mio medico curante allora mi disse: “Sei ancora giovane, hai solo 20 anni; non ti preoccupare, per ora hai ancora tutta la vita davanti.” Lui era uno di quei medici di una volta, quelli che riuscivano a fare diagnosi anche senza mandarti da uno specialista, e molto spesso ci azzeccava.

Mi chiedo ancora oggi se con quella diagnosi precoce, magari confermata da un reumatologo, si sarebbe potuto cambiare qualcosa. Allora ero nel pieno delle mie forze e scelsi di ignorare del tutto quella parola, che poi neanche sapevo bene cosa fosse, a dire il vero.

Sì, ok, c'era l'artrosi e l'artrite, ma l'artrite era quella meno grave, giusto? Nei miei pensieri c'era solo il lavoro e la chitarra. In quel momento non so perché, ma avevo l'idea che questa artrite fosse qualcosa di non troppo grave, e non ci pensai più. Altrimenti, come avrebbe potuto venire proprio a me, che stavo benissimo ed ero all'apice delle mie condizioni fisiche? Mi ricordo proprio di aver pensato: “Ci penserò quando sarò più vecchio.” Mi sbagliavo di un bel po'. Dimmi: al mio posto, tu come ti saresti sentito? Avevi la consapevolezza necessaria per capire qual è stato il momento chiave della tua vita? Fammelo sapere in un commento. Per me è stato proprio il momento di cui ti ho raccontato. Sono curioso di sapere il tuo.

A Parma non mi annoiavo mai, impegnato com'ero a cercare un lavoro. Ne ho cambiati molti prima di trovarne uno a tempo indeterminato come impiegato. Ricordo bene la sensazione di avere finalmente risolto un enorme problema, di essere finalmente a posto. Espandevo scuola in quel lavoro, creando programmi per tanti diversi istituti bancari. Fu lì che scoprii che le lezioni di dattilografia che avevo preso a scuola, alle scuole superiori, erano una delle cose più utili che possano esserci nel mondo moderno, perché bene o male tutti abbiamo a che fare con una tastiera e tanto vale saperla usare ad occhi chiusi. Digitavo in fretta e i programmi prendevano vita sotto i miei occhi. Era un lavoro creativo, in un certo senso. Il mal di schiena era a quel punto soltanto un ricordo, tanto più che lavoravo finalmente seduto senza fare fatica e finalmente al riparo dal freddo e dal caldo e dai pericoli.

Qualche mese dopo, però, in estate mi sarei dovuto ricredere. C'era bisogno di una riunione fatta in fretta e furia e decidemmo di farla attorno alla scrivania di una collega. Non c'erano sedie per tutti e scelsi di sedermi sul davanzale della finestra, appena sopra il condizionatore, che buttava sulle mie gambe e su tutto il corpo quella piacevolissima aria fresca. Fresca eh, niente di più. Nelle estati umide della pianura, il condizionatore è una manna.

Nel giro di 24 ore ero di nuovo bloccato dal mal di schiena, questa volta ancora più forte di come mi era venuto in India, un dolore mai provato neanche laggiù. Shrinivas era un po' troppo lontano a quel punto e decisi di prendere qualche giorno di malattia e aspettare. Ero giovane e forte, certo che sarebbe passato! Bastava solo...aspettare!

E invece no.

Il dolore era insopportabile e più passavano i giorni, più la situazione peggiorava e questo dolore nel bacino diventava più forte. In qualche angolo molto remoto del mio cervello continuavo a ripetermi che i farmaci non si dovevano prendere. Si sa, gli antidolorifici fanno male, lasciamoli ai vecchi. Li avevo già presi qualche anno prima per le ginocchia che mi facevano male. Non volevo sovraccaricarmi. Ero così giovane e inesperto che paradossalmente non avevo niente in casa e in più, in quel periodo, vivevo in realtà sulle colline di Parma. La farmacia più vicina era lontana, tanto più che non sarei neanche riuscito a guidare, neanche con tutta la buona volontà del mondo. Mi era proprio impossibile estendere le braccia e le gambe.

Il dolore era fortissimo, già a letto, ancora più forte da seduto e impossibile da gestire stando eretti. Camminavo chino come un novantenne e se avessi avuto un bastone, sicuramente l'avrei usato. Ripensandoci oggi, quell'evento avrebbe dovuto mettermi in allarme. Non è normale che un uomo di 22 anni si riduca così per un colpo di aria condizionata. Potrà sembrarti strano, ma non collegai quell'evento con la diagnosi di artrite del medico. Nella mia famiglia tutti avevano e avevano sempre avuto mal di schiena, sembrava una cosa normale, quindi.

Riuscii a procurarmi dei farmaci e tutto passò per un po'. quella che allora mi era sembrata una situazione del tutto eccezionale, oggi è la mia realtà. A distanza di 25 anni da quegli eventi chiave, ci sono ancora le crisi di dolore, anzi, più raro che non ci siano le crisi di dolore. Spesso sono improvvise e in luoghi diversi del corpo, non soltanto nel bacino, e si presentano senza avvisare.

Ogni giorno bisogna alzarsi con calma, come ti raccontavo nel primo [edit: secondo] episodio del podcast, e fare delle scelte molto difficili. Se non è il dolore cervicale o l'emicrania ad avermi svegliato, magari alle 2 del mattino, devo per prima cosa capire come mi sento. Certo, mi sento quasi sempre male, purtroppo, ma bisogna andare oltre questa sensazione. Devo ascoltarmi per capire se il malessere deriva dal fatto che il corpo non si è ancora messo in movimento e magari più tardi passerà un po', oppure se è qualcosa che non passerà.

È una valutazione molto difficile, perché dovendo lavorare, la tentazione è quella di prendere un antinfiammatorio sempre, tutti i giorni, o non riuscirò a stare concentrato quando serve. In fondo, come ti dicevo, io lavoro con la testa, coi miei pensieri, con il ragionamento, con analisi di dati, di problemi per cercare la loro soluzione. Come fai se hai un'ascia piantata in testa o in un fianco? Ti è impossibile.

Purtroppo, però, sappiamo bene che degli antinfiammatori non possiamo abusare. Oltre a rovinarci lo stomaco, non si possono assumere per più di qualche giorno per evitare di andare in sovradosaggio, tirandoci addosso anche molti altri problemi. Capisci bene, dunque, che la decisione di prendere qualcosa oppure no, per un paziente che soffre di artrite o fibromialgia, non è una decisione da poco. Il nostro non è un dolore sporadico che se ne andrà. Domani, dovremo fare le stesse scelte e quindi di nuovo sottoporci al rischio di effetti collaterali dell'antinfiammatorio.

Però questa scelta la dobbiamo fare tutti i giorni. La differenza tra prendere un antinfiammatorio oppure no è quella che passa tra il non poter fare fronte ai propri impegni o effetti gravi legati al sovradosaggio.

Tu cosa sceglieresti? Non è una scelta da poco, credimi.

Per evitare tutto questo, infatti, il medico mi ha consigliato di usare il più possibile il paracetamolo, che non “pesa” sullo stomaco. È vero, ma il problema è che ormai non riesce a togliermi il dolore e mentre l'antinfiammatorio di solito mi lascia in buone condizioni per un giorno, il paracetamolo non ha questo effetto. Quindi dovrei prendere una dose veramente molto, molto alta nel tempo.

L'unica cosa certa è che un antinfiammatorio può togliere il dolore per diverse ore e aiutarci a svolgere i nostri doveri, ma allo stesso tempo, quando li assumiamo, diamo un'immagine falsata di noi. Diamo l'immagine di una persona che sì, ha qualche problema, ma in fondo neanche troppi, visto che può comunque lavorare, può comunque farcela. Ma se questa è la percezione che possono avere gli altri, i sani, dei nostri problemi, beh, è sbagliata, è troppo semplicistica. Come ti ho raccontato, per noi è molto più complesso. E poi non è che sotto antinfiammatori uno stia così bene. A volte non fanno abbastanza, neanche quelli.

Se non conoscevi le patologie di cui soffro, forse starai cominciando a capire perché i pazienti come me vivono una vita davvero difficile. E credimi, siamo tantissimi. Se invece soffri delle mie stesse malattie, avrai capito perfettamente cosa intendo. Ci sarebbe ancora tanto da dire sui farmaci che può dovere assumere chi soffre di artrite o fibromialgia, ma ti prometto che ne parleremo più avanti. Ti do appuntamento alla prossima puntata, come sempre di martedì. Stammi bene.

Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia. Non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute, ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

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💫 Perché un blog sull'Artrite e la Fibromialgia? 🌟💪

Sai cosa è l'artrite? È una patologia invalidante, che potenzialmente può colpire chiunque e, contrariamente a quanto si pensa, a qualunque età. Provoca un'infiammazione (dolore, gonfiore, problemi) a TUTTE le articolazioni e ai tendini e molti degli organi interni, e può portare alla totale infermità di una o di tutte le articolazioni. Chi ne soffre deve essere preparato a una vita di dolore, in cui ogni movimento è una tortura. O, almeno, a una vita più difficile, complicata e in salita.

La fibromialgia, invece, è una condizione cronica caratterizzata da dolore muscoloscheletrico diffuso, accompagnata da una serie di sintomi come affaticamento, disturbi del sonno, difficoltà cognitive e sensibilità aumentata al dolore. Sebbene la causa esatta non sia completamente compresa, si ritiene che fattori genetici, stress e anomalie nel sistema nervoso centrale possano contribuire alla sua insorgenza. La fibromialgia può avere un impatto significativo sulla qualità della vita.

Io soffro di entrambe queste patologie, sebbene una delle due non sia possibile diagnosticarla, ma c'è: eccome se c'è.

Poi c'è la psoriasi. Un'infiammazione della pelle che colpisce aree del corpo in maniera apparentemente casuale, ma più spesso si concentra su cuoio capelluto, mani (anche i palmi), piedi (anche le piante) e gomiti. Può sembrare una cosa da poco rispetto al resto, ma è proprio la psoriasi che, spesso, mi “regala” tante notti senza sonno, perché dà molto prurito. Spesso la pelle colpita dalla psoriasi si disgrega spontaneamente, e la ferita causata da questo evento impiega anche mesi a rimarginarsi. I pazienti più sfortunati hanno la psoriasi in tutto il corpo.

Ti ho dato solo un piccolo assaggio della vita che conduco. Considera che io sono uno dei pazienti che soffrono meno. Puoi immaginare gli altri?

Se stai pensando che non avevi mai sentito parlare di tutto questo, tranquillizzati: è del tutto normale. Di noi, non si parla se non in ospedale. Eppure siamo qui, intorno a te, con le nostre mille difficoltà che non sono riconosciute, né dalle autorità né nella concezione del mondo delle persone comuni.

È normale che di noi non si parli perché nella nostra società, che a me piace chiamare “società della performance”, le persone valgono qualcosa solo se possono produrre, o se sono le migliori in un certo campo, o appaiono sempre belle, sorridenti, in forma.

Per tutti gli altri, come me e tutti gli altri malati invisibili e non riconoscibili che sicuramente hai già incontrato nella tua vita, ma senza saperli riconoscere, non c'è posto. È normale quindi che di noi non si parli, ma non è giusto. La nostra condizione riguarda tutti.

È per questo motivo che ho deciso di creare un podcast: per far sapere a tutti come viviamo noi malati invisibili, per far sapere che noi esistiamo. Viviamo come tutti gli altri perché ci è imposto, anche se non avremmo le possibilità di farlo.

E poi, non meno importante, quando si capisce di avere qualcosa di grosso come queste cose che ci colpiscono, ci si sente tremendamente soli, vulnerabili. Voglio che il mio lavoro venga diffuso il più possibile, e che nessun nuovo ammalato senta di essere solo. Nel mio racconto potrà identificarsi, trovare una spalla, sapere che la sua artrite e la sua fibromialgia non colpiscono solo lei/lui.

Per tanti, troppi anni sono rimasto in silenzio di fronte a queste malattie invisibili che mi hanno cambiato profondamente. Il mio GRIDO è rimasto dentro di me, incapace di uscire, e quindi MUTO.

Solo io potevo sentirlo. Volevo urlare al mondo la mia rabbia, ma non riuscivo neanche a trovare le parole per farlo.

Mi sentivo impotente di fronte a questa esperienza incomunicabile che si è portata via i miei sogni di bambino e di adulto.

Ora ho deciso di far sentire il mio grido.

Ho creato un podcast in cui ti racconto la mia storia, la mia esperienza, cosa ho perso a causa delle patologie e cosa sto passando, le mie paure per il futuro. In ciascun episodio non mancheranno riflessioni profonde sulla nostra strana società, che non ha posto per noi che soffriamo, rendendoci invisibili. Eppure, noi esistiamo.

Il podcast si chiama “GRIDO muto – La mia vita con l'artrite”, ma puoi trovarlo sulle varie piattaforme come Spotify o Apple Podcast semplicemente ricercando “grido muto”. Esiste anche un canale youtube dove seguire le puntate del podcast, se lo preferisci, ed è anche lo spazio in cui , con il tempo, pubblicherò altri video o riflessioni sull'argomento. Ti riporto qui di seguito tutti i link per tua comodità:

In questo blog troverai le trascrizioni delle varie puntate, se preferisci leggere piuttosto che ascoltare, e ti sarò molto grato se mi farai sapere cosa ne pensi del mio progetto, di ciò che ho da dire, e di ciò che scriverò.

Spero che diffonderai il podcast o questo blog il più possibile, per fare cambiare le coscienze e aiutarmi a raggiungere il più alto numero di persone possibili.

Grazie per il tuo interesse e aiuto, che tu sia un malato invisibile oppure no.

Stammi bene!

Simone

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