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FRAMMENTI DI LUCE INDIVISA

di Felice Serino

Il titolo di questa raccolta di poesie di Felice Serino è un ossimoro. Indiviso è, letteralmente, ciò che non è stato diviso, che non è possibile frazionare. Eppure, qui, la “luce” è stata ridotta in “frammenti”. Dunque, sembra esserci una contraddizione nel titolo, il quale, tuttavia, suggerisce il tema fondamentale che attraversa tutta la silloge, e cioè la difficoltà di rappresentare, di tradurre in parole, in versi ciò che si dà solo nascondendosi e che lascia di sé delle tracce, dei “frammenti” restando “presenza” inespressa, unità indivisibile e inafferrabile nella sua pienezza, nella sua misteriosa, “oscura” luminosità. E qui l'ossimoro caratterizza la natura della “luce”: di essere essenza aletheica 1), manifesta e, al tempo stesso, ineffabile. Fuor di metafora, la “luce” è la creazione, la poesia stessa ed è la bellezza che essa emana, in quanto sorgente da cui sgorgano le immagini, le visioni, i lampi che aprono al poeta il cammino lungo i “bui corridoi di parole dove/ una quartina balenante e poi indistinta/ vuol farsi luce ma quasi per sfida/ inafferrabile si fa/ gioca a nascondino con lui preso/ di sorpresa nei suoi vortici…ahi!/ sprovveduto poeta che non sa/ raccogliere in tempo un sangue vivo”. Questiversi, insieme con altri testi, appartengono alla sezione “Ladro di parole”: titolo che, se da un lato, sintetizza quell'impossibilità di cogliere pienamente la Bellezza, la quale è “spirito vitale” che nutre la sua vena creativa e gli “ribolle” dentro come sangue, dall'altro lato, indica il “mestiere” del poeta, il quale, sognando e agognando l'irraggiungibile meta, si ritrova a percorrere e a inoltrarsi nel bosco del linguaggio in cerca delle parole più adatte a rendere l'amore e la passione che lo governano e che egli tenta di catturare, di sottrarre, di strappare all'oscurità che sempre incombe lungo i sentieri della creazione. Ma ciò che egli coglie sono appunto i “frammenti” di una “luce” che filtra tra i rami inestricabili dell'impenetrabile foresta dei segni che, diventando simboli, partecipano di quella oscurità luminosa, di cui rimandano appena un lucore che non lascia rifulgere l'angelica bellezza, in virtù della quale il nostro poeta si sente trascendere senza però che riesca ad esprimerla. (“a trascendersi in me/ è forse un angelo/ (…) mi asseconda/ a snudare la bellezza/ da frammenti di parole e suoni/ qui nel mio sangue/ ecco si leva il fiore/ che non so dire”). In Serino, il desiderio d'infinito è più forte del dolore, del senso d'impotenza, del sentirsi preda del caos degli eventi. Una grande fede lo sorregge nel faticoso cammino esistenziale e non lo fa desistere dalla ricerca dell'assoluto, dal quale l'atavica caduta ha allontanato l'uomo gettandolo nel “mare-mondo”, in una distanza che sembra incolmabile. Ristabilire il contatto col cielo è possibile “se il precipitare/ in se stessi è in vista di risalita”. Fede e speranza permeano questa silloge, ma è la poesia a determinare quello slancio verso l'infinito.

Perché essa è brama, è quella sehnsucht, quel tendere, alla maniera dei romantici, verso qualcosa d'inattingibile che, per Serino, èla “luce indivisa” della creazione: l'origine divina da cui tutto si è generato e verso cui tutto tende a ritornare. Ed è quell'oltre, dove “non c'è ombra”, dove la visione sarà chiara; dove, secondo l'insegnamento di San Paolo, guarderemo “faccia a faccia” e non più “per speculum in aenigmate”. Lì, l'uomo conquisterà la piena conoscenza, prenderà posto nella verità, si riconoscerà parte del Tutto che è in lui. Sarà come specchiarsi nell'Aleph, in quell'unità, in quel principio, in quel punto che per Borges è l'inizio, il tutto, la fine. E, dunque, secondo l'intuizione di Serino, la vita e la morte non sono l'una il contrario dell'altra, e viceversa; non si contraddicono; anzi, è dalla morte, dalla creazione ex nihilo che scaturisce la vita, e perciò “la vita non è prima/ della morte”.

Questo stretto legame tra la vita e la morte è presente, soprattutto, nella prima sezione: “Di luce indivisa”, che riprende il titolo della raccolta. In parallelo con la morte – con la quale la vita si accompagna (“la vita ha in tasca la morte”) e che è il tessuto di cui la vita stessa è fatta, un “perpetuo/ tramare/ “cospirazioni” del nascere” – è il tema del dolore: “non solo quello/ da carne-urlo animale/ ma sublimato”, sentito, vissuto soprattutto come sacrificio, nello spirito e sull'esempio del Cristo, come “Passione per la porta stretta”: quella che, come c'insegna il Vangelo, conduce alla vita e alla salvezza. La figura del Cristo è ricorrente ed è presente nei martiri della cristianità, in Agostino, in Madre Teresa, in Gino Strada, ai quali Felice Serino dedica alcuni testi appassionati, densi di spiritualità. E non manca, accanto alla fede, alla fiducia piena nel Signore, al quale egli chiede di plasmarlo secondo il Suo volere offrendosi ai Suoi piedi come “sgabello di gratitudine”, la terribile domanda dell'uomo del nostro tempo: quel “Grido” d'angoscia e di risentimento, al tempo stesso, lanciato forte verso il cielo e rivolto a un Dio assente o indifferente di fronte alle immani tragedie e ai mali che affliggono questo nostro povero mondo. Un “Grido” che, per la sua carica di dolore e di sgomento, tanto ricorda l'urlo di Munch. Esso si ripete più volte, come se volesse percuotere e scuotere le addormentate coscienze e sollecitarle a “rigenerarsi nell'urlo/ della Croce”. E quest'urlo che sembra squarciare il silenzio di Dio, scostare il velo del mistero, fa sì che il nostro poeta si affidi all'angelo custode perché lo “aiuti a scalzare/ ogni giorno la morte”, si senta sollevato dalla precarietà del vivere e si abbandoni al sogno fino a contemplare il “fiume di luce” oltre la morte, la quale egli finisce per negare, nella certezza di essere da sempre nella mente di Dio e, dunque, di godere già di una vita eterna, alla quale è impossibile morire. In Serino, il sogno ha questa funzione “rivelatrice”, escatologica, ma è anche il tuffo nel passato, il nostalgico “ritorno” alla “verde età fuggitiva”, che il poeta “rivive” in “lampi di visioni”.

   Non mancano in questa raccolta le poesie a tema sociale. In “Hikikomori”, “l'oriente/ dove cresce la luce” si perde con la poesia del mondo dietro “le spalle” dei ragazzi che, fagocitati dalla rete informatica, s'illudono di vivere esperienze reali senza rendersi conto di “precipitare” nel vuoto dei rapporti virtuali, di vivere “vite separate tra l'ombra e l'anima”, ovvero, quella condizione di «solitudine multipla» che il sociologo Aldo Bonomi ha sintetizzato efficacemente nel concetto di uomo glocale, condannato alla solitudine, pure essendo a contatto con tutto il mondo attraverso il sistema di comunicazioni in cui è immerso. In “Borderline”, il poeta rivolge uno sguardo pietoso ai miseri, ai diseredati, ai poveri “cristi” traditi dalla vita, prima ancora che dall'indifferenza degli uomini. Nell'ultima sezione: “Dediche e trasfigurazioni”, sono ricordati eventi tragici (l'11 settembre), le vittime per la giustizia, e personaggi, ovviamente cari al poeta, come l'amico Flavio, i poeti Ungaretti, Alda Merini, Rimbaud, Whitman; lo scrittore Hemingway; il filosofo mistico Swedenborg; l'attore James Dean; S. Francesco. E ritornano gli emarginati nella figura del clochard, “puntato a dito/ quest'uomo fatto/ torcia/ per gioco”. In questa silloge, che può essere considerata una “biografia” dell'anima del nostro poeta, troviamo, proprio tra le dediche, una poesia in cui egli parla di sé, del proprio “male di vivere” che riesce a respingere, a ricacciare indietro, come un “satana”, trovando la forza nella nuova luce dello sguardo dell'anziano con il quale si accompagna e i cui semplici gesti, un sorriso, una parola gli fanno riscoprire il senso e il piacere della vita. E questa riscoperta è la meta, che dà inizio e valore al cammino dell'uomo e del poeta Felice Serino.

                                                                                                                                          (Guglielmo Peralta)

1) il termine è mio, derivato dal greco aletheia: svelamento, rivelazione, nel senso heideggeriano di non essere nascosto dell'ente.

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Recensione a “Frammenti di luce indivisa” di Felice Serino (centro studi Tindari Patti, nov. 2015)

Qualcosa illumina l'aria ed è un sentimento, la forma di un respiro accogliente che rigenera come un vento che è dentro la parola e si espande, perdendosi, in infiniti suoni a salire. S'io potessi cogliere la misura, la cifra di questo sentire che accarezza e pungola, farei senz'altro ammenda che la vita è mistero imperscrutabile, arte a proteggerci dai sogni tremolanti la notte, nel tempo di amore, appena plasmata la stanza nel corpo ritagliato da una luce di candela. Mi piace immaginarla così, tenuta da una piccola fiamma tra la mente e il cuore, la voce che in Felice Serino approda a questa comunione di sguardi fratelli, venuti a raccogliersi piano nel segno della luce calda e divina, nella sagoma d'un solo altissimo respiro:

prima del tempo

non c'era che amore

quello-che-muove

il-mondo

danza nel cielo

della Luce -pensiero

della notte

a scalzare le tenebre

“Frammenti di luce indivisa”: ha questo titolo davvero bello la silloge che il poeta mette in stampa affinché ci colga da subito pienezza e fragilità d'un canto da cui discendere, o salire appunto, nel medesimo barbaglio, in un solo grande abbraccio di luce a raccoglierci, a definirci:

filtra raggio verde

dalla porta

della conoscenza

vi accede l'anima

-assetata in estasi

sanguinando amore

scintilla interminabile di occhi inconclusi eppure trattenuti nella stessa ferita, nella stessa livida vitalità. Poesia d'apici e di gemme, si direbbe, ricamata sul lembo dell'aurora appena senti che qualcosa diviene come un dolore che innalza, germinando, tutta la vocazione a esserci in perfetto amore: perché amore è già nell'occhio che sente, invoca, reclama l'urto d'ogni domanda; la misteriosa faccenda del cuore solo e multiplo, del Dio dei confini tra la vita e la morte:.

la vita ha in tasca la morte

-siamo noi

divino seme:

non è che un perpetuo

tramare

“cospirazioni” del nascere

miracolo d'amore

e poi ancora:

lanciarmi anima-e-corpo

contro fastelli di luce

specchiarmi

nella sua “follia”

e tu a dirmi: Lui

l'irrivelato

nasconde il suo azzurro – è

lamento amoroso

Ecco, questa dimensione spirituale, trafitta d'implacabili singulti onirici, che accompagna tutta l'opera e la tiene in bilico sull'argine tremolante di continui interrogativi; questo cercare ininterrottamente un segno, che svirgoli e sveli di qua e di là dal sogno l'intangibile immanenza del vero, immarcescibile segreto d'esser sangue nella lingua di Dio, unica strettoia possibile, nel tentativo di comprendersi d'infiniti frammenti; questo sorprendersi fieri d'ogni possibile destino, incolpevoli eppure miseri, mendici e mentitori per ricomporsi umani quanto basta:

dammi Signore

un collante di passione

-atto di fede

che snudi il giorno per

fissare nel blucielo

brandelli d'amore

pezzetti

di me

Tutto questo è rintracciabile e altro ancora, in un'opera piena di vertigini giacché densa e altissima, profondissima, surreale, dove l'irreprimibile albero      si rinnova, nominandoci:

cogliere una piccola morte

nello strappo di radice

dove altra ne nasce

dal suo grido

cogliere l'inesprimibile

di questo morire

che s'ingemma d'eterno

E' questo rinnovarsi in uno strappo,    tutto il dolore che il poeta asseconda, portandosi altrove, lievemente, arrovellandosi, dal buio staccando la parola, goccia a goccia, sterminata preghiera del cielo e del mare in un corpo che non vorrebbe peso:

non puoi spiegarlo

alla bimba dagli occhi di luna

se non l'ha mai visto prima

se non è rimasta rapita

dal ricrearsi sull'acqua

di riflessi dorati

-ed è poesia…

lei può solo sognarlo – il mare –

come una carezza di vento

salato e spazi

aperti e voli…

vederlo nel proprio cielo

alla stregua in cui s'immagina

un altrove chiamato paradiso

e ancora…

si vive

per approssimazione

si sta come

d'autunno…

di ungarettiana memoria o

dall'origine

scollàti dal cielo

a vestire la morte

… fino

al fiume di luce che

ci prenderà e saremo

un'altra cosa…

congetture

… ma lasciatemi sognare

un sogno che non pesa

Ecco: vorrei poter concepire una lettura che ne rievochi il battito; la sublimata cadenza dei versi a punteggiare un cielo nel cuore; vorrei restituire il movimento, nudo, degli occhi, a spalancare ogni possibile umore del sangue; vorrei poter dire con Serino che anch'io “da fenditure di un sogno/ spio il mondo; e forse anch'io vorrei “preesistere” all'amore, “gabbiano nel fondo degli occhi”,    “veleggiato impastato di luce”, sparire come “chi in sogno segua una successione di stanze” e uccelli vede uscire dalla testa e “nel becco i versi d'una vita”. Ma poco rende il mio occhio, lo so; poco la mia parola che invoca le viscere e anche il mio sangue coltiva il fiore che non

so dire. Così attendo alla capacità dei singoli d'innamorarsi d'un fiore di poesia; al sentimento di chi gli accosti l'orecchio, perdendosi quanto basti ad ascoltarne il battito perché ne ricavi unguento e bussola, donde un filo di luce tremebonda gli dia la formula che il poeta aveva tra i versi nascosta, mentre      saliva sanguinando in bellezza la poesia.

Giovanni Perri

https://poesiaurbana.altervista.org/recensione-frammenti-luce-indivisa-felice-serino-centro-studi-tindari-patti-nov-2015/

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il sasso nello stagno di An Gre

collaborativo di poesia, arte e dintorni a cura di Angela Greco

D'un trasognato dove (100 poesie scelte) di Felice Serino letto da Angela Greco

di Angela Greco

Felice Serino poesia-

D'un trasognato dove è la nuova silloge poetica di Felice Serino, realizzata in collaborazione con l'Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano; cento poesie scelte nell'ambito di una vasta produzione sensibile ai temi dal sociale allo spirituale, sempre esternata con caratteristica gentilezza e partecipazione. La scrittura poetica di Felice Serino è breve, incisiva, toccante, colta e colma di richiami a quella sfera dell'esistenza da cui tutti proveniamo e a cui tutti torneremo. La forte spiritualità dell'autore è un balsamo per il lettore, che anche in questa scelta di testi, può incontrare se stesso e l'altro da sé in versi sintetici, dotati di forza e passione, particolarmente efficaci in relazione alla generazione poetica di chi li sta affidando alla carta.

Il testo assomiglia ad un cielo serale (e credo non a caso la copertina) punteggiato da stelle – cento – tutte volte all'attesa e alla metaforica vista del giorno, della maggior luce, di quella nuova prospettiva a cui lo stesso autore anela e che può essere intesa come un'armonia cosmica in cui ciascuno finalmente sarà in grado di comprendere quello che in questa vita gli è precluso. Felice si interroga ed interroga in questi versi, scuote la tranquillità, ricorda, condivide e soprattutto spera, percorrendo una strada a cui il lettore è invitato, fornendo finanche le domande necessarie per incamminarsi su questa via. E la poesia è il mezzo per seguire questo itinerario introspettivo.

L'ultima parte del testo, quella che raccoglie poesie dedicate, fa battere il cuore con tono maggiore, riconsegnando il lettore alla storia e alla società attuali; nelle ultime pagine la voce dell'autore si rivolge ai vari destinatari con tutta l'umanità dei suoi anni vissuti, affiancando figure di santi e di giovani, che hanno lasciato fortissimi insegnamenti, quasi a voler idealmente segnare gli estremi entro cui includere tutta la vita stessa dell'uomo, dal punto di partenza alla meta finale. [Angela Greco]

Poesie tratte da D'un trasognato dove di Felice Serino

Altra veste

un vedermi lontano

io che vesto parole

di carne

alfabeti di sangue

da me lontanissimo

ché ad altra

sembianza anelo

per voli su mondi

ultraterreni

§

Cielo indaco

confondersi del sangue con l'indaco

cielo della memoria dove l'altro-

di-te preesiste – sogno

infinito di un atto d'amore

§

Senza titolo

al di fuori di me –

io stesso luogo-non-luogo –

mi espando

di cerchi concentrici è il lago

del mio spirito: sasso gettato

dal capriccio della musa

fremito d'acque e stelle

§

Alta Engadina

diario [mentre “mi” scrivo spiando

il mondo da qui tra terra e cielo]

è il caso di dire

un bianco

da ferire gli occhi

la parete del

ghiacciaio

riflettente una luce

quasi

ultraterrena

a bucare la notte

-mentre qui

mi scrivo

§

In divenire

appoggiato alla spalliera

d'aria del divenire

tu –

arcoteso

futuro anteriore o

tempo che ti mastica

sangue del pendolo

§

Un appiglio

giorni sui precipizi

vivendo

in braccio a capricci del vento

…un appiglio sarebbe il cielo

a rinascere

in echi d'inchiostro?

§

Sospensione

un camminare nella morte dicevi

come su vetri non conti le ferite

aspettare di nascere uscire

da una vita-a-rovescio

riconoscersi enigma dicevi

di un Eterno nel suo pensarsi

*

Felice Serino è nato a Pozzuoli nel 1941. Autodidatta. Vive a Torino. Copiosa e interessante la sua produzione letteraria (raccolte di poesia: da Il dio-boomerang del 1978 a La luce grida del 2013); ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti e di lui si sono interessati autorevoli critici. E' stato tradotto in sette lingue. Intensa e prolifica la sua attività redazionale visibile anche on-line. Scrive su vari blog. (dal testo)

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Felice Serino, “D'un trasognato dove”

(Ed. Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano)

E' caratteristica essenziale in molti poeti la ricerca di una dimensione altra, per lo più disgiunta dalla materialità delle cose e allocata in un empireo che simboleggia la spiritualità, l'amore, il sacro. Questa ricerca indubbiamente parte innanzitutto da se stessi, nel prodigarsi a dragare nei labirinti della propria anima lacerti e spiragli di luce, di speranza, e di tutti quei valori che possano elevare la persona alla dimensione celeste, avvicinandola a quella meta che nel progetto della creazione può chiamarsi anche paradiso. E' innegabile che ogni uomo tenda a superare, e a superarsi, quelle barriere fisiche e materiali che in qualche modo gli consentano di raggiungere, o almeno tendere, ad una certa realizzazione di sé, che non sta tanto in una merae statica acquisizione di beni materiali, quanto nell'agognare quella famosa “felicità” o stato di grazia che sia, che soddisfi non solo il corpo, ma anche e soprattutto l'anima e il cuore.

Che poi questa ricerca venga estrinsecata, seguita e sviluppata anche in modo creativo ed artistico, nella fattispecie tramite la poesia, è segno di sensibilità personale non indifferente, in quanto l'artista, il poeta, ha il coraggio di mettere in chiaro ciò che gli scaturisce da dentro, ciò che gli detta il cuore. In un mondo in cui i modelli predominanti sono il rivestirsi di corporeità e di ricchezze materiali, da seguire come obiettivo primario dellaquotidianità, un canto elevato alla purezza dei cieli sembrerebbe anacronistico se non addirittura bambinesco: c'è altro a cui pensare nella vita di tutti i giorni, c'è da sbarcare il classico lunario e non c'è spazio per intime riflessioni trascendentali. Ma il poeta è e resta sempre un puro d'animo, egli vede sempre al di là del velo opprimente che copre il mondo di grigio e di organigrammi, sente il discorso della natura e lo fa proprio, nonostante tutte le ottenebrazioni e i frastornamenti offerti dalla pubblicità più subdola. Si tratta di liberarsi da ogni falsità terrestre, e questo al di là di ogni tipo di religione, chè è primario in noi, nell'uomo, questo senso vago, indeterminato ma sussistente, dell'al di là, inteso come luogo sublime ed eternamente pervaso di gioia, pace e felicità. Si tratta di raggiungere l'empireo, appunto, ricostruire l'antico filo di resistente speranza che, in fondo, c'è qualcosa di vero oltre la dimensione materiale dell'uomo.

Felice Serino è dunque uno di questi poeti che vede e che sente: “insaziata parte / di cielo / vertigine della prima / immagine / e somiglianza / vita / lacera trasparenza / sostanza di luce e silenzio / sapore dell'origine / fuoco e sangue del nascere” (“Lacera trasparenza”); sostanza diluce che permea tutta la sua raccolta poetica “D'un trasognato dove”, inesauribile canto di ricerca dell'“oltre”, assidua ed appassionata narrazione poetica del suo cercare quel “dove” che possa riscattare il senso materiale della vita, che possa nobilitare l'uomo.

“In una goccia di luce / s'arresterà questo giro del mio sangue / lo sguardo trasparente riflesso / in un'acqua di luna / sarò pietra atomo stella / mi volgerò indietro sorridendo / delle ansie che scavano la polpa dei giorni / delle gioie a mimare maree / nullificate di fronte all'Immenso / allora non sarò più / quell'Io vestito di materia / navigherò il periplo dei mondi / corpo solo d'amore / in una goccia di luce”: è il testo iniziale della raccolta di Felice Serino, testo emblematico che in qualche modo concentra e riassume la sua idea progettuale, e poetica, di un distacco dalla materialità al fine di trovare e provare, svestito di materia, quel nocciolo di verità assoluta, quei sentimenti puri non più inquinati o compromessi dalle implicazioni del corpo. Si tratta dunque di un discorso poematico di lungo respiro, tutto intriso di alta religiosità, una religiosità che richiama sicuramente la fede cristiana, pur non citando direttamente situazioni, fatti e personaggi della dottrina classica, ma traendo da essa i riferimenti più sinceri e puri: “– e gli esecrabili / delitti e la vita / tradita? / e il sangue innocente? / -non ricordo: in verità ti dico / l'Albero di sangue / virgulto di mio Figlio / il Giusto / si è ingemmato / ed espande nei secoli / le sue radici / in un abbraccio totale” .

La raccolta poetica di Felice Serino “D'un trasognato dove” è divisa in cinque parti: “Di palpiti di cielo”, “Del trasognare”, “La parola che fiorisce e dintorni”, “Dell'impermanenza”, e “Dediche”.

Pur mostrando una complessiva omogeneità di progetto, costituita essenzialmente dalla trama religiosa di cui sopra, che lega internamente tutte le composizioni della raccolta, nella quale l'autore riesce ad estrinsecare e a sviluppare esaurientemente tutta l'ispirazione primaria attorno alla quale si addensa il suo dettato, in mille diverse angolazioni, la quinta parte, “Dediche”, si discosta alquanto dal tema; si tratta qui di poesie ognuna “dedicata” ad un personaggio particolare (tra cui anche la moglie), che hanno evidentemente colpito la sensibilità del poeta, muovendolo ad esprimere considerazioni e riflessioni dal contenutoveramente nobile e importante, come ad esempio nella poesia dedicata ai migranti: “uscire / dal porto -il cuore in mano- / issare la vela della / passione / dietro lo stridulo / urlo dei gabbiani / tra le vene bluastre del cielo / foriero di tempesta / squarciare / nel giorno stretto / il grande ventre del mare / che geloso nasconde / negli abissi / i suoi figli” (“La ricerca” – Ai migranti di Lampedusa).

La scrittura poetica del Serino si presenta decisa, fluida, chiara, priva di tentennamenti espressivi e di vaghezze retoriche; è d'altra parte una scrittura non priva di un certo sapore lirico, e strutturata sulla base di versi brevi, in cui ogni termine, ogni parola, è fortemente risuonante.

Ne risulta complessivamente una raccolta di sicuro spessore poetico, interessante, propositiva oltre che riflessiva, che certamente induce nel lettore attento ottimi spunti di ulteriori considerazioni sia sul piano religioso che sul piano sociale.

Giuseppe Vetromile

3/1/15

https://taccuinoanastasiano.blogspot.it/2015/01/dun-trasognato-dove-raccolta-di-poesie.html

D'un trasognato dove – 100 poesie

di Felice Serino

Recensione di Lorenzo Spurio

Ha memoria il mare

Scatole nere sepolte nel cuore

Dove la storia

Ha un sangue e una voce. (37)

D'un trasognato dove – 100 poesie scelte è la nuova densa raccolta poetica di Felice Serino, poeta nato a Pozzuoli nel 1941 che da molti anni vive a Torino.

L'autore mostra di aver compiuto una meticolosa operazione di cernita in questo “canzoniere dell'esistenza”, tante sono le liriche che ne fanno parte e tante le tematicheche Serino trasmette al cauto lettore. Il fatto che esse siano state raggruppate in filoni concettuali intermedi da una parte facilita al lettore la corretta comprensione delle stesse e dall'altra consente all'opera una struttura ulteriormente compatta e costruita organicamente. È così che questi microcosmi-contenitori delle liriche di Serino si concentrano attorno a questioni che hanno a cuore il rapporto con l'aldilà, il tema celeste, il senso dell'esistere, la potenzialità del sogno, l'inesprimibile pregnanza del tessuto semantico, l'impossibilità di dire (l'impermanenza) e sichiude con un nutrito apparato finale di poesie dedicate a personaggi più o meno famosi della nostra scena contemporanea dal quale partirò.

In questo apparato di dediche si concentra il fascino nutrito da Serino verso una serie di immagini-simbolo quali quello della luce e del sogno (nella lirica dedicata Elio Pecora), il tema della Bellezza (nella lirica a Papa Giovanni Paolo II), il risorgere (nella lirica dedicata a David Maria Turoldo) e lo specchio come proiezione e frantumazione dell'io (nella lirica dedicata a J. Luis Borges). Sono queste solo alcune delle liriche che compongono questo apparato finale poiché ve ne sono varie di chiaro interesse civile che affrontano disagi e tragedie dell'oggi quali i disastri per mare dei tanti immigrati che sperano di giungere in Italia, le precarie condizioni degli incarcerati o gravi casi di violenza in cui alcuni giovani hanno riportato la morte come Iqbal Masih, tessitore di tappeti portavoce dei diritti dei bambini lavoratori che venne ucciso nel 1995 all'età di 12 anni e del quale Serino apre la lirica in questo modo: “come un bosco devastato/ intristirono la tua infanzia/ di pochi sogni” (107).

Nell'intera opera di Serino si nota una pedissequa attenzione nei confronti di isotopie, immagini costruite nelle loro archetipiche forme, che ricorrono, si susseguono, si presentano spesso perché necessarie; esse non sono solamente immagini che identificano o denotano qualcosa, ma simboli, metafore, mondi interpretativi altri: il sogno,    la luce,    il cielo,    il    Sole,    tanto    che    permettono    di    considerare    la poetica di

Serino come celestiale proprio per il suo continuo rovello sull'aldilà, onirica perché fondata sull'elemento del sogno del quale si alimenta tanto da non poter dire spesso con certezza quale sia la linea di demarcazione tra realtà e finzione. Si penserebbe a questo punto che il tema del tempo possa essere altrettanto centrale in questa silloge di poesie dove, pure, si ravvisa un profondo animo cristiano, ma in realtà il concetto di tempo è ristrutturato da Serino in maniera meno pratica, in chiave esistenziale, come costruzione della mente umana che però risulta avere poca rilevanza nelle elucubrazioni di una mente particolarmente attiva.

Il sogno, l'onirismo e il surrealismo (citato anche nel momento in cui viene nominato il pittore catalano Dalì) sono il nerbo fondamentale della silloge dove il trasognare ne identifica l'intero percorso di formazione e conoscenza. Non è un caso che in copertina si stagli un albero frondoso e, dietro di esso, uno scenario meravigliosamente pacificante di un cielo verde-azzurro tipico di una aurora boreale che fa sognare.

Dal punto di vista stilistico Serino predilige un'asciuttezza di fondo per le sue liriche (molte di esse sono molto stringate se teniamo presente il numero dei versi), dove il poeta evita l'adozione delle maiuscole anche quando queste dovrebbero essere impiegate ed ogni forma di punteggiatura, quasi a voler rendere in forma minimale il pensiero della mente proprio come gli è scaturito. Contemporaneamente il lessico impiegato è fortemente pregno di significati, spesso anche molteplice nelle definizioni, ed esso ha la caratteristica di mostrarsievocativo, più che invocativo (anche se alcune liriche di invocazione sono presenti) o connotativo.

Sprazzi di ricordi salgono a galla (“in sogno sovente ritornano/ amari i momenti del vissuto”, 39) ma questi non hanno mai la forza di demoralizzare l'uomo o di affaticarne la sua esistenza poiché c'è sempre quella “comunione col sole” (47) che dà forza, garanzia e calore all'uomo che sempre ricerca risposte su sé, Dio e il mondo.

Lorenzo Spurio

Jesi, 28-10-2014

https://blogletteratura.com/2014/10/29/dun-trasognato-dove-di-felice-serino-recensione-di-lorenzo-spurio/

Recensione a “D'un trasognato dove” di Felice Serino (Giovanni Perri)

25 ottobre 2014

Capita raramente di imbattersi in poeti in cui vocazione lirica e pensiero filosofico si fondono così perfettamente da riuscire saldati in un unico corpo come in Felice Serino, la cui voce è tanto più seducente quanto maggiormente risulta isolata nel panorama contemporaneo. Egli rappresenta, forse, la continuità, nel solco di una tradizione tipicamente novecentesca, di pensare la    poesia come antitesi e attrito con la modernità e filtro da cui trascendere nel segno d'una rivelazione;      in lui, senso del tempo e dello spazio, spiritualità e vita, verità intangibile e immanenza, mistero,    trovano la medesima via su cui la poesia accomoda il sentimento, insieme umano e divino, d'essere in sé origine e fine di tutto; e nel mezzo, ricerca passionale e tensione dell'amore puro; (Amore: altissimo e di sangue, lamento quasi siderale degli occhi, fiume alle mani ): dove quel sentimento arriva    e la voce si espande, e l'umore improvvisa emozioni che non trovano il punto, oppure lo invocano sapendo che un urto, anche il più invisibile, può farsi carico di tutta quanta la specie dei sogni di cui è composta la vita.

leggere sull'acqua

lettere storte

camminare nel mistero a volte

con passi non tuoi

nella parusia entrare nella luce

goccia

che si frange nel sole

–che contiene un mondo

Impresa affatto anodina dunque, introdurre Serino: farne passare il battito, la folgorazione; additare nel segno delle sue epifanie, come volendo scottarsi: sentirsi addosso la luce, vivida e sanguigna di un verso che trasloca bucandoci. Perché viene sempre nel segno della carne la sillaba che in lui svanisce: questa croce di vento sulla pelle. E sono spasmi. Cieli a difendersi. Occhi per seminare: amore per la parola sorgiva da cui bagnarsi e bere, a piene mani, quasi fossimo noi quel punto imprendibile l'altrove, che cuce il corpo alla memoria e tace, profondo e innato silenzio:   

sangue del pendolo

tempo-maya dagli occhi

di giada

capovolti

nell'oltre è cuore

del sole abisso

di cielo – antimondo

C'è in Serino un'attitudine all'amore che è soglia, dunque, attracco e mancamento: visionarietà al limite del corpo, come una metafisica della bellezza. Una specie di vizio a perdere la vista per meglio pensare. Viene in mente Democrito; e Borges che lo nomina nel buio. Nelle sue tanto aeree apprensioni, Serino ausculta pungendo, sembra quasi addirittura ch'egli tiri dalla vena una goccia di lontananza e ne faccia presenza aromatica, unguento a lenire ferite. Sono sempre afflizioni, le sue, da cui sgorga dolcezza: l'essere qui e altrove come dato fondante d'una vita:

un vedermi lontano

io che vesto parole

di carne

alfabeti di sangue

da me lontanissimo

ché ad altra

sembianza anelo

per voli su mondi

ultraterreni

Il preziosissimo volume appena pubblicato (d'un trasognato dove)    porta quest'attenzione al luogo come segnale viatico, sintomo d'attraversamento, quasi paura: l'attesa di un dove che ci tiene, mi piace dire, anatomicamente, nel nervo della poesia, in un flusso cosmico, segnato a ferite, di tempo e spazio, appunto, e di memoria:

giro di luna bivaccante nel sangue

baluginare d'albe e notti

che s'inseguono

dentro il mio perduto nome

per le ancestrali stanze un aleggiare

di creatura celeste

che a lato mi vive nella luce

pugnalata

Oppure ancora:

espansione a irradiare

poesia a labbra

di luce

indicibile fiore

del sangue

Quale che sia il trasognato dove, quel che posso dire è che qui l'amore s'avverte, terragno e trascendente, nel segno di una luce vivida e irrisolta, cavata dall'occhio di un uomo sospeso, solo e multiplo,    invocata e    assolta nel dono di    un verso    pulsante,

tangente, bellissimo, quasi tenuto nel fioredi un enigma e consegnato al tempo, come un bacio dato alla terra, questa sacra parola illuminante.

Ecco forse Serino è tutto questo, o tant'altro che ancora non so; che ancora non m'è dato di sapere.

Giovanni Perri

https://poesiaurbana.altervista.org/recensione-dun-trasognato-dove-felice-serino-giovanni-perri/

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LA “CASA DI MARE APERTO” SPIRITUALE

NELLA PIÙ RECENTE RACCOLTA DI VERSI DI FELICE SERINO

di GIORDANO GENGHINI

Recentemente, edita dal Centro Studi Tindari di Patti, è uscita la raccolta di versi “Casa di mare aperto”, che riunisce tre diversi gruppi di brevi liriche scritte fra il 2009 e il 2011 dal poeta Felice Serino, noto – anche se non quanto meriterebbe – in Italia e anche all'estero (le sue poesie, pubblicate a partire dal 1978, sono state tradotte in sei lingue).

Il titolo della raccolta – lo si chiarisce all'interno del volumetto – è una citazione da Piernico Fè, e in qualche modo, a mio avviso, è la chiave per interpretare l'intera opera, caratterizzata da una lirica intrisa di spiritualità intensa che si irradia in molteplici direzioni: un “mare aperto” spirituale, dunque.

La lettura delle pagine – poco meno di cento -    è un'esperienza straordinaria e irripetibile.

Il tessuto dei versi    è coerente e ha un tono e un timbro inconfondibili. I temi toccati ruotano attorno a una ricerca spirituale intima del poeta ma nel contempo rivolta ad ogni uomo. I versi, come nei grandi artisti mistici del Medioevo, esprimono l'inesprimibile del mistero divino soprattuttoattraverso il simbolo della luce. La spiritualità del poeta è però modernissima perché inquieta, mobile, non univoca.

Alcune immagini, metafore e parole-chiave sono ricorrenti nella raccolta. in primo luogo, la figura dell'angelo (o, meglio, degli “angeli / caduti / mendichi di amore”), simboli di aspirazione alla purezza assoluta. Ancora più rinvia a questa ricerca di purezza e verità assolute la metafora – che riappare in varie forme – del “corpo di vetro” o del “vetro del cuore”, cui si affianca la prevalenza di un altro emblema di purezza: il candore, che culmina nel “silenzio” di chi ha già lasciato la vita: l' “immacolato manto / comeun'immensa pagina bianca” che si identifica con l' “Altrove”, ossia con il mistero occulto di “questa casa di vetro / eretta sulle nuvole”, a cui il poeta aspira – e alla cui rappresentazione concorre anche la suggestione generata dall'uso mai casuale o irrilevante degli spazi bianchi fra i versi o nelle pagine.

Oltre alla luce, altri simboli ricorrenti nei versi di Serino per esprimere l'inesprimibile – l' “Oltre” – sono il sogno e l'azzurro, che si intrecciano con la musica nel tentativo di dare corpo (come nel “Paradiso” dantesco, di cui talora si avverte l'eco) al divino. Tuttavia, i versi di Serino non hanno certo caratteristiche tradizionali e meno che mai “cantabili”, in quanto nel loro originale ritmo si manifesta la presenza della realtà umana fatta di carne e sangue, dei “veleni del mondo” e, in particolare, del mondo contemporaneo in cui “l'autentico” è “violentato dal mediatico”.

All'interno di questa antitesi decisa fra l' Altrove e il male del mondo (per il quale però, uscendo dal coro, la lirica del poeta non cerca espliciti capri espiatori, politici o di siffattogenere, cui attribuire ogni colpa) determinante è la funzione della poesia, che definirei profetica ma, anche, casa in cui rifugiarsi per distaccarsi dal male di vivere. L'autore infatti scrive: “nascosto starò nella rosa / azzurra della poesia”, evocando per analogia nel lettore anche il ricordo della “candida rosa” dantesca dei beati.

La spiritualità di Serino e la sua fede nell'Altrove non è mai incerta: “quando il mondo continuerà / dopo di me // a chi vi dirà lui non c'è più / fategli uno sberleffo”. Il suo misticismo non trascura le vicende della storia e degli ignorati “santi del nostro tempo”,    di non pochi    dei qualiviene fattoesplicitamente il nome ( un esempio fra tanti: Oscar Romero, nel cui sacrificio, credo, il poeta vede il “rigenerarsi dell'urlo della croce” evocato in un'altra lirica).

La cultura su cui fioriscono i versi dell'autore è estremamente ricca: le stelle che la illuminano (lo si comprende da citazioni dirette o indirette, e soprattutto dalla ripresa rielaborata, nei versi, di altri versi, secondo una tecnica già presente in grandi poeti, da Dante a Luzi, ma usata in modo originale da Serino. Tale ripresa non è mai sfoggio di conoscenze: è invece indispensabile al disegno lirico dell'autore. Le stelle che rilucono nel cosmo intellettuale del poeta possono per alcuni aspetti essere forse accomunate, ma fra loro sono anche estremamente diverse: oltre al Gesù dei Vangeli e ad antiche (come Paolo e Agostino) e recenti (come, ad esempio, David Maria Turoldo) figure della spiritualità cristiana, figurano anche maestri di diverse spiritualità: da Steiner a Swedenborg a Paulo Coelho, per non ricordare che alcuni nomi. Né si possono dimenticare i riferimenti ai grandi poeti dello spirito: dal già menzionato Dante (alcune delle cuiimmagini, come quella del paradisiaco fiume di luce, sono rielaborate e riproposte in modo affascinante) ai più recenti Mallarmé, Borges, Pessoa, Ungaretti fino a poeti a noi vicinissimi come Giovanni Giudici e Andrea Zanzotto.

La lirica di Serino si colloca nel panorama estremamente vasto di questa sorta di ideale “empireo della poesia” che si contrappone – almeno come possibilità di difesa – ai mali della storia. L'ampiezza dei punti di riferimento negli orizzonti culturali e letterari del poeta spiega anche perché la sua raccolta non rappresenta un tentativo – che sarebbe impossibile – di ricomposizione di tutti i punti di riferimento, ma una esplorazione spirituale, un moderno viaggio, termine ancora una volta da intendersi in senso dantesco.

A livello stilistico, il poeta dà vita a una lirica di grandeintensità, che fa tesoro della lezione poetica del Novecento (in particolare, nell'abolizione della punteggiatura e della iniziali maiuscole) e del verso libero per creare un proprio originale timbro, spesso caratterizzato da affascinanti creazioni in miniatura, nelle singole liriche, di “opere aperte” che lasciano possibilità di diverse interpretazioni: né potrebbe essere altrimenti, dati i temi affrontati nella raccolta.

In versi densi di fratture e ricomposizioni, Serino ci propone – per rifarsi al “suo” Agostino -    una “città dell'uomo” in cui abbondano le asprezze (“le viscere nelle mani”) e una “città di Dio” in cui risplende l'armonia dell'Altrove (“un cielo bianco di silenzi” in cui è protagonista disincarnato il “fiume di luce che / ci prenderà”).

Non è il caso che aggiunga altro a queste mie modeste note, perché ogni tentativo – come questo mio – di presentare nell'ambito di un discorso logico-razionale una poesia che tale ambito travalica, non può che essere povera cosa rispetto all'esperienza della lettura dei versi del poeta. E concludo proprio con un invito alla lettura e con un'ultima osservazione: la raccolta di Felice Serino è un “mare aperto” al cui interno si muovono potenti correnti di luce. Credo che, per renderci conto di ciò, basti rileggere la bellissima breve lirica che, non a caso, chiude la raccolta, e che qui riporto: “d'un presentito chiaro d'armonie // d'un trasognato dove // vivi e scrivi // – tuo credo – // tua casa di mare aperto”.

Non è un caso, credo, che il primo verso sia un armonioso endecasillabo e che il secondo e il terzo, uniti, a loro volta siano uno stupendo endecasillabo, come non è un caso che l'ultimo verso coincida con il titolo della raccolta.

La “casa di mare aperto” rappresenta infatti, come ho detto all'inizio di queste note, la spiritualità del poeta: ma anche, io credo, la meta di un approdo cercato già in questo modo e, infine, la prefigurazione della “casa di vetro” nell'Altrove, cui – come l'autore – più o meno consapevolmente a partire dai poeti, tendiamo noi tutti. O, credo direbbe l'autore, tendono consapevolmente coloro che, come scrive in un'altra sua lirica l'autore, fra l'affidarsi principalmente a Freud (o ad altre “divinità terrene” del mondo d'oggi) e l'affidarsi al vangelo di Giovanni hanno già compiuto una scelta.

Un oltre in sé, quella “Casa in mare aperto” di F. Serino – Fernanda Ferraresso

L'epigrafe di apertura, ripresa dalla dedica di Raffaele Crovi , a Flavio e Teresio, pare individuare con precisione quale sia la scialuppa di salvataggio per praticare quel mare aperto e arrivare a casa.

La poesia allena l' “analfabeta”/ancora vergine di conoscenza / a “disincagliarsi dalla vita” /e a viaggiare dentro il mistero/(che è la somma delle verità).

Ma si tratta di trasparenze lacere,    così le chiama Felice Serino, queste visioni , o voci, che arrivano da quel mare di cui dice e non ha nome, se non umanità, storia, e sembrano voci lacerate dalle perdite. I testi evocano, in questa    silloge breve, altre parole, messe nell'acqua del linguaggio da altri , sin dal titolo del libro, che riprende una frase di Piernico Fè, come cita nella prefazione Marco Nuzzo: -creando una sorta di sprazzo sui diversi moti del mondo, ornato dalle molte sfaccettature e che ne compongono, malgrado tutto, una visione d'insieme talvolta succube delle vicissitudini carnali, umane. -E dovunque nel libro si sentono questi echi da terre senza nome, dispersi nei moti dei venti e tra le orme liquide dei naviganti, che hanno messo in mare i loro legni, le loro sementi, portando anche all'autore ulteriori germinazioni. Ciò che mira l'occhio di Serino non è direttamente il viaggio, ma il viaggiatore, poiché, come dice Pessoa,    è lui    il cammino. E qui , proprio riportando al suo piede e al suo occhio, al suo orecchio interiore, le voci degli altri, facendone terra del suo essere, Serino moltiplica questo andare in sé, lui terra e osservatorio di quel territorio senza fine, ma anche angusto, per la grevità dei gesti che si ripetono, e    sono gesti umani, stratificazioni del pianeta e della memoria, miseria e guerra    e    preghierecome pietre che sembrano infossarsi più che elevarsi se non partono dalle più oscure profondità di ciascuno. In quelle stesse profondità, oscure, spesso minacciose, esiste un altrove, a cui abbiamo accesso, in cui esiste un rifugio durante la navigazione ed è quello che è casa aperta nel cuore del mare. Serve viaggiare, serve andarci e la poesia aiuta a fare vela fino a quel continente che, alla fine, dopo una vita intera di rotte praticate , si scopre essere un oltre in sé.

fernanda ferraresso

Casa di mare aperto

di Felice Serino

Recensione a cura di LORENZO SPURIO

E' una poesia dotta, filosofica e ricca di rimandi alla letteratura europea quella di Felice Serino contenuta nella sua ultima raccolta dal titolo enigmatico “Casa di mare aperto”. Ed è un po' tutta la poetica di Serino ad essere attraversata da un certo ermetismo che si realizza in un criticismo del linguaggio, in una frantumazione dell'identità e in numerosi squarci visionari e addirittura onirici. Serino parte dal mondo che lo circonda, ma non è quello il suo interesse nell'arte della scrittura, perché l'intenzione è altra. La poetica si trasfonde a un livello più alto, a tratti irraggiungibile a tratti difficile da capire, ma l'artifizio della poesia sta anche in questo: nel dire e nel non dire, nell'utilizzare un concetto per elevarlo a qualcosa d'altro, metafisico, che non può aver concretezza proprio perché ha a che fare con la coscienza dell'uomo.

Importanti e degni di rispetto le poesie d'impianto civile, che nascono cioè dal voler ricordare alcuni personaggi centrali nel processo di crescita e progresso storico com'è lalirica dedicata al Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi nella quale Serino utilizza l'isotopia del sangue e della violenza per tratteggiare il clima d'odio, repressione e vendetta nei confronti della statista appartenente all'opposizione: “Dal suo sangue si leva alto/ il grido d'innocenza/ a confondere intrighi di potenti” (p. 20). La condanna alla tirannia, alla democrazia messa a tacere è evidente anche se il linguaggio di Serino evita la durezza e si contraddistingue sempre per una certa armonia e levità, anche quando parla di drammi in piena regola. Ma ci sono anche poesie in cui il poeta mette allo scoperto terminazioni nervose dolorose dal puntodi vista sociale, come è il caso della poesia “A ritroso” ispirata al fenomeno poco noto degli hikikomori in Giappone che riguarda dei giovani che si auto-recludono letteralmente in casa evitando una vera vita sociale.

Centrale anche il tema della morte che ritorna in varie liriche come pensiero spesso assillante, altre volte come semplice dato di fatto dal quale bisogna partire con consapevolezza nell'impostazione del proprio progetto di vita. L'interesse per il mondo, per la socialità, la vicinanza all'altro e la riflessione sulla nostra esistenza fatta di giorni che sembrerebbero identici ma che non lo sono, trova ampiezza in una lirica in particolare, “In questo riflesso dell'eterno” dove il poeta con sagacia e freddezza verga la carta scrivendo: “imbrigliati noi siamo in un tempo/ rallentato/ noi spugne del tempo/ assediati da passioni sanguigne” (p. 61) in cui si ritrovano molti temi/aspetti che contraddistinguono la vita dell'uomo d'oggi: il tempo che scorre in maniera rallentata, troppo lenta, forse perché non è più in grado di vivere i momenti che riceve in maniera autentica, ma forse perché l'uomo senza lavoro, precario, disoccupato o immigrato che sia, senza una occupazionenon può che vedere il suo tempo scorrere in maniera lenta, dolorosa e oziosa; l'uomo è una spugna nel senso che riceve dal mondo, ma è sempre meno in grado di dare; che assorbe, si assoggetta, accetta e che, al contrario, non fa, non dà, non propone. Il mondo frenetico e alienante chepropone una società sempre più efficiente, veloce e altamente tecnologizzata in realtà provoca un certo indolenzimento che si ravvisa nel sonnambulismo etico e pratico dell'uomo. Infine gli uomini sono “assediati da passioni sanguigne”: amore e sesso che, come si sa, non sono la stessa cosa e che spesso possono portare alla follia, al delirio, allo spargimento di sangue, inun doloroso banchetto in cui Eros e Thanatos giocano beffardi ignari di cosa stanno combinando. In “L'alba che sa di nuovo” Serino esordisce con versi acuminati: “la si vive nel sangue la nottata” (p. 89).

Numerosissimi i riferimenti e le citazioni a numerosi padri della letteratura europea, tra cui Mallarmé, Ungaretti, Zanzotto, Pessoa che, oltre a sviscerare il grande amore di Serino nei confronti della letteratura e la sua profonda conoscenza, rendono l'opera un gradevole e profumato percorso in altre storie, tempi e luoghi.

Lascio ai lettori di questa recensione un'ultima lirica del Nostro nella quale si respira un senso d'incertezza e un sentimento di sospensione che non è dato all'uomo capire; il serpente presente quale immagine di fondo della lirica alla quale si tende analogicamente (si richiama il verde e il serpeggiare), rimanda ancora una volta all'immagine del peccato, dell'avvelenamento e dunque della morte. Ma la cosa curiosa è che in questo caso non vi sono vittime, se non la serpe stessa:

Di un altrove (p. 78)

d'un altrove

striscia

di luce verde la mente

l'interrogarsi serpeggia

si morde la coda

LORENZO SPURIO

-scrittore, critico letterario-

Jesi, 1 Agosto 2013

FELICE SERINO è nato a Pozzuoli nel 1941; autodidatta, vive a Torino.

Ha pubblicato varie raccolte: “Il dio-boomerang” (1978), “Cospirazioni di Altrove” (2011).

Ha ottenuto importanti riconoscimenti e di lui si sono interessati autorevoli critici.

E' stato tradotto in sei lingue. Intensa anche la sua attività redazionale.

https://blogletteratura.com/2013/08/04/casa-di-mare-aperto-di-felice-serino-recensione-di-lorenzo-spurio/

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Intervista a Felice Serino (flymoon) 24/02/2012

Felice Serino, alias flymoon, è nato a Pozzuoli nel 1941. Attalmente vive a Torino. Copiosa e interessante la sua produzione letteraria, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti.

E' stato tradotto in sei lingue.

Intensa e prolifera la sua attività redazionale visibile anche on-line.

Scrive su vari blog, fra cui su My Space, sul trascorso Splinder e su WordPress al presente indirizzo

https://sestosensopoesia.wordpress.com/

Alcune opere sono state pubblicate nel blog de La Mente e Il Cuore, prima che si trasferisse nella rosa degli autori del nostro Salotto di Poesia e Letteratura La Mente e il Cuore

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PREMI PRINCIPALI DI POESIA:

2° Premio Arno d'argento 92, Firenze, Entel Mcl

I° Premio Un Poeta per l'Europa 96, Firenze, Entel Mcl

I° Premio assoluto al Premio per la Pace 01, Cultura e Società, Torino

2° Premio al Concorso Omero-magna graecia 03, Napoli

3° Premio Santo Gringeri 03 – I luoghi del cuore, Pellegrino-Me

2° Premio al Concorso Artenuova 2004, Propata-GE

2° Premio Santo Gringeri 04 – I luoghi del cuore, Pellegrino-Me

I° Premio al Concorso Naz.le Ibiskos 2006, Empoli

2° premio a pari merito al “Premio Renato Milleri (Remil) – Poeta dell'anno” 2007, per merito acquisito nel campo artistico-letterario

2° classificato ex aequo del gruppo dei finalisti al IV Premio “Per non dimenticare Enrico Del Freo” – Centro ENTeL M.C.L. Massa – Carrara 2009

3° Premio Il Golfo 2010, Napoli

I° classificato “Il Golfo”, Napoli, febbraio 2011

Tra i vari critici hanno scritto di lui:

Isabella Michela Affinito, Giorgio Bárberi Squarotti, Enrico Besso, Nunzia Binetti, Reno Bromuro, Antonio Catalfamo, Maurizio Cucchi, Ezio Falcomer, MarieChristine Fournier, Silvia Denti, Fabio Greco, Stefano Jacomucci, Maria Lampa, Antonino Magri, Marco Merlin, Carlo Molinaro, Sandro Montalto, Vincenzo Muscarella, Antonio Pugiotto, GianCarla Raffaeli, Filippo Solìto Margani, Luciano Somma, Michela Zanarella, Teresio Zaninetti.

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Dopo aver letto alcune sue opere, ho desiderato conoscere meglio la sua personalità.

Gli ho scritto, invitandolo a concedermi un po' del suo prezioso tempo, ha accettato con mia grande soddisfazione e gioia.

Fra poco sarà qui tra noi e nell'attesa rileggo qualche sua poesia.

Proletari

distinzioni di classi

niente di nuovo la storia si ripete

noi pendolari voi vampiri

dell'industria che evadete il fisco

(imboscando capitali sindona insegna)

ed esponete le chiappe al solleone

sulla costa azzurra o smeralda

(lontani dal nostro morire –

in città-vortice sangue solare

innalziamo piramidi umane

per l'alba di mammona)

dopo aver fatto il bello e il cattivo tempo

(burattinai per vocazione

di questa babele tecnocratica)

averci diseredati crocifissi

con bulloni a catene di montaggio

Da: IL CALENDARIO DEL POPOLO – Poeti operai

[numero monografico n. 730, maggio 2008]

Un'opera che, sebbene risalga al 2008, è sempre attuale per la forte denuncia e la profonda sofferenza espressa, oggi più che mai sentita dai lavoratori.

Nonostante sia rapita e assorta dalle mie riflessioni, odo suonare alla porta de La Mente e il Cuore, vado ad aprire.

Ciao Felice, aspettavo la tua gradita visita, prego accomodati, conosci già la strada.

Sono onorato della gentile accoglienza.

Il camino è acceso, fuori si gela ma qui il calore ammanta il nostro salotto come le nostre anime, è davvero piacevole e confortevole quest'atmosfera, non trovi?

Mi ci trovo veramente a mio agio. E' un calore particolare, tra amici di penna.

Sei una persona e uno scrittore molto conosciuto e stimato, immagino che la mia intervista non ti sorprenda…

Sinceramente un po' sì.

Allora cominciamo, ti confesso che provo una certa emozione. Cosa ti ha indotto a scrivere la tua prima poesia?

Volevo provarlo a me stesso; ma i primi tentativi sono iniziati un po' tardi, verso i 28 anni.

Quali sono stati i sentimenti e le emozioni che hai provato in quel momento e per chi?

Ero mosso da una strana spinta interiore, mai provata prima. I sentimenti che sentivo di esprimere erano dettati da un momento triste della mia vita: la perdita di mio padre.

Puoi citarla?

Veramente non ricordo un solo verso di quella poesia (se vogliamo chiamarla poesia).

Ho letto alcune tue opere ed ho notato che spesso il soggetto è l'amore, definisci questo sentimento e cosa rappresenta per te.

Vorrei definirlo con questi versi; amore come dono di sé, ma anche sacrificio e senso di giustizia.

come un bosco devastato

intristirono la tua infanzia

di pochi sogni

tra trame di tappeti e catene

ancora grida il tuo sangue nei piccoli

fratelli – il tuo sangue che lavò la terra

quel mattino che nascesti in cielo – dimmi –

chi fu a cogliere il tuo dolore adulto

per appenderlo ad una stella?

Questa splendida poesia, dal titolo Iqbal, dimostra una profonda attenzione verso i temi sociali, è un interessamento che ti rende onore.

Cosa potremmo fare, secondo te, perché il mondo sia migliore e non dimentichi nessuno?

Potremmo, e non solo a parole, immedesimarci negli altri, gli abbandonati, i derelitti, i senza tetto, i senza lavoro…preoccuparci di più di essi con opere benefiche e di volontariato, anche se le soluzioni ai problemi mondiali dovrebbero partire dall'alto…

Può la poesia rappresentare un messaggio per il nostro prossimo?

ti so dolce presenza

-tu che visitavi i giardini

del cielo- ti so

dentro di me come

un amico o un figlio

( dal brano A Carlo Acutis)

Una magnifica dedica che ci fa comprendere il tuo credo, quindi hai fede in Dio?

Il messaggio, in qualsiasi modo lo trasmetti, e specialmente nell'arte della scrittura, si può riassumere nella parola amore, come condivisione con l'altro, come fede nella vita e nella creazione, nell'essere spirituale, in Dio.

Hai mai incontrato un angelo su questa terra? In chi l'hai visto?

Un angelo non l' ho mai incontrato, ma l' ho visto nello sguardo di un mendicante all'angolo della strada, con ali invisibili e con un cane a fargli compagnia.

A quale personaggio femminile della storia o della letteratura scriveresti d'amore?

A Simone Weil, che ammiro moltissimo e la cui figura mi ha ispirato più di una poesia.

La vita è poesia, sei d'accordo?

Certamente, meravigliosa e drammatica insieme.

Ed è anche un insieme di momenti di luce ed ombra, qual è il tuo attimo impresso nella mente e nel cuore in modo particolare?

Non saprei. Ma un attimo particolare impresso nel cuore resta senz'altro il momento (tardivo) in cui ho conosciuto mia moglie, e la mia vita ha avuto una svolta.

Hai scritto una poesia a riguardo? Vuoi condividerla?

Certo. Eccola:

MOMENTO

ad Angela

[ispirata in dormiveglia il 28.10.2007, a 48 ore dal mio 66° genetliaco]

torpore:

velo di tenebra sugli occhi

mano che ti muore nella mano

ed è bellezza anche questa:

minimo ritaglio dell'eterno

Attribuisci un aggettivo o una sensazione ai quattro elementi, fuoco, terra, aria, acqua.

Mi sono interessato un po' di astrologia, anni fa. Gli elementi, in sintesi, sono la vita, l'universo: il fuoco è ardore, la terra concretezza, l'aria dispersione, l'acqua introspezione e sensibilità.

Quale di questi elementi paragoneresti a te stesso, al tuo poetare e perché?

Senza dubbio all'elemento acqua (appartengo al segno dello scorpione, acqua come elemento): sensibilità e profonda introspezione sono peculiarità del mio poetare.

Se dovessi rivolgerti ai tuoi lettori, a cuore aperto, cosa gli diresti?

Mi sento gratificato della vostra attenzione e dei vostri elogi, che non sento di meritare.

E ai giovani?

La cultura è un elemento basilare nella vita; non si finisce mai di imparare, di conoscere. Leggere sempre, non disperdersi in cose futili che lasciano il tempo che trovano.

Quanto ti ha dato la poesia?

Tanto. Da oltre quarant'anni mi dedico alla poesia, dalle prime stroncature di giudizi ad alcune affermazioni in concorsi, che mi hanno dato lo sprone dopo periodi di delusioni. Devo dire che sono stato ripagato abbondantemente. La poesia mi ha sollevato anche da alcuni periodi di depressione, quindi sono io che devo molto a lei.

A quale scrittore ti senti più vicino e perché?

Mi sento vicino, con le debite distanze, al grande Jorge Luis Borges. Un poeta surreale e visionario, i cui temi riconducono all'Enigma, all'Infinito, al chi-siamo-dove-andiamo (“… presto saprò chi sono” è un suo verso che mi affascina).

La MC ti gratifica?

Si, mi gratifica molto perché ho incontrato persone speciali con cui confrontarmi.

Cosa vorresti esprimere alla nostra redazione?

Un semplice ma grande grazie insieme a molta riconoscenza a tutto lo staff!

Felice, secondo te cosa è preferibile, amare e soffrire o non amare per non penare?

Certamente amare anche soffrendo, altrimenti la vita non avrebbe finalità né senso.

C'è davvero una netta differenza fra sogno e realtà?

No, secondo il mio sentire, non esiste una netta differenza, dal momento che ritengo la realtà nient'altro che un'apparenza (“la scena del mondo”, come dicono i Vangeli), una rappresentazione, come il sogno, appunto.

Immagina di dover partire improvvisamente, cosa porteresti con te?

La Bibbia.

Ed ora donaci un pensiero…

Ecco un pensiero di “lettura/scrittura” di un po' di tempo fa:

Capita, a volte, leggendo un brano di trovarti specchiato nella profondità di quel pensiero espresso dall'autore e di riconoscervi quanto si era agitato nella tua anima attendendo di adagiarsi sul bianco della pagina: proprio perché quel pensiero, collimando col tuo, ha reso più chiara e più forte la profondità di quella intuizione che hai colto dal tuo inconscio, esplorando gli anfratti della tua memoria sensoriale, ed affermandola nel portarla alla luce.

E' però significativo (ed è più che naturale) che ciò avviene dopo, in una verifica a posteriori, e non prima quando potresti lasciartene influenzare, col risultato di una cosa artefatta, mancante di originalità.

E' una sorta di transfert – comunicazione misteriosa e inconscia della creatività.

Traspare chiaramente dalle tue risposte, una grande personalità, pregna d'amore, d'attenzione verso il prossimo e alle problematiche sociali, arricchita da una profonda sensibilità verso la vita, i sentimenti e i valori che associ a ogni sua singola espressione.

Riconosci l'essenza del sentimento puro negli occhi di un mendicante, di chi soffre ai confini della società, per questa ragione ami la natura nella sua variegata complessità, sapendone cogliere l'attimo e il senso.

Sei un uomo saggio, raccogli nella tua anima, come gemme preziose, le esperienze altrui e ne fai frutto intrecciandole umilmente alla tue.

Hai la capacità di alleviare il dolore attraverso la poesia, sempre guidato dalla fede che ti fa corazza.

Posso affermare, con certezza, che sei un uomo e un poeta d'Amore, ed è sicuramente per questo che sei riuscito a esprimere ciò che di più bello palpita nel tuo cuore, perfettamente compreso e ammirato da coloro che hanno inteso premiare più volte, e in diverse occasioni, le tue opere, tutte d'elevato spessore emozionale, artistico e lessicale.

Come un irradiarsi di cieli

chiedere a Dio quella protezione

che il mondo non può dare

rifugiarti a quel nido dove

Egli attende come una madre

il suo piccolo perduto

nuda allo scoperto

sei creatura nata per la terra

-ma del cielo dove

sempiterna dimora

Compassione

Ringrazio di cuore Felice Serino per avermi concesso l'onore di approfondire la conoscenza del suo sconfinato spirito di uomo e poeta, astro d'un cosmo tutto da scoprire e contemplare.

Gelsomina Shayra Smaldone

….

Eccellente intervista ed eccellente Shayra! Voglio esprimere la mia riconoscenza a MC per aver permesso di farmi conoscere un po' più a fondo.

Un grande abbraccio!

Felice

Intervista splendida questa tua Shayra, che mi permette di scoprire un autore a me conosciuto solo attraverso i suoi profondi quanto interessanti e bellissimi versi e che invece ora posso “vedere” anche come persona dalle mille sfumature e prospettive di poeta. Un graze ad entrambi e complimenti!

NellAnimaMia

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Molto bella questa intervista, che sembra fatta davanti ad un camino dove scoppietta allegramente la legna che arde. Più che un'intervista una vera chiacchierata confidenziale dove Felice si apre con tanta semplicità e ci da modo di conoscere la sua persona in maniera più approfondita, visto che fino ad ora era celata dietro al suo nick ed alle sue splendide poesie. L'ho letta con moltissimo piacere e grande interesse.

Complimenti ad entrambi

Patrizia

Cara Shayra, è una bellissima intervista quella che ti ha concesso Felice. E mi fa piacere conoscere meglio la persona che si cela dietro il suo nick flymoon, perchè finora il tutto era limitato ai suoi, seppur splendidi, versi.

Complimenti ad entrambi.

Dany

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LA MENTE E IL CUORE (BLOG)

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