𝚜𝚝𝚛𝚊𝚗𝚘 𝚋𝚒𝚘𝚟𝚘𝚕𝚝𝚊

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Cinquant’anni fa, quando ho partorito per la prima volta come giovane madre, pensavo che non ci potesse essere dolore più grande, ma l’ho dimenticato presto quando ho tenuto tra le braccia il mio bellissimo bambino. L’ho chiamato Julian.Ora mi rendo conto che mi sbagliavo. Esiste un dolore più grande. L’incessante dolore di essere la madre di un giornalista pluripremiato che ha avuto il coraggio di pubblicare la verità sui crimini governativi di alto livello e sulla corruzione.

Il dolore di vedere mio figlio, che ha cercato di pubblicare importanti verità, infangato a livello globale.

Il dolore di vedere mio figlio, che ha rischiato la vita per denunciare l’ingiustizia, incastrato e privato del diritto a un giusto processo legale, più e più volte.

Il dolore di vedere un figlio sano deperire lentamente perché gli sono state negate cure mediche e sanitarie adeguate in anni e anni di detenzione.

L’angoscia di vedere mio figlio sottoposto a crudeli torture psicologiche nel tentativo di spezzare il suo immenso spirito.

L’incubo costante che venga estradato negli Stati Uniti, per poi passare il resto dei suoi giorni sepolto vivo in completo isolamento.

La paura costante che la CIA riesca a realizzare i suoi piani per assassinarlo.

L’ondata di tristezza quando ho visto il suo fragile corpo crollare esausto per un mini-ictus nell’ultima udienza a causa dello stress cronico.

Molte persone sono rimaste traumatizzate vedendo una superpotenza vendicativa che usa le sue risorse illimitate per intimorire e distruggere un singolo individuo indifeso. Desidero ringraziare tutti i cittadini per bene e solidali che protestano a livello globale contro la brutale persecuzione politica subita da Julian.

Per favore, continuate ad alzare la voce con i vostri politici fino a quando sarà l’unica cosa che sentiranno.

La sua vita è nelle vostre mani.

Christine Assange

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Luigi Ciotti (Libera): “Notizia di cui essere felici, ma le mafie non sono soltanto i loro capi”

Abbiamo appena ricordato il trentesimo anniversario dell’arresto di Totò Riina, e oggi ci arriva la bella e confortante notizia dell’arresto, dopo trent’anni di latitanza, di Matteo Messina Denaro, una notizia di cui essere felici ed è giusto, anzi doveroso, il riconoscimento alle Forze di polizia e alla Procura, che per tanti anni, con sforzo e impegno incessanti, anche a costo di sacrifici, hanno inseguito il latitante.

Ciò che però un po’ preoccupa è rivedere le stesse scene e reazioni di trent’anni fa: il clima di generale esultanza, l’unanime plauso dei politici, le congratulazioni e le dichiarazioni che parlano di “grande giorno”, di “vittoria della legalità” e via dicendo. Non vorrei si ripetessero pure gli errori commessi in seguito alla cattura di Riina, e di Provenzano. Le mafie non sono riducibili ai loro “capi”, non lo sono mai state e oggi lo sono ancora di meno, essendosi sviluppate in organizzazioni reticolari in grado di sopperire alla singola mancanza attraverso la forza del sistema. Sviluppo di cui proprio Matteo Messina Denaro è stato promotore e protagonista, traghettando Cosa Nostra dal modello militare e “stragista” di Riina a quello attuale, imprenditoriale e tecnologico capace di dominare attraverso la corruzione e il “cyber crime” riducendo al minimo l’uso delle armi.

La sua latitanza è stata accompagnata anche dalla latitanza della politica indirettamente complice di quella di Messina Denaro: la mancata costruzione, in Italia come nel mondo, di un modello sociale e economico fondato sui diritti fondamentali – la casa, il lavoro, la scuola, l’assistenza sanitaria – modello antitetico a quello predatorio che produce ingiustizie, disuguaglianze e vuoti di democrazia che sono per le mafie di tutto il mondo occasioni di profitto e di potere. Ci auguriamo che all’arresto segua una piena confessione e collaborazione con la magistratura, che il boss di Cosa Nostra sveli le tante verità nascoste, a cominciare da quelle che hanno reso possibile la sua trentennale latitanza: non si sfugge alla cattura per trent’anni se non grazie a coperture su più livelli. Occorre che queste complicità emergano, anche perché solo così tanti famigliari delle vittime di mafie che attendono giustizia e verità avrebbero parziale risarcimento al loro lungo e intollerabile strazio. La lotta alla mafia non si arresta con Matteo Messina Denaro perché l’ultima mafia è sempre la penultima, perché il codice genetico della mafia affida alla sua creatura un imperativo primario: quello di sopravvivere. Ce n’è un’altra infatti che cova, ha sempre covato. Nei cambiamenti storici che sono avvenuti, ci sono sempre delle ceneri che ardono sotto. Dunque esultiamo pure per la cattura di Messina Denaro ma nella consapevolezza che l’arresto di oggi non è la conclusione ma la continuità di un lungo percorso, di una lotta per sconfiggere le mafie fuori e dentro di noi.

Luigi Ciotti

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Sabine Réthoré, una cartografa – artista francese, ha avuto un’idea geniale che ci può aiutare a dare uno sguardo diverso: ha creato una carta intitolata «Mediterraneo senza frontiere», girando la carta geografica di 90°, con il nord situato a destra, riscrivendo i nomi di città, regioni senza tracciare i confini: «Je n’ai pas dessiné les frontières qui nous divisent, mais les milliers de routes qui nous relient.» Il risultato è sorprendente. Il Mediterraneo non è più una linea con un sopra e un sotto divisi, ma un grande lago salato con due sponde speculari. Un mondo unito con due rive che si specchiano, si attirano, si chiamano… Due sponde che in fondo nella storia sono state necessarie l’una all’altra, osmotiche anche se a volte in conflitto. Cambio di prospettiva.

(Testo di Giulia Stenghele)

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“Mi rendo conto che c'è un'enorme confusione sul problema della mafia. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione.”

Così scriveva Giuseppe Fava, giornalista “scomodo”. Un giornalista che faceva troppe domande, indagava, trovava nessi impronunciabili tra mafia, potere economico e politica. E puntava il dito contro un vero e proprio “groviglio di serpenti”.

Dirigeva Il Giornale del Sud con coraggio e spirito libero, ma i suoi articoli contro la base missilistica di Comiso, le denunce contro i boss locali, il suo non piegarsi a nessun tipo di potere, gli attirarono le ostilità dei nuovi editori che lo licenziarono. Nuovi editori che, guarda caso, erano amici dei boss mafiosi di cui Giuseppe Fava scriveva.

La sua fede nella forza del giornalismo d’inchiesta lo portò a indebitarsi per fondare un suo giornale dove poter scrivere liberamente: I Siciliani. Qui accusò pubblicamente imprenditori e politici catanesi di essere collusi con la mafia, in particolare con il boss Nitto Santapaola. Non usava mezzi termini Giuseppe Fava, ma tutto questo negli anni Ottanta nessuno lo voleva sentire. Lui però continuava a scrivere quello che nessuno voleva dire e per questo pagò un prezzo troppo alto.

I soliti noti provarono a fermarlo, cercando di comprare il suo giornale. Ma Giuseppe Fava rifiutò decisamente, pur sapendo che il suo destino, probabilmente, era ormai segnato: “Tanto, lo sai come finisce una volta o l'altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa”.

E purtroppo aveva drammaticamente ragione: Il 5 gennaio del 1984, uscito dalla redazione del suo giornale, salì in macchina. Doveva andare a teatro, ma un sicario della mafia (mandato da Nitto Santapaola, come accerterà la Corte di Cassazione nel 2003) lo uccise con cinque colpi di pistola.

Ucciso per quello che aveva avuto il coraggio di scrivere. Ennesima vittima della mafia, in un paese in cui dire la verità è sempre troppo pericoloso. Ma come scriveva Giuseppe Fava: “A che serve vivere, se non c’è coraggio di lottare?”

Oltre a essere un giornalista coraggioso Fava era anche uno scrittore, drammaturgo e saggista, e forse il modo migliore per ricordarlo è proprio attraverso i suoi tanti libri, non solo saggi sulla mafia ma anche testi teatrali e romanzi come Gente di rispetto o Prima che vi uccidano.

La farfalla della gentilezza

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Immagino come saranno contenti i professori universitari a sentire gli esponenti del governo che certificano l'inutilità di avere una laurea in tasca, tanto in Italia c'è solo lavoro per fare i camerieri, i lavapiatti, raccogliere pomodori e assistere la gente sulle spiagge.

Tanti genitori hanno sognato per i loro figli una laurea, come recitava Totò in Malafemmina: “nostro nipote è uno studente che studia, che si deve prendere una laurea e deve tenere la testa al solito posto...”.

Altri tempi, altra Italia, quando i genitori lavoravano quasi tutti, anche un solo componente per famiglia, e si mangiava benino, e si riusciva a mandare i figli a scuola, mentre li sognavano laureati, un riscatto sociale per i loro figli, per vederli realizzati nelle loro aspirazioni e non dover emigrare per un lavoro qualsiasi.

Questi nuovi personaggi che umiliano i laureati, forse perché loro hanno solo un diploma, come la Meloni, Durigon, Salvini, eppure sono sottosegretari, ministri, addirittura Presidenti del Consiglio, con una visione sul lavoro ottocentesca, immagino che per i loro figli non aspettino altro che farli assumere come camerieri e lavapiatti.

Io, certi personaggi li digerisco come le acciughe sott'olio. Mi stanno sul gozzo per tutti i privilegi dei loro parenti, dei loro figli, bravi o asini che siano e per solidarietà ai tantissimi giovani seri che hanno fatto mille sacrifici per laurearsi e avere un futuro migliore..

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Il nuovo governo Meloni sembra come l'epifania... ogni malessere porta via.

Se penso solo a due anni fa direi che Dio esiste. Che esistono i miracoli. Prima, per giornali e media (diciamo per i loro editori) 60 milioni di persone come uccellini affamati dentro il nido Italia.

Tutti con i becchi spalancati a cinguettare un tozzo di verme pur di non morire di fame. Oggi invece, giornali e media (sempre gli editori) tracciano il ritratto di un Paese contento, opulento, ridondante di positività e di lussi.

Tre quarti d'Italiani in vacanza perenne, ristoranti da prenotare un anno prima, alberghi sempre sold-out e località sciistiche dove non si vede più la neve per quanta gente c'è... Non è una novità questa.

Ne ho vissute di simili ai tempi di Berlusconi, di Renzi, di Salvini; adesso è la volta della Meloni.

C'e' sempre qualcuno che trasforma questo nostro stivale nel Paese di bengodi (fin quando gli fa comodo).

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Questo è l’ennesimo decreto immaginato per fermare il soccorso in mare. Ci hanno provato tutti, con mezzi e metodi differenti, ma l’obiettivo è sempre stato lo stesso: fermare le navi umanitarie. Perché? È questa la domanda vera che tutti dovrebbero porsi. Sappiamo che le persone arrivano sulle coste italiane prevalentemente con mezzi autonomi, dunque questa guerra scatenata contro la società civile europea che soccorre in mare non dipende da questo. Ma allora da cosa? Il punto probabilmente è che la flotta civile rappresenta un problema che va ben oltre le operazioni di soccorso che opera. È la testimone inconfutabile delle violazioni dei diritti, quotidiane e reiterate, che l’Europa compie in accordo con stati illiberali, con dittature, con regimi, ai quali peraltro continua a dare un mucchio di denaro pubblico. Il vero problema è questo.

Oscar Camps, della ong Open Arms

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Un tempo circolava l'idea che il fine della crescita economica fosse non solo per la potenza economica del Paese, ma soprattutto per il benessere dei suoi cittadini.

Quindi, il compito della politica economica era quello della piena utilizzazione delle sue risorse, prima di tutto verso il lavoro e la lotta alle diseguaglianze.

Le culture riformiste maturarono attraverso questo percorso, ed ancora oggi questo, secondo me, dovrebbe essere il discrimine tra destra e sinistra. I partiti sono da sempre soggetti collettivi di parte.

Quindi, è sbagliato operare per piacere a tutti perché esiste sempre un conflitto e bisogna decidere da che parte stare.

Se un partito vuol piacere a tutti deve difendere anche i privilegi e gli interessi già soddisfatti a scapito dei diritti e degli interessi negati.

Oggi, da una parte c'è una crescente opulenza per pochi, dall'altra una rapida caduta sempre più in basso per molti.

O si sta con gli uni, o si sta con gli altri.

Tony Judt, un intellettuale riformista americano morto prematuramente, in un libro di alcuni anni fa, scriveva: “senza idealismo, la politica si riduce ad una forma di contabilità sociale, all'amministrazione di uomini e cose. Il conservatore può sopravvivere senza problemi, ma per la sinistra è una catastrofe”.

Fiorenzo M.

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A leggere le novità sul codice degli appalti voluto da questo signore qui c’è da mettersi le mani nei capelli.

Non ci saranno più limiti ai subappalti. Aziende enormi prenderanno tutto e poi faranno partire gare a ribasso tra le aziende più piccole, dove i controlli sono carenti o assenti. In un Paese flagellato da caporalato e dove si manda anche gente di 70 anni sui cantieri, immaginate l’effetto. Poi si potranno dare appalti fino a mezzo milione di euro senza gare.

Pensate nei comuni delle Regioni infestate da mafia e camorra questo cosa possa significare. E ancora: i costi degli appalti potranno lievitare quasi liberamente. Così il brigante che si è preso l’appalto perché amico del sindaco eletto con i voti della ‘ndrina locale potrà far spendere ancora di più allo Stato. E dato che può subappaltare quanto vuole farà mangiare tutti. Siamo al disastro.

Anziché vincolare le aziende che vincono a fare il loro lavoro e farlo bene, essendo talune volte anche draconiani in questo perché le truffe son continue, si dà il liberi tutti con i soldi pubblici. È una tragedia, partirà l'assalto alla diligenza. E credetemi non c’è politicizzazione alcuna in questo giudizio ma purtroppo una drammatica verità.

(Leonardo Cecchi)

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C’è un certo infantilismo gaudente nelle battute da bar con le quali certi giornalisti di destra, sempre più a destra (poi mi fate presidente di qualcosa?), stanno commentando senza entrare nel merito, ma con battutine da bar all’angolo un po’ sporco i fatti dello schifoso Qatargate di Bruxelles.

L’occhio vispo che sprizza allegria incoscientemente adolescenziale sembra dire: “Finalmente i corrotti ce li avete anche voi. Voi che ci facevate la morale alla fine siete ugualmente corrotti”.

E si capisce il godimento da pranzo domenicale con tutta la famiglia dopo la messa, alla trattoria all’angolo in onore del dio, patria e famiglia che è l’unica cosa che spesso possono articolare a guisa di slogan d’appartenenza, ma è un godimento ingiustificato. Una eiaculazione precoce della quale ci si vanta perché si è troppo caldi.

Quei certi giornalisti di destra che godono perché finalmente anche a sinistra ci sono i corrotti dimenticano però di osservare una cosa fondamentale: a sinistra ci si vergogna dei corrotti mentre a destra il corrotto si difende e spesso, troppo spesso, lo si è candidato per salvargli le chiappe. E’ brutale scriverlo in questo modo, ma è la realtà. Dunque, e profondamente lo sanno anche quei certi giornalisti di destra che chiacchierano sempre come se fossero al bar, con lo stesso stile, c’è poco da godere. E’ uno schifo: tanto a sinistra come a destra. Ma a sinistra le candidature allegre di indagati e corrotti si sono contestate, soprattutto quando questi andavano ad avere incarichi di governo (ma a certi giornalisti di destra la memoria fa difetto, al contrario della faciloneria).

di Daniele Santi

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