𝚜𝚝𝚛𝚊𝚗𝚘 𝚋𝚒𝚘𝚟𝚘𝚕𝚝𝚊

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C’è un certo infantilismo gaudente nelle battute da bar con le quali certi giornalisti di destra, sempre più a destra (poi mi fate presidente di qualcosa?), stanno commentando senza entrare nel merito, ma con battutine da bar all’angolo un po’ sporco i fatti dello schifoso Qatargate di Bruxelles.

L’occhio vispo che sprizza allegria incoscientemente adolescenziale sembra dire: “Finalmente i corrotti ce li avete anche voi. Voi che ci facevate la morale alla fine siete ugualmente corrotti”.

E si capisce il godimento da pranzo domenicale con tutta la famiglia dopo la messa, alla trattoria all’angolo in onore del dio, patria e famiglia che è l’unica cosa che spesso possono articolare a guisa di slogan d’appartenenza, ma è un godimento ingiustificato. Una eiaculazione precoce della quale ci si vanta perché si è troppo caldi.

Quei certi giornalisti di destra che godono perché finalmente anche a sinistra ci sono i corrotti dimenticano però di osservare una cosa fondamentale: a sinistra ci si vergogna dei corrotti mentre a destra il corrotto si difende e spesso, troppo spesso, lo si è candidato per salvargli le chiappe. E’ brutale scriverlo in questo modo, ma è la realtà. Dunque, e profondamente lo sanno anche quei certi giornalisti di destra che chiacchierano sempre come se fossero al bar, con lo stesso stile, c’è poco da godere. E’ uno schifo: tanto a sinistra come a destra. Ma a sinistra le candidature allegre di indagati e corrotti si sono contestate, soprattutto quando questi andavano ad avere incarichi di governo (ma a certi giornalisti di destra la memoria fa difetto, al contrario della faciloneria).

di Daniele Santi

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Come temevamo all'indomani del suo giuramento come ministro, CarloNordio conferma la volontà del Governo guidato da GiorgiaMeloni di riformare la giustizia nel senso auspicato sin dal 1994 da Silvio Berlusconi. Vale a dire impunità per i potenti e repressione per i deboli.

La limitazione delle intercettazioni, anche per mafia, le misure cautelari da togliere ai giudici per le indagini preliminari, il depotenziamento delle norme contro i corrotti (già ridicole di per sé), la definitiva abolizione dell'abuso d'ufficio (già pesantemente limitato nel 2020 per contrastare “la paura della firma”). Per non parlare di ventilate riforme della Costituzione, già applaudite da pezzi dell'opposizione oramai indistinguibili dalla maggioranza sul tema.

Un menu già visto, cui ha preparato il terreno la pessima riforma della giustizia Cartabia, con annesso bavaglio ai giornalisti (e anche a noi ricercatori), passata nel silenzio assoluto delle oggi opposizioni, le quali dovrebbero fare barricate e invece strizzano l'occhio alla maggioranza in nome del “senso di responsabilità”.

E' evidente come si voglia impedire alla magistratura di colpire quei comitati d'affari che sono pronti a trasformare i fondi del Pnrr nell'ennesima occasione di arricchimento privato, anziché di rilancio del nostro Paese.

Per quel poco che possiamo, continueremo a difendere l'indipendenza della magistratura e a denunciare questo clima da restaurazione, soprattutto in ambito antimafia. Se vogliono ridurre la lotta alla mafia a uno sventolio inutile di santini agli anniversari delle Stragi, sappiano Lor Signori che noi non ci stiamo.

P.S. Al Ministro che dice che vigilerà sulle violazioni del segreto istruttorio, ricordiamo, in caso non lo sapesse, che questo è stato abolito nel 1989, sostituito dal segreto investigativo. E meno male che faceva il pm fino a qualche anno fa...

Nicola Cava

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Aveva ragione lui, e loro torto. Non lo dice qualche “pericoloso virologo” ma nientemeno che la Corte Costituzionale, che ieri ha stabilito la totale e assoluta legittimità dell’obbligo vaccinale introdotto dall’allora ministro della Salute Speranza. Per due anni lo hanno massacrato, infangato, delegittimato, minacciato, usato come capro espiatorio di una emergenza mondiale. Ma gli è andata male, malissimo. E oggi, giustamente, Speranza si toglie tutti i sassolini, con garbo e senso delle istituzioni. “Non ho mai avuto dubbi sul nostro operato. La sentenza della Corte, che rispetto e che leggerò con grandissima attenzione, riconosce la razionalità delle scelte che son state fatte, ispirate sempre dal principio della difesa del diritto alla salute delle persone, seguendo l'evidenza scientifica”. Oggi più che mai, orgoglioso di averlo sostenuto quando non era comodo né popolare. Quanto a voi, se vi è rimasta un briciolo di dignità, adesso chiedete scusa a quest’uomo (anche se non succederà mai). E vergognatevi.

Lorenzo Tosa

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Non oggi. Non domani. Dopodomani. 3 giorni.

Nel 2022 in Italia ogni tre giorni c’è stato un femminicidio. 104 dal primo gennaio. A questo ritmo se ne aggiungeranno altre 12 al 31 dicembre.

9 volte su 10 l’autore del delitto è nella cerchia relazionale più intima, che sia parente, amico, compagno.

Ad oggi, 2 casi su 3 di violenza fisica o psicologica non viene denunciato, per paura di tante cose: l’indifferenza, le leggi interpretate male che fanno sentire indifese le denuncianti, la burocrazia e, forse la decisione più dolorosa, il disagio sociale nel denunciare.

Quando nel 1999 le Nazioni Unite istituirono questa giornata definirono violenza contro le donne qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata. Una donna intelligente ha milioni di nemici: tutti gli uomini stupidi.

Marie Von Ebner Eschenbach

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Enock Rodrigue Envolo ha 48 anni, è un medico. Un bravo medico, uno di quelli con la vocazione.

Nato in Camerun, laureato in Medicina alla Sapienza, un curriculum di tutto rispetto. Eppure per qualcuno non è abbastanza.

Quando il dottor Envolo ha preso il posto del medico di base andato in pensione, gli abitanti di Fagnano Olona, Varese (non tutti per fortuna, ma troppi) lo hanno accolto con ignobili insulti razzisti, rifiutando di farsi curare da lui, un africano.

“Che ci fa qui questo?

Ci vuole gente che ha studiato. Dovrebbe andare a far pascolare le pecore”.

La sua risposta è stata di grande dignità ma anche (comprensibile) rassegnazione, al punto da dichiararsi pronto a rinunciare al lavoro.

“Sono qui per curare e mettermi a servizio della comunità. Se non mi vogliono, sono già pronto a chiedere di lavorare altrove. Il mio mestiere è curare le persone”.

E invece no, non è lui a doversene andare ma gente che, nel 2022, non si fa curare da un medico perché nero e africano. Che vadano loro a farsi curare altrove.

Solidarietà totale al dottor Envolo, con l’invito a ripensarci.

Il Sistema sanitario nazionale ha bisogno oggi più che mai di persone e medici come lui.

È di miserabili razzisti che proprio non sappiamo che farcene.

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Straordinaria ieri sera, a Otto e mezzo, Cecilia Strada.

Ha elencato numeri, fornito dati, ricordato sentenze, citato leggi, evocato diritti e doveri del mare: il risultato è un intervento memorabile che sarebbe da mostrare in loop a ogni parlamentare, ministro, sottosegretario di ogni ordine, grado e schieramento politico.

“Sono sei anni. Sei anni di indagini sulle organizzazioni di soccorso. Tutte quelle che sono arrivate a dei gradi di giudizio hanno detto che avevano ragione le navi ong ad agire come agivano, che non c’è stato alcun favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che non ci sono stati accordi con gli scafisti, e che avevano ragione i comandanti delle navi ad aver agito come hanno agito. Ma ci sono anche 5 anni di dati sul pull factor raccolti non dalle navi di soccorso, ma da istituti di ricerca come l’ISPI, che dimostrano che non esiste questo legame. Partono indipendentemente dalla presenza delle navi di soccorso.

Possiamo essere in disaccordo sulla visione generale di come si gestiscono i flussi migratori e l’accoglienza, ma non si può continuare a prendersela con le navi di soccorso, accusate di ogni crimine possibile e immaginabile mentre stanno a riempire un vuoto statale e saremmo più che felici se fossero gli Stati a riprendere una Mare Nostrum e a salvare la gente che annega in mare.

Perché salvare la gente è un atto umanitario. Perché è la politica quella che, non risolvendo la gestione dei flussi migratori, spinge la gente a rischiare la vita in mare.

Noi siamo in mare facendo grandissima fatica per salvare quattro cristiani. Porca miseria, fateci salvare quattro cristiani senza riempirci di calunnie”.

Grandissima.

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C’è un uomo che, più di tutti, la nuova destra di governo ha deciso di utilizzare come capro espiatorio, di sventolarne lo scalpo, di provare a distruggere.

Si chiama Roberto Speranza, il ministro della Salute che, per quasi tre anni, ha fronteggiato la più grande emergenza sanitaria della storia repubblicana.

Lo ha fatto con disciplina e onore, perdendoci il sonno, la salute a sua volta, mettendoci la faccia, facendo scelte spesso impopolari ma necessarie come il primo lockdown, che poi praticamente tutta Europa ha seguito a ruota, facendo dell’Italia – una volta tanto – un modello da seguire, commettendo errori, certo (chi non li avrebbe fatti in una situazione simile?) ma mettendo sempre davanti a tutto la Scienza come unica stella polare.

E, mentre faceva tutto questo, teneva anche la barra dritta sulle conquiste civili di questo Paese, puntellando la legge sull’aborto con le nuove linee guida sulla 194 contro le regioni di quella stessa destra che vorrebbe smantellarla.

Oggi il governo Meloni annuncia una commissione speciale d’inchiesta sulla pandemia. Ufficialmente per fare chiarezza su ciò che non ha funzionato, in realtà non è che uno squallido killeraggio mediatico e propagandistico con mezzi politici e istituzionali, una gogna pubblica nei confronti di una persona che ha salvato la vita a centinaia di migliaia di persone con le sue scelte, mentre altri nel mondo – spesso i sovranisti tanto cari a Meloni & C. – li mandavano a morire come bestie.

In un Paese civile, a uno così bisognerebbe fare un monumento. Qui da noi diventa il nemico da abbattere, il bersaglio da colpire per strizzare l’occhio ai fanatici no-tutto.

Lo voglio dire qui, ancora una volta, soprattutto oggi che non è comodo: giù le mani da Roberto Speranza, uno dei ministri migliori che abbiamo avuto nel pieno della tempesta perfetta.

Solidarietà assoluta e totale. Siamo in tanti con te.

Lorenzo Tosa

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immagine    Anche oggi sento tanti che parlano di una “donna che si è fatta da sola” e che quindi, per questo, va ammirata. E sbaglio io e tanti come me a non applaudire.

Non sono di questa opinione. C’è il rispetto umano, il rispetto del voto democratico (e ci mancherebbe). Ma non quello politico. E non c’è ammirazione.

E non per le idee (ripeto, siamo in democrazia). Ma per come la Meloni è passata da 3 al 26%.

Dal 2011, la Meloni ha scientificamente seguito una strategia che per chi non ha scrupoli politici funziona sempre: andare contro tutto e tutti, sottrarsi ad ogni minima responsabilità, attaccare, ferocemente – e mi si consenta anche in maniera molto bassa – gli avversari anche quando questi stavano cercando di gestire un’emergenza che non si era mai vista prima, qui facendo di tanto in tanto anche qualche sgambetto mentre nel Paese le ambulanze correvano su e giù e si doveva schierare l’esercito per portare via i morti.

Un consenso costruito sempre “contro”, con miliardi di “no” urlati, gridati in faccia alla gente per un decennio. Senza uno straccio di idea. E ancora: un consenso costruito in tante zone imbarcando gente che – fatti di cronaca alla mano, anche recenti – è finita agli arresti per mafia. Un consenso costruito solleticando le frange più estreme del Paese, a volte anche diffondendo fake news.

Scusatemi, abbiate pazienza, chi mi conosce sa che non sono “sguaiato” nei modi. Ma no, non ho rispetto politico né ammirazione per chi è arrivato a governare in questo modo. E chiamatelo “rosicamento”, chiamatelo come vi pare, ma l’ammirazione c’è quando i voti li prendi su cose concrete, non gridando per dieci anni di fila.

Leonardo Cecchi 

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I veneti hanno sempre bramato l’autonomia. Un desiderio intenso, profondo, ancestrale, che ha un origine quasi antropologica. Purtroppo, sono sempre stati sedotti dalla narrazione leghista, anche quando essa era mendace, o quanto meno fumosa. Zaia riuscì a vendere pane vecchio, ammuffito, raffermo, come fosse un cesto di aragoste fresche. “Votando si al referendum sull’autonomia, il 90% delle tasse dovrà rimanere in Veneto”, disse. Una balla colossale, alla quale i Veneti credettero, visto che Zaia li illuse che i schei sarebbero rimasti a palate qui da noi, andando in massa a votare un referendum, che, come si vede a 5 anni di distanza, visti i risultati, era in realtà un gigantesco spot elettorale per Zaia stesso.

Perché era una balla? Perché l’autonomia differenziata, di cui ancora si discute, non è il federalismo fiscale. Se il federalismo fiscale prevede che le risorse prodotte da un territorio, rimangano nel territorio, l’autonomia differenziata prevede che alcune competenze (23 per la legge) si spostino da Roma a Venezia, a parità di spese storiche. Cosa vuol dire? Niente schei. Altro che il 90% delle tasse rimarranno in Veneto. Se, ad esempio, ci fosse l’autonomia, le scuole pubbliche venete avrebbero le stesse identiche risorse di adesso, con la sola differenza che a decidere non sarebbe Roma, ma Venezia. Così i programmi e la gestione del personale sarebbero in mano alla Donazzan, una che diceva che una persona transessuale è un demonio e che aveva portato a scuola la festa della famiglia tradizionale. Una garanzia di progresso.

Trasformerebbero la scuola come hanno trasformato la sanità? Con i contratti dei professori esternalizzati alle cooperative di turno, come nelle case di riposo? Non lo sappiamo, l’unica verità, nascosta dalla narrazione zaiana e dalla promessa di una marea di schei che ci avrebbe inondato, è che di schei non ne arriverebbero. Si sostituirebbe un centralismo romano, con un centralismo veneziano. Tutto il potere a Zaia, che con la gestione della sanità, la realtà insegna, non è stato esattamente un mago. Forse, è stato più uno stregone.

I veneti, a quanto pare dai sondaggi, hanno smesso di credere nella Lega ex Nord. Un terremoto, visto che la Lega è data al 14% e nel 2019 alle europee in Veneto prese quasi il 50%. Fratelli d’Italia sarà il primo partito al 30%, nel 2018 aveva preso il 4%. Evidentemente Fratelli d’Italia si è espressa a favore dell’autonomia. Se la Lega era per l’indipendenza ed è diventata nazionalista, Fratelli d’Italia era nazionalista ed è diventata autonomista. Sono i catch all party, i partiti piglia tutto: per vincere bisogna accontentare tutti, bellezza. Però Crosetto, quello che conta di più dopo la Meloni nel partito, ha detto: “L’autonomia dopo la crisi e il Presidenzialismo”. Considerando che per il Presidenzialismo ci vuole un iter di riforma costituzionale, una cosa lunghissima, è come dire “l’autonomia può aspettare”. Allora, i veneti si sono stancati della Lega o dell’autonomia?

Carlo Cunegato

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È evidente che a Giorgia Meloni non conviene vincere le elezioni. Sulla carta ha l'occasione della vita. È la prima aspirante donna-premier che può sfondare il tetto di cristallo. Guida un partito di destra dura e pura che non ha mai gestito nulla, a parte i convegni di Atreju. Ha il pieno comando della sua sgangherata coalizione. Ha già fatto la ministra in uno dei peggiori esecutivi della Repubblica ma agli italiani piace perché risulta ugualmente “nuova”.

In teoria, le condizioni per raccogliere con entusiasmo questa sfida ci sono tutte. Ma in pratica, chi glielo fa fare questo battesimo del fuoco a Palazzo Chigi, in una delle ore più buie della Storia? Dopo aver festeggiato il probabile plebiscito nelle urne, che speranze ha di salvare davvero l'Italia, tra la minaccia neo-imperiale di Putin e la crisi del gas, una famiglia su tre che non può pagare le bollette e 120 mila imprese che rischiano la chiusura, l'inflazione al 9 per cento e la Bce che alza i tassi di interesse?

Con questo intero gregge di mucche in corridoio, si capisce che qualche Fratello d'Italia cominci a mettere già le mani avanti e a fantasticare un'altra volta di “unità nazionale” e di “governo dei migliori”, per vedere di nascosto l'effetto che fa. Guido Crosetto, in una destra drammaticamente povera di classe dirigente, non è uno qualunque: se si spinge a dire che «Giorgia non arriverà alla guida del Paese per fare la donna sola al comando» e che «per il bene dell'Italia chiamerebbe Letta senza nessuna esitazione, così come Conte o Calenda», qualcosa dietro ci dovrà pur essere.

Basta sentire il video-spot che la stessa Meloni ha diffuso giovedì scorso, intitolato “Pronti a intervenire sul costo dell'energia – Le nostre proposte”. Dura tre minuti e 28. Il tono è grave, composto, mai polemico. E le proposte vanno dal tetto europeo al prezzo del gas al “decoupling” tra prezzo del metano e delle altre fonti energetiche, dalla tassazione degli extraprofitti ai crediti d'imposta per le imprese gasivore.

Draghismo in purezza. La prima cosa che viene da dire è: troppo comodo chiedere aiuto al premier uscente, o magari persino ai leader del campo avverso, adesso che i “patrioti” stanno per entrare nella stanza dei bottoni e invece delle verdi vallate vedono la morte nera. A cosa prelude, tanto senso di responsabilità e tanta “gravitas istituzionale”? È solo maturità politica o c'è dell'altro? Dovrà spiegarcelo la Sorella d'Italia in persona, meglio se prima del voto.

Dovrà chiarire perché, lei che voleva far firmare un “patto anti-inciucio” agli alleati Salvini e Berlusconi, ora è disponibile alle “larghe intese” nella nuova legislatura, dopo averle combattute dall'opposizione in quella vecchia.

Soprattutto, dovrà dirci se a presiedere un eventuale governo giallo-rosso-nero-verde sarebbe lei, o se invece affiderebbe il compito a un “Draghi di destra”. Ben sapendo che in questa tribolata Italietta di Draghi di destra, come del resto di “Draghi di sinistra”, ce n'è uno solo: è Draghi stesso.

Massimo Giannini L'editoriale (La Stampa)

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