𝚜𝚝𝚛𝚊𝚗𝚘 𝚋𝚒𝚘𝚟𝚘𝚕𝚝𝚊

immagine

Anche nelle «bolle» più omogenee si trova un disorientamento diffuso su se e per chi votare il 25 settembre. Ma l'urgenza è avere il coraggio di affrontare il problema storico della ricostruzione sociale e politica del campo di battaglia

Tu voti il 25 settembre? E per chi voti? Un rompicapo si aggira anche nelle «bolle» più omogenee della sinistra radicale. Un disorientamento diffuso in modo anomalo, anche tra militanti di lungo corso. 

Sui social network non mancano toni feroci e accuse di tradimento tra compagni di una vita, seppur a dire il vero sempre meno appassionanti. Il disorientamento è più alto del solito ma l’entusiasmo sembra in effetti ai minimi storici. Del resto non ci si può sorprendere: da quasi un quindicennio non esiste una vera e propria sinistra politica in Italia e alla vigilia di ogni tornata elettorale nascono nuove liste della sinistra radicale destinate a sciogliersi di lì a pochi mesi, mentre i movimenti sociali esplosi negli ultimi anni non sono riusciti a radicarsi e a incidere sullo scenario politico. Le persone di sinistra si ritrovano così a essere chiamate a votare in «un paese senza sinistra». 

La scomparsa del «voto utile»

Nella Seconda Repubblica, dopo la fine del Pci e la nascita del Pds-Ds-Pd e di Rifondazione comunista, c’è sempre stata una sostanziale divisione tra «due sinistre» – una moderata e liberale, l’altra radicale e comunista –, con tradizionali spaccature nei momenti elettorali attorno a un dilemma: accettare o meno di sottomettersi al Centrosinistra liberista per un «voto utile» a battere la destra nei collegi uninominali. Negli ultimi dieci anni per chi vota e fa attivismo a sinistra la scelta al momento del voto è divenuta peró più complessa, con la conseguente moltiplicazione delle spaccature in varie direzioni.   

Questa tornata elettorale propone l’ormai tradizionale nascita lampo di due nuove liste della sinistra radicale: l’Alleanza Verdi-Sinistra, che mette insieme i Verdi di Angelo Bonelli e Sinistra italiana di Nicola Fratoianni nel tentativo di superare lo sbarramento del 3% nella quota proporzionale, e Unione popolare di Luigi De Magistris, che con la leadership dell’ex sindaco di Napoli unisce Rifondazione comunista, Potere al popolo e altre formazioni della sinistra anticapitalista. 

Nell’anno del centenario della Marcia su Roma e con i sondaggi che danno vincente l’estrema destra postfascista di Giorgia Meloni, a sorpresa però è di fatto scomparso il «voto utile» per battere la destra. Dopo decenni in cui alla sinistra radicale è stato proposto di unirsi perfino con Clemente Mastella pur di battere Berlusconi – anche se poi spesso il Pd è finito a governare insieme alla destra in vari esecutivi di «unità nazionale» – questa volta il Partito democratico ha deciso che la priorità era un’altra: escludere dal fronte comune il Movimento cinque stelle, reo di lesa maestà per essere timidamente uscito dall’aula durante un voto di fiducia al Governo Draghi.

Così il voto alla cosiddetta coalizione progressista, ulteriormente indebolita dalla pittoresca fuoriuscita di Carlo Calenda, a conti fatti è percepito come poco efficace non solo a battere la destra ma anche a cercare di non farla stravincere nei collegi uninominali. Pur tenuto in vita artificialmente da Enrico Letta nella retorica elettorale, il «voto utile» appare così un argomento sbiadito e poco realistico.

Si tratta di una situazione inedita che rischia di far aumentare ancora l’astensione in un’elezione con un esito ritenuto dai più scontato. Ma che avrebbe, sul piano teorico, potuto aprire spazi nuovi per una sinistra radicale per una volta libera dall’eterno ricatto di doversi alleare con chi propone politiche liberiste per non subire la beffa di essere accusata di far vincere la destra.

L’Italia non è la Francia

In questo contesto inedito si poteva effettivamente ritenere possibile pensare di cambiare la geometria politica degli ultimi anni guardando al modello delle recenti elezioni francesi, dove il blocco liberale è rappresentato ormai compiutamente da Emmanuel Macron, l’estrema destra da Marine Le Pen e un nuovo ampio blocco di sinistra si è coagulato intorno a Jean-Luc Mélenchon. Un modello che secondo alcuni si sarebbe potuto emulare formando un terzo polo oltre al Pd e alla destra, con una coalizione tra il Movimento cinque stelle, Sinistra Italiana e Unione popolare.

Una coalizione certo improvvisata e che non avrebbe aumentato con questa legge elettorale le chance di battere la destra, ma che avrebbe potuto rappresentare una novità, attrarre qualche voto destinato all’astensione e soprattutto competere in modo credibile con il Partito democratico provando a sottrarre il sostanziale monopolio della rappresentanza a sinistra a un Pd sempre più legato agli interessi dell’establishment politico ed economico del paese. 

Se non abbiamo uno scenario alla francese non è però semplicemente per scelte miopi o opportuniste dei vari leader. I momenti elettorali non si costruiscono artificialmente o importando modelli dall’estero, come già visto con la lista Tsipras. Sono piuttosto delle fotografie dei conflitti sociali e dei processi politici messi in moto negli anni precedenti. In Italia in questi anni non c’è stato nulla di paragonabile alla spinta che ha rappresentato il movimento dei Gilets Jaunes francese e nemmeno un crescendo di scioperi come quelli esplosi di fronte alla riforma delle pensioni del governo Macron. I rapporti di forza in cui siamo immersi, le culture politiche sedimentate e il modo concreto con cui si sono costruiti i partiti di cui parliamo rendevano di fatto poco credibile uno scenario francese in salsa italiana.

Il Movimento cinque stelle, la lista più rilevante dell’eventuale coalizione, è stato del resto sospinto a sinistra più dalle scelte degli altri che dalle proprie: prima dalla rottura di Matteo Salvini con il primo Governo Conte e poi dalla decisione del Pd di far saltare in aria la cosiddetta alleanza giallo-rossa per dimostrarsi più draghiani dello stesso Mario Draghi. Una coalizione con Sinistra italiana e Unione popolare avrebbe minato la storica identità grillina racchiusa nel motto «né di destra né di sinistra», portata avanti concretamente nelle scelte di governo degli ultimi cinque anni che hanno messo insieme il Reddito di cittadinanza e il blocco dei licenziamenti durante la pandemia con giustizialismo, retoriche securitarie e guerra alle Ong che soccorrono i migranti in mare. 

Sinistra italiana avrebbe dovuto rinunciare alla propria decennale e imperterrita strategia di costruire la sinistra del Centrosinistra, nonché mettere a rischio la propria presenza in tante amministrazioni locali in coalizione con il Pd. Il tutto per legarsi a colui che è stato il capo del Governo dei decreti sicurezza di Salvini. 

La neonata Unione popolare – unica lista ad aver proposto la coalizione seppur con varie resistenze al proprio interno – non aveva i rapporti di forza per rendere appetibile la proposta ai potenziali alleati. Rapporti di forza non modificati dalla – tanto invocata in questi anni quanto alla fine un po’ tardiva – discesa in campo a livello nazionale di Luigi De Magistris. 

Il rompicapo per chi vota a sinistra

Stando così le cose, chi vota e fa attivismo nella sinistra radicale si trova di fronte ad almeno quattro scelte, tutte con una propria comprensibile motivazione ma con non poche contraddizioni e un’intrinseca debolezza.

Alcune e alcuni, pur distanti dalle scelte draghiane del Partito democratico, si orientano a votare la lista di Sinistra italiana e Verdi, attratti soprattutto da candidati significativi per le loro battaglie sociali e civili come Aboubakar Soumahoro e Ilaria Cucchi. L’obiettivo è provare almeno a eleggere qualche persona di sinistra nel prossimo parlamento, seppur con la contraddizione di finire per sostenere una coalizione a guida liberista che è riuscita nel capolavoro di essere disomogenea nei contenuti e nei candidati – dal custode dell’austerity Carlo Cottarelli al sindacalista Aboubakar Soumahoro – senza rappresentare comunque un «voto utile» per battere l’estrema destra di Giorgia Meloni.

Altre e altri si orientano a votare il Movimento cinque stelle in quanto unica formazione che porta avanti istanze sociali come il Reddito di cittadinanza e il Salario minimo in grado di arrivare in doppia cifra, quindi di pesare politicamente e dare uno smacco al Pd. Una scelta dettata anche da una reazione per gli attacchi subiti da Giuseppe Conte dai più solerti sostenitori di Draghi ma con la contraddizione di votare un partito esplicitamente non di sinistra e soprattutto protagonista di tutti i governi succedutisi nell’ultima legislatura.

Con l’intento di non rinunciare a votare una sinistra alla sinistra del Pd, altre e altri ancora si orientano a sostenere Unione popolare. Una lista più generosa, con candidati privi dei «seggi sicuri» trattati preliminarmente dalle altre due forze politiche, su cui però pesa l’eredità dei continui fallimenti di liste simili improvvisate a ridosso del voto nell’ultimo decennio e che potrebbe sciogliersi come neve al sole il giorno dopo il voto se non dovesse eleggere nessuno.

C’è infine chi, magari per la prima volta, pensa di astenersi rifiutando di votare progetti politici non convincenti o ritenuti inefficaci per ricostruire una sinistra radicale. Si sa, però, che chi non vota rinuncia a decidere chi viene eletto e chi governa, seppur questa volta il dato dell’astensione potrebbe essere così macroscopico da non poter essere eluso da nessuna seria analisi elettorale.   

L’urgenza

Proprio la possibile astensione record potrebbe far uscire fuori un governo con un’ampia maggioranza parlamentare ma dentro un’obiettiva minoranza sociale nel paese. Con l’aggiunta che nessuna forza politica, nemmeno quella di Giorgia Meloni, può dirsi sicura della propria rendita di posizione oltre il brevissimo termine. Le oscillazioni dei consensi elettorali nelle elezioni degli ultimi dieci anni sono state del resto senza precedenti nella storia della Prima e della Seconda Repubblica: alle europee del 2019 la Lega prese il 34% ed è ora accreditata nei sondaggi intorno al 12%; Il Movimento cinque stelle alle ultime politiche del 2018 ha raccolto il 32% e ora si accontenta di superare bene il 10%; Il Partito democratico con Matteo Renzi alle europee del 2014 arrivò al 40% e ora è accreditato del 20%; Fratelli d’Italia alle scorse elezioni politiche ottenne il 4% e stavolta potrebbe arrivare a superare il 25%.

Sono consensi labili, pronti a fuggir via e posarsi altrove velocemente, frutto dell’assenza di radicamento delle forze politiche e, dopo la crisi economica del 2008, di una profonda crisi di consenso per le politiche liberiste che con pochi distinguo portano tutte avanti. Questa volatilità dei consensi, mescolata a un’astensione sempre più di massa, costringe in ogni caso chi governa a non dormire sonni tranquilli. Seppur, nel paese senza sinistra, a mancare è sempre un’alternativa antiliberista convincente.

Il vero rompicapo per chi vuole ricostruire una sinistra radicale dovrebbe essere allora come trasformare questa distanza dalle attuali forze politiche in un’opposizione sociale in grado di affrontare le politiche autoritarie, omofobe e razziste di un possibile governo a guida Meloni e di creare una convergenza sociale e politica antiliberista ed ecologista a partire da alcuni temi cruciali che saranno sul piatto dal giorno dopo, nel pieno di un’inflazione galoppante, di una crisi climatica sempre più grave, di un’emergenza energetica alle porte, di una crisi sanitaria costante e di una fase di guerra che non accenna a finire.

Occorre convergere per andare «fuori dall’emergenza e dentro l’urgenza», come suggerisce il Collettivo di fabbrica della Gkn. Ma è fondamentale capire chi, come e perché converge. L’urgenza è incidere sui rapporti di forza sociali per poter cambiare la situazione politica in cui ci ritroviamo, costruendo una convergenza tra movimenti e lotte sociali in grado di ottenere risultati, ricostruire legami sociali di classe e anche di porsi il problema di incidere sul terreno della narrazione politica.

La campagna elettorale è da questo punto di vista un’opportunità per veicolare contenuti con cui sfidare lo status quo, come fa ad esempio il movimento Fridays for future con «l’agenda climatica» che lancia il climate strike del 23 settembre, proprio alla vigilia del voto. Ma occorre mettere in secondo piano le eterne discussioni di tattica e di leadership e smettere di eludere il problema storico che abbiamo di fronte: la fine del movimento operaio per come l’abbiamo conosciuto nel Novecento e la necessità di ricostruire i linguaggi e i legami sociali necessari a ritracciare il campo di battaglia.

Compito sul quale, a ben vedere, non hanno dato finora risposte efficaci nemmeno le varie esperienze politiche tentate invano di emulare nel nostro paese: dalla Syriza di Alexis Tsipras alla Podemos di Pablo Iglesias, dal Labour party di Jeremy Corbyn alle liste dello stesso Mélenchon. Anche tutte queste forze politiche hanno del resto subìto enormi oscillazioni di consenso elettorale scontrandosi in alcuni casi sulla contraddizione del governo di paesi a capitalismo avanzato e non riuscendo a costruire i necessari addentellati sociali e un’idea credibile di trasformazione radicale dell’esistente.

Per uscire dal pantano prolungato in cui è ferma la sinistra radicale, le nostre energie intellettuali e militanti dovrebbero concentrarsi su come trasformare la lampante crisi di consenso del liberismo in un incontro tra una nuova idea di trasformazione radicale e una nuova convergenza sociale efficace. A prescindere da come risolveremo il rompicapo del 25 settembre.

Giulio Calella – via | https://jacobinitalia.it

HomeIdentità Digitale Sono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit

immagine

Sì, certo che si può cuocere la pasta spegnendo il gas qualche minuto prima. Funziona. Cioè, perché non dovrebbe funzionare? E perché dovrebbe influire sulla qualità della pasta? Impiega un paio di minuti in più, ma non cambia nulla nella vostra giornata. Basta stare due minuti di meno su Instagram o su Pornhub.

Ci mettete il coperchio per non far disperdere il calore, dopo un paio di minuti maneggiate con il cucchiaio per non farla appiccicare, e la assaggiate per sentire quando è cotta. Esattamente come fareste con il fornello acceso. Voglio dire, non è un sistema complesso, dai.

Se vi stupite e vi indignate così di questa piccola tecnica, evidentemente non avete mai avuto DAVVERO bisogno di risparmiare sulle bollette, altrimenti di trucchi così ve ne sarebbero venuti in mente un milione. E ce ne sono un milione, eh, solo che non vi vengono in mente per un motivo ben preciso. Ci arriviamo per gradi.

Fatevi questa domanda: quando i problemi energetici saranno risolti, il prossimo anno, o tra cinque anni, dieci anni, boh, sarete cambiati? Secondo voi avrete imparato a sprecare di meno? La risposta è: no.

Appena tornerete in condizioni di abbondanza, con dei super pannelli solari, o con una super centrale nucleare, o ricreando i dinosauri per sfruttare il loro biogas, vi assicuro che ricomincerete a consumare come prima. Questo simpatico inverno non lo prenderete come una preziosa lezione di economia domestica, ma solo come una fastidiosa pausa. Non imparerete nulla, ma non perché siete scemi, o cattivi: è solo che non volete sentirvi poveri.

La preoccupazione, l'attenzione, la dedizione a ottimizzare ogni gesto per non sprecare – che è una cosa dignitosa, ma soprattutto intelligente – nella vostra testa è una cosa da poveri. Queste cose le fanno i poracci, i disagiati. E voi non volete sentirvi poracci, ma proprio per nessuna ragione al mondo. Lavorate, pagate le tasse, e porco cane avete il diritto di consumare le risorse di questo mondo come cavolo vi pare, dico bene?

Meglio un comportamento irragionevolmente sprecone che un comportamento da poveri.

Quando De Gasperi nel 1947 volò negli USA, i giornalisti notarono che in hotel lui e sua figlia, quando non erano in una stanza, spegnevano le luci, come avrebbero fatto a casa loro. I giornali ne parlarono. Ma cosa spegni le luci? Sei in America, sei in hotel, mica devi pagare la bolletta, mica è casa tua.

Che comportamento da poveri italiani, pensavano.

Ma De Gasperi non era povero, non era scemo, e soprattutto – in un senso che forse dopo 80 anni cominciate appena a capire, e che puntualmente dimenticherete – era a casa sua.

DIO

HomeIdentità Digitale Sono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit

immagine

Giorgia Meloni continua a ripetere da settimane che i suoi avversari politici la attaccano a causa delle ideologie e dei preconcetti e non delle sue proposte, danneggiando a suo modo di vedere tutta l’Italia. Dunque, leggere il programma elettorale della coalizione di centrodestra dovrebbe fugare ogni dubbio e far capire meglio agli italiani che tipo di Paese avremmo in caso di vittoria, assai probabile, di Meloni e alleati alle elezioni del 25 settembre. Dopo aver analizzato il documento dalla prima all’ultima pagina, la prospettiva in effetti è piuttosto chiara: il programma è perfetto, se puntiamo ad avere i diritti civili dell’Ungheria e l’economia del Venezuela.

Il testo si intitola Per l’Italia ed è composto da quindici paragrafi. Già dal primo sembra scritto più per essere letto dall’establishment straniero che dagli elettori. Si apre infatti con la politica internazionale: atlantismo, sostegno totale all’Ucraina e addirittura accenni di orgoglio europeista. Concetti che stonano con la storia dello stesso centrodestra, considerando che i riferimenti politici e culturali di Salvini e Meloni sono Orbán e Bannon e che per anni hanno dipinto Bruxelles come un covo di mostri. Anche sull’Ucraina e la Russia iniziano già a esserci le prime crepe, con Salvini a chiedere di togliere le sanzioni a Mosca e Meloni contraria. Come sappiamo, la Lega ha firmato un accordo politico con Russia Unita di Putin ed è ancora coinvolta in vicende poco trasparenti, con indagini in corso per finanziamenti e rubli sospetti al vaglio della magistratura. Meloni ha invece il sostegno della cricca repubblicana statunitense, riallacciandosi all’infinito – e oggi anacronistico – maccartismo, che al tempo portò anche il suo padrino Giorgio Almirante ad appoggiarsi alla galassia yankee. L’unico punto del paragrafo che mette d’accordo Salvini e Meloni è l’ultimo, che recita: “Difesa e promozione delle radici e identità storiche e culturali classiche e giudaico-cristiane dell’Europa”. Curioso, essendo l’Italia uno Stato laico.

 immagine

Nel secondo paragrafo si parla dei fondi del PNRR. Tirando le somme sulle votazioni tra Bruxelles e il Parlamento italiano per assegnare i fondi europei all’Italia, il partito di Meloni si è astenuto quattro volte, quello di Salvini due, mentre nel programma c’è scritto “Pieno utilizzo delle risorse del PNRR”. Per mascherare questa ipocrisia, il paragrafo rilancia una proposta che in Italia circola dagli anni Sessanta e che Berlusconi rispolvera a ogni campagna elettorale dai tempi della sua discesa in campo: la realizzazione del Ponte sullo Stretto. Considerando che Berlusconi ha vinto le elezioni tre volte e che la Sicilia è da sempre un fortino del centrodestra, viene da chiedersi perché dovrebbero realizzarlo proprio adesso, quando dal 1994 non si è mossa una foglia.

Il programma continua con una proposta scritta senza fronzoli: “Elezione diretta del Presidente della Repubblica”. Presidenzialismo, Berlusconi che già minaccia di mandare Mattarella in soffitta e un bel nome proposto dalla destra da mettere in bocca ai cittadini. Ricordiamo che gli ultimi due candidati ufficiali di Salvini e Meloni per il Quirinale sono stati Vittorio Feltri, nel 2015, e Silvio Berlusconi, nel 2022. Il Paese non è pronto a tutto questo. Il paragrafo continua con alcuni contentini all’ala leghista parlando di autonomie, per arrivare poi alla riforma della Giustizia. Viene riproposto qualcosa di simile a quello che gli italiani hanno di fatto bocciato allo scorso referendum. Però la destra persevera, soprattutto Berlusconi, nonostante la condanna in via definitiva per frode fiscale e il coinvolgimento in diversi processi ancora pendenti.

immagine

Il paragrafo successivo è il più pericoloso per le casse dello Stato, trattandosi del concetto piuttosto naïf di economia del centrodestra. In una nazione flagellata dall’evasione fiscale, con oltre 100 miliardi di euro l’anno evasi in media negli ultimi dieci anni, il programma ripropone una “pace fiscale” o “saldo e stralcio”, ovvero l’ennesimo condono senza neppure tratteggiare un piano concreto da mettere in atto. Si continua poi con uno dei cavalli di battaglia di questa campagna elettorale: no alla patrimoniale e sì alla flat tax. Il potere persuasivo della destra è riuscito a far credere all’elettorato che la patrimoniale sia “l’ennesima tassa di una sinistra che mette le mani nelle tasche dei cittadini” e la flat tax un vantaggio per il ceto medio-basso. È una distorsione grottesca, considerando che la patrimoniale colpirebbe solo i redditi milionari e la flat tax è una misura iniqua che avvantaggia i più ricchi e penalizza proprio quel ceto medio-basso che invece da anni ha abbandonato la sinistra cedendo alle sirene della destra. Per quale motivo un operaio dovrebbe essere contrario alla patrimoniale e favorevole alla flat tax, non è dato sapersi. Così come restiamo all’oscuro delle coperture per le altre proposte del paragrafo, come la “riduzione della pressione fiscale per famiglie, imprese e lavoratori autonomi”. In generale, in tutto il programma non si parla mai della provenienza dei fondi per finanziare certe misure. Vengono usate frasi a effetto, spesso di breve durata, senza mai entrare nel dettaglio. Nessun meccanismo viene spiegato; ma d’altronde le misure si autofinanziano e i soldi crescono sugli alberi.

immagine

Quando si passa al paragrafo sulla famiglia, ci si accorge che le donne non ne hanno uno a loro dedicato, e che nel programma vengono citate solo in quanto madri. “Tutela del lavoro delle giovani madri”, ad esempio. E si preme su un piano di sostegno alla natalità. Tutto il paragrafo è un’ode alla famiglia tradizionale – quella che Berlusconi, Salvini e Meloni non hanno ma che propagandano nei vari Family Day. Non è un caso che la figura femminile sia messa ai margini. Qualche giorno fa Natalia Aspesi ha scritto un lucido articolo nel quale viene spiegato il modo di ragionare “al maschile” di Giorgia Meloni. La leader di FdI ha risposto su Facebook scrivendo: “Mi detestano perché ho la pretesa di competere con i maschi al loro livello”. Con quel “al loro livello” Meloni ha confermato la tesi di Aspesi, probabilmente senza nemmeno accorgersene. Le conferme arrivano anche sul territorio, con le battaglie contro l’aborto che nella regione Marche, guidata dalla destra, sono arrivate a un punto di non ritorno per i diritti delle donne. Anche Chiara Ferragni ha preso posizione su questa causa, contibuendo ad amplificare l’eco della denuncia all’ostruzionismo che il partito di Meloni sta facendo in una ragione in cui, per una serie di decisioni sulla sanità fatte negli ultimi anni, il diritto all’aborto è arrivato a essere di fatto non esercitabile.

 immagine

Il primo punto del sesto paragrafo è: “Decreti sicurezza”. Senza aggiungere altro, anche per loro basta il nome, come se non fossero già stati disumani quelli realizzati da Salvini durante il governo con i grillini. Si parla poi di “blocco degli sbarchi”, senza alcun riferimento a ciò che invece prevedono in materia i trattati e le normative sull’argomento. È il solito spauracchio sui migranti, un revival di ciò che Salvini aveva promesso nella campagna elettorale del 2018, quando parlava di 600mila rimpatri. Poi, come ministro dell’Interno, ci furono non solo meno rimpatri del governo Renzi-Gentiloni (comunque non qualcosa di cui andare fieri), ma dei 600mila promessi si arrivò solo alla cifra di 3.299. Questo perché ci sono normative internazionali che surclassano i post su Facebook e quando si è trattato di rinegoziare il Trattato di Dublino la Lega ha comunque preferito assentarsi. Tutto il paragrafo usa toni apocalittici per parlare di “sicurezza”, fino ad arrivare al punto – spudorato – sulla “lotta alle mafie”. Un passaggio più che ambiguo, considerando i rapporti di alcuni soggetti legati a Forza Italia con Cosa Nostra e gli affari di alcuni esponenti di Lega e Fratelli d’Italia con la ‘ndrangheta. A livello di credibilità è come se in questi giorni Donald Trump facesse uno spot per lodare l’operato dell’FBI.

  immagine

Se il settimo paragrafo è una pappardella abbastanza inconsistente – perché privo, ancora una volta, di un piano concreto d’azione — sulla Sanità, la stessa che ha subito tagli più volte durante i governi Berlusconi ed è stata sempre più privatizzata nelle regioni guidate dal centrodestra –, l’ottavo e il nono tornano su temi economici, mantenendo la stessa opacità di fondo. Ad esempio quando si cita la proposta di alzare il limite del contante, direzione opposta a quella che gioverebbe alle casse dello Stato. Ma ormai è risaputo: la destra non ha interesse a mettersi contro gli evasori. Viene poi proposto di togliere il Reddito di cittadinanza e sostituirlo con “altre misure”. Un altro tipo di sostegno, peccato che non venga spiegato quale. I paragrafi successivi assomigliano sempre di più agli elenchi di Salvini. Si lodano le eccellenze italiane e il Made in Italy con parole da cartolina per i lettori stranieri. Discorsi sui boschi e sulla natura – nessuna palude da bonificare, almeno quello. Sull’argomento Berlusconi ha promesso un milione di alberi da piantare, quando già il PNRR ne avrebbe previsti sei. Siamo ormai ai filler del programma, i riempitivi retorici, come quando si parla di agricoltura con toni da Mussolini che trebbia il grano in un filmato dell’Istituto Luce.

immagine

Nel penultimo capitolo finalmente si parla di scuola. Gli ultimi governi di centrodestra hanno avuto al ministero dell’Istruzione Letizia Moratti e Mariastella Gelmini: non il miglior biglietto da visita e a parlare sono i fatti, ovvero i 10 miliardi di euro tagliati alla scuola durante l’ultimo governo di centrodestra o le migliaia di cattedre cancellate dalla riforma Moratti. Vengono promesse ristrutturazioni degli edifici scolastici e addirittura “l’eliminazione del precariato del personale docente”. Anche stavolta però il programma non spiega come. Viene indicato un tema ma la proposta resta indefinita, un astrattismo legato a slogan e parole chiave intollerabile in un documento che dovrebbe dare risposte ai cittadini. L’ultimo paragrafo, con discorsi altrettanto generici, viene riservato allo sport, che per Fratelli d’Italia serve a sconfiggere le “devianze”, tra cui anoressia e obesità, messe sullo stesso piano della criminalità. È un po’ l’Italia che ha in mente Meloni: paragrafi interi dedicati allo sport, persino ai boschi, ma nessuno sui diritti civili. Avremo la prima premier donna della storia repubblicana, ma è la stessa che pubblica sui social il video di uno stupro e per giorni rivendica il suo diritto di non scusarsi. 

È difficile riassumere un programma che al suo interno non contiene alcuna spiegazione sulle misure e non parla mai di coperture finanziarie. Quello che emerge è però il ritratto di un progetto di Paese arretrato, conservatore e nazionalista. Una proiezione del Texas in salsa italiana, dove le minoranze saranno ancor più discriminate, i ricchi diventeranno più ricchi e i poveri più poveri. Gli evasori continueranno a prosperare e l’economia rischierà un tracollo come quello del 2011, quando arrivammo a un passo dal default. All’epoca, al governo c’erano Forza Italia, Lega e Meloni come ministra. Adesso avremo lo stesso esecutivo, ma a trazione sovranista. Saremo quindi membri di Visegrad ad honorem. Leggendo questo programma, Mattarella si è messo già alla ricerca del prossimo tecnico che dovrà mettere le toppe ai danni della destra. Come undici anni fa, quando gli stessi personaggi affossarono il Paese.

DI MATTIA MADONIA – Fonte: https://thevision.com/

HomeIdentità Digitale Sono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit

immagine

Vorrei rassicurare Giorgia Meloni: facilmente la vittoria sarà sua, eppure questo sposterà poco o nulla. Perché la sua idea di comunità, signora Meloni, è più che passata: fa ridere.

La dipingono come un mostro, un pericolo pubblico, io invece la trovo più che altro buffa. Una caricatura di quel che potrebbe essere una capobanda ripulita, un poco più lucida del resto dei suoi affiliati, un poco più abile nel nascondere il baratro di umanità che l’ha condotta a essere la paladina di un manipolo di zombie.
Una che ha studiato e si è formata col solo evidente scopo di farne uno strumento di divisione ed esercizio del potere, di odio di quelle possibilità altre che la cultura dovrebbe aiutare ad amare.

Una che, col suo essere pronta a tutto, è destinata a perdere credibilità in un baleno (e i segni già stanno affiorando copiosi). Il governo sarà forse suo, signora Meloni, ma noi resteremo qui, aspetteremo che passi questo nuovo obnubilamento dei nostri concittadini, aspetteremo che lei venga riassorbita dai margini oscenamente nostalgici a cui appartiene.

Per qualche tempo avrà forse l’impressione di aver portato a termine il piano a cui, devota, lavora da trent’anni, ma noi resteremo qui, con le nostre devianze, storti, sterili, ibridi, anomali, clandestini, nomadi, confusi ma vivi. Vivi e non morti. Questo vorrei dirle signora Meloni: è troppo tardi per giustiziare il futuro. È troppo tardi per riassoggettarci ai copioni di sempre.

Lei e le sue sciabolate alla dignità umana sarete un piccolo, piccolo momento di arresto all’interno di un processo ormai impossibile da bloccare, questo noi deviati le garantiamo con l’affronto che le nostre vite per voi rappresentano. Siamo troppi e ormai troppo liberi.

L’incantesimo nero non funziona più. Ridiamo di lei, signora carrarmato, ma non ci fraintenda: pur continuando a ritenerla delirante e caricaturale – bastino in questo senso le sue trasfigurazioni demoniache quando tocca le questioni di genere ovvero l’identità personale ALTRUI – all’occorrenza noi saremo pronti a resistere.

Senza prenderla sul serio (impossibile nel 2022), continuando a ridere delle sue stoltezze ideologiche fuori tempo massimo, noi difenderemo il futuro. In tanti in queste ore ce lo stiamo ripromettendo: saremo forti e pazienti, e la sua fine sarà la nostra festa. L’odio – su cui poggia la sua fortuna – è garanzia formidabile di disgrazia, signora: si goda questa parentesi, con la quale il nostro Paese sarà di nuovo coperto di infamia agli occhi del mondo. Noi appassionati del nuovo siamo abituati a scrutare più in là, guardiamo già oltre.

Jonathan Bazzi

HomeIdentità Digitale Sono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit

immagine

Condividete e fate in modo che gli italiani sappiano cosa sta veramente vivendo gran parte della popolazione africana.

Appello di padre Alex Zanotelli pubblicato su Focus on Africa nel 2019 e rilanciato oggi «Rompiamo il silenzio sull’Africa».

Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo

Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come missionario e giornalista, uso la penna per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto il modo del resto.

Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale.

So che i mass-media, purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che veramente sta accadendo in Africa.

Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa.

È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga.

È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur.

È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni.

È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa.

È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai.

È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera.

È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi.

È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa, soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi.

È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia, Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU.

È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile.

È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!).

Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi.

Questo crea la paranoia dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi.

Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact, contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti.

Ma i disperati della storia nessuno li fermerà.

Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica.

E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?).

Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti?

Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.

Fonte: https://www.articolo21.org

HomeIdentità Digitale Sono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit

immagine

Dopo aver ridicolizzato Matteo Salvini, Totò Martello, ex sindaco di Lampedusa, si è ripetuto con Giorgia Meloni.

E, con pochi agili passaggi, a prova di meloniano semplice, le ha dato una lezione di geopolitica accelerata, smontando punto per punto – con tanto di disegnino del Mediterraneo – l’imbarazzante proposta del “Blocco navale”.

“A meno che non sia convinta di giocare a Risiko, Giorgia Meloni sta prendendo in giro gli italiani.

Continua a parlare di “blocco navale davanti le coste del Nordafrica per fermare le imbarcazioni di migranti”.

Considerato che solo tra Tunisia e Libia ci sono quasi 3.000 chilometri di costa, ha fatto il conto di quante navi e motovedette servirebbero?

Al di là del fatto che bisognerebbe preventivamente stipulare un accordo con gli Stati interessati e che una misura simile dovrebbe avere il benestare (quantomeno improbabile) dell’Unione Europea, Meloni può spiegare materialmente come intende farlo, questo famigerato blocco?

Vuole piazzare un numero indefinito di navi italiane di fronte le coste africane 24 ore su 24, ed appena viene avvistato un barchino che succede? Gli espongono la paletta, gli dicono con un megafono “Tornate indietro…!”

E loro invece vanno avanti che fanno, gli sparano? Ma qualcuno le ha spiegato che in mare vigono regole che non possono essere ignorate?

Lo slogan “Mettiamo le navi davanti le coste africane e li blocchiamo lì” può andare bene durante una partita a Risiko, ma, se questo è il cavallo di battaglia della campagna elettorale della destra, allora dovrebbe rispondere a queste semplici domande. Altrimenti è solo uno slogan irrealizzabile e sta prendendo in giro gli italiani.

Pensare di fermare i flussi migratori con la forza è una follia, l’unica soluzione possibile è quella di gestirli in maniera ordinata e sicura attraverso iniziative realmente condivise a livello internazionale che siano in grado di rispettare le esigenze di chi accoglie, ad iniziare dai territori di frontiera, e al tempo stesso di tutelare i diritti di ciascun essere umano.

Il resto è solo propaganda che viene riproposta puntualmente in campagna elettorale”. Difficile essere più chiari, espliciti e definitivi.

Quando la conoscenza profonda del mare, l’umanità e il buon senso incontrano la becera propaganda, non può che finire così.

L. Tosa

HomeIdentità Digitale Sono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit

immagine

In una ennesima, purissima forma di razzismo gretto, “Libero” ha sbattuto sulle proprie colonne questo titolo immondo: “La sinistra imbarca la Cucchi e l’ivoriano”.

“L’ivoriano”, come lo chiama “Libero”, sarebbe Aboubakar Soumahoro, in realtà italianissimo, con una proprietà di linguaggio infinitamente superiore a tre quarti dei parlamentari di Lega e Fratelli d’Italia per cui “Libero” fa il tifo. E ha dato una risposta al direttore Sallusti che è da incorniciare per perfezione stilistica e politica.

“Gentile Direttore di Libero, Dott. Alessandro Sallusti, mi chiamo Aboubakar Soumahoro (e non “l’ivoriano” come mi chiamate in questo articolo) e sono felicemente un italiano di origine ivoriana, laureato in sociologia, che lotta da 20 anni per i diritti civili e per i diritti sociali di tutte e tutti, senza distinzione.

Sono un attivista socio-sindacale che ha deciso di mettere la propria esistenza al servizio della vita delle persone, per essere uno strumento di lotta per la giustizia sociale ed ambientale, perché ho l’intima convinzione che ogni essere umano (indipendentemente dal colore della pelle, dalla provenienza geografica, dall’orientamento sessuale e dal credo religioso) debba avere l’opportunità di ambire alla felicità e all'accesso a 1) cibo e beni materiali necessari per il corpo; 2) la cultura e all’educazione indispensabili all’anima; 3) la libertà e della dignità vitali per lo spirito.

Da attivista socio-sindacale, lotto con determinazione per i diritti civili, perché ho la profonda convinzione che l’ingiustizia del razzismo e della stigmatizzazione (che discrimina la singolarità degli esseri umani, erroneamente e ingenerosamente chiamati “diversi”) debba essere combattuta perché nessuna persona può essere considerata inferiore in base al colore della pelle, della provenienza geografica, della classe sociale, dell’orientamento sessuale o per la sua fede”.

Aboubakar Soumahoro

Inchinarsi. In un mondo appena decente, di fronte a uno come Soumahoro uno come Sallusti dovrebbe solo inchinarsi. E imparare qualcosa del mondo. La dignità contro la mestizia.

Lorenzo Tosa 

HomeIdentità Digitale Sono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit

immagine

E questi due partiti sono sostenuti da realtà di base ancora più razziste e xenofobe. Parlo di Forza Nuova e Casa Pound, di ispirazione chiaramente fascista e nazista, che ora si preparano a entrare in Parlamento. E sono foraggiati dall'estrema destra europea e americana. Forza Nuova trova fondi e sostegno nell'ultradestra inglese, mentre Casa Pound è fortemente sostenuta dal partito di Marine Le Pen in Francia.

Secondo “The Guardian”, Forza Nuova riceve fondi da due trust inglesi: St. Michael the Archangel e St. George Educational. Casa Pound, che ha come segretario Gianluca Iannone, è ormai un partito con seimila tesserati. È un’onda nera con centinaia di sedi, una web-radio, librerie, case editrici… Nel giro di pochi anni ha ottenuto risultati importanti: migliaia di seguaci sui social, spazio nel dibattito pubblico, seggi nei consigli comunali. E decine di gruppi giovanili, da Azione Studentesca a Blocco Universitario, da Generazione Identitaria a Lotta Studentesca, da Auder Semper a Veneto Fronte Skinheads, ruotano attorno a questo mondo dell'estrema destra.

Un chiaro esempio è stato l’assalto alla Cgil di Roma il 9 ottobre 2021, guidato dall'estrema destra (Forza Nuova e Casa Pound), infiltratasi astutamente nel corso di una manifestazione no vax. Dalle indagini sembrerebbe che stessero pianificando un’occupazione di Palazzo Chigi (come l’attacco al Congresso a Washington il 6 gennaio 2021). Tra gli indagati per l’attacco alla Cgil, sono ancora in carcere Roberto Fiore, fondatore di Forza Nuova, e Giuliano Castellino, leader romano di Forza Nuova. In questo Paese la destra e l’estrema destra sono una grande forza a cui il popolo italiano sta ammiccando.

Un’inchiesta del Pew Research Center del 2017 afferma che l’Italia ha il più gran numero di elettori che si riconoscono in un orientamento populista: si tratta del 38 per cento dei votanti italiani. Anche in Italia la classe media ha paura di perdere il proprio benessere e vuole preservarlo bloccando quella che considera “l’invasione” degli “scarti” del mondo. Ecco perché vota per l’“onda populista” di destra.

«Questo nuovo populismo,» afferma giustamente Luigi Ferrajoli, «ha così prodotto e continua a produrre, oltre alle morti in mare, un danno gravissimo alle basi sociali e ideali della nostra democrazia: l’abbassamento del senso morale e dello spirito pubblico nella cultura di massa. Quando l’indifferenza per le sofferenze e per i morti, la disumanità e l’immoralità di formule come ‘prima gli italiani’ a sostegno dell'omissione di soccorso sono praticate e ostentate dalle istituzioni, esse non soltanto sono legittimate, ma sono anche assecondate e alimentate.

Diventano contagiose e si normalizzano. Non capiremmo, senza questa corruzione del senso morale operata dall'esibizione dell'immoralità ai vertici dello Stato, il consenso di massa di cui godette il fascismo e di cui godono oggi, nei loro Paesi, Trump, Bolsonaro, Orbán ed Erdogan. Hanno seminato la paura e l’odio per i diversi. Hanno fascistizzato il senso comune. Hanno screditato, con la diffamazione di quanti salvano vite umane, la pratica del soccorso di chi è in pericolo di vita e, con essa, i normali sentimenti di umanità che formano il presupposto della democrazia.»

Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022

HomeIdentità Digitale Sono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit

immagine

Come può rompersi un motore, cosa si può riparare da soli, cosa invece ha bisogno di più tempo, più soldi, più meccanici.

Decine e decine di parole nuove, sparse in cinque lingue. E le lingue sono la cosa più bella che c'è, perché le lingue sono persone nuove con cui puoi parlare.

Ho scoperto che ci sono esseri umani tanto generosi che ti donano mondi interi, persone che mi hanno fatto regali che non tornano più indietro. Come mettermi di fronte ai miei limiti, trattandomi così bene che adesso mi voglio un po' bene anch'io. Prima no. Ora sì.

I miei errori, tonnellate di errori. Li sto capendo – o meglio: ho iniziato a capirne un po' – e mi sono pure perdonata, perché non ha senso perdere tempo a crucciarsi sul passato, ha senso solo andare avanti, con tutto quello che di bellissimo si impara dai propri errori.

Ho scoperto che sono stufa di mettere cerotti alla sofferenza del mondo, mentre il sistema economico/politico/sociale continua a puntare una pistola alla testa dei nostri nipoti che ancora devono nascere, di chi dorme in strada, di chi annega in mare, di chi crepa sotto le bombe mentre qualcun altro conta il fatturato delle bombe. E non ho più voglia di sentirmi dire quanto sono brava a mettere cerotti. Ho voglia di ragionare insieme agli altri su come cambiare il mondo, per non essere più costretta a mettere cerotti su orribili fratture.

Ho anche scoperto anche che sono stanca delle aspettative di alcune persone, che credono di sapere quello che dovrei fare in ogni momento della mia vita per via dei miei cognomi. Quello che faccio, oggi, è perché lo voglio fare. Non perché “con questi genitori non potresti fare altro”. Potrei, invece. Posso fare tutt'altro. E farò tutt'altro, se la mia felicità mi dovesse mai portare altrove. Intanto faccio quel che scelgo di fare. Amo i miei genitori e li ringrazio ogni giorno, ma io non sono loro. Io sono Cecilia: è un piacere conoscervi, se vi va possiamo fare un pezzo di strada insieme.

Buona estate, e vi auguro tante scoperte.

Cecilia Strada

HomeIdentità Digitale Sono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit

immagine

Per rinfrescarle la memoria, si risponde con le parole di Gregorio De Falco, che qualcosa sulle regole del mare forse ne capisce. E vale sempre come risposta definitiva alla sua insopportabile retorica.

“Ci risiamo. L’On. Giorgia Meloni rispolvera e rilancia, a sproposito, l’idea del blocco navale, evidentemente senza avere la minima contezza di ciò di cui parla.

Il blocco navale è disciplinato dall’articolo 42 dello statuto delle Nazioni Unite ed è un’azione militare finalizzata ad impedire l’accesso e l’uscita di navi dai porti di un Paese o di un territorio. Esso non è consentito al di fuori dei casi di legittima difesa.

Il blocco navale è un atto di guerra, fosse pure fatto in accordo con qualche autorità libica o di altro Paese, ed alla guerra non è certo estranea la morte. Esso ha un inevitabile punto di caduta: le regole d’ingaggio devono contemplare anche l’ammissibilità in concreto di dare attuazione all’impedimento del passaggio, attraverso la facoltà, in extrema ratio, di aprire il fuoco sulle persone, pure se vi siano tra di loro bambini di sei mesi. È chiaro che nessuno darà mai l’ordine di uccidere, ma è altrettanto chiaro che l’impedimento al passaggio può causare la perdita di vite umane.

Immaginare blocchi navali è, in realtà, attaccare il diritto al soccorso, che è parte del più ampio diritto alla vita. E se s’inizia a colpire questo diritto, negandolo a qualcuno che non siamo noi, si intraprende una china che precipita sempre di più, e che prima o poi coinvolge tutti, anche coloro che si sentono al sicuro, indifferenti alla sorte delle persone che muoiono in mare. Persone, appunto, non numeri o “clandestini”.

Giorgia Meloni, il blocco navale è illegale. Se non lo capisci, fattelo spiegare”.

La retorica e la propaganda messe a tacere da chi non parla a sproposito e ha contezza di ciò che dice.

HomeIdentità Digitale Sono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit