𝚜𝚝𝚛𝚊𝚗𝚘 𝚋𝚒𝚘𝚟𝚘𝚕𝚝𝚊 🔄

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Si era sentito dare dello “sciacallo” semplicemente per un tweet nel quale chiedeva una presa di posizione forte di Giorgia Meloni sul caso di Civitanova Marche.

Oggi Corrado Formigli risponde (splendidamente) a Meloni. Lo fa con una lettera aperta sulla “Stampa” nella quale coglie esattamente il punto della questione.

“L’omicidio di Alika, compiuto nella più completa indifferenza dei cittadini presenti, ci ha mostrato a che livello di ignavia, per non dire risentimento sordo e rabbioso, sono arrivati tanti italiani che da anni assistono al più completo degrado del linguaggio e della cosa pubblica (…) Dopo una lunga storia politica mirata ad allontanare dai nostri confini i migranti, a demonizzarli, a condannarli senza attendere tre gradi di giudizio, a immaginare bellicosi blocchi navali (senza peraltro spiegare nel dettaglio come farli) era legittimo o no domandarle se e cosa avrebbe scritto sull’assassinio a mani nude di un ambulante nigeriano da parte di un italiano criminale e razzista? Noi facciamo domande, esprimiamo opinioni, critichiamo. Col solo limite della legge. Nel fare quel tweet a lei rivolto sono stato di parte? Certo, e lo rivendico. Rivendico il giornalismo che prende parte, se prender parte significa fare battaglie sulle idee e sui valori. Esprimo un forte dissenso sulla sua visione della società e intendo farlo senza essere insultato per questo da chi rappresenta le istituzioni democratiche. Politica e informazione devono restare ben separate, oserei dire in uno stato di diffidenza permanente. Mi impegno a fare correttamente il mio lavoro, continuando a occuparmi delle lobby nere che avvelenano il sovranismo italiano – a proposito, i suoi colleghi di partito che facevano il saluto romano e le battute naziste sono ancora al loro posto, lo sa? – e indagando sulle future alleanze europee, a cominciare dal suo amico Orban che inneggia alla razza vagheggiando un’Ungheria bionda e pura. Lei che ne pensa? E se sarà premier andrà ancora ad abbracciarlo?Cordialmente”

via | Lorenzo Tosa

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So benissimo chi non votare, quello è facile: non voterò il centrodestra, e quando dico centrodestra ci inserisco anche quelle frattaglie politicamente putrescenti rappresentate da Renzi (che non è migliore della Meloni), Calenda, Di Maio e Brunetta, tutta gente orrendamente inseguita dal Pd.

Proprio per questo non voterò Pd, perché se vai a braccetto con Renzi per me non esisti. Piuttosto divento fan di Achille Lauro.

Avrei votato senza dubbio Bersani, ma lui non si candida. Scelta nobilissima, da persona seria e perbene, ma che mette un po’ nella mer*a quelli – e son tanti – come me.

Di astenermi o votare scheda bianca non se ne parla: capisco eccome chi lo farà, ne conosco tanti (anche mio padre Orso Grigio, o almeno così dice). Ci sta: la proposta politica è quasi sempre vomitevole.

Astenersi o votare scheda bianca significa però – di fatto – regalare ulteriori praterie alla destra. Quindi col caxxo: voterò eccome.

Sì, ma chi?

L’opzione più razionale è la sinistra che starà dentro l’accrocchio piddino, ovvero Articolo Uno. Sarebbe l’unico “voto utile” (per me) possibile, e stimo molti esponenti di quella forza politica, ma avrei comunque un po’ di nausea nel pensare che accanto a Speranza ci sia gente come i renziani o i dimaiani. Bleah!

Potrei votare i 5 Stelle, ma oggi non so chi siano, non so chi imbarcheranno, non so con chi (e se) si alleeranno, l’onestà di Conte non (mi) basta e Grillo mi ha frantumato i coglixni.

C’è poi la sinistra radicale: Fratoianni, Europa Verde, forse Possibile, forse la lista Santoro (che conterrebbe belle persone ma anche bolliti impresentabili). Opzione senz’altro sul mio piatto, ma cosa faranno queste persone? Si alleeranno con qualcuno? Chi candideranno? Saranno velleitari o concreti? Votarli servirebbe a qualcosa o equivarrebbe a voto disperso?

Mi sa che deciderò all’ultimo, magari proprio il 25 settembre stesso, e mi resteranno comunque mille dubbi.

È un gran casino, ragazzi. E intanto i fascisti, quelli dichiarati e quelli travestiti da democratici, continuano ad avanzare. Saranno elezioni strazianti e drammatiche. Auguri.

Andrea Scanzi

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Tutti a concentrarsi – è inevitabile – sulle madonne di Matteo Salvini e i congiuntivi di Giorgia Meloni. E in pochi – quasi nessuno – sottolineano che la prima, alcuni dicono unica, mente della caduta del governo, della nuova campagna balneare, del centrodestra a trazione sovranista è questo signore qui.

Che, a 86 anni – li compirà subito dopo le elezioni – ancora tiene in pugno Salvini (ci vuole poco) e in totale sudditanza l’ex delfina Meloni.

Che, col 7% scarso, tiene in scacco un intero Parlamento e si candida a un ruolo guida nella prossima legislatura (che chiuderà a 91 anni). Che solo per pochi voti, e quell’ultimo bagliore di senso del ridicolo rimasto, non ci ritroviamo oggi al Quirinale.

Che, in modalità Caimano, dà l’estrema unzione a chi osa andarsene e parla di Draghi come se fosse un vecchio rimbambito “stanco” e senza troppa voglia di lavorare. Che, 30 anni dopo, si presenta davanti agli italiani a ululare contro i giudici comunisti e agitando le pensioni a 1000 euro (che promette da decenni). E in molti lo prendono ancora sul serio.

La verità è che uno così, in un Paese normale, sarebbe stato costretto a espatriare quindici anni fa per manifesta impresentabilità (e senza neanche il voto dei parenti stretti), mentre qui è il Joker “scodinzolato” dagli alleati, rispettato dagli avversari, addirittura esaltato da tv e giornali (molto dei quali… SUOI), neanche fosse Churchill. Tutto come 30 anni fa. Tutto come sempre. Come se il tempo si fosse fermato e la memoria degli italiani cancellata.

La verità, amara e inoppugnabile, è che l’Italia uno come Berlusconi se lo merita. Ma noi, di preciso, cosa abbiamo fatto di male?

Lorenzo Tosa 

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le sue affermazioni affidate a La Stampa – dove dice che “a differenza della sinistra non ci dobbiamo inventare un’identità – sono un travisamento politico nei confronti di quella parte del Paese Reale che, pur avendo una chiara identità, non si sente rappresentata politicamente e cui bisogni non hanno diritto di cittadinanza nel Palazzo, dove Lei è stata cullata e comodamente seduta negli ultimi 16 anni.

Inoltre, in questi 16 anni, in cui lei ha ricoperto anche ruoli apicali nel Palazzo, NOI, persone del Paese Reale, abbiamo continuato ad impoverirci. Molte e molti giovani, dimenticati dal Palazzo, sono stati costretti ad emigrare alla ricerca di una vita migliore. Molte donne, dimenticate dal Palazzo, sono state obbligate a scegliere tra il lavoro e la famiglia. Molte lavoratrici e lavoratori, dimenticati dal Palazzo, sono stati indotti alla povertà pur lavorando. Molte pensionate e pensionati, dimenticati dal Palazzo, sono stati ridotti alla fame.

Solo in un Paese dove l’oblio è una virtù, Lei può essere considerata una novità che può dare soluzioni ai problemi creati dalle scelte politiche degli ultimi decenni, di cui anche Lei è stata protagonista.

Infine, Lei esprime quella cultura politica che fa della “caccia al diverso” (migranti, LGBTQIA+, ecc...) il proprio cavallo di battaglia da anni. Come lei saprà, l’esasperazione di questa cultura ha generato una delle pagine più buie della storia del nostro amato Paese. Oggi non lo consentiremo.

Per queste ragioni, riportare al timone del Palazzo un’identità culturale e politica che genera disuguaglianze e una deriva di 'caccia al diverso' acuirebbe la già drammatica situazione del Paese.

Tuttavia, nelle viscere dell’Italia, ci sono milioni di persone silenziate del Paese Reale, prive di rappresentanza politica e che incarnano valori e identità alternativi alle Sue, desiderose di giustizia sociale, solidarietà, libertà e felicità.

Siamo al lavoro con determinazione e convinzione per questo!

Cordiali saluti, Aboubakar Soumahoro

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Chi crede che oggi a cadere sia stato Mario Draghi, forse, si è perso qualche pezzo. Perché a prescindere da come la si pensi su di lui e il suo operato, Draghi è probabilmente l’unico rimasto in piedi.

In piedi mentre noi, seduti, osservavamo attoniti leader e parlamentari strisciare come serpi fuori dalla maggioranza, dopo aver morso la mano tesa di chi avevano fino a pochi istanti prima lodato con elogi viscidi e pelosi.

Il tutto in una commedia surreale e disgustosa che ha però avuto un grande e storico merito: quello di mettere finalmente in piazza, senza nemmeno più il pudore di nasconderli, tutti i vizi, tutti i difetti, tutto il marcio che è alla base e al vertice del nostro sistema.

La slealtà dei traditori che ieri in Senato guardando Draghi in faccia, riempiendolo di lodi, garantendogli di voler governare ancora con lui, nascondevano dietro la schiena il pugnale con il quale lo avrebbero accoltellato pochi minuti dopo.

La codardia dei leader dei partiti che, non avendo il coraggio di sfiduciarlo a viso aperto davanti a milioni di italiani, hanno mandato avanti a parlare i propri “sottoposti”, per poi abbandonare l’aula.

Esemplare il caso di Salvini che, rispondendo a una giornalista che gli chiedeva se avrebbe sfiduciato Draghi, ha risposto: “Non lo so, non capisco di queste cose tecniche, farò quello che mi dirà il mio capogruppo”.

E poi la spudoratezza di far cadere il governo scaricando le colpe sugli altri. L’ipocrisia di fingere che sia stata una scelta per il bene degli italiani, il menefreghismo, l’opportunismo, il cinismo.

Ma soprattutto la vittoria definitiva, finale, incontestabile, dell’incompetenza, della cialtroneria sulla meritocrazia e la competenza.

Vedere ieri Draghi, l’uomo delle istituzioni più apprezzato e noto al mondo, il banchiere centrale che con sole tre parole fermò la crisi apocalittica del debito, sconfitto, ingannato, raggirato da quattro fannulloni senza arte né parte, è stato la plastica rappresentazione di cosa il nostro Paese sia e cosa è destinato a diventare.

Al di là di come la si pensi su di lui, Draghi è rimasto in piedi. A cedere, come macerie, è stato tutto il resto.

Emilio Mola

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Siamo a un punto talmente basso che l’intervento più lucido, più assennato, lo ha fatto Lapo Elkann, uno che politico non lo è e non ha manco mai voluto esserlo.

Ma in queste parole fotografa in modo spietatamente reale chi sono i due “Fantozzi di provincia” (alias Salvini e Meloni) che si preparano a “marciare” su Roma e quanto sono pericolosi.

“Complimenti ai fenomeni che mandano a casa l’italiano più rispettato a livello internazionale che ha tentato con ogni sforzo di dare una mano ad un Paese disastrato da una manica di buffoni e scappati di casa. Sono dispiaciuto, ma attendo con ansia l’arrivo dei fenomeni. Sarà gustoso vederli trattare per il gas, fare accordi internazionali, farsi rispettare in Europa, trattare con i grandi leader.

Vi illudono che quando arriveranno loro si faranno rispettare, che loro sono machi, che urlano, sbandierano il tricolore, cantano l’inno, ma in realtà sono dei Fantozzi di provincia che come escono dal Raccordo contano meno di zero.”

Applausi a scena aperta.

L. Tosa

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Il talento emerge da solo? In parte. Tante sono le storie di persone che, molte volte casualmente o per necessità, si scoprono talentuose in qualcosa. Sono storie che appartengono a molti di noi. Sorprendenti e che ci autosorprendono.

Un pensiero: aiutiamo i nostri figli, nipoti, giovani che incrociamo per parentela o per ventura, a provare a fare di tutto. Non importa il fallimento. Provare dieci, cento, mille cose nella vita. Nel lavoro, negli hobbies, nello sport, in tutto. Proviamo tutto. Non perdiamo nulla. C'è solo da guadagnare per noi stessi.

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A chi teorizza il dovere morale di votare sempre e comunque i referendum, anche se promossi dalla feccia politica leghista per fare squallida propaganda, dico che il primo dovere morale è seguire la coscienza e che l'astensionismo è una opzione politica usata perfino da Pannella.

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