Con lo zaino in spalla

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Vivo in Guatemala. Qui, tanto nei piccoli posti turistici, come nelle città più popolose, la gente ha un'immagine stereotipata degli stranieri, che qui sono in maggioranza statunitensi. Qui la gente pensa che gli statunitensi siano bianchi, alti e coi capelli castani. In effetti non hanno tutti i torti, visto che è questo il tipo di persone che arriva qui, da quel paese. Tuttavia sappiamo che questi appartengono alla minoranza privilegiata che domina economicamente il resto delle “razze” in un paese fortemente multietnico. Nella piramide sociale e cromatica degli USA, i bianchi rappresentano il vertice, e la base è costituita da afroamericani, latinos e asiatici; eppure è proprio la classe più ricca quella che viaggia di più, arrivando a confondere gli abitanti dei paesi del Sud circa i tratti somatici dominanti negli States.

I poveri, seppur costituiscano la maggior parte della popolazione (soprattutto nelle americhe, in cui la classe media è ridotta), sono sotto-rappresentati nella comunità dei viaggiatori. Perché viaggiano meno? Perché hanno meno possibilità di farlo, per ragioni economiche e culturali.

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C'è qualcosa che mi ha fatto riflettere, in questi giorni. È il fatto che, a volte, in un viaggio cerchiamo di scoprire mondi migliori di quello in cui viviamo, soprattutto quando questo ci sembra grigio, monotono, insostenibile sotto tanti punti di vista.

Non sono ancora partito, ma esistono altri modi di vivere il viaggio. Una di queste è ospitare viaggiatori a casa. Esistono alcuni siti per farlo: c'è couchsurfing, che è più grande e commerciale, e c'è anche trustroots più piccolo e indipendente. Il meccanismo è semplice: come viaggiatore fai una ricerca nella città in cui vuoi andare, trovi una certa quantità di persone, ognuna con il suo profilo, mandi qualche messaggio e con un po' di fortuna qualcuno ti ospita.

Negli ultimi mesi ho ricevuto un po' di gente proveniente da diversi paesi del mondo: Giappone, Stati Uniti, Cina, Messico, Repubblica Ceca. I viaggiatori erano molto diversi tra di loro, anche a livello umano: dal classico turista in giro per il mondo, ai viaggiatori più accaniti degni del miglior libro di Jack Kerouac. Con alcuni il dialogo è semplice, rimane sul di dove sei cosa fai da dove vieni dove vai com'è quel posto come sono i cibi nel tuo paese qual è il tuo lavoro che musica ascolti eccetera eccetera. Con altri, invece, si crea una connessione più profonda, ci si arriva a confrontare su altre esperienze della vita e ragioni più profonde che ci spingono al viaggio e a fare le cose che facciamo.

In particolare con un paio di persone ho intravisto una tendenza, o una caratteristica, comune, che posso provare a riassumere così: la ricerca nel viaggio di libertà soprattutto come fuga da un contesto di origine caratterizzato da una forte pressione sociale, regole rigide e non adatte al benessere umano. Insomma persone che vanno via perché, se stanno a casa, impazziscono.

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Nel post precedente ho descritto la parte tecnica che mi ha portato ad aprire il blog qui su noblogo. Adesso voglio raccontare un po' qual è l'idea del viaggio, il modo, il proposito.

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