cosechehoscritto

La ragazza ha come delle efelidi sul volto che si staccano e poi prendono il volo. “Sono un mutante” le dico. Lei mi guarda appena. “Chi non lo è” risponde e mi mostra che, aprendo la spaccatura dei pantaloni, si vede il cielo. “È in fiamme” e intendo il cielo, suo, interno. La ragazza intanto ha già mutato forma, adesso è la stereofonia. Echeggia per tutto l'albergo. “Sono già stato qua” le dico, guardandomi attorno. “Mi ero spaccato un braccio”. È un grosso centro antibalbuzie. Riconosco la grossa vetrata del salone. Uno dei miei compagni balbuzienti una volta aveva attraversato la vetrata con il corpo. Tutto era andato in frantumi. La ragazza sta mutando forma, ma non ci riesce. È rimasta metà suono e metà ricordo. Intanto è arrivata mia madre, avevamo un appuntamento. il corpo di mia madre. “Ciao mamma” le dico. “Cosa ti è venuto in mente di partorirmi?” le chiedo. Mia madre mi sorride e mi risponde che nel 1970 era tutto un casino, lei non ci capiva niente. “Ma sono contenta di come è andata” mi dice e mi guarda con affetto. “Non lo so” dico io. “Forse è per questo che tutto mi sbalordisce”. Mia madre sta guardando la ragazza mutante che ora sta diventando un pezzo del corpo del centro antibalbuzie. “Ma perché scrivi sempre questa roba?” mi chiede mamma indicando la mutante. Alzo le spalle. “Per me è normale. Nella mia testa è tutto così”. Poi ci penso. “Anche nella tua, in quella di tutti è così”. Nel cielo è apparsa la seconda stella, viola e grossa come un pugno femminile. “Un tempo scrivevo bene mamma. Ci ho messo vent'anni per riuscire a togliermela di dosso la bella scrittura” le spiego, ma lei non mi ascolta, sta cercando qualcosa nella sua borsetta. “Ti avevo portato una cosa da dare a tua moglie” mi dice e cerca ancora nella borsetta. Intanto continuo a guardare il centro antibalbuzie. È incredibile che sia ancora dentro di me: le stanzette per le discussioni di gruppo, le camerate con i letti, le casse appese al muro con dentro i pezzi di musica classica che bruciano come incensiere. È tutto dentro di me. Mia madre ha tirato fuori dalla borsa un maglione tutto sfilacciato e mangiato dalle tarme. “Ecco, questo” dice. “Dille che se non le serve può usarlo come cibo, ti do anche la ricetta”. Lo guardo. Penso sia il caso fare un monologo. “Mamma da ragazzo sono stato Lara Croft, e anche Konoko. Ho attraversato tu non sai quanti pericoli. Sono stato una spugna. Un piccolo pixel. Sono esploso migliaia di volte. Sono invecchiato migliaia di giorni. Cazzo, migliaia di giorni. Siamo sui diciottomila giorni. Sono stato in questo cazzo di posto diciottomila giorni” le dico e cerco con gli occhi la ragazza mutante. La ragazza ha ripreso il suo aspetto abituale, solo ora ha gli occhi neri e le orecchie. Mi sta vicina e mi fa un sorriso cattivo. Non è cattivo. Non mi capisce nemmeno lei. Cerca di capirmi come capisce le altre cose che capisce, e non mi capisce. Così pensa che sia colpa mia, il fatto di non capirmi, dico. “Grazie” dico a mia madre, e prendo il maglione che va in brandelli. La ragazza mutante mi mostra nel cielo lo splendore delle due supernova al massimo del loro bagliore.

In realtà non c'è niente di male a guardare il festival, come a guardare i campionati di calcio, a parlarne, è umano. Quello che – dall'altra parte – mi ha sempre colpito e – in un certo senso – spaventato, è la capacità di una massa di persone nel trovare da un momento all'altro, una comunicazione comune. Totalizzante.

Per me che non ho visto il festival, che non guardo i campionati di calcio, il mondo cambia nel giro di un secondo. Persone insospettabili, che non si conoscono, che vivono a centinaia di chilometri di distanza, tutti iniziano a parlare della stessa cosa e – peggio – dicendo le stesse identiche cose, facendo le stesse considerazioni.

Vista dall'esterno la cosa sembra una specie di realtà distopica. Esiste un mondo in cui tutte le persone che conosco devono rassicurarsi l'un l'altra che hanno visto un cantante prendere a calci dei fiori. La cosa che mi fa impressione, è che negli anni novanta non mi sarei aspettato, è che questo avvenga qua.

Il vecchio obsoleto mass media top-down, fuori dalla rete, abbaglia gli sciami e ne conduce comunque gli spostamenti in massa, impatta le condivisioni, le indirizza in una direzione rispetto ad un altra. E gli algoritmi e le bolle, sapendo che questo conviene perché genera traffico, metadati e quindi soldi, favoriscono questo meccanismo.

Ieri ero su Mastodon, ho aperto le preferenze, ho chiesto di filtrare tutti i contenuti che avessero come tag sanremo e ho potuto creare una zona protetta. Su Facebook è impossibile, se non forzandolo con plug-in esterni che non sempre funzionano. La questione qua non è il festival, ma la scelta di fare parte o meno di un meccanismo di propagazione sociale. Anche qua, nella rete, i grossi player tendono a impedirmi o rendermi difficoltosa la personalizzazione dei contenuti che voglio o non voglio vedere.

Quello che spaventa qualcuno nell'avere le IA come motore di ricerca non è tanto l'IA di per sé, ma la sostituzione di uno strumento già di per sé molto condizionato, con un altro che potrebbe essere ancora più condizionato e in maniera molto meno esplicita. Il fatto che questa comunicazione di massa, per essere di massa, debba essere facilitata è falso nel momento in cui viene sottratto il complesso di default. Quando a un affiancamento viene operata invece una sostituzione.

[le serie tv tratte dai videgiochi]

«Oh cazzo venerandi bene che sei venuto» mi dice Carlo e mi rendo conto che è completamente nudo e dipinto di giallo. Il corpo nudo e scheletrico di Carlo è tutto dipinto di giallo, integralmente. «Uh» dico e non entro, nonostante lui mi faccia -a gesti- evidenti inviti a seguirlo. Nel piccolo corridoio dietro a Carlo vedo passare un fantasma con il pube al vento, una donna con un lenzuolo che le arriva fino all'ombelico, due buchi altezza testa, il fantasma si gira verso di me e sento da sotto la voce malata di patrizia che mi dice oh ciao venerandi, cazzo meno male che sei venuto, ci serve uno che ci tenga la telecamera. «Non mi fermo, volevo solo sapere se stavate bene. Purtroppo no, vedo, ma me ne farò una ragione» dico ma prima che possa girarmi e correre verso l'ascensore carlo mi ha afferrato per un polso e mi ha tirato dentro. «Dai venerandi non fare il cazzone, sto facendo un film sperimentale» mi dice. «Vieni in cucina che ti spiego tutto, tanto facciamo una pausa». L'odore all'interno della casa è qualcosa che ha a che fare con la chimica. «Che film?» faccio seguendolo verso la cucina. Il culo nudo di Carlo è di una magrezza inaspettata e pieno di segni scuri, come piccoli ematomi. Carlo entra in cucina, mi fa segno di sedermi e poi si appoggia sul bordo del lavandino accendendosi una sigaretta. Il pene del mio ex-amico è dipinto anche lui di giallo, solo che -scappellato- rivela la sua rossastra natura umana. Con la coda dell'occhio noto sul tavolo un numero imprecisato di pastiglie e alcune scatole di medicinali aperte. Carlo tira due boccate, si schiarisce la voce e inizia un lungo discorso. «Hai presente che adesso il mercato fa i film tratti dai videogiochi. Hai presente no, i videogiochi, adesso il mercato americano ci fa sopra dei film di azione, tratti dai videogiochi. Tipo tomb raider, tipo alone in the dark, tipo mario bros, tipo silent hill, cazzo ce ne sono quanti ne vuoi , resident evil, tutta merda, cioé il videogioco è narrativamente piatto e tu fai un film basato su questa banalizzazione, si tratta di una cinematografia che bidimensionalizza, impara il mio spelling, bidimensionalizza tutto l'apparato fotocopiandolo su una serie di meccaniche di gioco che non sono più narrative, ma semplici immagini, ritmi puri che rispondono al ritmo del mercato. E non si tratta di un passaggio da un media ad un altro, come avviene nei film tratti da un romanzo, no, il videogioco è già una piccola cinematografia, si passa da una povera cinematografia del personale a una cinematografia spettacolare per la massa, la piccola lara croft che tenevi tra le dita sul tuo personal computer adesso è l'eroina dei consumatori raccolti al cinema per la grande cerimonia» «Resident evil è quello con quella fica di milla jovovich?» Carlo sbuffa, fa una nuvola di fumo. «Non è milla jovovich in realtà, è una icona, in quel film nessuno recita, ma tutti impersonano una icona da doppiocliccare, milla jovovich è una semplice icona nelle mani del mercato. Anyway, ecco la mia grande idea. Scendiamo nello stesso territorio, non opponiamoci a questa tecnica aberrante, ho detto aberrante?» «Uh, sì.» «E sia, aberrante. Non opponiamoci, ma scaviamo in questa bidimensionalità per trovare il volume di questo ridursi a semplice icone. Tu sai cosa voglio dire. Troviamo la terza dimensione che renda evidente che anche queste icone conoscono il tormento. La caduta. L'estasi» «Quindi milla jov...» «Lascia perdere milla jovovich, cazzo venerandi mi sembri vittima degli ormoni. Pensa al concetto. Ecco, prendiamo un videogioco e portiamolo nella vera cinematografia, portiamolo in quella sporca, nei garage, nella macchina a mano, portiamolo voglio dire nel palazzo rozzo del sensibile e mettiamolo a nudo, scomponiamolo. Ecco quello che io e patrizia stiamo facendo. Abbiamo preso un videogioco e lo stiamo dissezionando, lo stiamo facendo godere, lo stiamo mandando in putrefazione vediamo uscire i suoi umori, i suoi posti oscuri e marci» «Che videogioco?» «Pac man» «Pac man» «Quello della pallina gialla che mangia i pallini» «Conosco. Ecco, io...» «Stammi a sentire venerandi, è da mesi che ci lavoriamo. Guarda in prospettiva, cazzo, guarda in prospettiva: cosa è pac man? È un pallina, cioè il nulla, la cosa senza identità se non quella di mangiare di fagocitare, pac man è un essere il cui unico scopo è fagocitare, un enorme bocca che chiede solo cibo cibo cibo, auacca auacca auacca, e quale è il suo cibo? Pasticche, dei fottuti allucinogeni che il pac man mangia, fuggendo dai suoi stessi fantasmi che lo inseguono in un labirinto che è poi la vita, e quando trova quella giusta, ah cazzo, cosa succede quando trova la pastiglia giusta? Ehi patrizia, cosa cazzo succede quando trova quella giusta?» Dal corridoio arriva la voce di patrizia che dice diventa grosso. «Ecco cazzo cosa succede, diventa grosso» «Non ricordo che pac man diventasse grosso» «Dentro venerandi, diventa grosso dentro, e i fantasmi della vita fuggono da lui, scappano perché adesso la voracità di pac man è contro di loro, fino a un momento prima sono loro a inseguirlo per morderlo, per inghiottirlo, per riportarlo a quel niente da cui è venuto, e adesso lui è grande e mangia i fantasmi, li ingloba, come certe tribù fanno con i cadaveri dei nemici vinti. Ecco la storia, ecco perché vivo in questa casa inseguendo il mio fantasma, mangiando le mie pastiglie e lei insegue me, dico il fantasma, e quando mi trova mi mangia, si getta su di me e inizia a mordermi, sono pieno di lividi venerandi, mi morde sopra di me mentre io urlo e mi dibatto e poi mi scopa venerandi, mi rende un niente, un puro pezzo di carne morta, edibile e fottuta. È questa la vera storia del pac man. E poi si ricomincia, io mangio le mie pastiglie, fuggo per la casa, sto nascosto nell'ombra a cercare le pastiglie, il fantasma le ha nascoste per me, e quando trovo quella giusta, ah quando trovo la pastiglia giusta vado in cerca del mio fantasma e la butto per terra e la mordo, le strappo i capelli e adesso è il suo turno di urlare, la metto sotto e la svuoto e la riempio, le tolgo il telo e vedo la sua assordante nudità» Resto immobile senza dire nulla, vorrei dire che il pac man nel gioco non scopava mai, ma poi mi ricordo che esisteva anche miss pac man e poi anche pac man junior e quindi forse anche pac man scopava, poveraccio, magari una sveltina nei bonus level.
Intanto nella cucina entra il fantasma e si prende una pastiglia dal tavolo. Alza il telo e vedo la figura magra di Patrizia, anche lei nuda, piena di lividi e con gli occhi a mezz'asta. Inghiotte la pastiglia e poi invece di bere per mandarla giù, prende dalle mani di carlo la sigaretta e tira due boccate. Carlo non è accorto di niente, continua a tenere le dita come se avesse ancora la sigaretta in mano. «Oh venerandi» fa Patrizia come se mi avesse visto solo in quel momento. «Come mai passavi di qua?» «Avevo dei problemi con un romanzo, incontro i personaggi che mi escono dal libro, ma ora che ho visto voi mi rendo conto che sono gocce nel mare» Carlo si accorge di non avere più la sigaretta in mano ed è perplesso, poi mi vede, mi mette a fuoco e riprende a parlare. «Ci dovresti tenere la telecamera per una scena, dovresti vedere il girato fin ora, cazzo venerandi è un capolavoro. È il nostro capolavoro. Devi vedere che bianchi e neri che abbiamo fatto, abbiamo girato tutto in bianco e nero e c'è questo nero che è come la morte e poi appaiono i nostri corpi, che spezzano...» «Hai girato tutto in bianco e nero» «Un favoloso bianco e nero» «Ma allora perché ti sei dipinto di giallo? Tanto il pubblico mica lo vede che sei giallo» Carlo mi guarda con un espressione indecifrabile. Da un lato sembra spaventato da una parola che ho appena pronunciato, 'pubblico', dall'altra sembra essersi posto di fronte ad un problema che non riesce a circoscrivere. Ma poi si rilassa e mi sorride. «Ma cazzo venerandi, il giallo serve a me. Per entrare nel personaggio» «Capisco» «Cioé pac man è giallo e io...» «Capisco, davvero»

Un quarto d'ora dopo sto inquadrando Carlo con una telecamera, è sopra patrizia e schiacciandola urla auacca auacca mentre lei geme e grida di piacere. Quando capisco che i due sono andati troppo oltre nella loro cinematografia per badare a me, poso la telecamera per terra e esco.

[da “Il mio prossimo romanzo”, Tombolini Editore, 2017]