jens

Pastore delle chiese metodiste di Udine e di Gorizia

Sermone narrativo su

Atti 16, 9-15

Mi presento, sono Lidia, Lidia di Tiatiri, una città che conoscete sicuramente, non solo perché è la mia città di origine, ma anche perché è una delle sette chiese di cui leggete nell'Apocalisse di Giovanni: « Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatiri, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea». La mia città di origine si trova proprio sulla strada fra Pergamo e Sardi. Ai vostri tempi si chiama Akhisar e ha ben 74.000 abitanti, mentre ai miei tempi era molto più piccola.

Come me, Lidia, a Tiatiri e in tutta la zona che porta il mio stesso nome, ci sono moltissime donne che si chiamano come me. Sono donne di umili origini, alcune anche schiave. È un po' come da voi, dove certi cognomi hanno le loro origini nel passato, quando veniva dato il cognome “di Dio” o “Spiritosanto” a un trovatello.

Avete indovinato! Sono di origini umili, ma il mio padrone ci ha trattati benissimo e a un certo punto mi ha dato la libertà. La mia città non ha una lunga storia, non come Roma, che è la capitale. È stata fondata da poco più di 300 anni e da allora è diventata un centro di produzione tessile e di lavorazione di metalli. Gli schiavi lavorano il metallo, mentre le schiave sono impiegate nel settore tessile, nella produzione di tende e tappeti, e anche nella lavorazione di stoffe. Ho imparato il mio lavoro da schiava, e non è stato facile, soprattutto tingere la lana. Non potete neanche immaginare quanto pesa la lana quando la tiri fuori dalla botte dove l'hai immersa, e poi per fissare i colori la devi lavare e rilavare in acqua salata.

Quando il mio padrone mi ha liberata, sono partita da Tiatiri. Ho sentito che a Filippi, che è una colonia militare romana e un importante centro commerciale, c'è tanto lavoro. Il mio padrone andava in sinagoga a Tiatiri, lui credeva in un solo Dio che ha liberato il suo popolo dalla schiavitù, e io imparavo molto da lui.

Arrivata a Filippi, ho cercato la Sinagoga, ma non c'era. Allora ho scoperto che c'era un gruppo di donne, come me, che si incontravano al fiume il sabato. Erano poche, ma tutte impegnate nel tessile, proprio come me. E dato che c'era tanto lavoro, mi hanno insegnato una tecnica per tingere la lana e il lino di un rosso intenso. Usavamo il colore di una lumaca, ma c'erano anche metodi con coloranti rossi di origine minerale. I Romani a Filippi vanno matti per la porpora e una volta al mese passa un commerciante che compra da noi per portare i nostri tessili fino a Corinto.

La porpora è una cosa che rende tanto, e a un certo punto ho potuto mettermi in proprio con la mia attività. Certo, è logorante. La sera dopo un giorno di lavoro sento le mie mani e le braccia, e a volte non riesco più a aprire bene la mano. Però non mi voglio lamentare. Ho una casa dove vivo con altre donne. Alcune lavorano per me, ma non le tratto come schiave. Tanto il mio padrone mi ha lasciato libera e questo per me è un insegnamento importante. Penso che la storia del popolo d'Israele liberato dalla schiavitù in Egitto mi abbia influenzata e non me lo sento di avere delle schiave.

Durante la settimana lavoriamo insieme e il sabato andiamo al fiume a parlare di Dio, la liberazione, i profeti e a volte cantiamo dei salmi e preghiamo. Mi dà la forza riposare e lodare Dio il sabato e lo ringrazio che ci ha donato il giorno libero per riposare.

Ho una casa e sono libera. Credo in Dio, che si è rivelato a Mosè con un nome strano, ma ho capito che questo nome significa che Dio non è lontano e non è un Dio capriccioso come le altre divinità qui a Filippi o anche nella mia Tiatiri. È un Dio con cui puoi parlare. Ci ha dato delle leggi e delle regole che ci aiutano a vivere e a trattare le persone con rispetto. Insomma, ho una vita serena e sono contenta e felice. Solo che con l'avanzare dell'età, ho superato i 35 anni e sento il peso del mio lavoro, talvolta ho un po' di paura, perché non so come fare quando non sarò più in grado di lavorare. Non ho marito né figli, quindi non ho nessuno che possa badare a me quando sarò più vecchia, ma va bene lo stesso. Sono grata a Dio per ogni giorno che mi regala la forza di lavorare e guadagnare abbastanza per vivere.

Un giorno, un sabato di primavera, me lo ricordo ancora bene, mentre cantavamo il Salmo 139, da lontano vediamo arrivare un gruppo di uomini. “Non sono di qui”, penso subito, hanno un aspetto diverso e soprattutto danno l’impressione di aver fatto un lungo viaggio. Questo gruppo di uomini si dirige proprio verso il nostro posto al fiume. Forse cercano anche loro un posto dove riposare, lontano dal trambusto della città, dal ritmo frenetico della vita quotidiana. Infatti, il fiume è un luogo di tranquillità dove la gente come noi donne viene a pregare, a trovare pace e semplicemente a non fare nulla per una volta. Il gruppo si presenta, il più importante di loro si chiama Paolo, dice di essere di Tarso, città che non conosco proprio, dev’essere davvero lontana. “Che strano”, penso, un gruppo di uomini che inizia una conversazione con un gruppo di donne, con noi donne che, nonostante la nostra professione e indipendenza dagli uomini, abbiamo pochi diritti. Non solo iniziano a parlare con noi, vogliono sapere di noi, si interessano di noi che in genere riceviamo poca attenzione se no da chi vuole comprare le nostre stoffe.

Ci ascoltano, quasi lo sento come miracolo. Parliamo a loro della nostra vita, delle nostre speranze e dei nostri sogni. Non so perché, ma racconto tutta la mia storia, la storia di fede, la storia della mia liberazione personale dalla schiavitù.

A quel punto Paolo parla direttamente a me. Dice che anche lui è stato un credente nel Dio d’Israele, un ebreo. Nel corso della sua vita ha fatto un'esperienza che ha cambiato la sua vita ma anche il mondo, parla di un certo Gesù di Nazareth, della libertà a cui lui, il Cristo – come lo chiama ora – lo ha liberato. Paolo ed i suoi compagni lo hanno preso come modello e vogliono vivere secondo le sue azioni e le sue parole, il che significa andare per esempio anche da noi donne che non contano molto nel mondo, emarginate, poco ascoltate e raramente prese sul serio.

In quel momento mi sento come se Dio stesso aprisse il mio cuore. Sento un calore in me e che capisco il passo che Paolo ha fatto dalla fede del mio ex-padrone alla fede liberante del Cristo risorto. Paolo ci dice che siamo tutti stati salvati in Cristo e che già Gesù di Nazareth si è relazionato in modo molto diverso con le donne.

Perciò Paolo ed i suoi hanno deciso di parlare a noi donne qui riunite al fiume. Dice più volte: Non c’è né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù. Un Dio che non fa come noi uomini e donne, un Dio che supera le barriere ed i muri di separazione, un Dio che non esclude nessuno. Allora, insieme alle altre donne, non desideriamo altro che appartenere a Cristo e farlo vedere, chiediamo di essere battezzate.

Una volta battezzata mi viene naturale dire: «Se avete giudicato che io sia fedele al Signore, entrate in casa mia e alloggiatevi».

E’ normale far vedere con l’ospitalità quanto Dio ha fatto per me e a me. E non mi chiedo cosa pensano gli altri vedendo che io donna invito degli uomini a casa mia.

Ho ricevuto una nuova fede, una fede nata dalla conversazione con il gruppo di uomini, nata dall’ascolto reciproco. Questa fede mi insegna di camminare nel mondo con occhi e orecchie aperti, in modo da poter riconoscere dove c'è qualcosa da fare per me.

Solo così mi troverò in situazioni in cui posso fare la differenza, dove le mie idee, le nostre idee e i nostri talenti sono necessari. Io vi auguro questa fede che ha cambiato la mia vita.

Jens Hansen Mastodon

Predicazione su Ecclesiaste 7, 15-18

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A volte succedono cose strane! Un giovane che aveva appena preso la patente è stato salvato dalla polizia e da un carro attrezzi dai gradini di una chiesa. Come ha fatto ad arrivare? Beh, aveva seguito senza esitazione le indicazioni del navigatore satellitare, che gli aveva indicato un percorso più breve per arrivare a destinazione.

Una volta invece ho rischiato di finire in un fiume. Tornando da una riunione del Servizio Cristiano a Riesi, avevo intenzione di cambiare strada. Mi stavo seccando di dover sempre passare per Catania e pensavo che ci dovesse essere una strada a ovest dell’Etna che mi avrebbe fatto tornare a Messina. Ho programmato il navigatore e via. A un certo punto, mi ha fatto imboccare una strada sterrata, ma non c'era nulla di cui preoccuparsi: talvolta la strada più breve, il navigatore me la fa fare anche su sterrato. Mi avvicinavo al fiume e, quando il navigatore mi ha detto di voltare a sinistra sul ponte, il ponte non c’era. Era ormai buio pesto e vedevo solo le acque del fiume. Ho fatto quindi retromarcia e ho fatto la solita strada via Catania.

Certo, il navigatore satellitare è utile. Ci indica la strada, ci dà l'orientamento e ci aiuta a trovare luoghi che non abbiamo ancora visitato. Ci dà sicurezza alla guida. È positivo che i navigatori satellitari esistano. Tuttavia, non possono sostituire il pensiero alla guida.

Anche nella vita di tutti i giorni abbiamo dei sistemi di navigazione. Si chiamano principi. La maggior parte delle persone segue alcuni principi o atteggiamenti fondamentali nella vita. Seguiremo regole che abbiamo stabilito per noi stessi o regole che altri hanno stabilito e che riteniamo giuste e adeguate. Ma ha senso seguire queste regole nel bene e nel male?

Alcune persone vogliono essere sempre puntuali e non arrivare mai in ritardo. Ma cosa succede se qualcuno ha bisogno del mio aiuto immediato e io vengo trattenuto da un'emergenza? Cosa è più importante: la mia puntualità o il mio aiuto? Per altri è molto importante non mentire, ma dire sempre la verità. Essere sinceri e onesti. Ma non ci sono anche bugie giustificate? Un esempio è quando un potere criminale chiede alle persone di tradire gli amici. Oppure quando, all'inizio di una diagnosi di malattia, si omettono cose molto spiacevoli; o anche solo la piccola bugia per educazione, quando un interlocutore dice: “Sono contento di essere qui con voi”, anche se preferirebbe di gran lunga bere un bicchiere di vino con gli amici o leggere un libro in pace a casa. Sono bugie giustificate?

E che dire della nostra fede ora? Nel nostro rapporto con Dio? Ci devono essere dei principi, devono valere dei principi e devono essere rispettati. Non è così?

Ve ne siete accorti? Il nostro testo ci pone un grande punto interrogativo. Mi sono chiesto: la Bibbia predica forse un tiepido arrancare nella vita con le sue esigenze? Dovrebbe essere questo il principio su cui basare la nostra vita? Non può essere vero, no?

In ogni caso, dalla Bibbia mi aspetto qualcos'altro: chiarezza e linearità. Contiene i dieci comandamenti e molte altre regole di vita. La Bibbia non esorta forse continuamente alla giustizia? O al contrario: di tenersi lontani dall'empietà e dalla malvagità?

Il libro biblico di Qoelet, da cui è tratto il testo del nostro sermone odierno, è uno dei cosiddetti libri sapienziali, insieme ai Proverbi e a Giobbe. Sono scritti da donne e uomini che hanno osservato molto da vicino il mondo che li circondava.

Poi hanno riassunto le loro osservazioni e le hanno messe per iscritto. Il risultato è stato un insieme di regole di vita. Regole che, se seguite, possono far sì che la vita vada per il verso giusto.

Anche il nostro testo inizia con una constatazione della realtà: “Ho visto tutto questo”. Chi vorrebbe contraddire ciò che è registrato qui come una constatazione? Un uomo malvagio vive a lungo e in pace con la sua malvagità. E viceversa: un giusto perisce a causa della sua giustizia. Anche se non è facile stabilire se ciò a cui si fa riferimento qui è “a causa della sua giustizia” o “per la sua giustizia”. Entrambe le cose sono possibili. La vita ci insegna anche che chi si impegna a vivere sempre secondo i principi della giustizia può fallire miseramente: a causa dei propri ideali, della propria testardaggine, ma anche della realtà della vita.

Che cosa suggerisce il nostro saggio per affrontare questa situazione? Quale consiglio dà il Qoelet? Ebbene, mette in guardia con urgenza dal “troppo”. E anche in questo caso ci lascia senza fiato. Non siate troppo giusti o troppo saggi, per non rovinarvi. È possibile? Si può essere troppo giusti e troppo saggi? La giustizia e la saggezza non sono mai abbastanza. La giustizia e la saggezza sono qualità e comportamenti del tutto positivi e buoni.

Tuttavia, secondo Qoelet, sembra che ci sia un eccesso. È evidente che, quando dà i suoi consigli, ha in mente un certo tipo di persona. Una persona che si attiene scrupolosamente alle leggi religiose, etiche e alle istruzioni dei maestri di saggezza. Egli pensa che questo sia il modo per fare fortuna o almeno vivere a lungo.

Non posso fare fortuna né garantire una lunga vita a me stesso, non posso crearle per me stesso. Non c'è alcuna garanzia in merito. La felicità, il senso, una buona vita arriveranno, oppure no.

C'è un'altra cosa che la persona troppo giusta e saggia dimentica: la vita vera non può essere imprigionata tra due coperture di leggi e regole di vita. Si può vivere solo in modo pratico e concreto, nel qui e ora.

Forse conoscete anche il tipo di persone che Qoelet ha in mente: Quelli che hanno sempre ragione e che vogliono sempre dirci cosa è giusto e cosa è sbagliato, che hanno una risposta per tutto, anche se non si chiede loro nulla; che vogliono dirmi cosa devo pensare e come devo vivere.

Gesù ha descritto questo tipo di persona nella storia del fariseo e dell'esattore delle tasse: Una persona che pensa di dover osservare scrupolosamente tutte le leggi e che alla fine non riesce a cogliere la cosa più importante: l'umanità.

E dove questo manca, si perisce davvero. Un commentario scrive che la parola che la nostra Bibbia traduce con “perire” significa anche “diventare spoglio, vuoto”. Una persona che si attiene troppo meticolosamente alla lettera diventa vuota, desolata, perché manca di ciò che costituisce la vita: lo spirito, il cuore. Il nostro testo mette in guardia da questo.

Ma naturalmente non dobbiamo nemmeno essere empi e stolti per non morire prima del tempo. Perché ovviamente il testo del sermone, con il suo monito contro una giustizia troppo rigida, non significa che dobbiamo agire in modo eccessivamente ingiusto. Né tantomeno che dobbiamo agire in modo eccessivamente sciocco. Si tratta piuttosto della giusta misura.

Ma qual è la misura giusta? Sentiamo due risposte a questa domanda.

La prima: è bene che tu ti attenga all'una e non lasci sfuggire di mano l'altra. Qoelet ripete così il consiglio che ha appena dato: non essere troppo giusto, non essere troppo saggio, ma anche non essere troppo ingiusto o troppo sciocco. Non essere un cavaliere dei principi, ma nemmeno uno che cerca solo il proprio vantaggio e attraversa la vita con i gomiti in fuori.

Piuttosto, mantenete la giusta misura. Ma qual è lo standard della giusta misura? Lo dice l'ultima frase del nostro testo: chi teme Dio sfugge a tutte queste cose. Chi teme Dio sfugge al pericolo di essere rovinato o di perdere la mente e il cuore. E chi teme Dio sfugge al pericolo di morire prima del tempo. Dio deve quindi essere lo standard per le nostre azioni. Non i comandamenti e le leggi, non i saggi e i consigli saggi e morali della Bibbia, ma Dio stesso.

E questo suona improvvisamente del tutto coerente, perché Dio stesso agisce nel modo raccomandato da Qoelet. Dio può anche deviare dalle regole di base che ha stabilito e decidere spontaneamente in modo diverso da quello che ci aspettiamo. Noè e la sua generazione lo hanno sperimentato. Sì: Dio manda il diluvio perché l'uomo agisce in modo malvagio e corrompe la terra. Ma alla fine della storia diventa chiaro: l'uomo non cambia a causa del diluvio, ma Dio cambia. Egli promette di non permettere che un diluvio si abbatta di nuovo sulla terra.

Anche Giona fa questa esperienza. Viene incaricato da Dio di annunciare la caduta della città di Ninive, capitale degli ostili Assiri. Lo fa – scoraggiato. E alla fine, Dio risparmia Ninive. Dio cambia idea. Con grande disappunto di Giona, che affronta Dio con sfida: “Sapevo che tu sei benevolo, misericordioso, longanime e di grande bontà, e che ti penti del male” (Giona 4,2).

Come apprendiamo dalla Bibbia, Dio non è un cavaliere dei principi. Può, se vuole, deviare dai suoi principi una volta che questi sono stati stabiliti. Può essere misericordioso e benevolo, paziente e di grande bontà, come l'Antico Testamento non si stanca di lodare.

Perché – dice il salmista del Salmo 130 – Se tieni conto delle colpe, Signore, chi potrà resistere?

Perciò la raccomandazione di Qoelet di non essere troppo giusti e non troppo saggi, ma anche non troppo stolti e non troppo privi di Dio, non va assolutamente intesa come un invito a vivere la vita in modo tiepido. Piuttosto, dovremmo trattare noi stessi e le persone che ci circondano secondo gli standard di Dio: misericordiosi e benevoli, pazienti e di grande bontà.

Nella Chiesa dei primi secoli, la preparazione dei candidati al battesimo iniziava in questa domenica. Nelle nove settimane che precedevano il giorno del battesimo nella Veglia pasquale, essi imparavano ciò che dovevano sapere per la loro vita cristiana. All'inizio c'è l'immagine del Dio misericordioso. Questa è la cosa più importante. Spero che questa immagine del Dio misericordioso rimanga nei nostri cuori fino a Pasqua e oltre. E spero che questa immagine aiuti anche noi a essere misericordiosi. Amen.

Nota, la versione audio non sempre combacia con la versione scritta

Jens Hansen Mastodon

Trasmissione Radio RAI FVG – 6 febbraio 2025

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Un bubbolìo lontano… Rosseggia l’orizzonte, come affocato, a mare: nero di pece, a monte, stracci di nubi chiare: tra il nero un casolare: un’ala di gabbiano. Giovanni Pascoli, Temporale

A me le tempeste sul mare piacciono. Quando ho fatto la vela, ho sempre approfittato dei momenti prima dello scatenarsi della tempesta per avere il vento migliore e volare quasi sopra il mare. Tutto davanti a delle nuvole scure che facevano contrasto con il mare le cui onde iniziarono a fare schiuma. Anche le passeggiate invernali sulle dighe del mare con un forte vento che fa arrivare l’acqua quasi in cima alla diga. Quante passeggiate ho fatto e quante fotografie ho scattato di una tempesta o anche un temporale in arrivo. Gli elementi in subbuglio, colori scuri, nuvole minacciose e in mezzo io, vedere il cielo oscurarsi, gravido di nuvole, il mare mosso dal vento forte, il vento nel viso.

E’ ben diverso quando la tempesta, la devi affrontare nella propria vita, ti trovi con l’acqua alla gola, il vento forte della paura ti rende difficile respirare. Quando è il momento della tempesta, quando una perdita ti toglie la terra da sotto i piedi, cerchi un sostegno, un riparo per non farti travolgere e per non finire con le parole del profeta Giona che si rivolge a Dio:  Tu mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare; la corrente mi ha circondato, tutte le tue onde e tutti i tuoi flutti mi hanno travolto.

La tempesta può anche arrivare lentamente, ma tu la senti già arrivare, pregusti già l’acqua che ti arriva alla gola. Ti trovi in un letto dell’ospedale, vieni curato per un colpo che ti è venuto e poi, durante la terapia per recuperare le tue forze, ecco, arriva una nuova diagnosi, cancro. La tempesta perfetta che arriva quasi come l’alta marea che inesorabilmente fa salire l’acqua.

La tempesta può arrivare al ciel sereno. Da un attimo all’altro perdi il lavoro, in un attimo sono esauriti i risparmi, non paghi più le bollette, salti sempre più pasti, e alla fine ti sfrattano, ti trovi sulla strada con l’acqua alla gola.

Allora, in mezzo alla tempesta hai bisogno di qualcuno che stia come una roccia nel mare in tempesta e fermi le onde.

Il nostro testo fa vedere Gesù come il Signore sulle forze della natura e sulle tempeste della vita. I discepoli non lo capiscono, loro sono in panico, hanno paura di morire. Si trovano nella tempesta mortale e a loro non va proprio giù che Gesù in mezzo a questa situazione che rischia di uccidere tutti, sta lì e dorme come se niente fosse. Si sentono abbandonati dal loro maestro che tanto ha insegnato e dato a loro: «Maestro, non t'importa che noi moriamo?»

Gesù si alza e calma la tempesta. Alla fine il nostro testo afferma: Il vento cessò e si fece gran bonaccia.

Un gospel in inglese lo dice così: In the middle of darkness, in the center of a storm, I know there’s a name I can call. And I call on your name, Jesus / Nel mezzo dell'oscurità, nel centro di una tempesta, so che c'è un nome che posso chiamare. E invoco il tuo nome, Gesù.

Dove Dio sembra lasciarti sola o solo, dove pensi di doverlo scuotere, Dio è molto vicino, lenisce, conforta, spiana le onde. Anche il più grande diluvio ha avuto una fine e dato il via a un nuovo futuro.

Jens Hansen Mastodon

Trasmissione Radio RAI FVG – 30 gennaio 2025

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Chi sono io? Che cosa ha importanza nella mia vita? Come voglio essere? Ognuno di noi conosce queste domande.

Le risposte a queste domande sono diverse. Dipendono da chi vogliamo essere, da come ci vediamo, dagli ideali e anche dagli idoli che abbiamo. Poi la risposta a queste domande varierà a seconda della nostra età. Oggi io mi vedo diverso da come mi vedevo 20 anni fa, e ciò è un bene, è un segno che la vita è dinamica e che con le esperienze cresco e cambio.

In fondo tutte le domande sfociano nella domanda principale della propria identità. Chi sono? Questa domanda ce la poniamo quando abbiamo paura o ci troviamo in un periodo di crisi, ce la poniamo quando non vediamo più nessuna via d'uscita dai nostri problemi.

Ed è nei tempi di crisi che la domanda del “chi sono io?” diventa insistente e viene accompagnata dalla domanda: “Dio, chi sei tu?”

Il nostro brano ci presenta entrambe le domande: inizia con la nostra prima domanda: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire dall'Egitto i figli d'Israele?» Mosè, nella sua routine quotidiana da pastore incontra Dio. Un incontro inconsueto, senza culto, senza rito predisposto, senza sacerdoti quali mediatori, no, un incontro diretto fra Mosè e Dio, un incontro del tutto inaspettato dall’uomo, genero del sacerdote Ietro.

Un incontro inaspettato in quanto Mosè conosce il suo passato, porta con sé i rimorsi della coscienza per l'omicidio commesso. Dio si incontra con un omicida, e lo fa senza grandi liturgie in mezzo alla quotidianità. Dio parla a Mosè e Mosè risponde: Eccomi qui.

Inizia così l’incontro fra Dio e Mosè.

Dio si presenta. Per chiarire subito che non è un dio nuovo che vuole l'attenzione di Mosè, Egli si presenta come Dio dei suoi antenati, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. E Mosè? Ha paura e si chiede: “che cosa vuole questo Dio da me?”

Ancora non è però il tempo delle risposte. Prima Dio parla della ragione del suo incontro con Mosè. Dio ha visto uomini e donne che soffrono, persone abusate come schiavi, Dio ha visto delle ingiustizie che gridano al cielo e non ce la fa più a guardare, vuole intervenire.

Ed ecco, scende in terra, non rimane indifferente. Dio si fa toccare dalla sofferenza umana, Dio ascolta le lamentele degli umani, le loro domande e anche le loro accuse, Dio non rimane indifferente.

In mezzo alle sofferenze Dio ha bisogno di persone disposte a farsi coinvolgere. Mosè inizia a capire che Dio vuole proprio lui, e gli viene la paura.

Così chiede a Dio: “Chi sono io?” E noi potremmo aggiungere: “Dio ciò che vuoi è troppo grande per me. Non ce la farei, ho troppa paura.”

Chi sono io? E chi sei tu, Dio?

Certo è che Dio non è più un Dio lontano per Mosè. E' sceso in terra per incontrarsi proprio con lui. Noi sappiamo che in Cristo ci è ancora venuto più vicino, in Cristo Dio è con coloro che piangono, che gridano e anche con coloro che danno una mano a chi soffre.

“Io sarò con te”

Dio risponde in modo relazionale. Dio promette a Mosè e a tutti noi: “Io sarò con te.” Quando Mosè vuole sapere il nome di Dio, Dio risponde: “Sarò colui che sarò. Dirai così ai figli d'Israele: 'l'IO SONO mi ha mandato da voi'”

Dio non è un Dio lontano dalle nostre esperienze, non è il vecchio con la barba lunga che siede sopra le nuvole. Dio è un Dio coinvolto al massimo nelle vicende della nostra vita. La fede così cambia. Non è un sistema di regole da seguire, non è un impalcatura teologica o un sistema morale o un credere nell'esistenza di un essere supremo, la fede è relazione con il Dio che viene proprio per relazionarsi con noi e per dare una risposta alla domanda: “chi sono io?”

Siamo delle persone che non sono sole. Grazie a Dio.

Jens Hansen Mastodon

Trasmissione Radio RAI FVG – 23 gennaio 2025

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La samaritana vede un uomo strano, un ebreo, seduto da solo al pozzo, stanco per il viaggio, incapace di attingere acqua per sé perché non ha nulla per farla risalire dalle profondità. Quest’uomo le chiede di dargli da bere. La donna non ha idea di chi sia questo viaggiatore. Quando lo straniero cerca di rivelarle con delicatezza il segreto della sua persona, la donna rimane insospettita, addirittura sulla difensiva, perché non riesce a immaginare che qualcuno possa essere “più del nostro padre Giacobbe”. Solo dopo che Gesù le ha parlato dell'acqua della vita eterna che egli è in grado di darle, ella chiede quest'acqua.

Questa storia va intesa come un invito. Vuole aiutare le persone a credere o: a venire alla fonte della vita. Per la gente del tempo di Gesù questo era difficile almeno quanto lo è per noi oggi. O forse noi abbiamo un vantaggio, perché la storia ci dimostra molte persone eccellenti di fede che talvolta sono degli esempi per noi.

Pensiamo ai martiri che hanno difeso la loro fede fino alla morte (Dietrich Bonhoeffer, Martin Luther King) e a molti altri nei secoli passati, o pensiamo a persone la cui fede ha dato loro la forza di affrontare la vita o di fare del bene agli altri. Queste buone tradizioni ci indicano la strada verso la fonte a cui queste persone hanno attinto. Comunque, in molti anche oggi non riescono a immaginare che la Parola di Dio e la fonte di acqua fresca per la vita si trovino qui. La sete c’è, la stessa sete di vita, ma la si cerca di calmare altrove.

La verità cristiana è a volte molto diversa, molto semplice, poco appariscente, nascosta, proprio come era nascosta nella figura del Cristo viaggiatore. Ma vale la pena prestarvi attenzione, prenderla a cuore, rifletterci e discuterne con gli altri.

Anche la Samaritana aveva bisogno di tempo. Ma non si è tirata indietro. Ascoltò, si informò finché non giunse alla certezza: Questo è l'inviato di Dio. Posso credergli. Ma questa storia va intesa anche come un invito, nel senso che vuole attirarci su un nuovo sentiero. Il vecchio sentiero convenzionale, sul quale di solito cerchiamo di raggiungere la felicità nella vita, segue il motto: “Cerca di fare qualcosa di tuo”. La nuova via si chiama: “Porta gli altri con te – la vita è comunità – con Dio – con gli altri”. Il suo segno distintivo: “Incoraggia gli altri!”

A prima vista, questo nuovo stile di vita, lo stile di Gesù, sembra essere associato a perdite e rinunce per me. A un esame più attento, è benedetto da guadagni. Apre alla comunione, a trovarsi insieme, al sostegno, a sentirsi casa, al successo, alla salute e alla gioia.

La frase di Gesù: “L'acqua che io gli darò diventerà in lui un pozzo d'acqua che sgorga nella vita eterna” è probabilmente meglio tradotta come “incoraggiamento”. Chi incoraggia, rafforza, edifica e conforta gli altri è a sua volta incoraggiato, rafforzato, edificato e confortato. Egli promuove la vita e vive lui stesso. È una fonte per molti, una persona dal cui corpo sgorgano fiumi di acqua viva (Gv 7,38). E se ci si approfitta di lui? O – questa è la vecchia paura – cadete in disgrazia? E gli altri vinceranno la gara? La risposta a questo antico dubbio di tutte le persone pie potrebbe essere la richiesta della Samaritana: “Signore, dammi tanta acqua”, così tanta da annegare in essa la mia paura e il mio dubbio e da far tornare forte la mia fede.

Jens Hansen Mastodon

Trasmissione Radio RAI FVG – 16 gennaio 2025

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Una giovane coppia si vuole sposare. I due però sono poveri e non possono permettersi un matrimonio che costa un occhio della testa. Comunque vogliono lo stesso fare festa per condividere la gioia del matrimonio con tutti gli amici. Preparano una festa in un parco pubblico su un bel prato verde, dove stare con tutti e festeggiare. Nel biglietto di invito chiedono che tutti gli invitati non portino dei regali ma solo una bottiglia di vino rosso tipico della zona.

Così il giorno delle nozze, tutti vengono con in mano una bottiglia di vino, si mettono in fila davanti alla grande botte, messa all’ingresso, per versarci il loro vino. Quando tutti sono arrivati, la festa può iniziare. Che sorpresa però, quando lo sposo apre il rubinetto della botte! Non esce vino, ma soltanto acqua, acqua chiara del rubinetto. Il vino è diventato acqua, anzi, non c’era mai stato.

Come mai? Questo accade perché tutti hanno avuto lo stesso pensiero: se io porto una bottiglia di acqua, in mezzo a tante bottiglie di vino che riempiranno la botte, nessuno si ne accorgerà. Cosa è poca acqua in così tanto vino?

Peccato che tutti hanno avuto lo stesso pensiero. Tutti hanno pensato di fare festa a spesa degli altri. Il risultato? La festa non c’è.

Questo racconto è il contrario di quanto accade nel brano biblico scelto per la riflessione di oggi. Lì il maitre, l’unico che si accorge del segno miracoloso di Gesù, dice: «Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono fino ad ora».

Qui, a Cana, nelle nozze a cui è invitato Gesù con i suoi, non si fa festa a spese altrui, mentre i giovani sposi del nostro racconto non fanno proprio festa, perché tutti la vogliono fare a spese altrui e rimangono a gola secca, o a gola solo bagnata d’acqua. E’ però questo l’evento che meglio descrive quanto abbiamo davanti ai nostri occhi, quanto accade nella nostra vita e nel mondo. E’ qui che l’1% più ricco della popolazione mondiale vive a spese del rimanente 99%. Fanno festa accaparrando le risorse e le ricchezze del mondo, inquinano, sfruttano l’altro 99%, e lo buttano nella povertà dove festa non c’è proprio. La festa a spese altrui, si chiama ingiustizia ed è in forte aumento. Eppure, tutto potrebbe andare diversamente, tutto potrebbe andare per il verso giusto, se solo si prendesse sul serio di non fare festa a spesa altrui, ma di farsi contagiare dalla pienezza che Dio dona a tutte e tutti. Il segno miracoloso di Cana si ripete laddove attingiamo alla pienezza e la condividiamo. La festa della vita è bella quando nessuno vive a spese altrui, ma ognuno e ognuna condivide i doni, quando ci sono pochi ricchi e ancor meno poveri.

Jens Hansen Mastodon

Conferenza a Gorizia svoltasi il 6 febbraio

Tex Willer è Metodista: con questa affermazione Paolo Naso ha concluso il suo intervento sul nuovo libro “Metodisti in Italia”, tenutosi a Gorizia davanti a un pubblico molto interessato e attento. Paolo Naso è venuto a Gorizia proprio per presentare questo volume sui metodisti in Italia, pubblicato dalla Claudiana. Questo libro è il risultato di anni di ricerche sul tema e, come Naso ha spiegato all’inizio del suo intervento, è stato possibile crearlo solo grazie alla costituzione di un archivio virtuale sul metodismo in Italia. Purtroppo, quello reale, cioè i registri delle chiese e altro, non esiste nella misura necessaria per avere una base di ricerca. Per questo motivo, si sono recati in Gran Bretagna e negli USA per consultare le fonti riguardanti l’Italia negli archivi delle chiese metodiste. Il volume presentato è la prova concreta del successo di questo lavoro: oltre 500 pagine, 23 capitoli con 23 autori che offrono un’immagine dei metodisti in Italia, dalla storia fino all’innologia.

Paolo Naso sviluppa il suo intervento partendo dalla domanda sul perché ultimamente siano stati pubblicati dei volumi sulla storia, i quattro sulla storia valdese e il volume presentato sui metodisti. Naso individua nel desiderio di conoscenza del passato un pericolo insito nella ricerca storica: chi vede nel presente e nel futuro ostacoli insormontabili potrebbe voler solo guardare indietro, ma ciò rappresenterebbe una storia destinata a chiudersi. Perciò, Naso cerca di raccontare la storia come una vicenda che continua e si apre al futuro.

Lo fa in due direzioni: da una parte, racconta appunto la storia che continua; dall'altra, evidenzia l'importanza di una piccola chiesa di fronte ai problemi del mondo. L’arrivo dei missionari metodisti in Italia nel 1859 segna l’inizio di una presenza significativa di una delle più grandi denominazioni protestanti nel mondo. Oggi, infatti, i metodisti nel mondo sono 80.000.000, tanti quanti i luterani.

Al loro arrivo, i metodisti leggono la storia d’Italia come una fase di transizione e, dopo Porta Pia, vedono la caduta dell’anticristo in chiave apocalittica, fase che si conclude con l’inizio della Prima Guerra Mondiale.

La vera stagione dei metodisti in Italia si apre secondo Paolo Naso nel II dopoguerra e porta molto fermento negli anni ‘60 del 1900. In quegli anni movimentati, si cerca di essere una chiesa nell’Italia di oggi con una nuova spiritualità incarnata (fattiva!) e un nuovo rapporto con gli altri evangelici italiani. Un esempio è la Federazione delle chiese evangeliche in Italia.

Tra gli elementi forti del metodismo vi sono la visione sull’Italia, l’attenzione rivolta al Mezzogiorno e la ricchezza ecumenica eccezionale, nonché la lunga esperienza maturata nel sud del mondo.

Al termine dell’intervento, le domande ruotano soprattutto attorno alle scoperte personali di Paolo Naso fatte durante il lavoro al Volume. Una di queste è il rapporto tra Wesley e i padri della chiesa antica e l’aspetto gioioso della grazia, di cui il famoso inno Amazing grace è egregia testimonianza.

Rimane comunque la domanda sollevata all’inizio dell’articolo. Ma Tex Willer è metodista? Per Paolo Naso la risposta è positiva, e lo paragonerebbe al circuit rider metodista.

Il libro è in vendita alla claudina editrice

Jens Hansen Mastodon

Predicazione sul testo biblico di Marco 4, 35-41

Versione audio

Basta leggere i giornali della settimana scorsa per capire che il barometro del clima politico ed economico mondiale va verso la tempesta. Inizio il sermone proprio con una lettera arrivatami questa settimana che da proprio voce alle mie preoccupazioni e a quelle di molte persone:

Jens, Donald Trump è tornato. E non si tratta solo di un ritorno politico: è il simbolo di tutto ciò che ostacola il progresso nella lotta contro la crisi climatica. Trump non è solo un negazionista climatico; è il paladino di un sistema che sacrifica i diritti delle persone e la salute del nostro pianeta per proteggere i profitti delle grandi compagnie petrolifere. La sua amministrazione ha già tentato di bloccare ogni tentativo di azione climatica attaccando la scienza e smantellando regolamenti fondamentali per la protezione dell’ambiente. Ora promette di trivellare ovunque, sbandierando il suo slogan “drill, baby, drill” e si è ritirato ancora una volta dall’Accordo di Parigi, sabotando gli sforzi globali per combattere questa crisi. Jens, il messaggio di Trump è inequivocabile: negare la scienza, distruggere l’ambiente, arricchire i potenti e soddisfare l’ingordigia delle compagnie fossili! Quelle che hanno finanziato la sua campagna elettorale con ben 14.1 milioni di dollari! Nel frattempo, però, la realtà è un’altra: è un mondo afflitto dalla crisi climatica. - Incendi devastanti che trasformano foreste e città in cimiteri di cenere. - Siccità che affamano milioni di persone costringendole a migrare. - Alluvioni e tempeste che spazzano via strade, ponti, case, vite umane, storie di singole persone e intere comunità. Solo nel 2023, il numero di disastri climatici ha raggiunto un nuovo record, con oltre 100 miliardi di dollari di danni e milioni di persone sfollate. Eppure, Trump e i suoi alleati continuano a trattare questa crisi come un gioco politico. Trump rappresenta tutto ciò che non possiamo permetterci: negazione, avidità e distruzione.

Aggiungiamo la prospettiva che i populisti e le estreme destre possano vincere le elezioni future e far ricadere il nostro continente in una situazione che conosciamo dagli anni trenta del novecento.

Ovunque, a quanto pare, delle nuvole scure si stanno addensando all'orizzonte, preannunciando un fronte globale di maltempo che potrebbe scuotere e forse addirittura capovolgere la barca del “Pianeta Terra” nella quale ci troviamo tutti e tutte insieme.

Se ora concentriamo il nostro sguardo sulle tempeste che si abbattono sulle nostre vite, le conosciamo tutte e tutti. Sappiamo come ci si sente quando soffia il vento nella propria vita. Sono situazioni in cui non sempre dobbiamo avere paura della nostra vita, ma in cui sperimentiamo, talvolta in modo diretto, che non abbiamo il controllo totale della nostra vita, che abbiamo la sensazione di essere vissuti anziché di vivere... scusate il passivo forzato.

Talvolta la situazione si aggrava. A quel punto, nella nostra disperazione, cerchiamo qualcuno che ci tiri fuori da questa situazione e che faccia passare la tempesta.

Ma come?

Non so se vi ricordate che anche nell’AT si parla di salvataggi in mare. In quel racconto, proprio come nel nostro, si tratta di dover calmare le onde, questa volta del mare vero e non di un piccolo lago. Sì, parlo del libro del profeta Giona.

Giona, incaricato di predicare a Ninive, preferisce defilarsi e non seguire la chiamata divina. Trova una nave, sale a bordo e si sente al sicuro. Fino a quando non arriva una tempesta tremenda che, nonostante i tentativi dei marinai di portare la nave in salvo, non accenna a placarsi.

A quel punto Giona racconta la sua fuga e si fa buttare in mare per evitare il naufragio agli altri. Pare che allora si seguisse ben volentieri l’idea che un sacrificio umano potesse salvare la nave.

Se siamo sinceri, anche oggi non mancano i sacrifici umani. Per mantenere il nostro benessere, lasciamo morire migliaia di persone nel Mediterraneo, sacrificando le loro vite. Per il profitto di pochi, miliardi di persone sono schiavizzate o sfruttate fino al limite delle loro forze. Oltre ai sacrifici umani, si sacrifica anche la creazione che geme sotto i nostri piedi ogni giorno sempre più forte.

Il nostro racconto della traversata del lago di Galilea è diverso. Innanzitutto, siamo testimoni di un Gesù che non si lascia sconvolgere dalle onde. Gesù non è un pescatore, non conosce i venti e le onde, al massimo potrebbe aver pensato che su un lago non c'è alcun pericolo.

Questo, però, non basta a spiegare la sua tranquillità. Gesù dorme nella parte posteriore della barca. L’evangelista Marco sottolinea il sonno profondo di Gesù, parlando di un guanciale e di un cuscino. Un cuscino su una barca da pescatori!

La domanda dei discepoli, invece, è: «Maestro, non t’importa che noi moriamo?» – ci riporta alle esperienze che talvolta facciamo. Esperienze che ci riempiono di dubbi. Esperienze che ritroviamo anche nei salmi, e che sono all'origine di tanti nostri dubbi.

Dio, perché non intervieni? Perché non impedisci che i malvagi possano avere il sopravvento?

Una domanda che, nel Salmo 22, assume estreme conseguenze e diventa un'accusa: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Un'accusa che lanciamo verso Dio quando affrontiamo catastrofi personali, senza però trovare una risposta che ci soddisfi pienamente.

Ecco perché, in molti, non desiderano altro che ciò che Marco racconta, ciò che dell’episodio sul lago fa un miracolo. Come già detto sopra, i discepoli si avvicinano in preda al panico a Gesù con la domanda: «Maestro, non t’importa che noi moriamo?»

La risposta di Gesù, che dopo aver placato la tempesta non sarà piaciuta, sarà: «Perché avete così tanta paura? Non avete ancora fede?» Certo, lo dice dopo aver placato il mare e il vento. La situazione si calma. Silenzio. Bonaccia, scrive Marco.

Ciò che segue è altrettanto inaspettato e strano. I discepoli non gioiscono per essere stati salvati, sono spaventati. Prima avevano paura delle onde e del vento, ora sono colmi di timore e spavento per Gesù.

Cosa ci vuole insegnare, alla fine, la vicenda della tempesta?

I primi cristiani leggono la vicenda in questo modo: Gesù ha predicato, annunciato e aspettato il Regno di Dio. Per loro, il Regno di Dio significa che Dio sale sul trono del mondo e vince tutte le potenze che soffocano e opprimono la vita: la violenza militare romana, la sofferenza, le malattie, la fame, la miseria, lo sfruttamento, la schiavitù. Dio avrebbe sconfitto tutto ciò con la forza del suo amore.

Tuttavia, le forze oppressive sono ancora presenti e le chiese di 2000 anni fa si sentono come in una barca in mezzo alla tempesta, abbandonate al vento e alle onde. Gesù, morto e risorto, che un giorno tornerà, porterà aiuto adesso? Ora?

Man mano, le prime chiese hanno compreso che ciò che viviamo ora, le persecuzioni, il maltrattamento degli schiavi, mette a dura prova la nostra fiducia in Dio. In tutto ciò, nonostante la nostra poca fede, possiamo contare sulla presenza di Dio in mezzo a noi. E noi? In mezzo agli uragani di cui ho parlato all’inizio del sermone, in mezzo a una situazione mondiale che ci rende insicuri e dubbiosi, forse ci riempie anche di paura e ansie, come ascoltiamo questo evento in cui Gesù calma la tempesta?

Quanta paura è giustificata? Quanta paura invece è indotta e ci rende ciechi di fronte a ciò che si può e si deve fare? Possiamo fare come i discepoli nella tempesta: «Signore, aiutaci!».

E scopriremo che Gesù toglie il fondamento alle nostre paure. Il vento deve cessare, la forza primordiale della natura deve tacere. Le fauci mortali del mare devono chiudersi. Segue un silenzio.

Essere con Gesù nella stessa barca significa attraversare il pericolo. Prima bisogna vincere la paura, poi anche la tempesta si placherà. Gesù è con noi. Con lui la paura non ci sopraffà e abbiamo la forza di contrastarla con l’amore di Dio, un amore che può cacciare via la paura.

Jens Hansen Mastodon

Ogni due mesi pubblico una circolare per le due chiese. All'inizio delle circolari scrivo una meditazione biblica che pubblico qui oggi. E' per la circolare di febbraio/marzo.

Si basa sul versetto biblico preso dal Salmo 16 che dice al versetto 11:

Tu m’insegni la via della vita.

Nell'ultimo versetto del Salmo 16, la persona che prega esprime il suo impegno con Dio in poche parole: Tu m’insegni la via della vita. La sua vita è caratterizzata da una profonda fiducia in Dio confessata in ogni versetto della sua preghiera.

Proteggimi, o Dio, perché io confido in te. Così inizia la sua preghiera e la persona che prega sembra essere consapevole che la sua fiducia è un dono di Dio.

Questo versetto scelto per febbraio mi ricorda la decisione che Mosè sottopone al popolo di Israele, ricorda i comandamenti della Torah e invita a decidere tra la vita e la felicità o la morte e la disgrazia.

Mosè dice: ti comando oggi di amare il SIGNORE, il tuo Dio, di camminare nelle sue vie, di osservare i suoi comandamenti, le sue leggi e le sue prescrizioni, affinché tu viva e ti moltiplichi, e il SIGNORE, il tuo Dio, ti benedica nel paese dove stai per entrare per prenderne possesso. (Deuteronomio 30:16).

Camminare per le vie di Dio significa seguire la sua chiamata, ottenere la vita in senso globale facendo ciò che si deve fare. Non vuol dire vivere secondo una norma legale. La chiamata di Dio si concretizza nell'alleanza e nella legge. Entrambe sono doni di Dio al suo popolo Israele. L'alleanza non può essere rivista; Dio l'ha stipulata con il suo popolo per l'eternità. La legge va intesa più come un'istruzione parola meno rigida che apre al dialogo.

Gesù stesso ha partecipato a questo dialogo, ma senza uscire dal campo della Torah.

Riflettere sull'alleanza e sulle istruzioni di Dio può indicarci la strada da seguire. Ai suoi tempi, il profeta Isaia vide come le persone possono allontanarsi da questo sentiero e come possono correre alla cieca verso l'abisso: Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. (Isaia 53:6) Anche il salmista, nel Salmo 16, riconosce il pericolo che altre vie possono portare fuori strada.

Se ognuno guarda solo al proprio cammino, esclude fin dall'inizio qualsiasi dialogo con gli altri, penso anche al dialogo tra membri di religioni diverse, oggi più che mai necessario.

In una società così diversa dal punto di vista religioso come la nostra, questo dialogo interreligioso non deve limitarsi esclusivamente agli incontri tra rappresentanti religiosi ufficiali. È altrettanto importante cercare e impegnarsi in questo dialogo nella nostra vita quotidiana. Le opportunità per farlo si trovano se non ci limitiamo a guardare il nostro cammino. Sono consapevole di non poter pretendere di essere assoluto sul mio cammino. Posso rinunciarvi senza allontanarmi dal cammino che Dio mi rivela.

L'amore per i miei simili e la fiducia in Dio includono l’accoglienza di persone di fede diversa dalla mia. E questo significa lavorare per la realizzazione di una vita buona nella giustizia e nella pace. Con tutte le persone di buona volontà.

Jens Hansen Mastodon

La chiesa metodista di Gorizia si trova in Via Armando Diaz 18/a. Le sue attività, le pubblico regolarmente nella agenda che inserisco qui sotto.

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