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Girando per Foggia senza alcuna meta precisa, con lo scopo, forse – non ho osato confessarlo a me stesso – di far respirare i ricordi, questa sera ho pensato per la prima volta che forse la morte di Giuseppe è stata sensata. Era due cose, Giuseppe. Era, dentro, un rocker, un ribelle, la reincarnazione di Jimi Hendrix. Era, fuori, il figlio di un impiegato della Posta: con la faccia del figlio di un impiegato della Posta. Sembrava comico, quel contrasto tra interno ed esterno, e infatti lo prendevano in giro; era invece tragico. Ora, se fosse vissuto, sopravvissuto, l'impiegato della Posta avrebbe ucciso il rocker, per sempre. L'avrei incrociato, questa sera, e non lo avrei riconosciuto. Non avrei riconosciuto la sua rabbia, il suo profondo disgusto verso tutto ciò che ci circondava, l'ansia di lanciarsi al di là di tutto con un assolo di chitarra. E lui, credo, non avrebbe riconosciuto me.

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ψυχῆς πείρατα ἰὼν οὐκ ἂν ἐξεύροιο πᾶσαν ἐπιπορευόμενος ὁδόν· οὕτω βαθὺν λόγον ἔχει·

Do por mi. Mi ne konas miajn limojn, mi ne scias mian fundamenton. Mi ne scias, kio estas neebla por mi. Mi estas kapabla je ia krimo. {29.07.20}

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L'uomo ha una macchinetta da cui fuoriesce un tubicino che finisce nel suo naso. Così cammina; così, immagino, è sempre. In ogni istante legato a quella macchinetta. Un legame vitale. La sua vita è appesa a un dispositivo esterno al suo corpo, che in qualsiasi momento può incepparsi. La sua vita vita dipende da qualcosa che non è lui. Ma non è lo stesso per me, per chiunque? Quale differenza c'è tra quella macchinetta e qualsiasi organo del mio corpo? Non sono così i polmoni? Non è così il cuore? Non sono dispositivi esterni a me, benché inseriti nel corpo che definisco mio, che in qualsiasi momento possono incepparsi? Non dipendo in ogni istante da macchine biologiche che non sono me? Se il nostro corpo fosse davvero nostro, potremmo comandargli. Potremmo regolare i battiti del cuore. Potremmo ordinare al corpo di debellare il tumore. La malattia non esisterebbe. Di fatto, chiamiamo nostro ciò che nostro non è affatto. E distinguere il mio dal non mio è il primo passo verso la guarigione. {18.07.20}

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Dice: “Ti amo così tanto che non riesco a immaginare la mia vita senza di te”. Crede di aver dichiarato il suo amore; in realtà ha confessato la sua incapacità di amare. Le sue parole significano: “Senza di te la qualità della mia vita diminuirebbe molto, e per questo non voglio perdere il possesso della tua persona”. Egoismo — null'altro. Amasse davvero, direbbe: “Ti amo così tanto, che posso immaginare benissimo la tua vita senza di me”. {13.7.20}

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וְשָׂנֵאתִי, אֶת-הַחַיִּים—כִּי רַע עָלַי הַמַּעֲשֶׂה, שֶׁנַּעֲשָׂה תַּחַת הַשָּׁמֶשׁ: כִּי-הַכֹּל הֶבֶל, וּרְעוּת רוּחַ.

E odiai la vita, perché male era per me tutto il lavoro fatto sotto il sole. E tutto è vuoto e corsa dietro al vento. Qohelet, 2.17 {7.7.20: לֹא}

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