[sguardi]

Rassegna stampa didattica

È una proposta del governo che ha l'obiettivo di ridurre ulteriormente la percentuale di adulti fumatori entro il 2025

Il Post, 9 dicembre

In Nuova Zelanda il governo vuole introdurre una legge per impedire alle nuove generazioni di cominciare a fumare sigarette: vieterà di vendere a tutte le persone nate dopo il 2008 prodotti contenenti tabacco, per tutta la loro vita. La proposta di legge deve ancora passare dal Parlamento, ma dovrebbe essere approvata senza complicazioni, visto che il Partito Laburista al governo ha la maggioranza.

La legge è stata annunciata giovedì dalla ministra della Salute neozelandese, Ayesha Verrall, che ha ricordato che il fumo è la principale causa di morte tra quelle che si possono prevenire. Verrall ha aggiunto: «Vogliamo assicurarci che le persone giovani non inizino mai a fumare, per questo abbiamo reso un reato vendere o fornire loro prodotti contenenti tabacco. Le persone che avranno 14 anni quando la legge entrerà in vigore non potranno mai comprarli legalmente».

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Per i fatti dell'aprile del 2020 ci sono 108 imputati, 50 dei quali dovranno rispondere per la prima volta in Italia del reato di tortura

Il Post, 15 dicembre 2021

Oggi comincia, con l’udienza preliminare, il processo per le violenze subite lo scorso aprile dai detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. È un processo storico perché a 50 dei 108 imputati viene contestato, per la prima volta in Italia, il reato di tortura, introdotto nel nostro ordinamento nel 2017. Ed è un processo molto complesso che sarà, probabilmente, anche molto lungo.

Si svolgerà in due aule collegate via video all’interno del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, un edificio adiacente al carcere dove si svolsero i fatti. I 108 imputati, di cui venti ancora agli arresti domiciliari, devono rispondere a vario titolo di tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e cooperazione nell’omicidio colposo del detenuto algerino Lakimi Hamine. Tra difensori degli imputati e parti civili saranno presenti oltre 200 avvocati.

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The Post Internazionale, 11 dicembre 2021

di Giulio Cavalli

I cosiddetti Stati autoritari che vengono bastonati (giustamente) dalle organizzazioni umanitarie potrebbero prendere appunti: è possibile perseguitare un giornalista senza sgualcirsi il polsino, con la faccia pulita degli esportatori di democrazia e confidando in una stampa internazionale morbida e distratta.

Julian Assange ha pubblicato file diplomatici che hanno permesso al mondo di conoscere gli intrighi degli Stati Uniti, i crimini commessi nelle cosiddette missioni di pace e un’enorme mole di violazioni della legge da parte dello stesso governo che promette di difenderla. Assange non è diverso dai tanti giornalisti eroi che vengono giustamente celebrati per avere fatto conoscere ciò che il potere vorrebbe tenere nascosto, Assange non è diverso dai testimoni di giustizia che venendo a conoscenza di crimini decidono di renderli pubblici per assicurare la giustizia stessa, Assange non è nemmeno molto diverso dai giornalisti che qui in Italia hanno fatto la storia dell’antimafia quando l’antimafia era una cosa seria, che non si limitava alle beghe di quattro picciotti ma mirava a scardinare i gangli più alti del potere e le sue collusioni mafiose.

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New ordinance would dial down music, limit hours in public spaces

The Washington Post, 18 dicembre 2021

by Lily Kuo

For years, China’s ubiquitous dancing grannies have protected their turf. They hurled insults at teenagers over a basketball court. They stormed a soccer field during a children’s match. And they suffered abuse from angry neighbors throwing food — and in at least one case, feces — at them. These middle-aged and retired Chinese women, who take over public parks and plazas around the country to engage in synchronized shimmying, will soon face new restrictions on their right to boogie. Under legislation to update China’s noise pollution ordinances, to be sent to lawmakers next week, dance enthusiasts will face limits on the volume of their music and times that they are allowed to occupy public spaces. Fines for individuals range between $30 and $150, and more than $3,000 for groups. “Those who violate the regulations shall be persuaded and educated” by the relevant local government bodies “to correct themselves,” the draft legislation says, according to state media.

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Corriere della Sera, 19 dicembre 2021

di Alessandra Vanoli

Percorro quasi quotidianamente la tratta da Milano Dateo a Porta Garibaldi (passante ferroviario) e da Porta Garibaldi a Monza, per un totale di quattro treni al giorno! La cosa più bella che mi è capitata in questa ennesima settimana da pendolare è stata aver trovato, stamattina, un vagone del passante ferroviario coi sedili imbrattati di escrementi. Provate un po’ ad immaginare quale possa essere stata la più brutta. Sono circa 20 anni che prendo il treno quasi tutti i giorni, due volte al giorno e nell’ultimo anno e mezzo la situazione è davvero degenerata. Se non è lo schifo per lo sporco, è il timore di ricevere attenzioni sgradite da parte di qualche brutto soggetto, o il fastidio nei confronti di chi fa fatica a rispettare poche semplicissime regole di buon senso, che siano l’uso della mascherina o il rispetto degli spazi comuni.

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È originario del Kashmir. L’accusa: sedizione

Corriere della Sera, 19 dicembre 2021

di Alessandra Muglia

Mai avrebbe pensato di ritrovarsi ancora in cella dopo oltre due mesi soltanto per aver tifato la squadra sbagliata. Era il 24 ottobre quando Showkat Ahmad Ganai, studente di ingegneria, esultava su WhatsApp per la vittoria del Pakistan sull’India ai campionati del mondo T20 di cricket. Aveva assistito al match in tv dal suo college, ad Agra, la città indiana del celebre Taj Mahal. Era a un passo dalla laurea. Invece il 27 ottobre è stato portato nel carcere di massima sicurezza come un pericoloso sovversivo insieme ad altri due compagni originari del Kashmir indiano come lui.

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di Elisabetta Moro | The Vision, 16 dicembre 2021

Gli studenti italiani sono tra i più stressati e depressi d’Europa. Lo evidenziano vari studi condotti negli ultimi anni, a partire da quello sul benessere dei quindicenni pubblicato dall’Ocse nel 2015, e da cui emerge un quadro preoccupante sulla salute mentale dei ragazzi italiani, maggiormente soggetti ad ansia scolastica rispetto ai loro coetanei europei. Nel nostro Paese, il 56% degli intervistati dichiarava di diventare nervoso davanti a un test rispetto al 37% della media europea, il 70% diceva di provare molta preoccupazione (negli altri Stati in media era il 56%) e di conseguenza solo il 26% delle ragazze e il 17% dei ragazzi si definiva contento di andare a scuola. Con gli anni, l’allerta per la salute mentale degli studenti è aumentata: **nel 2019, secondo un rapporto dell’Unicef, il 16,6% dei ragazzi e delle ragazze italiani fra i 10 e i 19 anni soffriva di problemi legati alla salute mentale, circa 956mila in totale. **

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Le Monde, ripreso e tradotto da Internazionale, 1439.

Le disuguaglianze non sono inevitabili, ma combatterle resta una sfida gigantesca. Le conclusioni del rapporto pubblicato dal World inequality lab mostrano tutta la complessità di una questione che minaccia gli equilibri politici, economici, sociali e ambientali del pianeta. Il problema non è nuovo, ma la crisi del covid-19 ha esasperato l’appropriazione delle risorse da parte dei più fortunati, spingendo nella precarietà i più fragili. Da questo punto di vista, lo sconvolgimento degli ultimi mesi è una novità. Se le due guerre mondiali e la crisi del 1929 avevano portato a una ridistribuzione che sfavoriva i più ricchi, la pandemia ha invece accentuato le disuguaglianze. Nei paesi ricchi il grande intervento dello stato ha permesso di tutelare i redditi e di limitare l’aumento della povertà. Ma queste politiche hanno richiesto un indebitamento pubblico di proporzioni storiche e un’enorme iniezione di liquidità nel sistema finanziario. Il denaro è stato indispensabile per proteggere i lavoratori e le aziende, ma ha anche favorito chi possiede i grandi patrimoni, contribuendo all’aumento delle disuguaglianze.

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Sono state raccolte 630 mila firme per un referendum che punta a depenalizzare la coltivazione della canapa e altre condotte relative alla marijuana. Che si vada a votare o no, l’iniziativa è destinata a fare discutere. Abbiamo organizzato un confronto tra Marco Perduca, antiproibizionista, e don Vinicio Albanesi, contrario al quesito proposto dai promotori.

Corriere della Sera – La Lettura, 12 dicembre 2021.

A cura di Antonio Carioti.

Nel 2022, in una data tra il 15 aprile e il 15 giugno, saremo probabilmente chiamati alle urne per un referendum sulla legalizzazione della cannabis. Sono state raccolte infatti 630 mila firme su un quesito che si articola in tre punti. Il primo punta a depenalizzare la coltivazione della pianta per uso personale; il secondo elimina le pene detentive per qualsiasi condotta relativa alla cannabis, a parte l’associazione finalizzata al traffico illecito; il terzo cancella la sanzione amministrativa del ritiro della patente di guida per il possesso della sostanza. Ora si attendono il verdetto della Cassazione sulla regolarità della raccolta delle firme e quello della Corte costituzionale sull’ammissibilità del quesito. Nel frattempo potrebbe intervenire il Parlamento, modificando la legge e rendendo inutile il referendum, ma le forze politiche appaiono incerte e divise sulla materia. Già adesso comunque si è aperto il dibattito e «la Lettura» ha chiamato a discutere sull’argomento don Vinicio Albanesi, sacerdote, a lungo presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, che ha preso posizione contro il quesito; e Marco Perduca, presidente del comitato per il referendum. Nel nostro Paese è già stato introdotto l’uso della cannabis a scopo terapeutico. Non è sufficiente?

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George Monbiot, The Guardian, Regno Unito 7 dicembre 2021

C’è un mito sugli esseri umani che resiste a ogni evidenza, cioè che mettiamo sempre la nostra sopravvivenza al primo posto. Questo è vero ma per altre specie, che quando si trovano di fronte a una minaccia imminente, come l’inverno, investono grandi risorse per evitarla o sopportarla: migrando o andando in letargo, per esempio. Per gli esseri umani la questione è diversa.

Di fronte a una minaccia imminente o cronica, come il collasso climatico o ambientale, sembra che facciamo di tutto per compromettere la nostra sopravvivenza. Ci convinciamo che non è così grave, o addirittura che non sta succedendo niente. Raddoppiamo la distruzione, sostituendo le nostre auto ordinarie con dei suv, lanciandoci verso l’oblio con un lungo viaggio in volo, bruciando tutto quanto, in un ultimo accesso di frenesia. In fondo alla nostra testa c’è una vocina che ci sussurra: “Se la situazione fosse davvero così grave, qualcuno ci fermerebbe”.

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