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from My Little Grundgestalts

Yesterday I was at the concert that Focus, the mighty progressive rock band of the Netherlands headed by Thijs van Leer, gave in Belgium.

It's been a magic experience from the very beginning: I arrived at the venue two hours before the concert, and was kindly admitted to the hall 1,5h before the official opening of the doors

I was the only one in the empty hall. Thijs' Hammond Organ, with his flute and baritone flute were there; the six-string bass of Udo Pannekeet laid there abandoned, and so Peter van der Linden's drumkit and Menno Gootjes' effects. Spectral, and fascinating at the same time, as if a Time Witch had stopped the course of time...

Then, people started to show up. They did not question my presence there, luckily, so I safely kept my position right in front of Thijs' organ.

And then, Peter passed by. OMG I was quite shocked and uttered “Hello Mr. Peter!”, to which the drummer replied with a questioning face and just left.

After a few minutes, it happened! Thijs van Leer, Himself, did appear! And I could address him as I had done with Peter. Mr. van Leer was incredibly kind, and we could speak for a few precious moments. In the end I asked him if he could sign the case of my flute. He was surprised, though kindly obliged. He asked me about the brand of my flute, among other things.

And then he went away. Though returned with his wife, I was kindly introduced to. It all seemed as if we were old friends! I could not believe it, and already realized that the concert that was about to begin would be something utterly special.


And then, the concert began. My Gods, “Hocus Pocus”, “Eruption”, and so many lovely gems were produced in front of me with an energy and a passion that were unique.

Every player was outstanding —

Menno on his Les Paul played fantastically and masterfully, with a serious of outstanding techniques, among which tapping combined with the hand-controlled use of the volume, which created right in front of me the same sound miracles that one could hear from Steve Hackett's guitar in early Genesis.

Udo, a unique bass player, created incredible sounds mastering all styles, from pure rock to jazz and blues as if it was nothing. I will forever remember his wonderful solo moment, with the masterly use of harmonics magically produced on his 6-string.

Peter, master of the drums, performed divinely, culminating with a 15m solo that created an incredible, polyrythmical heaven for all of us in the audience.

And Master Thijs... Oh, my God, He really was the Wizard that spelled It all out. His flutes, his organ, his voice... they evoked All-that-is-beautiful, from Bach to Focus. And while doing all this, he conducted the other, appraising them in their best moments, and addressing the audience with the class and elegance of the finest Master of the House... always noble and amable. When watching him, I could not but think how young this great Man truly is, despite whatever his passport might state.

Truly great moments, some of which I have recorded. The volume is inevitably distorted, unfortunately, but I'm so happy to have been the retainer of such a monumental prog-rock Act!

(At 11m01s—11m09s, after the dreadful scream, you can hear my voice in opera-like mode XD)

(The Maestro even makes an “Okay” sign with his hand, not to me of course but ahahaha XD)


Focus! by Eidon (Eidon.Bandcamp.com) is licensed under CC BY-ND 4.0

 
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from filippodb

Uno smartphone Android si affida a molti servizi, dagli app store ai calendari alla messaggistica e alle notifiche push. La maggior parte di essi ha alternative Open Source, ma finora l'unica opzione per le notifiche push era il servizio proprietario di Google, Firebase Cloud Messaging (FCM). UnifiedPush è una nuova alternativa che consente di ottenere le notifiche push senza essere legati ad un'unica azienda.

Le notifiche push sono essenziali per la moderna esperienza mobile perché consentono alle app di comunicare con gli utenti in tempo reale, anche quando non vengono utilizzate attivamente. Affidarsi alle notifiche push fornite da Google è un problema sia per la privacy che per l'indipendenza, quindi:

1) usare tutti il sistema di notifiche di google va contro il concetto di decentralizzazione.

2) anche nel #fediverso siamo spiati da google che controlla e legge tutte le notifiche android.

UnifiedPush

Per risolvere (e togliere google dalle notifiche) è sufficiente cambiare le impostazioni usando la soluzione libera UnifiedPush attraverso l'app Nextpush presente su Nextcloud!

Su android installate questa app : https://gitea.it/Mastodon/nextpush-android

Usate i dati di accesso del nextcloud di #MastodonUno. (per avere un account: https://cloud.mastodon.uno/apps/forms/s/YSCoCC37D9omTN8iXSKkQqz9)

e impostate la vostra app per usare #UnifiedPush!

Di seguito le guide per Mastodon, Matrix e Telegram (Pixelfed supporterà UnifiedPush a breve).

Mastodon

Il nostro consiglio è di usare solo app che usano il sistema UnifiedPush:

. Moshidon https://gitea.it/Mastodon/moshidon . Fedilab https://gitea.it/Mastodon/fedilab-Android-App . Tusky https://gitea.it/Mastodon/Tusky-App-Android . Pachli https://gitea.it/Mastodon/pachli-android . Shitter https://gitea.it/Mastodon/Shitter-android-app

Installare l'app nextpush: https://gitea.it/Mastodon/nextpush-android con credenziali del nextcloud di M1 (per un account: https://cloud.mastodon.uno/apps/forms/s/YSCoCC37D9omTN8iXSKkQqz9)

Matrix

Matrix è la messaggistica decentralizzata che usiamo dal 2020, sono 300 le persone iscritte alla nostra stanza per discutere su mastodon e sul fediverso (chiedimi un invito su @filippodb@mastodon.uno).

Proprio dalla stanza #matrix è nata l'esigenza di usare notifiche alternative a google come #unifiedpush dato che tutte le app matrix le possono usare:

. FluffyChat https://fluffychat.im/ . SchildiChat https://schildi.chat/ . Element https://element.io/download . SmallTalk https://gitea.it/devol/smalltalk-matrix

Basta attivare l'app #NextPush con le credenziali nextcloud (potete chiedere un account qui: https://cloud.mastodon.uno/apps/forms/s/YSCoCC37D9omTN8iXSKkQqz9)

Telegram

Per chi preferisce ancora usare #telegram esistono dei client che ti permettono di usare le notifiche #UnifiedPush invece che le notifiche di Google:

. MercuryGram https://f-droid.org/packages/it.belloworld.mercurygram/ . Nagram https://github.com/NextAlone/Nagram/releases

Serve installare #NextPush: https://gitea.it/Mastodon/nextpush-android

e utilizzare le credenziali del vostro account #nextcloud (per averne uno basta chiedere: https://cloud.mastodon.uno/apps/forms/s/YSCoCC37D9omTN8iXSKkQqz9)

configurazione nextpush su MercuryGram

Su telegram abbiamo il nostro canale con quasi 3000 iscritti, potete iscrivervi da qui: https://t.me/devolitalia

Supporta Mastodon, Nextcloud e NextPush

Agli iscritti di Mastodon.uno e pixelfed.uno rendiamo disponibile il servizio nextcloud e Nextpush, i costi di hosting sono supportati dalle donazioni, puoi sostenere i servizi con liberapay: https://liberapay.com/mastodonitalia grazie!

Per seguirmi

Attraverso questo blog su @filippodb@noblogo.org (attivate la campanella per essere notificati) su mastodon: @filippodb@mastodon.uno

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Mastodon · CC BY-SA 4.0

 
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from devol

Il lancio della social web foundation è un passo entusiasmante per sviluppare ulteriormente il fediverso in un momento in cui sembrava che si stesse fermando!

È stata lanciata la Social Web Foundation. Questa organizzazione no-profit si occupa di creare connessioni tra le piattaforme sociali con ActivityPub ed è stata co-fondata da da Evan Prodromou (uno dei creatori di activitypub @evan@cosocial.ca), Mallory Knodel (@ohmallory@socialwebfoundation.org) e Tom Coates (@tomcoates@me.dm).

L'obiettivo della fondazione è quello di educare il pubblico e i politici sul social web, migliorare ed estendere il protocollo ActivityPub e costruire strumenti per rendere il social web più facile da usare. “Con questo programma, la Social Web Foundation può catalizzare una maggiore crescita del Fediverso, migliorando al contempo l'esperienza e la sicurezza degli utenti”, afferma Prodromou. “Il nostro obiettivo è sbloccare gli utenti, gli sviluppatori e le comunità in modo che possano ottenere il massimo dalla loro esperienza nel social web”.

Sono passati quasi sei anni da quando abbiamo lanciato la nostra istanza mastodon.uno, che ora conta oltre 73.000 utenti registrati. Abbiamo iniziato perché ci piace l'idea di un social network distribuito basato su standard aperti, senza proprietari, senza capitalismo di sorveglianza e senza tracciamento o profilazione degli utenti.

Ci siamo uniti al Fediverso per la prima volta nel 2019, come la prima associazione che permetteva di pubblicare su un microblogging (https://Mastodon.uno), foto (https://pixelfed.uno), video (https://Peertube.uno) e pubblicazione messaggi long-form che implementassero il protocollo ActivityPub (https://noblogo.org) un sito che gestivamo dal 2007 e che abbiamo migrato su WriteFreely. Quando abbiamo gestito noi stessi le istanze sapevamo già che con actyvitypub avevamo un protocollo moderno in grado di trasformare Internet stesso, con i suoi migliaia di siti indipendenti, in una rete sociale.

Già allora sapevamo quanto questo nuovo protocollo fosse promettente per il web aperto. Sul fediverso si vede un elenco cronologico dei post delle persone che si seguono. Tutto qui. Non ci sono algoritmi o miliardari che promuovono i post in base alla loro popolarità o viralità, o se qualcuno ha pagato per promuoverli.

Gli utenti di ogni piattaforma possono seguire i loro amici o le persone interessanti su qualsiasi altra piattaforma della rete – apprezzando, commentando, condividendo e postando insieme.

Il Fediverso ci ricorda i primi tempi del Web. Siamo in competizione contro i silos e gli interessi aziendali, utilizzando uno standard aperto basato sul W3C e una soluzione distribuita. È fantastico che le aziende di social network sostengano il Fediverso e la Social Web Foundation, in modo da poter tornare ad avere una piazza libera da algoritmi e dal controllo delle aziende.

Dal 2019 le nostre istanze sono state utilizzate da oltre 100.000 persone e organizzazioni che si sono iscritte ai nostri servizi decentralizzati. E da allora abbiamo continuato a sostenere ed evolvere con il Fediverso.

In qualità di gestori di lunga data del Fediverso, i nostri obiettivi si allineano perfettamente con quelli della Fondazione e il suo lavoro sarà prezioso per realizzare pienamente il sogno di un social web veramente aperto.

Tra i suoi primi progetti, la Social Web Foundation riunirà Write.as, Ghost, WordPress e altri per risolvere i problemi relativi ai contenuti long-form e al tipo di articolo nel Fediverso. Con questo lavoro, ci auguriamo di vedere una presentazione più coerente dei contenuti long-form e una solida compatibilità multipiattaforma quando piattaforme come Ghost si uniranno al Fediverso.

È estremamente emozionante vedere un'organizzazione formale senza scopo di lucro prendere forma e affrontare la sfida di migliorare il Fediverse. Nonostante l'importanza del lancio di questa organizzazione, Evan vuole mettere le cose in chiaro: l'SWF non intende essere un'autorità centrale.

“Il Fediverso è troppo grande e troppo vario perché qualcuno possa pretendere di parlare a nome del Fediverso. Non è quello che vogliamo fare o chi vogliamo essere”, spiega, ‘Potremmo fare cose con cui le persone della rete non sono d'accordo, come incoraggiare le organizzazioni dei media a unirsi alla rete, ma quello che vogliamo fare è aiutare la missione di far crescere e migliorare il Fediverso nel tempo’.

Ci auguriamo che la continua collaborazione con la Social Web Foundation aiutino il Fediverso a crescere e a diventare il social che abbiamo sempre sognato: quello in cui ognuno può controllare con chi interagire e come, senza i capricci delle piattaforme di social media centralizzate di un tempo.

Potete seguire la Social Web Foundation nel Fediverso su @swf@socialwebfoundation.org o @socialwebfdn@threads.net.

Potete seguirci: Attraverso questo blog su @devol@noblogo.org (attivate la campanella per essere notificati) su mastodon: @devol@mastodon.uno Con la nostra newsletter: https://buttondown.com/devol

#fediverso #ActivityPub #SocialWebFoundation

 
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from Da Balvano alla Piana delle Giare

PhouPhati Nome in codice: Lima Site 85 sul Phou (monte) Phathi. Ex avamposto della CIA nel distretto di Huaphan, nord del Laos

Il mio ultimo sforzo letterario si intitola “Da Balvano alla Piana delle Giare”. E' una riflessione sul Laos e sulla storia del colonialismo nel sudest asiatico che parte dalla Basilicata, da Balvano, ma che attraverserà anche altri luoghi, che verranno svelati poco alla volta. L'obiettivo generale è riallacciare un discorso iniziato con il mio testo inedito sulla Colombia, che potete scaricare qui e di cui potete leggere un veloce riassunto qui.

Nelle pagine conclusive di quel lavoro, mi chiedevo se l'Assenza potesse essere pensata come una relazione di potere.

L'assenza dello Stato è infatti una categoria politica a sé stante intorno alla quale sono state costruite cartografie “coloniali” praticamente da sempre. In Colombia esistono le “zone rosse”, “i territori vuoti” e “le zone di guerra”, aree che appartengono ad un fuori dello Stato, riconoscibili per la loro dis-indentificazione e perchè sono oggetto di operazioni speciali di qualche tipo. Intorno alle “Zone” vengono predisposti diversi dispositivi giuridico-legali e militari-burocratici che materializzano governamentalità, cioè pianificano e realizzano ove possibile, interventi ad hoc per inglobare, annettere, assorbire, far divenire le zone parti della totalità che le definisce.

Un caro amico antropologo, tristemente ucciso a Mariupol nel 2022, si spinse così lontano da voler scrivere e filmare zone “di operazioni speciali anti-terrorismo”, le più speciali di tutte, perché riguardano processi reali di fabbricazione della realtà giuridico legale con la quale si regolamenta una specifica relazione bellica e di inimicità. In queste zone, a parere di Mantas, il nome del mio amico, si produce una peculiare condizione che definiva di “bespredel”, cioè di “assenza di limiti”. Mantas raccontava la vita nell'eccesso di potere dove la realtà può essere letteralmente fabbricata a piacimento dall'autorità, creando testimonianze e prove materiali di eventi che si imprimono nella memoria pur senza avere alcun legame reale con le operazioni belliche da cui nascono. Ci troviamo cioè nel bel mezzo di una produzione sistematica di fake news che però diventano (S)toria.

“La Zona”, come la definisce Mantas, con la Z- maiuscola (una Z che ricorda così tanto la lettera dipinta sui carri armati e sugli elmetti dell'esercito russo che invade l'Ucraina), era proprio Mariupol, ma anche la Cecenia, dove lavorò molti anni producendo un film documentario in cui raccontò invece di un luogo onirico, Barzakh, un rifugio sospeso tra la vita e la non vita, tra la morte e la non morte, dove si incontravano i desideri delle persone in attesa dei loro cari scomparsi. Accompagna per lungo tempo con la sua telecamera una madre che attende informazioni sul figlio scomparso. Ha pagato alcune migliaia di dollari ad un agente dell'FSB, il servizio segreto russo, ex KGB, per sapere se è ancora vivo, se è detenuto in qualche carcere oppure se è morto. Trova così archivi improbabili, tra indovine che leggono dei sassolini e i documenti fabbricati dalla Burocrazia, ampiamente inutili, che, però, in qualche modo, soddisdano la sua richiesta di informazioni. In questo triste viaggio in cui l'accompagna, Mantas scopre Barzakh e racconta un'altra Assenza, quella di un luogo, la Cecenia, che oggi potrebbe dirci tanto della Russia e della leadership che governa il mondo. In Cecenia si è progressivamente assistito alla radicalizzazione islamista della resistenza al potere centrale russo; dal sufismo moderato e mistico si è arrivati allo jiadhismo wahabita, come se solo un “dio” potesse dare la forza di opporsi al potere assoluto che lì si manifestava. Ma si è anche assistito al suo successivo annichilimento. Ciò avvenne, secondo Mantas, dentro una grande finzione giuridico legale che era la “Zona di operazioni speciali anti terrorismo”, in cui vecchie pratiche staliniste di dominio e di controllo delle popolazioni ribelli trovarono uno spazio di legittimazione legale che permise la sistematica cancellazione di ogni forma di resistenza e di ogni racconto sugli orrori che via via venivano commessi: nel silenzio assenso della comunità internazionale e dei loro imperatori anglossassoni alle prese con le loro proprie cancellazioni e gli affari con gli oligarchi di Putin.

Il destino ha voluto che Mantas trascorresse i suoi ultimi giorni di vita conoscendo direttamente, sul suo proprio corpo, il “bespredel”, giustiziato “con onore”, secondo i codici criminali russi, dalle truppe speciali cecene, arrivate per l'occasione a dare manforte allo scalcagnato esercito di Mosca (*). Nello scoprire che Mantas era l'unico straniero rimasto a Mariupol insieme alla compagna compresero di poter finalmente regolare un conto sospeso. Mantas filmò Barzakh sotto i loro occhi, senza che loro se ne accorgessero, aiutato dalla resistenza cecena. Un affronto inaccettabile che gli valse anche un premio alla Berlinale. Circa 10 anni più tardi, dopo le torture rituali, Kadirov si è preso la briga di sparargli personalmente i due ultimi colpi letali; uno sul cuore e l'altro tra gli occhi. Per non farsi mancare nulla nel “bespredel” il suo corpo fu fatto ritrovare dalla compagna alla quale fu permesso anche di portarlo in Lituania, passando proprio dalla Russia, mentre a Mariupol, rasa al suolo, le macerie coprivano le fosse comuni.

La Cecenia è oggi un'entità sovrana in cui i movimenti di indipendenza sono solo un ricordo cancellato del passato. E' comandata da Kadirov per conto dello Zar Putin e la sua durata ne determinerà il nome. “Stato” è però come già viene definita ed in effetti allo Stato ci si riferisce quando si parla di eventi come quelli che hanno ricostruito il potere russo in Cecenia, che hanno fatto sparire quel ragazzo ed hanno ucciso Mantas. Ma ci raccontano in modo analogo di quanto sta accadendo in Palestina e in molti altri luoghi del mondo. Da Hobbes fino a Schmitt, lo Stato sembra essere fondato intorno ad una relazione intima con un atto originario essenzialmente atroce ed orrorifico percepito come “fuori” ed eccezionale rispetto ai luoghi in cui prende forma.

Per “far dimenticare” questa assenza primordiale la “Zona” sembra essere un ottimo strumento e nel mio testo sulla Colombia descrivo alcuni suoi elementi di liquidità, per come emergevano a Buenaventura.

Raccontando la ricorrenza di eventi culmine, quali improvvise ondate di militarizzazione del “Barrio” in cui vivevo, oppure eruzioni di violenza armata sulle strade intorno a noi, ma anche rivolte più o meno spontanee, cercavo di osservarla a partire da spazi che generavano convivialità ed “oblio” dell'orrore. Ne osservavo, cioè, i meccanismi di rimozione. Ritrovai così dei momenti rituali nel senso più antropologico del termine (spazi di comprensione iniziatici, chiusi, ripetibili ma con una durata) che liberavano dall'autorità e dalla guerra. Tutto ciò avveniva in maniera effimera ma decisamente importante per gli equilibri psico-sociali della comunità. Sostituivano la tradizione militarista dei luoghi con pratiche celebrative della vita che ribadivano la superiorità dei vincoli sociali rispetto alla morte. Per farlo tuttavia non ricorrevano all'istituzione del “funerale” oppure della “commemorazione”. Non avevo trovato Barzakh ma spazi di resistenza ai potenti flussi psichici che trapassavano luoghi e persone.

Ho chiamato questi momenti rituali “interregni”, prendendo a prestito la nozione da Gramsci. Li ho descritti come spazi sospesi, nei quali la comprensione ontologica che l'ordine materiale delle cose non cambia al cambiare dell'organizzazione “superiore” che si occupa della logistica della “Zona”, produce una scissione ideale tra i dominanti ed i dominati. Vi è cioè una comprensione condivisa per cui tutti sanno che chi comanda non risolverà mai i problemi del vivere, ma senza chi comanda tutto potrebbe diventare peggiore di quanto non sia, almeno dal punto di vista personale e familiare. Questa peculiare forma di intendere le dinamiche socio-economiche è dovuta alla natura intermediaria del potere ed al suo articolarsi attraverso la duplice regola del “Know How” e “Know Who”. Antropologicamente, dunque, si assisteva, a mio parere, ad una continua fine del “vecchio ordine” senza che il “nuovo” producesse mai alcun effetto concreto sulle relazioni di scambio e sulle economie morali della comuna e del quartiere. Tuttavia, il passaggio da un'organizzazione all'altra era un fatto reale e, nella transizione, si producevano vie di fuga che ho descritto come potenzialità, che alcuni sapevano cogliere o vedevano meglio di altri.

In questa prospettiva, ho raccontato, ad esempio, le storie dei “muchachos” e della loro funzione connettiva tra il Barrio e il resto della città, tanto materiale, producendo servizi di moto taxi e trasporto merci, quanto simbolica, rappresentando un “potere” che iscriveva il Barrio sulle mappe urbane, rendendolo così capace di reclamare quote della ricchezza cittadina. C'erano vere e proprie organizzazioni di base nella “Zona” che mantenevano relazioni tra loro, imitandosi nella gestione dei commerci ed armandosi contemporaneamente se le condizioni lo richiedevano per delimitare le varie zone di influenza. Nelle relazioni tra il “dentro” del barrio e il “fuori” della città che queste organizzioni producevano, si articolava, a mio parere, un elemento molto importante della fattualità del potere come brokeraggio ed orrore che descrivevo nella “Zona”. Vi scorgevo, infatti, degli elementi di sistemi politici estramente complessi, troppo spesso dimenticati nelle analisi politologiche sulla Colombia e sui paesi colpiti dalla “war on drugs” o di cui si leggeva solo su testi molto specifiici ma di criminologia locale o di giornalisti d'inchiesta che raccontavano le stesse storie da decadi e ormai nessuno le leggeva più.

Quello che osservai durante il mio lavoro di campo fu che nel “cambio di ordine” da Rastrojos ad Urabeños, si generò un qui-ed-ora espresso attraverso locuzioni come “callejear” (andare in miezz' a via) e “jugar vivos” (giocare da vivi) che definivano una necessità di comprensione della “Zona”. I racconti del Barrio dimostravano, a mio parere, che il potere, che poteva certamente essere “senza limiti”, veniva anche quotidianamente “messo in scena” nella sua precarietà ed instabilità, da soggettività in divenire che incorporavano l'assenza di limite della Zona. Seguendo queste linee interpretative, descrivevo l'emergere di leader che poi si facevano capi e di capi che parevano re per una notte o per un mese o di membri di gang che per alcuni diventavano dei locali Robin Hood e per altri dei carnefici. Ognuno di questi micro ordini personalistici rappresentava dunque una possibile soluzione, seppur ripetitiva e parziale, al problema dell'Assenza.

Ciò che, però, più mi interessava in questi intrecci tra autoritarismo ed anti-autoritarismo, era che i capi, a volte anche estremamente improbabili, emergevano quasi quotidianamente non solo nella praticità delle loro azioni e della loro presenza sulle strade. Erano “capi” anche perchè manifestavno un mondo mitico fatto sia di racconti di strada sia di momenti di condivisione rituale. In alcuni casi ritrovai, ad esempio, il Jean Rouch de “les maitres fous”. In altri mi parve di scorgere elementi di veri e propri “Stati ombra” africani di cui hanno scritto diversi antropologi (per esempio qui e qui) che esistono solo in una forma mistica e simbolica se non proprio come spiriti che possiedono alcune persone. Quello che notavo a Buenaventura, cioè, era l'emergere di organizzazioni politiche radicalmente multipolari e certamente instabili, ma che esistevano in quanto celebrazione rituale del molteplice e non come riduzione ad unità e normalizzazione del dominio. Le implicazioni di queste conclusioni sono certamente vaste; riguardano pratiche di governamentalità che le assoggettano attraverso la guerra civile permanente, forzando la periodica legittimazione di un dominio comunque parziale (il passaggio appunto da Rastrojos ad Urabeños); ma anche la creazione di società segrete, sette e società di mutuo aiuto di vario tipo; oltre che esperimenti di autonomia locale più durevoli (i cimarrones ed i quilombos nella tradizione afro-americana) .

Quest'ultimo punto ci conduce direttamente al nuovo lavoro e ad un aspetto del potere inteso come brokeraggio e orrore che vorrei indagare con maggiori dettagli; “il far dimenticare” e “il dimenticare” in senso più generale. In questi mesi di letture sulle ribellioni del XIX secolo che accompagnarono l'incontro coloniale in Asia, mi sono infatti scontrato con processi che avevo considerato meno durante la mia permanenza in Colombia. La pervasività di traumi dovuti alla violenza armata non mi aveva permesso di scorgere una questione altrettanto importante. A fondare lo Stato o un regno o un'entità politica di qualche tipo non è solo l'atrocità originaria bensì il suo oblio. Non è, o non è solo “il far credere”, ma il “far dimenticare” che risulta “istituente”. Il caso della Cecenia e delle cancellazioni storiche prodotte dal regime di Kadirov lo dimostrano con una certa chiarezza. L'attuale racconto occidentale della guerra in Palestina ne è un'ulteriore prova. Non si tratta però di costruire un inganno che diviene realtà come accade nel film “Donbass” di Sergei Loznitsa. Si tratta invece di vere e proprie epistemologie che usano la rimozione dell'orrore quasi come sistema di programmazione linguistica e neuronale. La rimozione cioè si fa paradigma estetico che riempie di immagini la memoria saturandola in modo da impedire la critica del qui-ed-ora, ma anche di un passato controverso e non condiviso.

LuangPrabang

Il luogo che più di tutti mi ha portato a riflettere sulla rilevanza della dimenticanza è stato Luang Prabang, una città con una storia decisamente interessante che nel corso degli ultimi anni si è convertita, come ebbe a dire un'antropologa locale, in una “Zona Speciale per il Turismo”. C’è un aspetto di Luang Prabang che ha a che fare con la sua turisticizzazione\mercificazione che rende peculiare la quotidiana esperienza del tempo, cioè di come passato e presente esistono nel presente. Il nodo cruciale è che la (S)toria della città riguarda la vecchia famiglia reale che viveva, gestiva e possedeva tutta l'aria divenuta patrimonio dell'UNESCO nel 1995. La stessa area inoltre è stata profondamente modificata dall'incontro coloniale e, se si eccettuano i templi, tutte le architetture presenti oggi, con pochissime eccezioni, furono costruite durante i 50 anni della Colonia francese, tra la fine del 1800 e l'inizio della seconda guerra mondiale. Stiamo quindi parlando di un processo di urbanizzazione che in poche decadi ha di fatto cancellato o modificato radicalmente il paesaggio cittadino. A complicare i percorsi di rimemorazione vi sono poi altri elementi di una certa importanza per la storia locale. Il primo fu un saccheggio della città che avvenne nell'ormai lontano 1887 nel quale il centro cittadino fu raso al suolo quasi del tutto. Il secondo sono le due guerre di Indocina in cui il Laos, sotto la leadership più o meno imposta della famiglia reale di Luang Prabang, divenne zona di guerra. In particolare, dal 1959 fino al 1975, il Laos entrò in una lunga e sanguinosa guerra civile che portò al quasi completo annichilimento di varie province e regni del Paese che, in diverse epoche storiche, contesero il potere alla famiglia reale di Luang Prabang.

Nei libri di (S)toria, la guerra civile normalmente si sovrappone e si confonde con la “Guerra Segreta” che inizia “ufficialmente” con una conferenza stampa tenuta dal Presidente J.F. Kennedy il 22 marzo del 1961 e in cui affermò, al di fuori di ogni dubbio, che il nord del Laos era stato invaso dalle forze comuniste nord vietnamite. La paura dell'“invasione” è un tema ricorrente nelle narrazioni locali e, in effetti, queste terre furono invase per saccheggi in diversi momenti storici. Tuttavia, nel 1961, l'“invasione comunista” apparteneva a quelle invenzioni di cui Mantas scriveva nel suo lavoro sulla Cecenia ed assomigliava alle “armi irachene di distruzione di massa” fabbricate per le riunioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2002. Inoltre, “la guerra segreta” che terminò con gli accordi di pace di Ginevra del 1973, fu riconosciuta ufficialmente dagli Stati Uniti solo nel 2016 e con una lunga serie di limitazioni rispetto al suo reale svolgimento, al riconoscimento delle vittime e delle stragi di civili perpetrate e rispetto alle innumerevoli testimianze del diretto coinvolgimento della CIA e dell'esercito americano (e francese) nello sviluppare il traffico internazionale di eroina a partire dalle produzioni di oppio laotiane. Ci troviamo quindi dentro un processo di rimozione storica di vasta portata.

L'aspetto interessante è che sullo sfondo della “Guerra Segreta”, la guerra civile laotiana vide Luang Prabang al centro di svariate macchinazioni politiche che riguardarono i membri della sua famiglia reale, esponenti dell'esercito e dell'alta burocrazia. Benchè alcuni dei maggiori leader politici dell'epoca venissero proprio da questa città, oggi, a Luang Prabang, ad esempio, non c'è un museo che ripercorra le diverse fasi di questo conflitto o che si addentri, con qualche dettaglio, nelle dinamiche che condussero la leadership cittadina ad accettare, se non proprio a volere, sia i bombardamenti a tappeto di vallate molto vicine, sia lo stesso traffico di eroina. Siamo quindi nella presenza di una cosciente rimozione storica che potrebbe essere interessante analizzare con maggiori dettagli.

Al posto di un passato conteso, troviamo infatti un discorso identitario e nazionalista che costruisce attraverso il passato “mitico” della città la “laotianità” intesa sia come marchio etnico-popolare venduto dall'industria del turismo, sia come simbolo di unità di un territorio altrimenti trapassato da flussi di vasta portata, tanto finanziari ed economici, quanto culturali ed etnici. Per questa ragione, nella nozione di “heritage” (patrimonio culturale) creata dall'UNESCO, e che analizzerò meglio poi, si produce un'esperienza storicizzante della quotidianità abbastanza peculiare nella quale l'epoca monarchica è rimessa in scena nel suo lato più accogliente ed “illuminato”; quello appunto che “riuniva” e che produceva economia. Vecchi edifici coloniali, stanze di re e regine o giardini di principi e principesse che affacciano su uno dei più suggestivi fiumi dell'Asia sono oggi disponibili per il tempo libero dei suoi visitatori. E' come se tutti i suoi abitanti partecipassero di una vera e propria costruzione immaginaria di Luang Prabang in cui la (S)toria riemerge come una fantasticheria sul suo passato. Così facendo, produce un ordinamento giuridico-morale che, cancellando una parte comunque importante di quello stesso passato, riproduce immagini di una forma di governo che alcuni, probabilmente, vorrebbero restaurare. Questa prospettiva è quella che più mi interessa perchè ha a che fare con una aspetto del patrimonio storico artistico che lo rende “un ordine” oltre che una modalità del godimento. Per dirla con Zizek, questi intrecci infatti “insegnano [al soggetto] a desiderare”, quindi, a dimenticare oltre che a sognare un nuovo ordinamento politico.

Non esiste chiaramente una maniera univoca di raccontare le modalità con cui è possibile rivivere il passato nel presente. Nelle pagine che seguiranno proporrò diverse prospettive e traiettorie in cui eventi traumatici del passato sembrano manifestarsi nel presente in diversi contesti geografici. Proporrò poi una rassegna storiografica della regione in cui è inserito il Laos per fornire una migliore caratterizzazione del contesto in cui avvengono le rimozioni. Infine, se possibile, raccoglierò alcuni archivi etnografici nei quali questo passato conteso riemerge con maggiore chiarezza.

Perchè questo viaggio e questo esercizio di scrittura sia possibile però devo iniziare da una spedizione in kayak su di un fiume lucano dove queste idee hanno iniziato a prendere forma.

(*) Quella che propongo è una mia personale ricostruzione dell'omicidio di Mantas sulla base delle testimonianze di persone informate sui fatti ed incrociando dati sulla guerra a Mariupol durante la sua uccisione. In particolare, la presenza di Kadirov e delle forze speciali Cecene è stata cruciale durante la presa dell'industria siderurgica Azofstal nel porto di Mariupol che avvenne poco tempo dopo l'uccisione di Mantas. Nel suo lavoro “Mariupolis” raccontò, tra le altre cose, la progressiva crescita militare del battagliane Azof insieme alle critiche che provenivano da entrambi i lati, sia russi che ucraini, per la sua chiara appartenenza all'estrema destra neofascista. Nel suo lavoro postumo “Mariupolis 2”, presentato a Cannes nel 2022, Mantas stava documentando invece la vita di alcuni rifugiati che non volevano andare via dalla città sotto i bombardamenti ed erano rimasti dentro una chiesa evangelica. La sua uccisione potrebbe essere stata casuale. In effetti, trovandosi in Ucraina senza documenti ufficiali, è possibile che non sia stato riconosciuto da chi lo ha trovato. La possibilità poi che i militari disponessero di tecnologie di riconoscimento facciale è in effetti remota anche se bastava scattare una foto con un cellulare ed inviarla a chi di dovere. Senza dubbio, Mantas era iscrittto da tempo in una black list del regime russo. Dopo Anna Politoskaya, fu uccisa in Cecenia anche una collaboratrice della giornalista russa ed amica personale di Mantas, Natalia Estemirova. Mantas probabilmente era da qualche parte su quella stessa lista di nomi. Le torture subite e i due spari a freddo ricevuti mi hanno fatto quindi propendere per un regolamento di conti “mafioso”. Non ho però prove che sia stato Kadyrov a sparare materialmente i colpi. Si trovava solo a Mariupol quando Mantas morì. Ci tengo a chiarire che la ricostruzione che propongo è quindi mia e personale e non è una versione condivisa dai familiari di Mantas, nè dalla sua ex compagna che anzi all'epoca del nostro incontro non la riteneva pienamente credibile.

 
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from Transit

Memorie controvoglia

(“L'unica via d'uscita è dentro”, Alice, Rizzoli Lizard, 2024.)

(Alice)

L’ ultimo libro scritto da un musicista che ho tentato di leggere è stato quello di Bono. Magari sarà un grande cantante, ma scrive come un quindicenne allupato: francamente è stato impossibile arrivare in fondo, come a dire che non è detto che se sei una rockstar tu sappia scrivere qualcosa di più lungo del testo di una canzone. Le biografie, o quello che sono (in realtà, spesso, i ricordi sono la parte minore), vanno maneggiate con cura, meglio se assistiti da qualcuno che scrive per mestiere. Almeno, forse, ci risparmiamo punti esclamativi a vanvera.

Il sottotitolo del libro di Carla Bissi è “Un’autobiografia controvoglia”, a rimarcare un tratto distintivo e continuo che si trova in queste pagine: il desiderio di non sottostare alle “logiche” del mercato discografico, la voglia di trovare una via personale per la serenità, lo studio della meditazione e della ricerca spirituale. Da appassionato della sua musica, da ammiratore di un percorso musicale profondo e fuori dagli schemi usuali, all’annuncio di questa pubblicazione sono diventato curioso, desideroso di scoprire qualcosa di più su un’artista così meritevole ed altrettanto riservata.

E’ chiaro che ci si bea anche dei pettegolezzi, a volte: a maggior ragione se una persona è così schiva, ma anche intelligente e di certo non mi sono illuso di trovarne. In effetti la scrittura è lineare, semplice, mai appesantita da uno sfoggio intellettuale che a volte gli artisti amano. Sempre un bene, anche se, a volte, non avrei disdegnato qualche vocabolo un attimo più ricercato (e basta con i punti esclamativi, e due.)

(Alice2)

Non essendo una biografia in senso stretto, ma più una raccolta di momenti, perlopiù musicali, la narrazione non riserva grandissime sorprese, né tantomeno vi sono fatti (a parte nei primi capitoli, dedicati alla giovinezza) eclatanti. E’ bello trovare, comunque, molte cose legate alla ricerca musicale e spirituale della Bissi, sempre con la presenza, evocata moltissime volte, di Franco Battiato.

Francesco Messina, oltre a curare la grafica e l’apparato iconografico (poche, però, le foto non viste già), si ritaglia qualche spazio più tecnico, dove si parla dei musicisti e delle tecniche di registrazione, o del modo di approcciarsi al percorso musicale della sua compagna. Nota di “demerito” per entrambi: scrivere pochissimo dei grandiosi musicisti con cui hanno realizzato tournè ed album: peccato davvero. Quasi nessuno in Italia può vantare collaborazioni così importanti (e neanche una riga su Mick Karn, questo sì imperdonabile.)

Non scriverò di una delusione, perciò, ma nemmeno di un’opera che soddisfa appieno le mie aspettative: forse è qui il guaio, aspettarsi ciò che si desidera. Poteva volare ben più alto, questo volume. Avrebbe potuto essere davvero essenziale per far scoprire un’artista che ha avuto poche eguali nel panorama della musica italiana: poteva essere più approfondito, davvero.

Resta un’opera forse davvero controvoglia e quando si fanno le cose senza una convinzione perlomeno doverosa, probabilmente questo è il risultato. Mi consolo con le vaghissime promesse di un live e di un nuovo disco di Francesco Messina. Si spera fatti con voglia, a questo punto.

#Musica #Music #UnoMusica #Opinioni #Libri #Books

 
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from arcipelaghi

Si dice che la Blackwing sia una tra le migliori matite per la scrittura. Si dice che l'abbiano usata John Steinbeck, Truman Capote, Stephen Sondheim. Anche Chuck Jones – il creatore di Bugs Bunny e Daffy Duck – pare utilizzasse una Blackwing per i suoi schizzi. Perché parlo della Blackwing? Perché anch'io ne sto usando una per scrivere la prima bozza di questo testo. Grigia, dotata di gomma per cancellare di forma piatta e di colore rosa, montata su un portagomma dorato, la Blackwing ha un design distintivo ed elegante. Ma a renderla speciale rispetto ad altre matite di qualità simile è una scorrevolezza senza pari. Usando io stesso una Blackwing per scrivere queste note, appunto, ho potuto verificarne personalmente la differenza. Inoltre, la Blackwing mantiene la punta più a lungo di altre matite che mi sia capitato di usare, un grande vantaggio per chi scrive o disegna. Appena estratta dal temperamatite, la punta della Blackwing è spaventosamente affilata. È curioso come nessuno scrittore l’abbia mai immaginata come un'arma per commettere un delitto. Eppure, le matite sono state usate in questo senso in diverse opere. Nel film Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan, ad esempio, il Joker, interpretato da Heath Ledger, esegue quello che viene comunemente definito “il trucco della matita”. Dopo aver giocato con una matita, facendola roteare tra le dita, la fa “scomparire” nel collo di un uomo, uccidendolo. Nemmeno in questo caso la matita usata era una Blackwing [Arrivato a questo punto della bozza ho dovuto rifare la punta alla mia matita]. Né avrebbe potuto esserlo, dal momento che nel 2020, anno di realizzazione del film, la Blackwing non era in commercio. Prodotta per la prima volta nel 1934 dalla Eberhard Faber Pencil Company, la Blackwing uscì di produzione nel 1998. Nel 2010, l'azienda Palomino rilevò il marchio e fece rivivere un mito fino ad allora rimasto un oggetto da collezione.

#scrittura #letteratura #collezionismo #cinema

Nota: Questo post non ha alcun intento promozionale o commerciale.

 
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from radure

In Ignazio Denner di E.T.A. Hoffmann, il brigante che dà il nome al racconto commette ogni sorta di nefandezza, incluso l'infanticidio del figlio di Andrea, il guardacaccia protagonista della storia, e di sua moglie Giorgina. Prima che la coppia si renda conto della vera identità dell'uomo che ospitano occasionalmente, scambiandolo per un mercante di passaggio, Denner si mostra sinceramente interessato al bambino. Manifesta ai genitori l'intenzione di sottrarlo alla miseria in cui vive, di offrirgli un'educazione, lo vezzeggia e lo tratta quasi come un figlio, giustificando il suo comportamento con il fatto di non aver egli stesso dei figli.

Come spesso accade, i criminali amano comportarsi e mostrarsi come padri amorevoli. Questo atteggiamento, così come il professarsi profondamente religiosi, probabilmente nasce dal bisogno di mascherare la loro natura malvagia e di aggrapparsi a qualcosa che renda sopportabile una vita vissuta negli abissi più oscuri dell'animo umano. Di certo non si tratta di amore sincero o di rispetto, considerando che alcuni di questi cosiddetti padri amorevoli non esitano a sciogliere bambini nell'acido o a ripudiare, e persino uccidere, il proprio figlio per convenienza o per non infrangere le regole del crimine.

#letteratura #ETAHoffmann #criminalità #infanticidio

 
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from Cyberdyne Systems

vpn

Cos'è wireguard e come si configura, lo sappiamo ma mi serviva qualcosa che mi permettesse di fare provisioning e deprovisioning dei certificati in maniera più semplice di quanto già si faccia con i tool disponibili nella userland, wg e wg-quick.

E questo è il motivo principale per cui è nato questo script. Prende come riferimento una configurazione road warrior, il primo scenario di una topologia point-to-site, quella più comune.

Alcune considerazioni

  1. Lo script definisce una workdir dove deposita tutte le configurazioni e i certificati. Le precondizioni sono legate alla presenza dei tool userland wg-tools (ovviamente) e di ufw. Vengono comunque verificate nello script.

  2. Altra semplificazione è data dal fatto di allocare una /24 come rete wireguard. 254 host per una rete domestica sono più che sufficienti.

  3. L'allocazione degli ip viene fatta con un progressivo memorizzato nel file 'ip_renew'. Gli ip dei certificati revocati vengono mantenuti in un file, 'ip_release'. Quando si crea un nuovo certificato, si controlla prima che ci sia un ip da recuperare in ip_release. Se la lista è vuota si ricorre al progressivo.

  4. La creazione della configurazione lato server passa da due file di configurazione: una configurazione globale ottenuta tracciando l'evoluzione iniziale in termini di aggiunta o rimozione dei client peer e destinata al rilascio in esecuzione. L'altra contenente la sola configurazione del server e usata unicamente per la rigenerazione della configurazione globale a partire dai peer esistenti.

  5. L'operazione di init è propedeutica per addclient, removeclient, rebuild, deploy, share.

Le operazioni a disposizione sono:

  • init: inizializza la configurazione di un server wireguard
  • addclient: crea il certificato lato client e aggiunge il relativo peer sulla configurazione del server
  • removeclient: cancella il certificato lato client e rimuove il relativo peer sulla configurazione del server
  • rebuild: rigenera la configurazione del server usando i certificati client esistenti
  • deploy: finalizza la configurazione riavviando il servizio con le nuove impostazioni
  • share: crea i qr-code per i certificati client da utilizzare nelle configurazioni

Per tutto il resto, i commenti nel codice sono abbastanza esplicativi.

Lo script

#!/bin/bash

# Questo è il file di configurazione globale, i dati sono fittizi.
# Può essere mantenuto nello script o nella home dell'utente 
# (es. $HOME/.config/wg_man.conf) e importato 
# con 'source' all'inizio.
WG_INTERFACE=wg0
PHYSICAL_INTERFACE=eth0
NETWORK="192.168.15.0"
SUBNET_MASK="24"
SERVER_IP_ADDRESS="192.168.15.1"
DNS="1.1.1.1"
LISTEN_PORT="51820"
ENDPOINT=wireguard.nodns.net:51820"
WORKDIR="$HOME/wireguard"



check_dependency() {
    if test -e /usr/sbin/ufw; then
        if test -e /usr/bin/wg; then
            return 0
        else
            return 2
        fi
    else
        return 1
    fi
}



is_init() {
    test -e ${WORKDIR}/conf.d/server_wg.conf && return 0 || return 1
}



# Genera la chiave privata
gen_priv_key() {
    wg genkey | tee ${WORKDIR}/keys/$1_privkey
}



# Genera la pre-shared key
gen_client_psk() {
    # Evita il warning sui permessi del file che devono essere 600
    umask 077
    wg genpsk | tee ${WORKDIR}/psk/$1_psk
}



# Rilascio di un nuovo indirizzo ip. Questa funziona viene invocata da
# addclient().
#
# I primi 3 ottetti li ottengo dalla variabile globale NETWORK.
# L'ultimo ottetto, relativo all'host, lo ricavo dalla lista degli ip
# riutilizzabili ("ip_release").
#
# Se non è vuota, prelevo il primo e lo rimuovo dalla lista. Se è vuota,
# prelevo l'ultimo ottetto da "ip_renew" e lo incremento per il successivo
# assegnamento.
ip_renew() {
    # Selezioni i primi 3 ottetti del network
    SUB_IP=$(echo ${NETWORK}|awk -F "." '{print $1"."$2"."$3}')

    if [[ ! -e ${WORKDIR}/conf.d/ip_release || ! -s ${WORKDIR}/conf.d/ip_release ]]; then
        # Genero il nuovo ip (Incremento di 1 l'ultimo ottetto)
        IP=$(cat ${WORKDIR}/conf.d/ip_renew)
        echo $((++IP)) > ${WORKDIR}/conf.d/ip_renew

        # Restituisco i 3 ottetti + il quarto
        #echo -n ${SUB_IP};cat ${WORKDIR}/conf.d/ip_renew
    else
        IP=$(head -n 1 ${WORKDIR}/conf.d/ip_release)
        sed -i "1d" ${WORKDIR}/conf.d/ip_release
    fi
    echo -n ${SUB_IP}"."${IP}
}



# Riallocazione di un indirizzo ip. Questa funzione viene invocata da
# removeclient().
# Aggiungo l'ultimo ottetto alla lista degli ip riallocabili.
# @par 1: ultimo ottetto.
ip_release() {
    echo $1|cut -d"." -f 4 >> ${WORKDIR}/conf.d/ip_release
}



# Aggiunge il nuovo peer al file di configurazione del server
# @par 1: CLIENT_PUBLIC_KEY
# @par 2: CLIENT_PSK
# @par 3: CLIENT_IP_ADDRESS
# @par 4: CLIENT_NAME
add_peer_to_server() {
    cat >> ${WORKDIR}/conf.d/server_wg.conf << EOF
# $4
[Peer]
PublicKey = $1
PresharedKey = $2
AllowedIPs = $3/32
PersistentKeepalive = 25

EOF
}



# Inizializza la configurazione del server wireguard.
#
# Questa operazione può essere fatta una sola volta a meno che non si
# cancelli tutta la workdir.
#
# Verranno creati due file  di configurazione: server_wg.conf e 
# server_wg_raw.conf
#
# Il primo conterrà la configurazione completa del server e dei peer,
# verrà aggiornato ad ogni modifica dei client (aggiunta o rimozione) e
# verrà usato per il deploy della configurazione.
#
# Il secondo conterrà la configurazione del solo server e verrà usato
# solo per rigenerare il primo file di configurazione.
init() {
    # Controllo che wireguard sia almeno abilitato
    echo -n "Inserire la password di Amministratore: "; read -s PASSWORD
    sudo -k
    if echo $PASSWORD|sudo -S echo "got a root" > /dev/null; then
        if ! sudo systemctl is-enabled --quiet wg-quick@${WG_INTERFACE}; then
            echo -en "\nAttivazione servizio wireguard... "
            #sudo systemctl enable --quiet wg-quick@${WG_INTERFACE}
            echo "fatto."
        fi
        sudo -k 
        
        #Verifico che queste cartelle esistano. Se lo sono, non faccio nulla, se no le creo.
        echo -n "Creazione workdir... "
        [[ ! -e ${WORKDIR}/conf.d || ! -e ${WORKDIR}/psk  || ! -e ${WORKDIR}/keys ]] \
            && { mkdir -p ${WORKDIR}/{conf.d,keys,psk}; } \
            || { echo "inizializzazione già effettuata."; exit; }
        echo "fatto."
        
        # Genero la chiave privata per il server
        echo -n "Creazione chiave private del server..."
        SERVER_PRIV_KEY=$(gen_priv_key "server_wg")
        echo "fatto."

        # Genero il file di configurazione
        echo -n "Inizializzazione del server... "
        cat > ${WORKDIR}/conf.d/server_wg.conf << EOF
[Interface]
Address = ${SERVER_IP_ADDRESS}/${SUBNET_MASK}
# SaveConfig = true

PreUp = ufw route allow in on ${WG_INTERFACE} out on ${PHYSICAL_INTERFACE} log from ${NETWORK}/${SUBNET_MASK} to 0.0.0.0/0
PostDown = ufw route delete allow in on ${WG_INTERFACE} out on ${PHYSICAL_INTERFACE} log from ${NETWORK}/${SUBNET_MASK} to 0.0.0.0/0

# IP masquerading
PreUp = iptables -t nat -A POSTROUTING -o ${PHYSICAL_INTERFACE} -s ${NETWORK}/${SUBNET_MASK} -j MASQUERADE
PostDown = iptables -t nat -D POSTROUTING -o ${PHYSICAL_INTERFACE} -s ${NETWORK}/${SUBNET_MASK} -j MASQUERADE

# IP filtering
PreUp = ufw allow in on ${PHYSICAL_INTERFACE} log to 0.0.0.0/0 app Wireguard
PostDown = ufw delete allow in on ${PHYSICAL_INTERFACE} log to 0.0.0.0/0 app Wireguard

ListenPort = ${LISTEN_PORT}
PrivateKey = ${SERVER_PRIV_KEY}

EOF
        echo "fatto."
        cp ${WORKDIR}/conf.d/server_wg.conf ${WORKDIR}/conf.d/server_wg_raw.conf
        # Inizializza l'erogatore di ip
        echo 1 > ${WORKDIR}/conf.d/ip_renew
    else
        echo "Sono necessarie le credenziali di amministrazione per eseguire questo comando."
        exit 1
    fi
}



# Genera un certificato per il client composto da:
# * chiave privata del client
# * chiave pre-condivisa
# * client ip
# * chiave pubblica del server
# * nome simbolico del client
#
# Dopo la creazione e il salvataggio in <WORKDIR>/conf.d, verrà aggiunto
# il relativo peer nella configurazione del server (server_wg.conf).
# @par_1 @par_2 @par_3...: lista di nomi relativi ai certificati da creare.
add_client() {
    if is_init; then
        # Se non c'è alcun input, esco.
        if [[ $# -lt 1 ]]; then
            echo -e "Devi inserire almeno un nome."
            exit 1
        else
            # Per ogni nome presente in input, creo una configurazione 
            # client e l'aggiungo alla configurazione del server.
            for CLIENT_NAME in "$@"; do
                echo -n "Creazione certificato per il client \"${CLIENT_NAME}\"... "
                
                # Controllo se la configurazione esista già discriminando
                # in base al nome del file.
                if [[ -e ${WORKDIR}/conf.d/client_${CLIENT_NAME}.conf ]]; then
                    echo "già esistente."
                else
                    # Creo la configurazione del client
                    CLIENT_PRIV_KEY=$(gen_priv_key ${CLIENT_NAME})
                    CLIENT_PUBLIC_KEY=$(echo ${CLIENT_PRIV_KEY} | wg pubkey)
                    CLIENT_PSK=$(gen_client_psk ${CLIENT_NAME})
                    CLIENT_IP_ADDRESS=$(ip_renew)
                    SERVER_PUBLIC_KEY=$(grep PrivateKey ${WORKDIR}/conf.d/server_wg.conf | cut -d " " -f 3 | tr -d " " | wg pubkey)
                    CLIENT_NAME_UPPER=$(echo ${CLIENT_NAME} | tr '[:lower:]' '[:upper:]')
                    cat > ${WORKDIR}/conf.d/client_${CLIENT_NAME}.conf << EOF
    # ${CLIENT_NAME_UPPER}
    [Interface]
    Address = ${CLIENT_IP_ADDRESS}/${SUBNET_MASK}
    DNS = ${DNS}
    PrivateKey = ${CLIENT_PRIV_KEY}

    [Peer]
    PublicKey = ${SERVER_PUBLIC_KEY}
    PresharedKey = ${CLIENT_PSK}
    AllowedIPs = 0.0.0.0/0
    Endpoint = ${ENDPOINT}
    PersistentKeepalive = 25
EOF
                    echo "fatto."
                    echo -n "Aggiunta peer \"${CLIENT_NAME}\" al file di configurazione del server... "
                    
                    # Aggiungo il peer alla configurazione del server.
                    add_peer_to_server ${CLIENT_PUBLIC_KEY} ${CLIENT_PSK} ${CLIENT_IP_ADDRESS} ${CLIENT_NAME_UPPER}
                    echo -e "fatto.\n"                
                fi
            done
        fi
    else
        echo "È necessario inizializzare il server con 'wg_init.sh init'."
        echo "L'operazione richiesta non sarà completata"
    fi
}



# Rimuove file di configurazioni, chiavi e pre-shared key realtive a file
# dati in input.
# Rimuove inoltre il peer dal file di configurazione server_wg.conf.
# @par_1 @par_2 @par_3...: lista di nomi relativi ai certificati da rimuovere.
remove_client() {
    if is_init; then
        if [[ $# -lt 1 ]]; then
            echo -e "Devi inserire almeno un nome."
            exit 1
        else
            for CLIENT_NAME in "$@"; do
                echo -n "Rimozione client \"${CLIENT_NAME}\"... "
                if [[ ! -e ${WORKDIR}/conf.d/client_${CLIENT_NAME}.conf ]]; then
                    echo "non esistente."
                else
                    # Estraggo l'ultimo ottetto dell'ip del client.
                    IP=$(grep "Address" ${WORKDIR}/conf.d/client_${CLIENT_NAME}.conf|cut -d " " -f 3|tr -d " "|cut -d "/" -f 1)
                    
                    # Lo inserisco nella lista degli ip riallocabili.
                    ip_release ${IP}
                    
                    # Cancello file di configurazione, chiave e psk del client.
                    rm ${WORKDIR}/conf.d/client_${CLIENT_NAME}.conf ${WORKDIR}/keys/${CLIENT_NAME}_privkey ${WORKDIR}/psk/${CLIENT_NAME}_psk
                    echo "terminata con successo."
                    echo -n "Rimozione peer \"${CLIENT_NAME}\" dal file di configurazione del server... "
                    
                    # Rimuovo il peer dalla configurazione del server.
                    CLIENT_NAME_UPPER=$(echo ${CLIENT_NAME} | tr '[:lower:]' '[:upper:]')
                    sed -i "/# ${CLIENT_NAME_UPPER}/,+6d" ${WORKDIR}/conf.d/server_wg.conf
                    echo -e "terminata con successo.\n"   
                fi
            done
        fi
    else
        echo "È necessario inizializzare il server con 'wg_init.sh init'."
        echo "L'operazione richiesta non sarà completata"
    fi
}



rebuild() {
    if is_init; then
        # Rigenero il file di configurazione del server da server_wg_raw.conf.
        echo -n "Ripristino del file di configurazione del server... "
        cat ${WORKDIR}/conf.d/server_wg_raw.conf > ${WORKDIR}/conf.d/server_wg.conf
        echo "fatto."
        
        # Per ogni file di configurazione client, aggiungo il relativo peer
        # nel file di configurazione server_wg.conf.
        for FILE_CONF in ${WORKDIR}/conf.d/client_*.conf; do
            CLIENT_PUBLIC_KEY=$(grep "PrivateKey" ${FILE_CONF}|cut -d " " -f 3|tr -d " " | wg pubkey)
            CLIENT_PSK=$(grep "PresharedKey" ${FILE_CONF}|cut -d " " -f 3|tr -d " ")
            CLIENT_IP_ADDRESS=$(grep "Address" ${FILE_CONF}|cut -d " " -f 3|tr -d " "|cut -d "/" -f 1)
            CLIENT_NAME_UPPER=$(grep "#" ${FILE_CONF} | cut -d " " -f 2)
            echo -n "Aggiunta peer \"$(echo ${CLIENT_NAME_UPPER} | tr '[:upper:]' '[:lower:]')\"... "
            add_peer_to_server ${CLIENT_PUBLIC_KEY} ${CLIENT_PSK} ${CLIENT_IP_ADDRESS} ${CLIENT_NAME_UPPER}
            echo -e "fatto."
        done
    else
        echo "È necessario inizializzare il server con 'wg_init.sh init'."
        echo "L'operazione richiesta non sarà completata"
    fi
}



# Avvia il server wireguard con la nuova configurazione
deploy() {
    if is_init; then
        echo -n "Inserire la password di Amministratore: "; read -s PASSWORD
        sudo -k
        if echo $PASSWORD|sudo -S echo "got a root" > /dev/null; then
   
            # Stoppo il servizio wireguard
            echo -ne "\nStop wireguard... "
            sudo systemctl stop wg-quick@${WG_INTERFACE}
            echo "fatto."
            
            # Aggiorno la configurazione
            echo -n "Copia della nuova configurazione... "
            sudo cp ${WORKDIR}/conf.d/server_wg.conf /etc/wireguard/${WG_INTERFACE}
            echo "fatto."
            
            # Riavvio il servizio wireguard
            echo -n "Riavvio wireguard... "
            sudo systemctl start wg-quick@${WG_INTERFACE}
            echo "fatto."
            
            # Revoco i privilegi di amministrazione
            sudo -k
        else
            echo "Sono necessarie le credenziali di amministrazione per eseguire questo comando."
            exit 1
        fi
    else
        echo "È necessario inizializzare il server con 'wg_init.sh init'."
        echo "L'operazione richiesta non sarà completata"
    fi
}



# Crea il qr-code della configurazione del client nella cartella corrente.
share() {
    if is_init; then
        if [[ $# -lt 1 ]]; then
            echo -e "Devi inserire almeno un nome."
            exit 1
        else
            for CLIENT_NAME in "$@"; do
                echo -n "Creazione qr-code per il client \"${CLIENT_NAME}\"... "
                qrencode -r ${WORKDIR}/conf.d/client_${CLIENT_NAME}.conf -o qrcode_client_${CLIENT_NAME}.jpg
                echo "fatto."
            done
        fi
    else
        echo "È necessario inizializzare il server con 'wg_init.sh init'."
        echo "L'operazione richiesta non sarà completata"
    fi
}



help() {

[[ $1 != "" && $1 != "help" ]] && echo -e "Comando inesistente."

    cat<<EOF
Usa come: ./wg_man.sh [command] ARG
dove:
    [command]
        init                     : Inizializza la configurazione del server.
        addclient <lista nomi>   : Aggiunge i client indicati in <lista nomi>.
        removeclient <lista nomi>: Rimuove i client indicati in <lista nomi>.
        rebuild                  : Ricostruisce il file di configurazione
                                   del server partendo dalle configurazioni
                                   di tutti i client registrati.
        deploy                   : Riavvia il server wireguard con l'ultima
                                   configurazione disponibile.
        share <lista nomi>       : Genera i qr-code relativi ai client indicati in <lista nomi>.
        help                     : Stampa questa pagina di help.

ESEMPI:
    INiZIALIZZA IL SERVER WIREGUARD
    wg_man.sh init

    AGGIUNGE I CLIENT 'macbook_pro', 'mobile'
    wg_man.sh addclient macbook_pro mobile

    RIMUOVE I CLIENT 'iphone_luca', 'workstation'
    wg_man.sh removeclient iphone_luca workstation

    RICOSTRUISCE LA CONFIGURAZIONE DEL SERVER WIREGUARD
    wg_man.sh rebuild
    
    ATTIVA LA NUOVA CONFIGURAZIONE
    wg_man.sh deploy

    GENERA I QRCODE PER 'pc_ufficio', 'laptop'
    wg_man.sh share pc_ufficio laptop
EOF
}



main() {
    case $1 in
        init         ) init ;;
        addclient    ) shift; add_client "$@" ;;
        removeclient ) shift; remove_client "$@" ;;
        rebuild      ) rebuild ;;
        deploy       ) deploy ;;
        share        ) shift; share "$@" ;;
        *            ) help ;;
    esac
}



check_dependency
case $? in
    "0" ) main $* ;;
    "1" ) echo -e "UFW non presente. Installare UFW."; exit 1 ;;
    "2" ) echo -e "wireguard-tools non presenti. È necessario installarli."; exit 1 ;;
esac

#bash #wireguard #psk #chiavi #certificati #crittografia

 
Continua...

from cosechehoscritto

mentre sono qua che penso a come potrei chiedere scusa ai miei figli per avere sostituito la polveriera balcanica con quella israelo-palestinese e per aver permesso guerre sanguinarie nel golfo e missili europei in terra russa, nel caso tutto vada in merda, c'è gente che è pagata per fotografare una ragazza chiusa in auto, che si copre il volto, ragazza che ha sepolto i cadaveri dei suoi due neonati nel giardino di casa e penso che da questa barbarie non usciremo mai

la barbarie è la fame dei nostri occhi, che masticano tanto quelle poche parole che restano incastrate da qualche parte dentro di noi, tanto il junk food della comunicazione e dell'informazione, c'è poco da fare, la dieta occidentale prevede entrambe le cose – tanto poi vomiteremo tutto

sono invecchiato cinquantaquattro anni per essere qua seduto con un calice in mano che scrivo, sbagliando, con una tastiera meccanica e ascolto del pop francese uscito oggi di cui non capisco una parola e ho frammenti di me e dei miei figli sparsi per tutta la casa e fuori per il mondo, ho due genitori nascosti nel loro piccolo appartamento che mi sorridono ancora ogni volta che mi vedono, mi offrono dolci e acqua tonica e io li tratto come se fossero immortali, non so se sia la cosa giusta, come se avessimo davanti ancora tutto il tempo del mondo

se so che il mondo è una mezza schifezza, e lo è indubbiamente, mi salva l'altra metà, la meraviglia di questo sforzo improbabile, l'erezione tutta scoordinata di questo muscolo gonfio dove dentro c'è la speranza, il sogno, la gloria, la protezione e l'empatia, quella animale e quella non, quella ragionata e razionale, la più cattiva e necessaria però

stanotte ho sognato che non ero amato, che venivo lasciato così sul letto come un ravatto qualsiasi e mi alzavo allora, dicevo, ravatto per ravatto mi metto a fare qualcosa, che pena

e che energia quella di essere comunque, dopo il desiderio, una volta finita tutta l'energia essere lì in ogni caso e quindi muoversi ancora e fare cose, dare identità a quello che si è e che si sta facendo, che energia incomprensibile è quella che ci muove ogni giorno a fare

le nostre piccole cose, i piccoli rapimenti, i graffi sulla pelle dei vicini, i segni dei morsi sui figli, le impronte sudate delle mani sui muri a cui si siamo appoggiati per un attimo, nel corridoio centrale, per riprendere fiato, ricaricare l'energia

 
Continua...

from Chez Looping

Léon Bourgeois et la solidarité

Léon Bourgeois (1851-1925) était un homme d'État, un écrivain, et un penseur. Fondateur du Parti Radical, il a été l'inspirateur et le théoricien du Solidarisme, une théorie juridique et une philosophie politique qui a guidé toute son action publique, et le concepteur de la Société Des Nations (1919-1946), ancêtre de l’Organisation des Nations Unies.

Docteur en droit, avocat, préfet, puis préfet de police de Paris, député, sénateur, plusieurs fois ministre, il a également été président du Sénat, président de la Chambre des députés, ou président du Conseil.

En tant que président du Conseil, de novembre 1895 a avril 1896, son gouvernement fut le premier à n’être composé que de radicaux. La droite s’oppose à l'organisation des retraites ouvrières, à son projet d'impôt général sur le revenu, considéré alors comme une « inquisition fiscale », ainsi qu’à un projet de loi sur les associations. Il fit cependant voter une loi qui permet à tout français de recevoir gratuitement une assistance médicale, ancêtre de la Couverture Maladie Universelle, une loi instituant un dédommagement pour les ouvriers victimes d’accident du fait des machines, ancêtre de l’accident du travail.

Et même si ce n’est pas lui qui fit voter ces lois, c’est concrètement et directement grâce à son travail qu’ont pu voir le jour la loi sur les associations de 1901, la progressivité de l’impôt sur les successions, la loi sur les Habitations à bon marché (ancêtre des HLM), les retraites ouvrières et paysannes ou encore l’impôt progressif sur le revenu.

Son investissement dépasse la politique. Président de la Ligue de l’enseignement de 1894 à 1898, son combat s’appuie sur le « devoir social » mais aussi sur le constat scientifique que toutes les couches de la société sont exposées à des fléaux tels que la tuberculose. Sa fille en meurt à 24 ans et son épouse à 52 ans. Il a mené ce combat au niveau mondial en présidant l’Association internationale pour la lutte contre la tuberculose, mais aussi l’Association internationale pour la lutte contre le chômage. Pour Léon Bourgeois, la solidarité sociale est nécessairement internationale.

Et c’est ainsi que le 10 mai 1898 s'est ouvert la première conférence internationale de la paix à La Haye, ou Léon Bourgeois s'est vu confier la commission d’arbitrage. Considérant que la paix est reconnue comme la condition d’une vraie solidarité internationale, il s'est attaché à garantir la paix, par le règne du droit. Son constat alors est simple, une délibération générale de l’ensemble des nations est porteuse de compromis plus amples et plus durables que la négociation d’état à état. Ceux ci peuvent obtenir la garantie supérieur de «l’entente universelle» selon lui. Ainsi, dès 1899, et pour la première fois dans l’Histoire, 24 nations ont décidé ensemble, de la limitation des armements, et des moyens de prévention de la guerre ou de la résolution pacifique des conflits, et aboutissent à la création de la Cour d'arbitrage international de La Haye.

Léon Bourgeois se fit en France le défenseur des travaux de La Haye, tant auprès de l’opinion qu’auprès du gouvernement. Contrairement à une précédente période de sa vie où il avait occupé de nombreuses fonctions ministérielles ou électives, Léon Bourgeois connut après la première conférence de La Haye une activité politique plus modeste et se consacra à la promotion et à la vulgarisation des idées de La Haye.

Léon Bourgeois a publié en 1909 « Pour la Société des Nations », une extension des conférences de La Haye. Léon Bourgeois voulait une organisation armée face aux incertitudes des relations internationales, forte d’une juridiction reconnue par les nations, et pouvant éventuellement prononcer des sanctions à l’encontre des états rebelles au droit.

La guerre de 1914-1918 a redonné du crédit à cette idée, et le 28 juin 1919 est signé le pacte intégré au traité de Versailles qui donne naissance à la Société des Nations et Léon Bourgeois en fut le premier président. Suprême reconnaissance pour ses convictions et son inlassable travail en faveur de la paix, Léon Bourgeois reçoit le Prix Nobel de la Paix en 1920 pour sa contribution à la Société des Nations.

Léon Bourgeois n'est pas parvenu à imposer pendant la Conférence de la paix sa vision d’une Société des Nations vigoureuse et armée, issue de vingt années de réflexion, d’observation et d’action comme acteur à la fois de la vie nationale et de la conciliation internationale. Il a tenté de marier dans ce nouveau concept la promotion de la solidarité internationale et les impératifs de la sécurité collective. Plus de vingt-cinq ans plus tard, la Charte des Nations-Unies répondra à ses attentes.

« Pas d’harmonie sans l’ordre, pas d’ordre sans la paix, pas de paix sans liberté, pas de liberté sans la justice», disait-il dans «Pour la société des Nations. » en 1909.

Le solidarisme

Le solidarisme de Léon Bourgeois, tel qu’il a été pensé dès la fin du XIXe siècle, était fondé sur l’idée que la justice sociale ne peut exister entre les individus que s’ils deviennent des associés solidaires, en neutralisant ensemble les risques auxquels ils sont confrontés. Cette doctrine peut être considérée comme le soubassement éthique de notre contrat social.

Léon Bourgeois publie Solidarité en 1896 et présente le solidarisme au Congrès international d’Éducation Sociale, en septembre 1900, au moment de l'Exposition universelle de Paris. Celui ci s’inspire des théories de Charles Gide ou de Émile Durkheim (qui sont à l’origine de l’Économie Sociale et Solidaire), ou même de l’évolution rationaliste de la pensée scientifique, en contradiction notamment avec le darwinisme social sur lequel se fondent les libéraux pour justifier la concurrence, et la non intervention de l’État. Léon Bourgeois s'est appuié notamment sur les sciences naturelles dont les conclusions ne sont pas celles de la lutte pour l’existence, mais plutôt d’une solidarité des êtres, car nous sommes des individus interdépendants.

Bourgeois défend l’idée d’une dette sociale contractée par l’être humain à sa naissance à l’égard de l’association humaine. Ainsi, à peine nés, nous serions selon lui débiteurs de toute l’association humaine. A peine nés, nous prenons part sans le savoir, à l’immense capital accumulé par nos ancêtres et toute l’humanité.

Le moindre besoin de l’enfant le prouve. Sa naissance implique la formation du personnel médical, et donc de tout le savoir acquis jusqu’ici, mais également le savoir des ouvriers qui ont construit l’hôpital ou qui ont construit les universités où est formé le personnel médical. Sa nourriture est le produit d’une très longue culture, combinant l’agronomie, la formation des agriculteurs ou celle des ingénieurs qui ont conçu les machines agricoles. Son langage intègre les acquis d’innombrables générations et dès qu’il étudie, le moindre livre que lui offre l’école résulte d’une somme incalculable de travail et d’inventions. Plus il avance dans la vie, plus sa dette augmente, car le profit qu’il tire de l’outillage matériel et intellectuel qui l’entoure résulte d’une création de l’humanité passée.

Comment nous acquitter de notre dette vis-à-vis de nos ancêtres qui ont disparu ? La réponse est que l’humanité n’a pas accumulé son trésor intellectuel et matériel pour une génération ou un groupe en particulier. Nos ancêtres morts ont légué leur héritage à toute l’humanité par-delà les époques. En héritant de ce patrimoine, nous avons reçu la charge de nous acquitter de notre dette envers les générations futures. C’est un legs de tout le passé à tout l’avenir. Chaque génération n’est que l'usufruitière de ce legs, qu’elle doit conserver et restituer aux vivants à venir. Encore qu’il ne s’agit pas seulement de conserver cet héritage, il faut l'accroître, comme chaque génération successive l’a fait. Nous touchons ici selon Léon Bourgeois à la «loi de l’accroissement continu du bien commun de l’association».

Ainsi, selon le solidarisme, nous devons rembourser la dette sociale contractée à notre naissance par notre travail au sein de la société humaine. Mais notre dette augmente à mesure que nous vivons. Nous continuons à tirer des bénéfices des progrès de l’humanité tout au long de notre vie. Et surtout nous ne sommes pas égaux devant cette dette. Certains bénéficient davantage que d’autres de ce que la société a accumulé. Au regard du profit tiré de la société et ce qu’ils lui apportent en retour, les individus ne sont pas égaux dans ce contrat social. Selon Léon Bourgeois Il faut donc l’action correctrice de l’État. C’est à lui de rétablir la charge de la nation entre tous selon une progression en fonction des bénéfices que chacun tire de la société. Pour paraphraser Karl Marx à ce propos, “De chacun selon ses moyens, à chacun selon ses besoins”.

Selon Léon Bourgeois « L'obéissance au devoir social n'est que l'acceptation d'une charge en échange d'un profit. C'est la reconnaissance d'une dette ».

C’est ainsi, que dans la théorie de Léon Bourgeois, «le possédant est le débiteur des non-possédants» et les obligations des privilégiés seront plus lourdes que celles des autres. Payer l’impôt n’est plus un châtiment infligé par un État tyrannique, mais un devoir librement consenti, une manière de s’acquitter de sa dette envers la société, selon une règle de justice collectivement admise. C’est ce que Bourgeois appelle le “quasi contrat social”. “L'homme vivant dans la société, et ne pouvant vivre sans elle, est à toute heure un débiteur envers elle. Là est la base de ses devoirs, la charge de sa liberté” disait il dans Solidarité.

Goethe disait : « Le plus grand génie ne fait rien de bon s’il ne vit que sur son propre fond. Chacun des mes écrits m’a été suggéré par des milliers de personnes, des milliers d’objets différents, le savant, l’ignorant, le sage et le fou, l’enfant et le vieillard ont collaboré à mon œuvre. Mon travail ne fait que combiner des éléments multiples qui sont tous tirés de la réalité. C’est cet ensemble qui porte le nom de Goethe. »

Ce qui auparavant s'apparentait pour les libéraux à d’odieuses interférences de la puissance publique dans la vie des individus (la réglementation du travail, l’impôt progressif, l’obligation de cotisation sociale…) est en réalité la condition même de la liberté individuelle. Pour Bourgeois, il n’y a pas de propriété qui soit individuelle : toute activité et toute propriété ont en partie une origine sociale, de telle sorte que les prélèvements fiscaux et sociaux effectués par la collectivité sur les revenus et les patrimoines de ses membres sont de justes rétributions des services publics que propose la société, plutôt que des odieuses ponctions exercées sur le travail d’individus méritants. L’État devient alors le bras exécuteur de la solidarité afin que chacun prenne équitablement selon Léon Bourgeois « sa part des charges et des bénéfices, des profits et des pertes ».

Cette conception fut à l’origine des réformes défendues par Léon Bourgeois, qui aboutirent comme je le disais en introduction à la progressivité dans les droits de succession en 1901, la création des premières retraites ouvrières et paysannes en 1910, créant l'obligation de cotisation sociale, la loi sur les Offices Publics d'habitations à bon marché en 1912, la loi tendant à instaurer des dispensaires d’hygiène sociale et de prévention antituberculeuse en 1913 et à la création de l’impôt progressif sur le revenu en 1914.

Bourgeois l’affirme : la Révolution a fait la Déclaration des droits. Il s'agit d'y ajouter la Déclaration des devoirs.

Mais nous devons voir l’action de Léon Bourgeois au-delà des réformes qu’il a défendues lui même. Le solidarisme tout entier est présent dans la création de l’arrêt maladie en 1928, de la sécurité sociale en 1945, du salaire minimum en 1950, du minimum vieillesse en 1956, de l’assurance chômage en 1958, de l’Allocation Adulte Handicapé en 1975, de la création de l’impôt de Solidarité sur la Fortune afin de financer le Revenu Minimum d’Insertion en 1988 ou encore de la Couverture Maladie Universelle et de l’Aide Médicale d’État en 1999. Toutes ces réformes sont aujourd’hui la clef de voûte de la solidarité républicaine (malgré les attaques de la droite extrême).

Comme disait Léon Bourgeois, « il n’est pas possible qu’un être humain meure de froid ou de faim dans un État qui se dit civilisé. Il y a un minimum d’existence que l’effort de tous doit assurer à tous. ».

Léon Bourgeois meurt en 1925. Le solidarisme ne sera plus guère évoqué pendant les IVe et Ve Républiques. Pourtant, la doctrine théorisée par Léon Bourgeois a su s’installer durablement jusqu’à nos jours. Au-delà des clivages politiques et au-delà des régimes se succédant, le solidarisme de Léon Bourgeois a continué d’influencer le discours républicain. De fait, le solidarisme s’est joué du temporel et de l’espace en accompagnant et en dépassant la République jusqu’à nos jours sans reconnaissance officielle mais, mieux, avec son idéal de société reconnu. En cela, nous constatons que Léon Bourgeois a amplement contribué à l’héritage social de l’humanité.

Son héritage

« Le mot de solidarité est partout aujourd’hui. Est-il plein de sens ou vide de contenu ? Quel est la portée, quelles sont les conséquences de cette idée ? » Ces mots furent prononcés par Léon Bourgeois en 1901, lors de la fondation du parti radical, mais ils pourraient encore être les nôtres, un siècle plus tard. (censure du délit de solidarité, RSA contre bénévolat, tentative de supprimer l'aide médicale d'état)

Le solidarisme était la voie du milieu entre l'individualisme libéral et le socialisme collectiviste, une référence pour tout débat sur la protection sociale. Mais il n'est pas certain que la solidarité soit encore conçue aujourd’hui comme un véritable projet politique. Car nous assistons dans notre pays à une érosion de ce socle historique de la solidarité ! Le compromis qui visait à faire des individus autre chose qu’une marchandise échangeable est peu à peu remis en cause. La séparation entre les populations qui relèvent de l’assurance et celles qui relèvent de l’assistance est de plus en plus marquée. Les assurances sociales obligatoires sont moins collectives et moins généreuses. Les notions classiques d’universalité des droits, de prévention et de redistribution institutionnalisée sont peu à peu remplacées par des notions de responsabilité individuelle, de ciblage de la protection sociale et de prise en compte individuelle des besoins. Et donc la solidarité est souvent comprise comme une action minimaliste, réservée à la sphère de l’assistance envers les plus défavorisés. On en parle uniquement en termes de coût pour la collectivité. J’en veux pour exemple la langue de bois libérale qui transforme la solidarité en “assistanat”.

(Hausse accidents du travail, hausse mortalité infantile, hausse pauvreté infantile)

La solidarité ne sert plus de guide à l'action publique et ne traduit qu'un vague devoir moral d'entraide, une laïcisation de la charité pourrait on dire. Chaque année les Restos du Cœur annonce de plus en plus de personnes aidées et une baisse de ses ressources.

Ou l’auto entreprenariat par exemple, nous assistons à une sous-traitance du salariat ou les auto-entrepreneurs perdent les droits sociaux. Certes, des associations humanitaires, à but non lucratif, de lutte contre la pauvreté, d’aide aux migrants ou de recherche médicale, participent au grand œuvre de la solidarité, mais nous sommes passé d’une mutualisation, à une de privatisation de la solidarité, car l’existence même de ces associations et le fait que l'Etat se repose sur elles prouve que la Solidarité n'est plus un projet politique.

Nous faisons la charité parce que nous sommes incapables de faire la justice sociale.

Bibliographie

-Solidarité / Léon Bourgeois, préface de Marie-Claude Blais -Les applications de la solidarité sociale / Léon Bourgeois -Pour la Société des Nations / Léon Bourgeois -La solidarité : histoire d’une idée / Marie-Claude Blais -Repenser la solidarité : l’apport des sciences sociales / Serge Paugam -La pensée solidariste : aux sources du modèle social républicain / Serge Audier -Léon Bourgeois : Fonder la solidarité / Serge Audier

 
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