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from sottocutaneo

[quattro]

In centro evito la polizia, ci sono camioncine posteggiate in mezzo alla strada – attorno una città vuota – una pioggia svuotata fatta di lacrime scavate, agglomerati di gocce spente che cadono sull'asfalto grigio sul cemento grigio sulle colonne del viadotto grigio, anche il greto del fiume è grigio oggi, anche l'acqua che scorre è grigia – solo io ho un frammento di luce che mi esce dal corpo, un raggio come quello dell'annunciazione che illumina piccole porzioni di materia davanti a me, e questa luce interna è la mia sventatezza e la mia vergogna, comunque, l'importante è tenere dentro di sé le cose, schiacciarle sul fondo per poi vederle emergere per conto loro senza la tua partecipazione attiva, chiedo poi al supermercato – nel momento della cassa – ma perché c'è la polizia, perché le strade bloccate – una voce dice che è una manifestazione degli operatori ecologici, dice, hanno anche, dice, sigillato i bidoni della spazzatura no, no, dice una seconda voce, è per le foibe, guarda il carrello davanti a sé, è per le foibe – ripete – questo supermercato oggi è pieno di vecchi occidentali, la domenica si radunano al supermercato i vecchi occidentali mentre tutto attorno a noi crolla – l'occidente, il suo potere, l'ombra lunga degli statunitesi e del loro odore intenso nel momento dell'abbraccio, anche quello crolla con un conato a rovescio, verso l'interno a proteggere il loro fragile sistema di privilegi – cosa non è fragile rispetto al tempo e ai mercati azionari – tutto prima o poi muta, inizialmente in maniera impercettibile e poi ti rendi conto che quella cosa impercettibile era anche irrimediabile, come una lacerazione, per quanto sia infinitesimale la natura dello strappo, alla fine quella sensazione che prova il vuoto è il precipitare dello spazio in due elementi separati e divergenti, così noi dentro le fauci, le luci e i faretti disperati dell'Esselunga o del Carefour o della Coop o della Conad, dell'Ekom, dell'IN's, siamo qua a sentire il frastuono lontano dell'occidente che frana, a invecchiare mentre nuove tribu e nuove idee emergono fameliche e divoreranno tutto sulla lunga distanza, divoreranno i nostri dei, le nostre pietanze, divoreranno gli appunti che abbiamo preso sull'illuminismo, divoreranno i diritti umani e gli orientamenti sessuali, e mentre sentiamo questo collasso scendiamo in piazza per le foibe, passiamo la nostra tessera sconto, raccogliamo i nostri punti risparmio, piombiamo i tombini, sigilliamo i bidoni della spazzatura per tenere in sicurezza i residui del capitalismo, le carte, le plastiche, lo sporco di cibo attaccato al tetrapack, alle latte di conserva, alle aperture facilitate, i sacchetti fiacchi di estrusi del mais, fingiamo ancora di essere come me – bestie sottocutanee – acari sociali che scavano il loro tunnel nella sottotraccia della storia e ci vivono dentro masticando e vomitando dal retro, aspettando la fine e pensando che sarà l'ultima cosa a cui dovremo pensare e intanto studio il reticolo del mondo, le strade che posso percorrere per tornare a casa evitando i posti di blocco delle sacre festività.

 
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from sottocutaneo

[tre]

Caro diario. Trascrivere tutto. Questa mattina mi sono seduto sul divano, la casa piena di sconosciuti, non ne voglio parlare. Ho preso due libri che ho in casa, libri che ogni tanto sfoglio, sono gli unici due libri di arte che mi sia mai comprato. No, non è vero. Ma non ne ho comunque molti. Questi due in un certo senso sono collegati, sfogliandoli resto sempre affascinato. Uno è di Helnwein, l'altro è di Ray Caesar. Sono entrambi due cataloghi, antologici, tecniche di computer graphic per il secondo, fotografia, teatro e arti figurative per il primo. Mutazioni del corpo, una sessualità lesionata, a volte in maniera violenta, ascessi pop, iperrealismo fotografico e surrealismo al digitale. Ironia, ogni tanto con Ray Caesar sbotto a ridere da solo. Li guardo e giro le pagine. Il fastidio di quelle pagine così piccole. La primitiva voglia di zoomare con pagine che mostrano dettagli e particolari. Lo sforzo della carta di avere dimensioni diverse da quelle che ha. Ad un certo punto prendo il cellulare e imposto un filtro particolare che smorza tutto in bianco e nero, tagliando le tonalità di grigio e rendendole con del dithering, ma ogni tanto, non so perché, alcuni elementi diventano rossi, si creano delle foto in bianco, nero e rosso. Una foto che è naturalmente artefatta, postprodotta all'origine. Fotografo un po' di pagine, così. Le condivido, chiudo tutto. Ci vedo così poco. Sono costretto a prendere gli occhiali. Della grafica non sai se l'hai davvero vista, le frasi lasciano i segni elemen,tari dei loro concetti, ma la grafica ti passa sotto gli occhi. Ho sempre paura, girando pagina, di essermi perso qualcosa di essenziale, una sensazione che avrei dovuto provare e non l'ho fatto. Metto via tutto. Più tardi sono solo in cucina. Ho registrato dei suoni di me che cammino sulla neve, sono quattro registrazioni differenti. Una vicino a un corso d'acqua, l'altra a passi lenti, la terza con dei suoni lontani di automobili, l'ultima a passi più veloci. Il suono della neve schiacciata dai miei passi. Copio i quattro suoni sul secondo cellulare, quello che uso per parlare. Poi li copio sul portatile e alla fine sull'ebook reader. Spengo le luci della sala. Vado in un angolo della sala e poso un cellulare, nascondendolo. Faccio partire la prima registrazione, la metto in loop. Vado dalla parte opposta della sala e faccio partire la seconda, con il secondo cellulare. In loop. Poi la terza ad un ipotetico terzo angolo e quella finale con l'ebook reader. Tutte e quattro, creano un tappeto sonoro. Mi metto nel mezzo della sala, nella penombra della sera e sento tutto attorno a me passi nella neve. Mi giro, cammino, cerco di capire cosa possa cambiare nella percezione del suono rispetto ad un normale suono sterofonico. Chiamo mia figlia. Lei scende, satellando, la metto in mezzo alla stanza, le dico di chiudere gli occhi e di cercare di capire quante fonti sonore ci sono e dove sono. Lei sta un po' ferma, gira, inizia a indicare – nel buio – zone della sala. Dopo un po' individua tutte le quattro fonti, mi guarda, credo. La cosa le è piaciuta, quel tanto che basta. Dice che lo dobbiamo fare con qualcun'altro, va a chiamare suo fratello. Anche lui scende. Ascolta le regole del gioco. Si mette nel mezzo della stanza. Gira, indica anche lui zone della sala. Nel buio, è comunque una cosa diversa. La realtà virtuale fatta con le povere cose. A rovescio, passeremo a fare la tecnologia con l'elettronica amputata. Più il sistema ci inonda della sua faticosa perfezione, più prenderemo a romperla. Più l'informatica diventa plasticamente armonica, più gli attaccheremo delle ridicole protesi per ridurla, per renderla umana. Intanto mio figlio mi guarda, ridacchia, se na va via saltellando al piano di sopra. Helnwein infilava le forchette negli occhi alla figlia, non mi lamenterei.

 
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from sottocutaneo

[due]

Cambiamo registro, mentre ero sottopelle. La cosa di cui non parlo molto è che leggo, leggo moltissimo, rovino le cose che ho. Non do cura alle cosa che ho attorno perché si rovinano, appena le metto in casa. Copertine prestigiose, edizioni brossurate, oggetti hi-tecno. Le copertine si sfaldano il gatto ci vomita dentro gli zaini prendono colpi i vetri si spaccano la plastica si spappola l'umidità attacca le pagine e le strappa i vinili si graffiano le auto fanno le fiancate, la narrativa mi salva, ma non troverete libri carini sul comodino. Li uso per accendere il caminetto per dire. Non mi interessa nemmeno lo stile. Sto lontano. Se uno guarda le mie collezioni di musica trova gli autori che seguo e in mezzo ci sono dei buchi, mancano i capolavori. Cerco di ascoltare solo le mezze produzioni, i tentativi non riusciti. Gli album brutti sono in perpetua rotazione. I capolavori dopo qualche minuto li tolgo e li do via. Mi spaventano. Non ha senso fare un capolavoro, ascoltarlo ti fai solo del male. Ho preso coraggio qualche settimana fa e sto ascoltando Music for 18 musicians di Steve Reich. Lo tolgo. Tutta quella perfezione è spaventosa. Forse per questo ho sempre ascoltato Prince, ininterrottamente da quarant'anni. Non ha mai fatto un capolavoro, forse ne aveva paura anche lui. Infilava sempre in mezzo un frammento sbagliato, una rarità accanto a un elemento pacchiano, una produzione elegante rovinata da un arrangiamento dozzinale. Ma vedi come tutto diventa ridicolo. Di cosa stiamo parlando. Per fortuna insegno e quindi devo leggere molto, per mestiere e poi scrivo, come adesso e quindi ancora leggere. Ho fatto anche l'editore, ho letto famelicamente materiali che erano ancora magmatici, segnavo tutto e li ridavo agli scrittori. Ora ho questo stato di grazia che insegno a ragazzi che della letteratura non gliene frega niente. Periti informatici. Scienze applicate. Passo a masturbarmi le cervella con Dante combo Contini e poi in classe cerco di passare la bellezza pornografica della letteratura e quelli – giustamente – mi mandano affanculo. Devo conquistare ogni singolo lemma, masticarlo e rimasticarlo come una vacca, da uno stomaco a quello successivo, ruminarlo fino a renderlo qualcosa di appetibile no, digeribile. Niente pornografia. Vedete – dico – qua Dante dice che racconterà questo sogno agli altri poeti con una poesia e lo fa davvero. E quelli gli rispondono, ma non nella fiction. Nel mondo reale. Dante scrive che un poeta amico suo gli ha risposto e quell'amico è Cavalcanti. E Dante scrive anche il titolo di questa poesia che Cavalcanti avrebbe scritto rispondendo al suo sonetto. E questa poesia di Cavalcanti esiste davvero. L'ha scritta davvero e nella sua poesia Cavalcanti parla del sogno di Dante, quello che abbiamo appena letto, dico. Ora, dico, io non voglio sempre attualizzare tutto ma, dico e uno studente mi precede e mi dice alla faccia di Whatsapp, dice. Ecco, dico. Continuamente leggo ma non faccio l'elogio del libro, quello della scrittura. Lo stile non mi interessa più di tanto. Quello che mi ha fermato nella programmazione è che più di tanto non riesco ad astrarre. Ci sono limiti oltre ai quali mi fermo. La matematica e la poesia, da questo punto di vista, non cambia molto. Prendi Miller. Henry. Cosa serve essere così perfetti, periodi così oscenamente perfetti. Anche quello l'ho chiuso. La letteratura è un anestetico non una cura, ma a volte bisogna cercare di non farsi male. Non troppo. Prendersi cura di sé, fare una lista dei medicinali. Alla fine, prendersi cura di sé è anche attaccarsi a un libro. Tengo delle liste di letture da fare finché non finisco quello che sto leggendo, a quel punto prendo a leggere qualcosa che non sia in lista. Ci deve essere un elemento random. Come la temperatura nelle intelligenze artificiali. Ci deve essere uno scarto come trovare o non trovare la preda. Poi qualcosa invece lo leggo. Ma i libri sono una frazione della mia dieta culturale. Briciole. Leggo articoli, estratti, post, leggo messaggi chat lunghissime, ascolto vocali musiche notizie dei radiogiornali suoni che il mondo fa, la mia calderina ora il frigorifero, l'elettricità statica, ascolto relazioni pubbliche, quattro lì seduti davanti al pubblico che ammiccano e io sono dentro di loro e penso cosa pensano quando sentono gli altri parlare, ci sono anche io, penso ogni tanto davanti al pubblico che mi guarda – ma perché siete qua – cosa siete venuti a sentire – guardo immagini- videoriprese montaggi, piani sequenza scorsoi tocchi del demonio, ambienti interattivi & vg, tutta questa intelligenza che cerco di scansare, tutta questa ininterrotta produzione di intelligenza e di creatività e di genialità a cui cerco di sopravvivere perché è come un blob alieno impazzito che entra da ogni foro che ho nel corpo, come la creatina mi si infila nei pori della pelle nelle orecchie negli occhi soffoca gli spiritelli, tutta l'intelligenza e la creatività che l'umanità disperatamente, disperatamente ma con il lusso forbito della cultura, continua a fare uscire infilandosi le due leggendarie dita in gola per essere sicura che il calore a cui la conservano dentro, sbocchi fuori e ci avvolga tutti come una copertina affettuosa e rassicurante.

 
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from chiaramente

Allowing my fantasies To float and flutter freely They play like a child On a warm summer day Ready to rend my heart Should I fall into claiming them

 
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from Solarpunk Reflections

A few weeks ago, I published an article on our literary collective's site with some opinions on Grist's Imagine 2200 Top 12 stories. For those who don't know what that is, it's the biggest/most popular contest for solarpunk and climate fiction stories, with more than 1200 submissions each year.

As such, I expected to read the best authors of the genre grappling with the themes that are key to solarpunk. In this post I try to give a brief overview of each story (with a summary and a personal opinion, so that you can contradict me if I got something wrong!), explain what felt missing, and why I think we need solarpunk authors to try harder and push the boundaries of what we can collectively imagine.

EDIT: After a discussion with Susan Kaye Quinn I want to stress that the intention of this article is NOT to gatekeep solarpunk and try to draw a line between what SHOULD and SHOULDN'T be. After all, there is no big-S Solarpunk that I or Grist or anyone else is a paragon of; Grist's stories explore some angles better than others, and my message is meant for writers of other angles (not only the tech but also the anticapitalism and the collective action ones, and so on) that they're needed just as much.

NOTE: Each Summary section contains SPOILERS, so come here after you've read the anthology yourself if you don't want surprises. Alternatively, send me a DM with instructions to put spoilers on markdown (I have tried a few but none worked).

12 – We Cast Our Eyes to the Unknowable Now

Summary: The MC comes back home from her job at the fast food in a neighborhood where some unspecified disaster left a chasm decades ago and was never repaired. She can’t find her little sister, so she starts looking for her; climbs up to the top of their apartment complex where there’s a rooftop garden. From there, she spots her sister in the chasm. She goes down the chasm and her sister is tending to some native plants. Then they go home together.

Personal opinion: It felt very shallow. It’s very expositive, the solarpunk stuff is just dropped here and there, in handwaved descriptions or characters explaining them flatly to the reader. The little sister has asthma, but it doesn’t matter. The chasm has been there for decades, yet nobody has attempted to repair it. I expected it to be the main element around which the story revolved, but it turned out to be just a static background.

11 – To Rescue a Self

Summary: A climate journalist returns to Lagos after her investigation on a Big Oil project went south. It’s the year 2100 and the city has changed a lot, but she manages to meet her friends (who all work in climate law and ecocide jurisdiction). They try to cheer her up and talk about their project to mix some innovation with tradition. Then she visits a natural reserve, where she chats with some locals and gets a story on how OGM seeds work along native plants. She heads back home and helps her bulimic friend after an episode, she tells him she’s always felt like a failure and they promise each other to get better.

Personal opinion: I can see there was more thought behind this, but it still felt quite disconnected; the hefty length didn’t help. There is nothing very speculative or rooted in future (investigating Big Oil in 2100? Saro Wiwa died in 1995), her highly specialized friends were mostly just chatting and the technology wasn't very imaginative overall. I liked the Nigerian accents in the dialogues, but I expected more from a Nigerian author.

10 – This View From Here

Summary: The MC has fought with her dad and she's now hiding at her grandma's place. Later in the night she bikes home, and in the morning she chats with her dad in front of a coffee, and he cries because he realizes he's putting on her parts of his trauma from the dead mom/wife, and he's afraid of her getting hit by climate disasters. It ends with the MC leaving for the city.

Personal opinion: There are some great dialogues, but this did not feel solarpunk at all. There’s barely any technology involved (the bike was electric!), the climate disasters are all hypothetical or faraway and it’s a very simple family drama that could’ve been set in early 2000s if not for a quick VR mention.

9 – The Ones Left Behind

Summary: The MC owns a silkworm restaurant in PuertoChina, which she inherited from her grandma. The silkworm food provider informs her of an issue with the water harvesting system and that the trees are thirsty. They contact the appointed official and she explains it's just a clogged pipe, nothing major. They find the worker and help him unclog the pipes. The storm comes, but it doesn't damage anything. They head back to the restaurant, where they eat some silkworms. Her friend tells her how all the rich people in New York have left, and they are the ones left behind. She takes him to the silkworm greenhouse and they exchange a kiss.

Personal opinion: The beginning made me think of another family drama with the MC mourning the dead grandma, but I was pleased that the author tried to set up an infrastructural problem. Sadly it wasn't very convincing (a rich-less New York can't repair pipes?) and a problem from the 19th century, rather than 23rd. Well written with fantastic culinary descriptions and smooth dialogues; the title is barely relevant to the story, and the romantic ending was not necessary in my opinion.

8 – The Isle of Beautiful Waters

Summary: A family of Guadeloupean shepherds deals with drought. The MC is taken by his parents to the hidden source where there's still water. After that, they tell legends on the origins of Guadeloupe with the sisters. A notifications informs them that a hurricane is on its way; together they look for their mother but can't find her. The hurricane arrives and the narration becomes mythological, mixing with the legends told by the daughters.

Personal opinion: It was one of the hardest stories to read; there are many Caribbean terms that I couldn't find on the internet, and the accents made the dialogues quite challenging. The prose is very repetitive, most events are lists of actions and I did not understand the chapter division. The ending was cryptic and left me quite unsatisfied.

7 – Tangles in the Weave

Summary: The MC is waiting for a metamorphosis to happen and is very anxious. Other characters who have undergone the metamorphosis (her father, her friends, etc.) give her advice on how to deal with it. Others have different “souls” (monkeys, wolves, octopuses), but she knows she has a blue butterfly, which has gone extinct 200 years prior. She dreams of being a butterfly reincarnating against her will in a person's body. She heads to the House of Butterflies where a woman explains the visions. In another dream, she sees her own city in the future and talks to her inner butterfly. Then she wakes up 10 days later and picks up several new hobbies, finds a boyfriend and kisses him.

Personal opinion: Very dreamlike and personal story. There might have been a gender allegory, but it was either very shallow or I did not catch it. It felt like closer to fantasy, and the solarpunk elements were too few to justify its presence in this ranking.

6 – Plantains in Heaven

Summary: Set in a partially flooded London, the MCs move around in rowboats to take materials from one side of the city to the next. One of the MCs' grandmas is struggling, and she is the designed rower to visit the local church. One of the characters asks for green banana seeds, a plant tied to their Nigerian heritage, to make the grandma happy. The MC accepts, on the condition that he can help raising the plants correctly. Months later, they begin planting the green bananas in rundown and submerged buildings. Safety inspectors are about to find them out, but the MCs manage to escape. The building is declared too risky, but they decide to keep growing the bananas there.

Personal opinion: I found the prose quite challenging, the events trivial and the repeated flashbacks kept interrupting the dialogues; I found it hard to read this story to the end. The MC is often infantilized and this did not help the immersion. I appreciate the attempt to show different kinds of economic relationships between characters and institutions. The second-to-last scene should've been tense, but I felt no urgency at all.

5 – Our Continuity, Each of Us Raindrops

Summary: The MCs wait for a football match to end: one of the players has to hand him a turtle. One of the two is a drone. There's a second drone that seeds clouds, according the a program that's been going on for 320 years and creates a constant rainfall over the whole state of New York. The MC's brother is in Florida, bedridden with a rare disease; the drone serves as his eyes and ears. The two are on the road to recover as many endangered species as possible. The three get to a beach, still chasing the rain-drone, and meet the player's brother who warns them about authorities on their way to catch the brother-drone. He tells the brother to move forward without him, saying he would be safer on his own. Then the brother-drone dives into the clouds to catch the rain-drone.

Personal opinion: Beautiful and deep, although quite intricated at the beginning (it took me a while to tell the brother-drone and the rain-drone apart). This author had fantastic ideas and I related a lot to the two brothers, but also to the football player, who hasn't always been a positive character. The descriptions mix weather, sports and First Nations' culture and I found them impressive. Unfortunately, all the characters were boys and the ending felt incomplete, but I still liked this story the most.

4 – Eulogy to Each and Every End

Summary: Master and apprentice are the town's undertakers and they are tasked with burying a man who died at 118. They sew a special dress with spores so that the corpse decomposes faster, but they need to prepare the decorations so that they reflect the dead's life and deeds. After that they celebrate a town fair where all the walls are repainted and they go see the stars. Six months pass; another townsman dies and the two talk about their insecurities as they prepare his burial suit. After more weeks, an unknown corpse is found by the roadside and they sew her a dress. A year later, the master passes away and the former apprentice's first work as a master is her burial suit.

Personal opinion: Dialogues were quite expositive, but the Brazilian town's atmosphere was delightful. Unfortunately the first half is almost only descriptions, and the first relevant event is described too quickly. I didn't like how the narration is organized (I have no emotional bonds towards the dead, and the information that he was a dear friend of the apprentice is only told way later). The premise and the setting were really creative, but it ended up being another story about insecurities; death and mourning turned out to be secondary, almost part of the background.

3 – Mousedeer Versus the Ghost Ships

Summary: An automated fishing boat enters the MCs' bay, which get in action in order to free the fish and detour it. The story moves on to them playing some tabletop game as they do something else, then work on some plants. They locate another automated machine that steals sand from the bay, but they don't try to stop it right away. Until it topples over, and one of the MCs is lost in the incident; they find her and take her to safety.

Personal opinion: Despite the catchy opening, I kept getting distracted; I found the prose somewhat hostile but I couldn't quite put my finger on the exact reason. I dropped it several times before finishing it. Interesting Southeast Asian setting, but nothing else really struck me. Especially frustrating: the first-person narration with so little said about the narrator.

2 – Last Tuesday For Eternity

Summary: The MC is an android with a wrist malfunction: xe understands that after 130 years the time has come for xe to turn off, even if xe has just fallen in love. Xe and xyr (?) partner see another human/android couple, the second has been repaired many times. The MC reflects on how to tell him about xyr malfunction; eventually xe does, and together they go through all the reparation options; then it is implied that the android won't die but just change. The two head to the burial site, where they choose the plant under which the MC will be buried. Another android unmounts xyr hand, then xyr conscience dissolves.

Personal opinion: Fantastic opening, and the way information is spread out shows that the author has both talent and practice. The android's pronouns were a bit clunky at the beginning, but then I got used to them; other than that, the prose was clear and easy to follow. The android was perhaps too human, but it helped empathize with xyr; some dialogues were a bit too expositive, especially in the second half. I don't think I fully understood the ending.

1 – Meet me Under the Molokhia

Summary: The MC lives in Lebanon, next to the dismissed prototypes of these 'molokhia'. As she wanders through a wood, she has a vision of someone grabbing a snake, perhaps a djinn. Her cousin reaches her, and as they chat on the way home she meets the djinn again, who reveals her name. Two days later, as she's gardening, the djinn appears once more; she takes her to the roof and tells her that her grandparents were wealthy benefactors. Her aunt has seen her with the djinn, so she reveals she too had once fallen in love with a djinn. The two meet again and kiss under the sunset.

Personal opinion: Uninspiring infodump opening; the djinn speaks as if she's of her same age (which is later revealed to be the case, but it severely diminished my sense of wonder), and the flirting starts right off the bat. It felt like a romance story with a few solarpunk details tossed in at the last minute. Personally, this story is very out of place in this contest and I'm surprised it got awarded the first place.

General Conclusions

When I started reading these stories, I expected the best Solarpunk of the year; yet halfway through the anthology I realized that having such an approach would only leave me very disappointed. I had to recalibrate my expectations to a generic clifi that touches far less themes than solarpunk. Stories about technology were a minority, while the bulk consisted in personal or family dramas that, albeit not out of place in solarpunk (they are necessary and valid!), shouldn't be the weight-bearing pillar of every story.

I wanted to read more adventures, more anticapitalism and more imagination on the relationships that we have and will have with technology, nature and the rest of society. 2200 is a long way down the road, and this anthology provided me with very few glimpses of that horizon. It felt myopic, stuck on a present that is understandably terrifying, and unable to really visualize the way past these obstacles. Solarpunk aims to be a telescope, not a mirror.

As a writer of solarpunk myself I'm aware how multi-tiered the challenge is. I know firsthand that imagining a whole society, several communities and characters for every story is a challenge; this is magnified by the youth of the genre, which still lacks clear hieroglyphs (i.e. clear narrative symbols) recognizable from other texts of culture. Even if a writer is able to come up with an approachable, comprehensible and concise vision, compressing it to a short-story format seems next to impossible.

There are some projects aiming to make this process easier, like the Solarpunk Prompts Podcast podcast proposing a series of pre-researched dramatic situations, communities facing a problem, ready to be fleshed out by a writer.

Hopefully these insights will help you shape the telescope you need.

 
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from edosecco

Secondo me ormai da tempo la formula del Festival non va bene. Ecco alcune idee (so già che alcuni lamenteranno la mancanza di “abolire il Festival”):

1) RIDURRE DRASTICAMENTE IL NUMERO DI CANZONI IN GARA

Trenta. Trenta?! Al massimo una dozzina. Di cui nove dei Campioni e tre delle nuove proposte. .

2) AUMENTARE LA DURATA DELLE CANZONI

Innalzare il massimo da 4 a 5 minuti. Alcuni compositori hanno bisogno di più tempo per dispiegare la loro idea melodica per un brano. Prendete ad esempio “Abitudine” e “Incantevole” dei Subsonica. È palese come alcuni brani sanremesi siano stritolati nei 4 minuti e avrebbero avuto bisogno di più spazio. .

3) FAR CONOSCERE LE CANZONI

Oggi è improponibile far sentire una canzone e decidere al brucio se piace o meno. I brani devono essere fatti uscire tre mesi prima, fatti girare e solo allora la gente saprà con cognizione di causa se piacciono o no. Poi si terrà la kermesse solo a mo' di 'riepilogo'. .

4) IL FESTIVAL DEVE DURARE MENO

Tre giorni possono bastare. I primi due (mercoledì e giovedì) per le esibizioni e le varie comparsate; il sabato per la finale. .

Ohh. L'ho detto.

@spettacoli@diggita.com @cinema_serietv@feddit.it

 
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from Linux Italia Gaming

Anche se in ritardo di un paio di giorni. Ma eccomi quì anche questa settimana per proporvi il classico elenco di giochi da poter riscattare gratuitamente sulle varie piattaforme. Cominciamo.

Epic Games Store

    Beyond Blue

    • Genere: Avventura, Passatempo, Indie, Simulazione
    • Sviluppatore: E-Line Media
    • Editore: E-Line Media
    • Data di rilascio: 11 Giugno 2020
    Beyond Blue è un'avventura narrativa per giocatore singolo, che ti porta nel profondo del cuore blu pulsante del nostro pianeta.

    Ambientato nel prossimo futuro, Beyond Blue esplora i misteri del nostro oceano attraverso gli occhi di Mirai, esploratrice e scienziata delle profondità marine. Entra a far parte di una nuova squadra di ricerca e sfrutta tecnologie innovative per osservare, ascoltare e interagire con l'oceano in un modo completamente nuovo il cui obiettivo è la comprensione.

    Pagina ProtonDB Pagina Lutris

    Lo potete riscattare gratuitamente da questo link fino il 13 Febbraio 2025, ore 17:00.

    HUMANKIND™

    • Genere: Strategia
    • Sviluppatore: AMPLITUDE Studios
    • Editore: SEGA
    • Franchise: AmplitudeStudios
    • Data di rilascio: 17 Agosto 2021
    Riscrivete la storia dando forma a una civiltà unica alla tua immagine. Combinate 60 culture dall'Era Antica all'Età Moderna per condurre il vostro impero alla vittoria. Costruite città fiorenti, superate i rivali in battaglie epiche, diffondete la vostra influenza e lasciate il segno sull'umanità.

    Pagina ProtonDB Pagina Lutris

    Lo potete riscattare gratuitamente da questo link fino il 13 Febbraio 2025, ore 17:00.

Amazon Prime Gaming

    Sands of Aura

    • Genere: Azione, Indie, GDR
    • Sviluppatore: Chashu Entertainment
    • Editore: indie.io
    • Franchise: indie.io
    • Data di rilascio: 27 Ottobre 2023
    Un rovinoso cataclisma scatenato da un dio tormentato sprofondò il mondo di Talamhel nella notte perpetua. La clessidra del tempo si è frantumata e la sua essenza si è riversata sulla terra, creando un mare infinito di sabbia. Il mondo di Talamhel, un tempo fiorente, è diventato una putrida lesione del suo antico splendore, e chi lo chiamava casa è ora un ammasso di corruzione: violenti, immortali e inflessibili soldati della morte.

    Ma Talamhel non è perduto, non ancora. Per generazioni, i pochi giusti hanno resistito. Sei uno di quei pochi.

    Alla vigilia del tuo ingresso nell'Ordine dei Cavalieri Rimanenti, gli ultimi protettori dell'uomo, Talamhel è ancora una volta sconvolto da una calamità. La natura corruttiva della Peste Notturna è mutata e il regno dell'uomo ha bisogno dei Cavalieri Rimanenti più che mai.

    Rintraccia il male emergente e distruggilo. Proteggi il regno umano.

    Pagina ProtonDB Pagina Lutris

    Lo potete riscattare gratuitamente da questo link fino al 09 Aprile 2025.

    AK-xolotl: Together

    • Genere: Azione, Indie
    • Sviluppatore: 2Awesome Studio
    • Editore: Playstack
    • Franchise: 2Awesome Studio, Playstack
    • Data di rilascio: 14 Settembre 2023
    Lo sparatutto roguelike più adorabile e letale con visuale ESCLUSIVAMENTE dall'alto e axolotl armati di AK. Fatti strada nel regno animale scatenando distruzione con un arsenale di armi da sballo e potenti power-up, e forma un esercito di piccoli axolotl dal grilletto facile.

    Pagina ProtonDB Pagina Lutris

    Lo potete riscattare gratuitamente da questo link fino al 12 Marzo 2025.

    The Talos Principle: Gold Edition

    • Genere: Azione, Avventura, Indie
    • Sviluppatore: Croteam
    • Editore: Devolver Digital, Croteam
    • Franchise: The Talos Principle, Croteam, Devolver Digital
    • Data di rilascio: 11 Dicembre 2014
    The Talos Principle è un puzzle game in prima persona filosofico da Croteam, i creatori del leggendario Serious Sam[/] giochi, scritto da Tom Jubert ( FTL, The Swapper) e Jonas Kyratzes (The Sea Will Claim Everything).

    Come se il risveglio da un sonno profondo, ci si trova in uno strano mondo contraddittorio di antiche rovine e la tecnologia avanzata. Incaricato dal creatore di risolvere una serie di enigmi sempre più complessi, è necessario decidere se avere fede o per chiedere le domande difficili: Chi sei? Qual è il tuo scopo? E cosa hai intenzione di fare al riguardo?

    Pagina ProtonDB Pagina Lutris

    Lo potete riscattare gratuitamente da questo link fino al 06 Maggio 2025.

    BioShock Infinite Complete Edition

    • Genere: Azione
    • Sviluppatore: Irrational Games, Virtual Programming (Linux)
    • Editore: 2K
    • Franchise: BioShock
    • Data di rilascio: 25 Marzo 2013
    Indebitato con le persone sbagliate, con la vita in gioco, veterano della cavalleria degli Stati Uniti e ora sicario, Booker DeWitt ha una sola opportunità per ripulire la sua lavagna. Deve salvare Elizabeth, una misteriosa ragazza imprigionata fin dall'infanzia e rinchiusa nella città volante di Columbia.

    Pagina ProtonDB Pagina Lutris

    Lo potete riscattare gratuitamente da questo link fino al 07 Maggio 2025.

 
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from Novità in libreria

Continua la carrellata dei libri di gennaio.

NARRATIVA:

  • IL FIGLIO EBREO di Daniel Guebel (La nave di Teseo). I libri e la letteratura sembra essere l'unico rifugio sicuro nella vita di Daniel, vessato da una famiglia in cui il padre autoritario e dispotico ricorre alla cinghia per impartire educazione e disciplina, la madre è più attenta all'ikebana e alle acconciature che non al mondo esterno e la nuova sorellina reclama un'attenzione totalizzante. Una volta cresciuto, però, Daniel deve affrontare il padre manesco, ora anziano e malato, e trovare con lui un rapporto più autentico. Per saperne di più: scheda libro (il sito della casa editrice ancora non funziona).
  • TERRA DI NEVE E CENERE di Petra Rautiainen (Marsilio). Nella Lapponia finlandese, immediatamente dopo la guerra, una fotografa è alla ricerca di suo marito o di ciò che ne è rimasto. Unico indizio: il diario di un soldato che riporta gli eventi dell'ultimo anno di conflitto. Per saperne di più: scheda libro.

NOIR, GIALLI E THRILLER:

  • IL FONDACO DEI LIBRI di Michele Catozzi (TEA). A Venezia, il convegno internazionale di studi su Aldo Manuzio è funestato dalla morte di un professore tedesco che avrebbe dovuto tenere una conferenza. Il commissario Aldani indaga sull'omicidio, nel labirintico ambiente dei collezionisti di libri antichi, antiquari e accademici. Per saperne di più: scheda libro.

SAGGISTICA:

  • Per Bollati Boringhieri abbiamo due piccoli libri della collana Semicrome:
    • L'ARCHETIPO DELLA MADRE di Carl Gustav Jung (scheda libro): un libro che non ha bisogno di presentazione, data l'importanza del concetto di “archetipo” nel pensiero junghiano.
    • SULL'ORIGINE DELLE FIABE di Marie-Louise von Franz (scheda libro: un'analisi delle fiabe come prodotti dell'inconscio collettivo e del loro legame con gli archetipi.
  • FERDINANDO DI BORBONE di Sebastiano Angelo Granata (Salerno). La biografia di un sovrano complesso e pieno di sfaccettature, il primo regnante della dinastia dei Borbone, a cavallo tra 1700 e 1800, e discendente in linea diretta di Luigi XVI. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL MEDICO E LO SCIAMANO di Arthur Laurent e Stéphane Laurent (Carocci). Sottotitolo: Dialogo sulla cura e la guarigione. L'affermato cardiologo parigino Stéphan Laurent dialoga con il figlio Arthur, apprendista sciamano in una comunità amazzonica, e cerca di conciliare le convinzioni scientifiche con i concetti di guarigione dei rituali sciamanici, esplorando anche le proprietà farmacologiche delle piante e degli infusi usati per provocare stati alterati di coscienza. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL SERENISSIMO BASTARDO di Pieralvise Zorzi (Neri Pozza). La biografia di Alvise Gritti, uno dei più spregiudicati figli naturali di Andrea Gritti, il grande doge di Venezia. Vivendo alla corte del gran visir Ibrahim di Costantinopoli e di Solimano il Magnifico, accumula potere e ricchezza, finendo al centro degli intrighi che contrappongono gli imperi asiatici ed europei nella prima metà del Cinquecento. Per saperne di più: scheda libro.

INFANZIA E RAGAZZI:

  • ZITTO ZITTO PIANO PIANO di Tini Malina (Lapis). Un ladruncolo entra in casa e, zitto zitto piano piano, arraffa tutto quello su cui può mettere le mani: una pianta, un peluche, un vaso da fiori... ma quando apre il frigorifero e ruba una salsiccia e la limonata, qualcuno dall'olfatto fino gli creerà qualche problema... Età di lettura: da 0 a 3 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • A CASA di Mark Jannsen e Alessandro Riccioni (Lapis). Albo molto interessante, con sontuose illustrazioni, che racconta l'amicizia tra un buffo alieno e una bambina che gli presenta le bellezze del pianeta Terra. Età di lettura: dai 3 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • SE MI PRENDI PER MANO di Bruno Maida (EDT – Giralangolo). La storia della fuga di un padre con suo figlio per sfuggire alle discriminazioni del fascismo. Età di lettura: dai 9 anni. Per saperne di più: scheda libro.
 
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from cleberix

“A Substância” Por Mauritius Cleberix

Apresento uma possibilidade interpretativa da personagem principal, Elisabeth Sparkle, como uma alegoria dos Estados Unidos (EUA) e sua luta para manter uma imagem de juventude, poder e relevância diante de sua decadência econômica, moral e cultural.

A protagonista, uma artista de TV que recorre a uma substância experimental, e duvidosa, para recuperar sua juventude, pode ser vista como uma metáfora dos EUA tentando desesperadamente reviver um ideal de grandeza que, na realidade, nunca foi tão perfeito quanto se imagina.

A “substância” representa as medidas extremas e insustentáveis que o país adota para manter sua hegemonia global, como guerras, exploração econômica, e a exportação de seu estilo de vida (o “American way of life”) como um modelo universal.

A juventude que a personagem busca recuperar simboliza o “Sonho Americano”, uma ideia romantizada de prosperidade, liberdade e oportunidade que, na prática, sempre foi inacessível para muitos. A substância, portanto, é uma tentativa de restaurar essa imagem idealizada, mas o filme revela que essa juventude nunca foi tão pura ou virtuosa quanto se acredita. Da mesma forma, o “American way of life” é construído sobre pilares de desigualdade, consumismo e egoísmo, mas é vendido como um modelo de sucesso e felicidade.

A personagem, ao ter restaurada a sua juventude, confronta o EUA atual — envelhecido, decadente e cheio de falhas — com uma versão jovem de si mesmo, que, no entanto, carrega as mesmas mazelas: egoísmo, vaidade, imperialismo, violência e uma obsessão pelo sucesso/poder. Esse confronto é uma crítica à ideia de que o passado dos EUA era moralmente superior ou mais autêntico. Na verdade, tanto o EUA jovem quanto o velho são marcados por contradições e falhas éticas.

O drama de Sparkle pode ser interpretado como uma metáfora para as soluções rápidas e insustentáveis que o capitalismo oferece: desde o consumismo desenfreado até a exploração de recursos naturais e humanos. Essas “soluções” não resolvem os problemas reais, mas apenas mascaram as fissuras, criando uma ilusão de rejuvenescimento.

No filme, a substância acaba por destruir a personagem, assim como o capitalismo desenfreado e a busca pelo poder global estão levando os EUA (e o mundo) a uma crise existencial.

O filme critica o conceito leviano do “American way of life” como um ideal universal. A personagem, ao buscar desesperadamente a juventude, reflete a obsessão dos EUA em impor seu modelo cultural e econômico ao resto do mundo, mesmo quando esse modelo é insustentável e carregado de contradições.

O produto consumido (a substância), portanto, é uma metáfora para a exportação desse estilo de vida, que promete felicidade e sucesso, mas gera destruição e desilusão.

No momento em que a personagem é confrontada com a realidade de sua juventude restaurada não é apresentada uma solução, mas sim um reflexo distorcido de seus próprios vícios e falhas. Da mesma forma, os EUA, ao olharem para seu passado glorificado, são forçados a enfrentar as consequências de suas ações: desigualdade social, guerras injustas, exploração e uma cultura de consumo e violência que destrói o planeta. Um espelho que revela a verdade por trás da fachada.

Na sequência final o público, paralisado, demora a ter uma reação, e quando a tem é a palavra “monstro” que manifesta o próprio horror que cada um ali carrega, por ter sido cúmplice do sistema, que é apoteoticamente sacramentado com a unção do sangue que jorra desse ser deformado de múltiplos órgãos.

Ofereço, portanto, “A Substância”, como uma chave interpretativa de crítica à obsessão dos EUA (e, por extensão, do mundo ocidental) em manter uma imagem de juventude, poder e relevância, mesmo quando essa imagem é construída sobre bases frágeis e falsas.

Elisabeth Sparkle, ao buscar desesperadamente a juventude, acaba destruindo a si mesma — assim como os EUA, ao insistirem em manter sua hegemonia a qualquer custo.

 
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from Le voci

Scrivere con la voce – Alla ricerca del software perfetto

Un tempo si faceva così

[Disclaimer: questo articolo è il risultato della mia esperienza con numerosi software di editing audio. Non sono sponsorizzato o pagato da alcuna delle aziende menzionate in questo articolo. Mia intenzione è quella di facilitare la ricerca a coloro che si trovano nella mia stessa situazione e fornire loro differenti opzioni tra le quali scegliere.]

Intro

Il mio primo approccio alla tecnologia radiofonica è avvenuto ormai quasi vent’anni fa, nel 1999, quando fresco fresco di laurea iniziavo a lavorare come giornalista a Radio Dolomiti, una delle principali emittenti private del Trentino.

A Bologna, dove scrivevo per Zero in Condotta, storica rivista della sinistra cittadina diretta dal grande Valerio Monteventi, giornalista-rugbista, ricordo che ancora usavo un registratore a cassette per raccogliere le interviste e anche nelle radio libere bolognesi la cassetta era ancora il mezzo più diffuso di lavoro tra i giornalisti.

Un registratore a cassette Sony professionale

A Radio Dolomiti per la prima volta potei utilizzare un registratore MiniDisc della Sony e mi sembrò un grande progresso. Ricordo ancora i primi esperimenti e il terrore di non aver avviato la registrazione durante le interviste: il MiniDisc non faceva nessun rumore, al contrario di un registratore a cassette.

Il software per il montaggio audio era confinato in una piccola stanzetta apposita, (abbastanza) insonorizzata, dove io e i colleghi (eravamo in quattro più il direttore) leggevamo i nostri pezzi e montavamo le interviste, che trasportavamo sul computer. Il suono registrato con i MiniDisc non si presentava infatti sotto forma di file ma doveva essere acquisito via cavo audio. Ancora non era pensabile per una radio piccola come la nostra avere un programma di montaggio su ogni Pc.

Un registratore MiniDisc portatile della Sony

Anche se soluzioni professionali per il montaggio audio esistevano già: nel 1999 Pro Tools — per citare solo uno dei più conosciuti — aveva già dieci anni. Il software che utilizzavamo era realizzato appositamente per noi e — nonostante tutti i suoi limiti — faceva bene il suo lavoro.

L’interfaccia grafica era strutturata attorno alla rappresentazione di una forma d’onda su una timeline e le operazioni erano ridotte alle funzioni di cut&paste. Il software, se non ricordo male, non era nemmeno multitrack, cioè era disponibile una sola traccia audio sulla quale aggiungere mano a mano tutti i contenuti registrati (gli speech e le voci degli intervistati; eventuale musica). Vi era poi un’interfaccia tipo database che permetteva di scorrere tutti i contenuti audio presenti sulla macchina e di metterli in emissione grazie all’utilizzo della rete aziendale.

A gestire tutta questa strumentazione — insieme alle antenne e ai ripetitori in quota — c’era un solo tecnico, che si era pure inventato uno scatolotto collegato ai primi cellulari, che permetteva di collegare un microfono e mandare in onda in diretta telefonica le interviste in alta qualità.

Una schermata di DigaSystem, il software di DAVID Systems

Il software giusto

Oggi, nel 2019, nonostante la potenza di calcolo dei computer non sia nemmeno lontanamente paragonabile a quella di vent’anni fa e con la disponibilità di decine di software per il montaggio audio, ancora lavoro con un programma appositamente studiato per il lavoro giornalistico.

Si chiama DigaSystem (ma è conosciuto come Digas), è prodotto dalla DAVID Systems ed è utilizzato — oltre che dalla mia radio, la RSI — anche da numerose altre emittenti, come la BBC e la radio pubblica americana.

Si tratta di un sistema che integra un’interfaccia di montaggio mono e multitraccia e un database che connette tutti i Pc aziendali e gli studi di emissione, in modo da poter trasferire agevolmente i files montati da un computer all’altro per la messa in onda.

Digas è molto diverso da programmi come Adobe Audition, Pro Tools, Samplitude, Tracktion, Ardour, ecc., software molto complessi che vengono utilizzati negli studi di registrazione per produrre musica o per mettere a punto il sound design delle pellicole cinematografiche.

Una schermata di Pro Tools

Si potrebbe pensare a una DAW (Digital Audio Workstation) semplificata e un po’ meno bella; ma il fatto è che le caratteristiche che deve avere un software dedicato ai giornalisti radiofonici sono piuttosto specifiche.

Al contrario di quanto propongo programmi molto evoluti, l’importante non è la possibilità quasi infinita di manipolazione del suono, ma la semplicità e l’efficienza degli strumenti di taglio delle interviste.

Difficilmente un servizio radiofonico di cinque minuti avrà complicati effetti sonori e musica, ma anche per quanto riguarda progetti audiodocumentaristici più complessi se l’attenzione è rivolta ai contenuti, alla voce umana e alle sue emozioni, programmi di montaggio audio come quelli citati francamente non hanno molto senso.

E quando è necessario ricorrervi è importante poterlo fare guidati da un tecnico, che ne conosca a fondo i caveats: spesso soltanto l’esperienza permette di gestire software come questi in modo efficiente, senza perdere ore per ottenere un risultato magari raggiungibile con due scorciatoie da tastiera.

Che cosa serve veramente?

Me ne sono accorto quando mi sono trovato a dover tagliare e montare delle interviste fuori sede. Mi sono buttato con ottimismo alla ricerca di un programma adatto, scaricando sul mio Pc le versioni di prova dei principali software audio e accorgendomi ben presto che le infinite possibilità che offrono sono in realtà una assoluta perdita di tempo quando ci si trova a dover fare con l’audio un lavoro di tipo giornalistico.

Una schermata di Adobe Audition

Un esempio: una delle funzioni che uso di più del programma di montaggio aziendale è la possibilità di selezionare delle parti di un file audio su una traccia e trasformarle in clip indipendenti, elencate in un pannello accanto alla traccia stessa, che poi posso riordinare nello spazio multitraccia come lo desidero.

In questo modo suddivido la mia intervista in parti significative, do loro un nome e le posso poi montare a piacere in seguito, seguendo il filo della narrazione che mi sono costruito in testa.

Questa semplice ma fondamentale funzione, la presenza di una clipboard dove ordinare i contenuti di un’intervista, non è presente in nessuno dei programmi più sviluppati che ho provato (con la parziale eccezione di Adobe Audition, dove qualcosa di simile si può fare attraverso i markers e di Ardour, che propone una clipboard il cui funzionamento risulta però particolarmente oscuro).

Audacity

Anche uno dei software più diffusi per l’editing audio, Audacity, gratuito e open source, che offre un’interfaccia semplice e dedicata unicamente a un copia-incolla evoluto non offre questa funzione.

Una schermata del software Audacity

Audacity è un ottimo software, che offre moltissime possibilità per la gestione del suono con numerosi effetti disponibili. Ma manca delle funzioni indicate in precedenza, ciò che lo rende scomodo per montaggi multitraccia con materiali di diversa origine. Non esiste infatti una clipboard dove ordinare tutte le clip e le selezioni effettuate per poi riutilizzare al momento dovuto durante il montaggio. Ho personalmente provato a porre la questione sui forum dedicati di Audacity, sollevando un'intensa discussione, ma gli sviluppatori hanno considerato che aggiungere le features richieste avrebbe in qualche modo modificato la natura del software e il suo approccio al montaggio.

Hindenburg

Non è un caso se l’unico software disponibile anche per eventuali utilizzatori privati (Digas non lo è) è stato messo a punto appositamente per giornalisti da una azienda danese. Si chiama Hindenburg e tra le sue funzioni più importanti ha proprio una clipboard efficiente e flessibile, così come tutta una serie di funzioni cut&paste evolute e alcuni strumenti basici per la gestione del suono e dei livelli, con anche molte automazioni che facilitano e velocizzano il lavoro, mettendo in secondo piano la tecnica e lasciando più spazio alla creatività che si manifesta nel montaggio.

E’ interessante leggere dal sito di Hindenburg le esigenze che hanno portato i suoi due creatori a mettere a punto questo software:

The problem Nick had was, that he could not find a audio editor that suited >the project. “It needs to be simple, reliable and affordable … and designed >for radio,” he said. Nick had been looking at all the software he knew and >had used in the past. He had disqualified them all.

Tra le emittenti che utilizzano ora Hindenburg ci sono la radio pubblica danese (DR) e la WNYC americana.

Una schermata del software Hindenburg

Purtroppo si tratta di un programma a pagamento ma — conoscendo i prezzi di programmi più evoluti e meno adatti come Pro Tools — tutto sommato accessibile (meno di 100 Euro) e tagliato su misura per giornalisti radiofonici e produttori di Podcast. e recentemente il prezzo è lievitato: si parla di 400 euro per una licenza perpetua, mentre si può “noleggiare” il software per 12 euro al mese. E’ disponibile anche una versione di prova, che dà la possibilità di mettere le mani su Hindenburg per 30 giorni gratuitamente.

Questo aumento di prezzo rende secondo me l'alternativa meno interessante che al momento della prima stesura di questo articolo: il software si è allontanato dalle sue premesse iniziali, che erano quelle di mettere a disposizione uno strumento a un prezzo “fair”.

Reaper

Reaper

Purtroppo però, come detto in precedenza, difficile trovare anche nel mondo open source un'alternativa valida e io ne ho provati tanti, direi praticamente tutti quelli disponibili.

L'unico che ancora mi mancava era Reaper, un software creato dalla Cockos Incorporated, dietro cui si cela nientemeno che Justin Frankel, che ha anche creato Winamp e la rete di condivisione di file peer-to-peer Gnutella. 

L'obiettivo dell'azienda è descritto sul sito di Reaper: “Il nostro obiettivo è sviluppare software in modo sostenibile, evitando che le logiche di profitto costringano a compromessi ingegneristici. In questo modo, possiamo mantenere intatta la nostra visione del prodotto, offrendo il massimo beneficio ai nostri utenti. Creiamo con amore il software che vogliamo usare.”

Non un progetto open source, quindi, ma che ha comunque una forte radice etica: non a caso Reaper può essere provato gratuitamente per 60 giorni, scaduti i quali il software può ancora essere utilizzato perché i suoi creatori “non credono nelle misure autoritarie per limitare i diritti di utilizzo”, ma puntano sulla coscienza degli utilizzatori. 

E effettivamente il prezzo della licenza di Reaper è assolutamente abbordabile: 60$, per avere una DAW competa e performante e soprattutto multipiattaforma: si installa anche su Linux, dove l'ho testata e funziona benissimo (bisogna solo ricordarsi di installare Jack).

Ma quindi, come funziona per l'uso giornalistico e audio-documentaristico Reaper? La buona notizia è che il software propone una clipboard molto evoluta: si chiama  “Project bay” e si apre dal menù a tendina “View”.

La finestra "Project bay" di Reaper

Ogni volta che si importa una clip, questa apparirà in questa finestra. Potete anche selezionare una parte di una clip sulla traccia, trascinare la selezione su un'altra traccia e questa apparirà come media autonomo nelle finestra. Addirittura ogni item può essere rinominato e ordinato in cartelle che si possono creare sempre nella stessa Project bay.

Ma non è finita: nel menù “options” della finestra se si seleziona “automatically retain media items when removed” anche se cancellate dalle tracce un qualsiasi pezzo di clip precedentemente creato, anche da una selezione, questo resterà listato nella finestra e potrete trascinarlo nuovamente nel vostro progetto quando lo desiderate.

Inoltre Reaper possiede un utilissimo “media explorer” (che si attiva dal menù a tendina “view”) con il quale potete navigare le cartelle del vostro PC e pre-ascoltare i file audio. Molto comodo.

L'unico problema (se così vogliamo dire) è che Reaper è una DAW vera e propria, cioè un programma per creare musica, che può quindi risultare addirittura troppo potente per chi desidera usarlo per il lavoro giornalistico. Ci sono però molte risorse disponibili online per imparare le sue funzioni di base e iniziare a montare.  Ad esempio questo video su youtube.

Quindi, anche se la curva di apprendimento è un po' più ripida che nel caso di Hindenburg, vale sicuramente la pena spenderci un po' di tempo.

Testo pubblicato nel 2019 e pubblicato originariamente su https://mezzanottenelsecolo.noblogs.org/scrivere-con-la-voce-alla-ricerca-del-software-perfetto/ Aggiornato al 5.2.2025

 
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from monosillabica

#ciclomestruale #femminilità #horror #tabù

Goooooooore! Mh? Buongiorno... Buongiorno, cara. Cerco di aprire gli occhi appiccicati. Che succede lì? Eh? Niente! Perché deve succedere sempre qualcosa?! Stai altri cinque minuti a letto, non vedi quanto sei stanca? Sì, lo sento. Sento anche un leggero freschetto umido, però, là sotto. Passo con la mano sull'asciugamano che la sera prima avevo adagiato sulla superficie del letto. Ripiegato due volte, così da non sporca... Cazh... ho sporcato!! Lui sghignazza soddisfatto: Attenta! Muoviti lehnthamenthe. Non vorrai sporcare altro, no? No! Bradipeggio giù dal letto. Una bomba di sangue, di almeno 3 cm di diametro, esce da me. Si bagnano entrambe le cosce interne. Aspetta! Dammi un attimo!!! Ha una risata malevola e incontenibile. Si diletta, il maledetto. Non devo ascoltarlo, devo affrettarmi! Serro le cosce e analizzo la situazione. I miei occhi sono sbarrati ma non sono molto sicuri che quello che stanno recependo sia la realtà. Vedo che ho sporcato l'asciugamano, e questo lo sapevo. C'è una chiazza bella grande, mamma mia. Ho sporcato anche il materasso? Lui si zittisce e osserva insieme a me, in un attimo misto a suspense e trepidazione. Scoppia a ridere ancora prima che io realizzi l'accaduto: certo che ho sporcato il materasso, accidenti. Il mio compagno dorme ancora, però, cosa faccio? Non posso lavare tutto prima che si secchi e sia ancora più difficile da togl... Tic tac, tic taaac! cantilena. Un'altra bomba di sangue. Non c'è tempo: copro frettolosamente l'indecenza e corro in bagno come meglio posso. Sto ancora stringendo le cosce: quella corsa è goffa, da zombie, ma è anche incredibilmente silenziosa. Mi ci vedrei agguantare alle spalle un adolescente di un film horror, stupidamente sperduto nella notte. Per mangiargli il cervello. Mangerei di tutto, mi sento così debole... Mi siedo sul wc, maledico tutto il creato. Prendo tutto ciò che avevo indosso e lo butto dentro la lavatrice. Ricordo l'asciugamano, le lenzuola e il materasso da lavare e mi innervosisco. Dolore alla pancia. La faccio partire dopo, quando si sveglia. Lavo ogni centimetro del mio corpo. Mi profumo. Mi rilasso. Decisamente meglio, ora. Mentre mi asciugo voglio farci due chiacchiere... Con chi? Con te, brutto parassita di un utero! Senti, non te la prendere con me. So che sorride maliziosamente Anche il più dolce dei cardellini vomita nel becco dei suoi piccoli, sai? Attendo una spiegazione. I piccoli non riescono a digerire il cibo degli esemplari adulti, quindi gli vomitano il cibo in bocca. È bello? No. È gentile? Nossignora. La natura è molto pragmatica... La natura fa schifo. Giudicare, giudicare, giudicare. Bello, brutto: che differenza fa? Ci sei dentro, cara. È necessario che sia così per i piccoli. Mi asciugo. Realizzo di essere anche fortunata: non ho mal di schiena come le altre. Solo dolori alla pancia e... Mi gira la testa. Barcollo, mi reggo al lavandino. Ups! Ahttentah... Sogghigna. Rimango a fissare il vuoto per... un'eternità? Devo andarmene da qui: vitamine, ferro, magnesio, uova. Che altro? Il mondo vortica, il dolore cresce, la fame passa in secondo piano. Mi aggrappo al muro, alla lavatrice, poi, faticosalmente, al tavolo. Mi accartoccio dal dolore. Per i piccoli. Provo disgusto e rabbia, vorrei volassero teste. Una furia omicida che non mi rappresenta. Lui mi osserva. So che freme ma tace per quieto vivere: è pur sempre incastrato dentro di me, volente o nolente. Si diverte a vedermi così, non ho dubbi. Gode soprattutto nel risvegliare in me quei pensieri primordiali. Vita e morte, dolore. Aspetta questi momenti ogni mese. Attende nell'ombra di portarmi all'esasperazione.

  • disclaimer: non parlo con uteri malevoli nella realtà; non rappresento l'esperienza di tutte le donne con questo racconto.
 
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from Alviro

E la poesia, sì, quella cosa che dovrebbe danzare leggera nell’aria, come una piuma trasportata dal vento... e invece eccola qui, pesante come un macigno sulle mie spalle. Avanza, sì, ma non delicatamente—piuttosto come un rinoceronte in corsa, deciso a travolgermi.

Mi sfiora l’anima? Forse. O forse è solo la digestione che si fa sentire. Eppure, c’è chi dice che la poesia è come una musica infinita, che risuona nella mente e nel cuore. Beh, la mia mente risuona, ma più che altro di domande tipo: “Dove ho messo le chiavi?” e “Perché ho aperto il frigorifero se non ho fame?”.

E poi la vita… ah, la vita! Un soffio, un battito d’ali, un respiro leggero. Ma il respiro leggero ce l’ho solo quando mi ricordo di non correre le scale di corsa. Altrimenti, ansimo come un mantice rotto.

E allora, che fare? Abbandonarsi alla poesia, lasciarsi cullare dalle parole, farsi trasportare in un mondo etereo e sublime? O accettare che la poesia, in fondo, è solo un modo elegante per dire quello che potremmo dire in cinque parole semplici ma con molta più enfasi?

Forse non finirò oggi, né domani. Forse vivrò in eterno nei pensieri di qualcuno… O forse solo nella lista dei “Messaggi Non Letti” di WhatsApp.

 
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from Bymarty

Anche il numero 4, ricorre in questi mesi, come numero da non dimenticare... 4 settembre la scoperta ufficiale della diagnosi del mio piccolo, ma brutto male, 4 ottobre prericovero, e ancora 4 il numero della mia stanza ..ecc...Oggi, come ogni giorno, do valore alla prevenzione, perché in fondo è grazie ad essa che ho potuto scovare e combattere il mio piccolo ospite, prima che potesse diventare ancora più cattivo, di quanto in realtà lo fosse già, seppur così piccolo! Oggi a quasi 4 mesi dall'intervento, le cicatrici ovviamente ci sono, a volte i dolori, la stanchezza fisica e il fatto di doversi adattare a questa nuova condizione di, apparentemente sana, ma in fondo malata! Con terapie che mi accompagneranno ancora per diversi anni, con la consapevolezza che forse ho vinto una battaglia, ma la guerra ancora no! A volte si è soli in questo cammino, forse si ha paura, non si sa come essere vicino a chi sta affrontando la malattia! Ci sono passata, lo vivo tutt'ora e benché abbia avuto sempre il sostegno della famiglia e pochi amici, mi ritengo fortunata, io almeno oggi posso raccontare e sperare di riuscire a scalarla tutta la montagna e arrivare in vetta, sana e salva, seppur stanca...

 
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from GRIDO muto (podcast)

🌧️💭 A volte ti ritrovi depresso senza neanche saperlo 😔🌈 Come il viaggio mi aiuta a stare meglio.

In questo episodio ti racconto quanto rapidamente ci si può avvicinare all'abisso della vita se sei un malato invisibile.

“Le aziende sono ben felici di approfittare degli sgravi fiscali e delle sovvenzioni che hanno se assumono personale con una disabilità riconosciuta. Ma se la disabilità non è riconosciuta, come nel mio caso, nel caso di tanti altri, beh, allora sei un peso. Non importa quanto tu provi a spiegare che non dipende tutto da te, non verrai mai creduto.”

Se preferisci ascoltare questo episodio, il 14°, anziché leggerlo, puoi farlo a questi indirizzi:

[...]

Nella vita tutti abbiamo alti e bassi: periodi in cui tutto va meglio rispetto ad altri momenti. In quei mesi o anni siamo all'apice delle nostre possibilità,e poi ci sono altri periodi in cui le cose non vanno. A volte non ci accorgiamo che le cose ci stanno andando bene, non ci pensiamo più di tanto. È soltanto dopo, guardandoci indietro, che realizziamo di essere stati felici anche se non lo sapevamo. D'altra parte eravamo così impegnati a raggiungere i nostri obiettivi che non ce ne siamo resi conto.

Per me il 2010 era uno di quei momenti.

Frequentavo la palestra regolarmente e il mio corpo diventava sempre di più come lo desideravo: forte, muscoloso, bello, vitale. Nonostante qualche difficoltà, stavo riuscendo a dare gli esami più difficili all'università, analisi matematica 1 e 2. Il lavoro era lontano, sì, ma sembrava andare tutto bene e poi c'era in vista l'acquisto della mia prima casa di proprietà: arredamento, progetti, piani per il futuro. Avevo finalmente ripreso a viaggiare dopo qualche anno in cui non mi era stato possibile.

Avevo incontrato Steve Vai, il mio riferimento musicale del momento. In quanti possono dire di avere avuto la fortuna di incontrare il proprio idolo? Io credo pochissimi.

Eppure, sentivo che mi mancava qualcosa. L'incontro con lui e i suoi consigli mi avevano dato la carica per suonare, suonare e suonare ancora.

Con il passare del tempo e l'estrazione dei denti del giudizio, le crisi di fatica sembravano non tornare più. Ero contento perché mi sembrava di avere risolto anche questa situazione. Avevo anche trovato un nuovo gruppo in cui suonare non troppo lontano da casa. Il proprietario della casa in cui suonavamo aveva un organo Hammond originale degli anni '70. Suonavamo i Deep Purple come bere un bicchier d'acqua e poi qualsiasi altra cosa ci venisse in mente. Quelle jam sessions mi piacevano molto. Si poteva imparare moltissimo improvvisando, lasciandosi trasportare, intendendosi con gli altri al volo su come fare avanzare un'idea. Può sembrare strano ma si arriva a capire in quale momento tutti cambieranno tempo o accordo, anche senza parlare.

Mi piacevano molto i Black Crowes in quel momento, e tante delle cose che suonavo lì ricordavano il loro stile, pieno di influenze diverse, dal soul al blues al rock, e mi piacciono molto ancora. Suonavamo sempre per il piacere di suonare, a volte fino alle 2:00 del mattino o anche alle 3:00. Dormivo magari 3 ore e poi via a lavorare a Bologna. Se ci penso oggi, non capisco come facessi. Mi sembrano i ricordi di un'altra persona. A forza di suonare, esercitarsi, passare tante ore ad ascoltare musica, a un certo punto qualcosa si era come sbloccato. Avevo fatto un altro salto di livello. Le mie dita e il mio cervello all'improvviso avevano imparato a trasformare in note quello che avevo in testa e nel cuore con sempre maggiore precisione e accuratezza. Poche sbavature, pochissimi errori, suoni delicati o arrabbiati, ma sempre molto precisi.

L'ausilio dell'elettronica era entrato nella normalità del mio strumento dopo che Steve mi aveva fatto capire che non era un punto di arrivo, ma un mezzo. Ora riuscivo a suonare la musica del maestro e a suonare meglio anche quella di Joe Satriani. Anzi, non capivo come avessi fatto prima a non riuscirci. In realtà era così semplice! Riuscivo a suonare anche altro naturalmente, o a suonarlo meglio: Jimi Hendrix, il brasiliano Kiko Loureiro, i pezzi straordinari di Guthrie Govan. Non ogni singolo brano, certo, ma tanti, tantissimi. Finalmente avevo raggiunto l'apice che sognavo sin da quando avevo messo le mani sullo strumento più di 20 anni prima. Quello era soltanto l'inizio. Era ora di fare un altro salto di qualità. Dovevo cercare un gruppo in cui suonare e con cui sarei arrivato, beh, se non lontano, da qualche parte.

Tutto questo non era altro che altra benzina per il mio ego. Anche sul lavoro le cose spingevano in questo senso. Come informatico, ero il punto di riferimento in azienda per tantissimi colleghi e le loro necessità quotidiane: problemi di stampa, di posta elettronica, di navigazione, e tutto il resto. Non avevo un attimo di pace, ma mi piaceva questo stato di cosa. Mi dava l'impressione di contare qualcosa e che tutti mi cercassero, anche se non avevo ancora un titolo di studio avanzato che nel giro di poco comunque sarebbe arrivato, ne ero certo.

Però...però stava accadendo qualcosa attorno al 2014.

[...]

Le crisi di stanchezza non c'erano più già da tempo, ma comunque ero sempre più stanco. Mi alzavo già stanco al mattino, anche quando non andavo a suonare fino alle 3:00 di notte. Qualcuno mi diceva: “Beh, hai 37 anni ormai, cosa pretendi?” Ma io sentivo che c'era qualcosa di più del normale invecchiamento. Paradossalmente, per dormire avevo sempre più bisogno di prendere qualcosa: melatonina, prodotti di erboristeria come tisane, oppure avevo bisogno di stancarmi molto. La palestra in questo senso mi aiutava. E a proposito della palestra, i tempi di recupero normali non mi bastavano più. Da quattro volte a settimana cominciai ad andarci tre volte, poi due. Con il passare degli anni facevo cose più leggere, eppure avevo bisogno di tanti giorni in più per recuperare e fare sparire il dolore muscolare. A volte mi serviva una settimana, cosa che vanificava ciò che avrebbe dovuto essere più frequente. Gli episodi di tendinite, torcicollo e dolore cervicale erano sempre più frequenti. Parlandone con il mio personal trainer, riuscivamo sempre a trovare qualcosa che riuscissi a fare, ma era evidente che stessi andando indietro anziché avanti. Eppure tanti altri della mia età e senza essersi allenati per 20 anni come nel mio caso, riuscivano a fare ben di più!

Io solo qualche anno prima potevo alzare senza problemi un bilanciere di 160 kg da terra o fare squat, dei piegamenti verso il basso sulle gambe, con 100 kg addosso, o ancora muovere 250 kg nella pressa per le gambe. Chi frequenta la palestra sa che sono livelli che non tutti raggiungono. Lentamente, però, era arrivato il momento di dimezzare questi carichi e sentivo che ancora non bastava. Le presunte manifestazioni di allergia nella mia tibia erano sparite da qualche tempo con mia grande gioia e potevo finalmente tornare a mettermi i pantaloni corti. Ma queste chiazze di pelle squamosa e fragile non sparivano dalle mie mani, che continuavano anzi a spaccarsi, anche se un po' meno di prima. Avevo preso l'abitudine di usare chili e chili di crema idratante per mantenere la pelle elastica e far sì che si rompesse un po' meno, ma questo complicava molto il mio rapporto con la chitarra. Difficile suonare uno strumento con le mani unte, o, se per questo, fare qualsiasi altra cosa!

Una dermatologa che avevo visto mi aveva detto chiaramente che si trattava di psoriasi, non di allergia. Ero sempre più abbattuto per questa malattia che sembrava non trovare una soluzione e anzi evolveva, peggiorava. Ogni tanto, suonando, le mani avevano delle difficoltà, non si muovevano più come volevo. Erano sempre in ritardo rispetto alla mia mente e anche a livello mentale c'erano enormi difficoltà. Cose che un giorno mi sembravano semplicissime, il giorno dopo non riuscivo neanche a concepirle, figuriamoci a suonarle. Ascoltavo le registrazioni fatte il giorno prima e mi chiedevo se le avessi suonate davvero io. Sembravo un'altra persona. Dopo tanti anni a studiare le scale musicali, non riuscivo neanche più a ricordarle mentre suonavo.

Continuavo ad andare a trovare i miei nel fine settimana. Guidare da Reggio al paese dove ero cresciuto non era un lungo tragitto, eppure sembrava sempre più impegnativo e avevo la paura costante di addormentarmi durante la guida, cosa che un paio di volte è anche successa, per fortuna senza conseguenze gravi. Mi risvegliavo, ad esempio, nella corsia di sorpasso in autostrada senza ricordare come ci fossi arrivato. Poi presi l'abitudine di cantare, e uso questa tecnica ancora oggi: mi tiene sveglio abbastanza bene. Era chiaro però che c'era qualcosa che non andasse nel mio corpo. Oltre ai colpi di sonno, alcune falangi mi facevano male, ma non ricordavo di avere preso colpi o di averle sforzate così tanto in palestra. Era questa qui la vecchiaia? Finalmente era arrivata a 37 anni? Era colpa della palestra, forse?

Mio fratello mi segnalò alcuni rimedi ayurvedici che aveva visto online e che stava per ordinare dall'India. Si presumeva che servissero per il tono muscolare, tendini, la lucidità mentale e i dolori articolari. Per puro caso erano gli stessi che mi aveva consigliato il medico indiano tanti anni prima, ammesso che fosse un caso, e che allora non avevo preso. Senza pensarci troppo, ordinai quelle compresse. Arrivarono in un barattolino di plastica blu che sapeva di India e, una volta aperte, mi tornò in mente perché non le avevo prese allora: il loro inconfondibile tanfo.

Però, una volta prese mi accorsi che le dita mi facevano meno male e avevo un po' più di brio a livello mentale. Ero più lucido, più presente nel momento. Molto bene: lavorare sarebbe stato un po' più facile.

L'effetto durò per un po', ma poi le compresse finirono.

In più di un'occasione al mattino non riuscivo neanche a mettere in moto la macchina. Girare la chiave mi provocava un dolore intenso in tutta la mano destra, non più una falange ma tutta la mano. Un dolore così forte che non riuscivo a fare forza e girare la chiave o a muovere la mano in nessun modo. Dovevo girare la chiave prendendo la mano destra e facendola ruotare con la mano sinistra o non sarei riuscito a mettere in moto la macchina. Davvero non riuscivo a capire. Non riuscivo a capire perché fosse proprio quel movimento a mettermi in crisi o da dove provenissero questi strani dolori che poi sparivano apparentemente da soli, magari il giorno dopo o solo poche ore dopo.

Ero sempre così stanco! Pensavo che questa stanchezza fosse la causa per dei vuoti di memoria che avevo sempre più spesso. Piccole cose che però rendevano il lavoro sempre più difficile. Sembrava che anche le informazioni che avevo acquisito e consolidato non fossero più disponibili nel mio cervello. Il lavoro mi stava rendendo sempre più stanco e anche la mezz'ora a piedi che mi separava dalla stazione di Bologna all'ufficio cominciava a sembrarmi qualcosa di insormontabile. Arrivavo tardi in ufficio e avevo iniziato a usare l'autobus. Sempre più stanco, sempre più svogliato. Alla fine, visto che tutta la situazione lavorativa stava peggiorando ed ero sempre più carico di lavoro e di stanchezza, nel 2016 decisi di cambiare lavoro dopo 11 anni di permanenza nella stessa azienda. Così, mi dicevo, sarebbe stato più semplice portare a termine la laurea.

Purtroppo niente da fare. Il nuovo lavoro era stato palesemente un grande errore di valutazione. La mia memoria poi si era rivelata comunque inaffidabile. Non riuscivo ad imparare né in quel lavoro né per gli esami all'università, che pure erano affini. In quel lavoro non ricordavo il nome di alcuni prodotti che usavo o di alcune tecnologie. Per un informatico questo è abbastanza grave e anche insolito, perché mancano i termini per dialogare con i colleghi e poi l'impressione che facevo era pessima. Me ne rendo conto. Immagina di lavorare in una cucina e di non ricordare che la pentola si chiama pentola o che il sale si chiama sale.

Accadde quello che succede a tutti i malati invisibili: le aziende sono ben felici di approfittare degli sgravi fiscali e delle sovvenzioni che hanno se assumono personale con una disabilità riconosciuta. Ma se la disabilità non è riconosciuta, come nel mio caso, nel caso di tanti altri, beh, allora sei solo un peso. Non importa quanto tu provi a spiegare che non dipende tutto da te, non verrai mai creduto. Ti diranno che sei poco sveglio, che “ci aspettavamo molto di più da te”, anche se quello che stai dando è già molto di più del tuo massimo. Anche se magari fino a pochi anni prima avevi una memoria di ferro e lavoravi in maniera eccellente.

Dissi che probabilmente l'aspettativa era stata troppo alta nei miei confronti. Come chiedere a un pesce di arrampicarsi su un albero: non solo non lo farà, ma non potrà mai farlo. L'esperienza con questa azienda, fatta di vuoti principi, di profonda incomprensione sulle persone che la facevano andare avanti e sulle regole più banali dell'organizzazione del lavoro, aveva deluso profondamente anche me. Mi ritrovai a fare l'unica cosa possibile: cambiare lavoro nuovamente dopo pochi mesi.

Una bella azienda moderna nella quale apparentemente il lavoro veniva ben valorizzato e il tempo scorreva bene, con tante cose da fare ma non troppe, e tante nuove tecnologie da gestire e possibilità di imparare, ma con la tranquillità che la tua opera potesse essere valorizzata e riconosciuta adeguatamente. Il 2016 proseguiva così come era iniziato per me: denso di cambiamenti, ma anche felice tutto sommato.

A novembre, quando i primi freddi iniziarono a sferzare le pianure emiliane e le giornate ad accorciarsi, sentii il freddo che mi penetrava dentro il corpo per una volta, per la prima volta anzi, in maniera un po' diversa, un po' più insistente. Mi fece realizzare all'improvviso che avevo passato l'estate lavorando e basta. Avendo iniziato il nuovo lavoro a metà luglio, ero stato così occupato con la nuova attività che non avevo trovato il tempo di vivere, di rilassarmi.

In quel momento cominciai a fare caso anche alle giornate ormai minacciosamente corte e buie, senza che riuscissi bene a capire perché. L'idea che sarebbe arrivata presto la nebbia e le giornate ancora più buie mi mise addosso una grande tristezza. Forse perché la mia mente si ricordava di tante altre giornate buie, quelle del paesello sulle montagne dove il sole tramontava presto ed il mio vecchio ufficio a Bologna che non aveva neppure una finestra che guardasse su qualcosa di diverso da un muro.

Senza pensarci troppo decisi di prendere l'unica medicina possibile che conoscevo per quello stato d'animo: fare un altro viaggio. Con l'occasione comprai anche la mia prima macchina fotografica “seria”, per così dire, una bella reflex Canon che avrei portato con me a Tenerife. Sarei stato a Tenerife nove giorni e senz'altro avrei trovato bellissime cose da fare e riportare a casa con me sotto il formato di tante belle fotografie da conservare e riguardare di tanto in tanto. Ho raccontato quell'esperienza nelle prime quattro puntate di un altro podcast che ti lascio qui:

https://youtu.be/aVEs-zM8wwk?si=LR0ug2Tp_opBIi5l

Vai ad ascoltarlo, valuta di ascoltarlo se ti va. Potrai scoprire come ho vissuto quei momenti e la mia scoperta dell'isola.

Ero partito senza troppe aspettative. Volevo solo cambiare aria e passare un po' di tempo lontano dal freddo su un'isola spagnola più vicina al tropico che non alla latitudine dei cappelletti. All'inizio non riuscivo ad apprezzare l'isola e mi sentivo quasi fuori posto. Era novembre e non pensavo che potesse esserci chissà quale caldo. Alla fine Tenerife era un'isola sperduta in mezzo all'oceano, cosa poteva mai esserci? Ma quando arrivò il momento di ripartire mi dispiaceva moltissimo. In pochi giorni mi ero già innamorato di quel posto così lontano da casa e non sapevo neanche bene perché. Certo, sì, ero in vacanza e c'erano anche tante cose nuove e belle da vedere in quell'isola, ma non così tanto da innamorarsene, pensandoci bene. Almeno a prima vista il mare non era granché, le spiagge dorate erano pochissime. La maggior parte erano scure, nere, proprio come il buio che volevo lasciare a casa in Emilia Romagna, e l'oceano era sempre così impetuoso che le onde ti facevano cadere anche nei giorni di bel tempo. C'erano dei boschi molto belli da visitare, sì, ma niente di così strano per noi che conosciamo il Trentino o i meravigliosi boschi degli Appennini qui da noi in Italia. Nonostante tutto questo, stranamente tornai comunque a casa mal volentieri. Forse una parte di me sentiva cosa stava per accadere.

Non appena rientrai al lavoro mi diedero una notizia tremenda: durante la mia assenza, soltanto 9 giorni, l'azienda per cui lavoravo era fallita.

Ero andato in vacanza per alleggerirmi il cuore, pensare ad altro, godermi il momento e rilassarmi anche. Avevo lasciato un'azienda apparentemente florida e con buone prospettive per il futuro, che stava investendo in attrezzature, persone, tecnologie. C'era un fermento in tutti i settori a causa di nuove attività che avremmo dovuto avviare nel giro di breve tempo. Come un fulmine a ciel sereno, però, mi resi conto che non era uno scherzo. Guardandomi intorno vedevo cumuli di sporcizia negli uffici, nessuno veniva più a pulire visto che non era pagato per farlo. Poi mancavano delle attrezzature, i musi delle persone erano lunghi, non ci stavano più pagando. In pratica si veniva in ufficio per obbligo ma per la gloria.

Il 9 dicembre 2016, esattamente un mese dopo che rientrai da Tenerife, arrivò una comunicazione dal curatore fallimentare: non eravamo più obbligati a presentarci in azienda.

Per la prima volta dopo quasi 20 anni di lavoro ininterrotto, mi ritrovavo senza un lavoro, senza uno stipendio e senza nessun tipo di sussidio. Sì, perché devi sapere che la legge del nostro meraviglioso Paese prevede che quando un'azienda fallisce diventa un'altra cosa: un'azienda in fallimento. Può sembrare banale questa distinzione, ma questa forma giuridica non può pagare i dipendenti per il lavoro che stanno svolgendo. Ma i loro contratti sono ancora validi. Se i dipendenti vogliono trovare un nuovo lavoro, sono obbligati a dimettersi e, come si sa, per le dimissioni volontarie, almeno fino ad allora, non era previsto nessun sussidio. Se ti sembra assurdo è perché lo è, ma nelle prossime puntate scoprirai che in Italia riusciamo a raggiungere livelli di assurdità ancora peggiori.

Il buio delle giornate invernali in quel periodo mi faceva davvero paura. Mi sembrava qualcosa di terribile, una specie di pozzo senza fondo a cui ogni giornata sembrava assomigliare, uguale alla precedente, senza nessuna speranza di cambiamenti in vista. Non si riusciva a trovare un altro lavoro, tanto più che eravamo sotto Natale. Passavo le giornate sul divano, al buio. Mi sentivo debole, dolorante, rifiutato da...non sapevo bene chi o perché, colpevole di qualcosa persino, ma io non avevo fatto nulla. Un'influenza pesantissima mi colpì e non riuscii nemmeno ad andare dai miei per Natale. Il tempo sembrava non passare mai. Sentivo molto dolore a livello fisico, anche quando l'influenza era già passata. Un giorno un pollice iniziò a farmi malissimo. Poteva essere uno strascico dell'influenza difficile. Senza poter usare il dito per il troppo dolore, non potevo fare nulla per passare il tempo se non guardare un po' di TV. Mi sembrava che un camion mi fosse passato addosso e cominciavo a chiedermi se i giorni di Tenerife, che in fondo erano lontani soltanto 45 giorni nel passato, fossero esistiti davvero. Il sole, la brezza dell'oceano, l'aria pulita, la luce solare fino alle 6:00 di sera in inverno. Ci pensavo continuamente. Riguardavo le foto fatte con la mia Canon e mi veniva da piangere ripensando a quanto ero stato felice in quel posto.

Con il passare delle settimane e dell'inverno, i dolori aumentarono sempre di più: fitte, nevralgie e mal di testa continui. Qualcuno mi disse che stavo somatizzando, che era tutto nella mia testa. “Devi uscire di più”, mi dicevano, oppure “Guarda, se ti metti a pensarci è ancora peggio. Non ci pensare.” Curiosamente mi dicono quelle stesse cose ancora oggi.

Un pensiero fisso stava cominciando a insinuarsi nella mia mente, un pensiero che prendeva sempre più corpo. Se pensavo a Tenerife, più ci pensavo più mi convincevo di avere ragione. A Tenerife ero stato bene non solo perché ero in vacanza, ma perché quel posto aveva qualcosa di magico per me. Mi ci ero trovato bene. Essere in vacanza sicuramente mi aveva tolto un po' di pensieri lavorativi, ma c'era dell'altro. Là mi era tornato facilmente il buon umore, la voglia di fare, la capacità di pensare più chiaramente, cose che non provavo più da anni, nemmeno con le compresse magiche dell'India. Nessun vuoto di memoria, nessun tentennamento nei movimenti delle mani. Mi sentivo sciolto, in forma, come non mai negli ultimi anni, con tanta energia per camminare e fare tanti sentieri, esplorare l'isola. Al mio ritorno avevo raccontato che mi sentivo 10 anni di meno, e più ci riflettevo più mi sembrava vera questa cosa. Una vacanza aveva questo potere? Ne avevo fatte tante altre in vita mia, ma mai mi ero sentito così bene negli ultimi anni. Poi l'improvviso rientro in aereo e il ritorno alla vita quotidiana, dove tutto era andato a rotoli. Bastava questo a giustificare come mi sentivo? Forse sì, perché come dicono in tanti la condizione mentale ha un grande potere sul corpo, ma avevo la sensazione che ci fosse molto di più.

Avrei avuto molte altre occasioni in futuro per approfondire questa bella sensazione, questo presentimento.

Ti racconto di questa sensazione perché è molto importante per ciò che verrà dopo.

Ti ho raccontato cosa ho passato in quegli anni perché credo che ogni malato invisibile abbia vissuto le stesse cose, in una forma o nell'altra. Tutti noi abbiamo dovuto lottare contro la sensazione che ci fosse qualcosa che non andasse. Ci siamo resi conto di avere qualcosa di profondamente diverso che ci distingue dagli altri, e non in meglio purtroppo. Non abbiamo saputo spiegarlo. Ci siamo chiesti se questo qualcosa avesse un nome, ma in fondo riuscivamo a conviverci fino al giorno in cui non ci siamo riusciti più e allora abbiamo dovuto capire, ricercare, trovare un nome per ciò che ci faceva soffrire. Perché senza un nome, senza le parole, non si può comprendere un fenomeno.

Ecco il perché di questo podcast: trovare le parole per gridare al mondo cosa ci sta succedendo. Se non lo raccontiamo, resterebbe solo una nostra esperienza e noi persone strambe con qualche fissa. Capisci dunque quanto sia importante diffondere il più possibile gli episodi di questo podcast, perché se non lo farai il resto del mondo non saprà che esistiamo. Parlane con i colleghi, gli amici, i familiari. Fai sapere a tutti che esistiamo, che non dobbiamo essere dimenticati nella vita di tutti i giorni.

Negli anni tra il 2010 e il 2016 mi stavo soltanto affacciando all'abisso. Nel prossimo episodio sentirai quanto può essere profondo quell'abisso. Stammi bene.

Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia. Non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

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Continua...

from Il diario di Erik

La dura realtà🧑🏻‍🦽‍➡️ Fino a quel fatidico diciassette luglio duemilaventitrè la mia vita era votata a quei sogni che in gergo lavorativo si chiamano “progetti”. I miei avevano cominciato a prendere forma un anno prima con il rinnovamento di tutte le macchine produttrici: il forno, lavastoviglie, lavabicchieri, la macchina del ghiaccio e altro, per concludersi nella primavera con il rifacimento del giardino e il bancone del bar. Un investimento non indifferente che sarebbe stato coronato con dei nuovi menù più intriganti per i clienti.

Non avevo fatto i conti con la dura realtà . I miei sogni erano solo momentaneamente accantonati ? Forse in attesa di un tempo più propizio per realizzarsi. Per ora mi nutro di piccoli successi coltivando la mia forza interiore. Le mie azioni, anche quelle più piccole, diventano la prova tangibile della mia perseveranza. In silenzio, senza clamori, costruisco la mia personale rivincita contro la dura realtà.

Le parole risuonano nella mia mente, come un mantra che scandisce il ritmo di un nuovo inizio. Non è una fuga dalla realtà, ma un viaggio verso una versione migliore di me stesso. Un percorso che richiede coraggio, determinazione e la consapevolezza che il cambiamento non avverrà in un batter d’occhio. I primi passi sono incerti, come quelli di un bambino. Ti frenano le vecchie abitudini e la paura dell’ignoto incombe.“Chi non vorrebbe cambiare vita almeno una volta?”

A me è stata data questa possibilità. Da un lato mi piacerebbe cambiare aria, scoprire nuovi posti ed incontrare nuove persone. Dall’altro mi sento legato alla mia casa, ai miei ricordi e alle mie abitudini.

Riuscirò ad essere felice altrove o mi pentirò della mia scelta ?

Per questo ho deciso di pianificare tutto del mio possibile trasloco, anche se solo a livello teorico. Così, mi sembra di avere più controllo sulla situazione e di evitare di perdere tempo in discussioni infinite con me stesso o con gli altri.

Ormai è vicino il momento di fare il grande passo. La mia situazione economica è un altro fattore che spinge verso questa soluzione. La pensione che ho ricevuto mi basta appena per vivere. Se non vendo qualcosa non so come posso permettermi di continuare a stare qui. Mi sento in trappola, senza via d’uscita, ma sono certo che andandomene non sarei più costretto a vedere ogni giorno ricordi che vorrei dimenticare.

Ho deciso di godermi quest’anno come un anno sabbatico, in cui mi concedo il tempo di riflettere, di sognare, di viaggiare e pensare più a me stesso. Un anno in cui mi apro a nuove esperienze, amicizie e a nuove opportunità. Un anno che segna la fine di una vita e l’inizio di un’altra. Avrò le idee più chiare e saprò cosa fare, se cambiare la mia vita o accettarla così com’è.

 
Continua...