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from Alfonso Cataldi

Caro Simone Perotti, cerchi di essere libero postando compulsivamente su un social? A me quello che dà profondamente fastidio del tuo ragionamento non è la difesa della scelta di vita, ma il fatto che a questa scelta di vita assegni un connotato etico superiore a chi sta in città, il fatto che chiami “itagliani” quelli che stanno nella città e inquinano e sono dentro un meccanismo che li rende sottomessi. Tu Simone usi la città che inquina né più né meno di chi vive in città. A te gli “itagliani” servono e ti serve la civiltà che produce micro plastiche e CO2. Perché pubblichi libri cartacei? Perché dopo la pubblicazione esci dall'isola e vieni nelle biblioteche e nelle librerie a promuovere il libro? Vieni a illuminarci? A spiegarci che siamo tutti schiavi? Poi ci vieni a piedi? Anche se ci venissi a piedi, le biblioteche inquinano sai? Molte sono costruite con materiali scadenti e inefficienti. Quei bambini intossicati sono dovuti venire nella città a curarsi dentro un ospedale che inquina. Il padre di questi bambini ha usato YouTube, cioè la tecnologia per dare una sistemata alla loro casa. YouTube capito? Il male della civiltà. Allora di etico io non ci trovo assolutamente niente; se proprio vogliamo dirla tutta, forse ci trovo qualcosa di furbo a usare la città quando il bosco e l'isola non possono supportarvi fino in fondo. Quale sarebbe la tua soluzione? Spostiamo tutti nei boschi a pulirsi il sedere con le foglie? Io e miei concittadini romani, circa quattro milioni, dovremmo disperderci tra i boschi dei castelli Romani? Sarebbe sostenibile? Funzionerebbe? No, perché l'uomo non può fare a meno di cercare, scoprire, inventare e costruire. L'uomo è tecnico. Dunque era destino dell'uomo togliersi il bosco di dosso. Devi sapere che anche io ho fatto l'orto dentro la città, quando mi è stato possibile, ma non sono quattro piante di melanzane e zucchine autoprodotte che salvano il mondo e non l'ho fatto per motivi etici, ma per una pura soddisfazione personale. Quindi chi sceglie un modello di vita, diciamo alternativa, lo fa solo per soddisfazione personale, e può farlo perché tutta l'umanità sta da un'altra parte. Io credo proprio che quella famiglia non ha in testa tutta la sovrastruttura che hai voluto aggiungere tu in questi giorni ripetutamente e ossessivamente. La civiltà se l'è data l'uomo, l'inquinamento se l'è dato l'uomo, lo stress se l'è dato l'uomo. Ma c'è chi da dentro combatte attivamente tutti i giorni per raggiungere un miglioramento ed è l'unico modo sensato. Stare ai margini di tutto questo, salvo poi usufruirne quando è necessario per sé, è assolutamente inutile, è da sanguisuga. Ti seguo da tempo, mi sei stato anche d'ispirazione, perché è chiaro che più di qualcosa nella società moderna non sta funzionando; c'è stato un periodo in cui mi sono interessato agli eco villaggi ed ho intrapreso con la mia compagna un percorso con un gruppo, che poi non è andato a buon fine. Non ho proseguito in solitaria perché sono pigro, anzi sono un procrastinatore. A un certo punto però hai cominciato a puntare il dito. Tu non la citi la parola magica, ma dipingi te e i tuoi consimili come gli eroi retorici della canzone di Fiorella Mannaia che hai giustamente criticato. Sull'allontanamento dei bambini dai genitori non mi esprimo, anche se poi questo è il punto focale. Come tutti (credo), la ritengo una cosa dolorosa, violenta, ma non sono io che decide se è stato fatto per evitare comportamenti “pregiudiziali”, perché non è il mio mestiere. Tu sei convinto che non c'erano gli estremi, ma anche qui, il tuo approccio lo ritengo sbagliato; se errore c'è stato, per me è un errore come tanti ne commette la giustizia da sempre (vogliamo ricordare il caso Zuncheddu?). Per te no, c'è stata la volontà di condannare chi vive nel bosco e non si vuole adeguare alla società. Ma guarda che vengono allontanati bambini anche da genitori che vivono dentro la società. Così come ci sono molti casi di famiglie che vivono in contesti più o meno rurali (sono state censite circa 60.000 persone) alle quali nessuno si sogna di andare a rompergli le scatole.

 
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from norise

FELICE SERINO

POESIE

NELL'INCONOSCIBILE

2025

1

Nicotina & smog

scovolino caffè riti del dopopranzo la sigaretta ci stava ora non più son trascorsi cinquanta di anni e passa ho salvato il salvabile sebbene i miei polmoni respirino smog in una città invivibile

11.9.25

2

Nel dizionario del cuore

(Quando lo stato ipnagogico è materia di creatività)

“per tutto il giorno le mie poesie hanno luce” dicevo in dormiveglia neanche si trattasse di lampade votive in realtà mai che mi fossi elevato grazie a Dio e tantomeno l'invidia dimora nel dizionario del cuore

13.9.25

3

Infanzia

lo scambio delle figurine lo scolapasta-elmo ad emulare i tuoi eroi mitologici ricordi Ivo quella volta che t'allontanasti e disperati ti cercavano?

i tuoi sette anni ebbero la spinta negli echi del sangue: la vita ti preparava resilienza del cuore

14.9.25

4

Altra dimensione

nel sonno la mente lavora tra nonsense e lampi confusi vocii figure daliniane fuori dal corpo in astrale

17.9.25

5

Vecchio

non ti diranno vecchio decrepito se hai ancora fame di conoscenza se riesci ancora ad infilarti le mutande se non usi bastone né corrimano se non strappi un sorriso in caso prendessi fischi per fiaschi non ti diranno vecchio se non ti sbrodoli a tavola se non chiedi “per favore aiutami a infilare i calzini”

26.9.25

6

Fantasia (esercizio poetico)

(in bocca ancora il sapore del caffè) ... eri uscito fuori dal corpo pescavi sogni di ragno nell'intreccio di parole astruse tra lingue di fuoco le pagine del libro erano luce ed ali il gridìo dei gabbiani lasciava strie di sangue nel cielo ai tuoi piedi rotolava la testa del tuo nemico su su per il naso veleggiava la barchetta di carta dei naufragi

30.9.25

7

Nascita

come appena emerso
da un naufragio di sangue alla luce ferita

rosa del tuo fiato madre che mi accogli

(Poesia del 2011 riveduta 1.10.25)

8

E sparirà il mondo

umani non più saremo e il mondo sparirà così com'è – i pesci voleranno e gli uccelli danzeranno l'albero capovolto aprirà le sue radici nel cielo - grande gioia avrà chi ingiustizia qui soffre e all'io non da peso

9.10.25

9

Nell'inconoscibile (sogno)

l'anima nuda e sola anela a una terra vergine dove uccelli ti cantino sulla testa e tu librandoti nell'inconoscibile ripassi versi di rilke

14.10.25

10

Alla regina della casa (pregi e limiti)

mi ha dato i giorni stabiliti per il cambio di calzini e intimo lei ha uno sviluppato spirito organizzativo ha una memoria da elefante ricorda tanti numeri di telefono le date di nascite e morti di personaggi famosi e le ricorrenze e le scadenze- sperimenta nuove ricette- chiama per aprire un tappo o una scatoletta

14.10.25

11

Resilienza (11 settembre)

qualcosa continuava a muoversi:
una voce lontana – il rumore di passi che ritornano –
una luce fievole che non voleva spegnersi – cadeva – ma a ogni caduta imparava a rialzarsi

16.10.25

(Chiusura ispirata alla mia poesia “Io ero là”)

12

Un déjà vu . dal luogo sale un profumo antico alito di terra e di sale e lo spirito si china – lento - a raccogliere la luce del tempo . a lui sembra d’esservi già stato
-ombra che ritorna con passo lieve- o forse lo ha sognato — un cerchio
che si richiude sul bordo del mare . lì l’albero vetusto rimane memoria che sostiene il cielo - fu ombra del padre e ora trattiene
solo in parte l’ampia veduta . il mare – lo stesso che bagnò i suoi verdi anni sospira sotto l’orizzonte – distante e chiaro –
il vissuto dissolto in un lento oblio come un sogno abita ancora il cuore . (Rielaborata con supporto AI) . 20.10.25

13

Impressioni

chi appende la vita al chiodo dello scoramento chi legge nei fondi del caffè il mare è poco mosso il glicine fiorisce il piccione lascia la firma sul tuo davanzale

22.10.25

14

Come nella prima luce

è oltre l'immaginario quel che saremo dopo noi

qualcuno risvegliato dal coma l'ha visto e vissuto:

immerso era nella luce come nella prima luce

25.10.25

15

Disparità

il mondo ha denti aguzzi il bambino muore per fame

mi brucia il denaro nelle tasche

25.10.25

16

IO ERO LÀ
(nell’eco dell’11 settembre)

mi assentavo come se fossi aria
catatonia appesa allo schermo
autodifesa che impara a non sentire

ero là – tra pagine di vite scagliate presenza che si frange contro un cielo spezzato

e poi — nella quiete che resta —
cadevo – lento – dentro il giorno che non torna

(Rielaborata con supporto AI 20.10.25)

17

La pietà

è detta la “banalità del male” ma quelli di là che godono della felicità come ci “vedono” – fratelli che si scannano -ah Padre Padre che non sei mai stanco dell'uomo della cui bontà è intrisa la cattedrale del cuore - c'inondi ora e sempre la Tua divina pietà

1.11.25

18

Se il pensiero

se il pensiero resta sotto la soglia della fine
lui ce lo serra dentro – buon custode —
sennò ci spaccheremmo come vetri

(Versi ripresi da una mia poesia con supporto AI)

2.11.25

19

Afflati

la scrittura è genesi
fonemi in luce
accensioni di sangue
voli

-orifiamme
afflati d'angeli-

(Rielaborata con supporto AI)

2.11.25

20

Oltre i limiti

oltre i limiti terreni sarai quel che senti dal profondo – ma in modo espanso

l'anima leggera come nuvola avrà respiro di neonato a nuova vita

10.11.25

21

Nascita

come un'esplosione uno sbocciare della rosa fra cristalli dell'inverno:

miracolo la nascita abbraccio del Vivente

11.11.25

22

Isole i sogni

“isole i sogni”: nonsense in dormiveglia

che m'ispira: isola il sogno dalle brutture del mondo

12.11.25

23

Spiove luce

sulle strade spiove luce di stelle gonfie di vento

il tuo peso greve di limiti trasforma i passi in sogni
che già si piegano a memoria

siamo frecce lanciate oltre l'ora tracciando archi di possibile:
ma il futuro è vero o solo forma?

o il tempo che ci è dato è maya
e ci tiene sospesi in un eterno presente?

16.11.25

(revisione con supporto AI)

24

Nonsense (quelli che restano impressi)

annoto s'un'agenda i nonsense nei dormiveglia all'alba e nella siesta o quando si appesantiscono gli occhi davanti alla tivù

ogni tanto mi piace rileggerli mentre ondivaga la mente spazia fra mondi ultraterreni

17.11.25

26

Pietra di sole

la luce – avendo fatto il suo giro – posa l'ultimo spicchio sulla pietra

tu resti più leggero
con in tasca un frammento di sole
che porta il tempo come una promessa

(Rielaborata con supporto AI)

20.11.25

27

Astrale

chiuso il ciclo il corpo -trasfigurato- si guarderà dall'alto consegnato alla terra

(avrà un posto secondo i suoi meriti)

21.11.25

28

ALZHEIMER

i suoi giorni cadono lenti come foglie d'autunno in un giro di vento – deliri sottili si allungano sulle pareti
e giocano con l'ombra dell'aria

lei cerca la biancaluna alla finestra
la sfiora con la nostalgia delle dita – quando arriva l'alba riaffiora un barlume:
un io spezzato – due volti nello specchio
che non sanno più la via di casa

22.11.25

(rielaborata con supporto AI)

29

Preesistere

e tu che ascolti il nome che ogni cosa porta come segreto sai che il tempo non consuma ma consegna al silenzio la forma che poi ritorna a farsi mare nei palmi delle mani

24.11.25

(Rielaborata con supporto AI)

30

Il tempo è fermo

“Il tempo è un'illusione” Albert Einstein

sono dell'uomo le convenzioni: tu passi - il tempo è fermo

albe e notti s'alternano il sole compie il suo giro

fermo è il tempo o sogno: davanti all'eternità è apparenza

28.11.25

 
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from μετανοειτε

#riflessione su #VitoMancuso dopo la pubblicazione del suo testo #GesùeCristo

Dopo aver seguito alcuni interventi di Mancuso sul suo libro, e averne iniziato la lettura, riflettendo sul modo in cui intende il rapporto tra Gesù e Cristo, mi sembra sia importante osservare che le entità non sono separate. Se da una parte riconosco che le scritture possono indicare che la missione di Gesù, per come si auto-percepiva, era quella di “riunire le pecorelle disperse della casa di Israele”, dall'altra mi sembra che il modo in cui voleva avesse in sé qualcosa di fuori dall'ordinario.

Gesù insegna il Padre Nostro

A mio avviso la chiamata all'avvento del Regno non serviva solo ad avvisare che stava per arrivare il Giudizio (questa mi pare sia la tesi di Vito Mancuso), ma prima ancora aveva lo scopo di condurre le persone in una nuova vita già nel qui e ora (non nel futuro prossimo). Una nuova vita che Gesù stava già vivendo, e che quindi era già presente nel mondo al suo tempo. Più specificatamente, Gesù voleva portarli in una nuova dimensione dello Spirito, quella del Regno appunto, dove i rapporti di forza materiale venivano annullati, e la realtà, la vita vissuta, veniva vista con occhi nuovi, non quelli della società (del mondo, della storia), ma quelli in cui Dio era già regnante, guida e giudice tra i Suoi figli, tra coloro che erano già entrati nella Sua corte morendo alla loro vecchia vita, al loro vecchio modo di intendere il mondo e alle forze che lo sostenevano.

Questo aspetto dell'annuncio evangelico viene esplicitato nel Nuovo Testamento in in due momenti specifici: quando Gesù parla a Nicodemo di Rinascere dall'alto Gv 3,1:8, e nell'invito del vangelo a “convertirsi” (Mc 1,15), che rende il greco mετανοεῖτε (metanoeite), cambiate la vostra mente.

Un altro punto dove parla di questa metanoia è, mi pare, Mc 16, 15-16:

Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato

La mia interpretazione di questo passo è: andate, proponete la conversione, l'abbandono della mentalità del mondo per accogliere quella del Regno. Chi accetterà il vostro messaggio, cioè la nuova mentalità proposta da Gesù, sarà battezzato dalla venuta dello Spirito Santo, e dunque sarà salvo. Ma invece chi non crederà sarà condannato a rimanere in cattività, rinchiuso nella sua vita mortale, terrena.

[!question] Questione Come riproporre in vangelo in forma ragionevole? Come dimostrare alle persone di oggi, materialiste, disilluse, diffidenti, che la proposta di Gesù è attuale e tutt'altro che superata? Mi sembra che ci siano in modi, anche se c'è da studiare. Per esempio rivedere la verità del vangelo alla luce delle conoscenze attuali. Rispiegarla. Ad esempio paradiso e inferno possono essere viste non tanto come realtà che sperimenteremo in futuro, ma realtà che possiamo sperimentare, anzi, sperimentiamo nella nostra vita. Realtà che non sono sperimentabili da tutti per il fatto che molti vivono in maniera inconsapevole, stanno male, magari cercano di trovare dei lenitivi che non toccano la causa spirituale del malessere. Certi stati paradisiaci possiamo averli sperimentati tutti, molti di noi. Mentre nella vita terrena (quella che viviamo fino al momento della morte fisica) paradisi e inferni generalmente si alternano, e possiamo anche dimenticarcene, quando saremo nell'aldilà il tono generale del nostro spirito sarà forse* stabile. Quindi l'unica maniera in cui siamo sicuri che andremo in paradiso, sarebbe vivere un autentico paradiso in questa vita. Ho scritto autentico perché la strategia di costruirsi “paradisi artificiali” che ottundono l'anima per dimenticare il dolore ovviamente non funzionerà dopo la nostra morte.

Le parabole, in particolare, servono in genere a Gesù per mostrare come è fatto il Regno, per mezzo di metafore, che servono appunto da modelli secondo i quali conformare la propria mente per trasformarla nella mente nuova.

Quindi il Regno di Dio viene quando un certo numero di persone accoglie il messaggio del Regno, e supera la mentalità del mondo per accoglierlo. Bisogna diventare “folli di Dio” per essere salvi.

Quindi non credo che la speranza di Gesù fosse stata delusa nella sua morte, perché questo messaggio del Regno era già stato reso lievito per la società, come dimostra il successivo sviluppo del cristianesimo, che ha rivestito la parola di Gesù di altri concetti per metterla a disposizione di tutto il mondo.

E' un tipo di pensieri che spero di riuscire ad approfondire, perché ha direttamente a che fare con ciò di cui possiamo fare esperienza diretta noi come uomini e donne, con la possibilità cioè di percepire i poteri del mondo come morti in contrapposizione alla vita cosmica che è viva, di una vita beata, raggiungibile se seguendo la via tracciata dal Maestro.

* questo possiamo dirlo se accettiamo che dopo la morte avvenga un giudizio definitivo, valido una volta per tutte

 
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from Developers Italia

Cloud e interoperabilità alimentano il dialogo tra piattaforme, dati e applicazioni per semplificare la vita di cittadini e imprese

di Claudio Cocciatelli, Daniele Pizzolli, Matteo Fortini, Rocco Affinito e Fabrizio De Rosa, Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri

L'attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sta accelerando il percorso di trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione italiana rendendo l'accesso ai servizi pubblici più semplice e immediato.

L'interoperabilità tra sistemi informativi e servizi erogati in cloud rappresenta il vero motore dell'innovazione: solo favorendo il dialogo tra piattaforme, dati e applicazioni è possibile offrire ai cittadini e alle imprese servizi digitali integrati, moderni e utili per semplificare le loro vite.

Ma cosa significa davvero “interoperabilità” nel contesto della PA? Quali sono le sfide, le opportunità e le soluzioni già disponibili? E come si inserisce tutto questo nel quadro normativo e strategico nazionale ed europeo?

L'interoperabilità, nel settore pubblico, è la capacità dei sistemi informatici di enti diversi di “dialogare tra loro”, scambiando dati e informazioni in modo fluido, sicuro e standardizzato favorendo l'allineamento tra processi, politiche e obiettivi aziendali nel rispetto delle normative e degli accordi tra amministrazioni.

In pratica, interoperabilità significa abbattere i silos informativi e permettere a piattaforme diverse di integrarsi senza costose personalizzazioni o barriere tecniche. I cittadini potranno apprezzare l'interoperabilità dei sistemi quando non riceveranno più richieste di completare moduli e dichiarazioni con dati già in possesso della PA secondo quanto indicato dal principio europeo del “once only”, ovvero “una volta sola”. In altre parole, quando la Pubblica Amministrazione chiederà a cittadini e imprese i dati solo una volta, evitando richieste duplicate.

Il cloud computing è uno strumento chiave per la digitalizzazione della PA. La migrazione di servizi pubblici in cloud favorisce maggiormente l'interoperabilità degli stessi, ovvero l'integrazione di dati e applicazioni, anche di fornitori diversi.

Questo approccio virtuoso consente di evitare il “vendor lock-in”, favorisce la scalabilità, aumentandone la sicurezza e garantendone la continuità operativa. L'interoperabilità permette inoltre di sviluppare servizi pubblici “by design”, pensati fin dall'inizio per essere integrati e condivisi tra amministrazioni, cittadini e imprese.

Questo articolo intende offrire una panoramica su:

  • il contesto normativo e strategico dell'interoperabilità nella PA italiana;,
  • i principi chiave e i vantaggi;
  • le tecnologie abilitanti e le piattaforme disponibili;
  • le sfide di sicurezza e compliance;
  • le prospettive future in un ecosistema sempre più orientato al cloud e all'innovazione.

Cosa intendiamo per interoperabilità?

L'interoperabilità rappresenta la capacità di diversi sistemi, piattaforme e applicazioni di comunicare, scambiarsi dati e utilizzare reciprocamente le funzionalità in modo trasparente, indipendentemente dal fornitore o dalla tecnologia sottostante.

Per esempio, nell'ottica degli sviluppatori software, non si deve usare un particolare sistema operativo, un particolare browser o un particolare editor di documenti per poter dialogare con la controparte. Questa caratteristica è fondamentale in un contesto in cui le organizzazioni adottano strategie multi-cloud o cloud ibridi, combinando servizi di diversi provider.

Le dimensioni principali dell'interoperabilità sono:

  • tecnica, che riguarda la compatibilità tra protocolli, API e formati di dati;
  • semantica, che assicura che le informazioni scambiate siano comprese allo stesso modo da tutti i sistemi coinvolti;
  • organizzativa, che implica l'allineamento tra processi, politiche e obiettivi aziendali;
  • legale: rispetto delle normative e degli accordi tra amministrazioni.

Un' elevata interoperabilità consente maggiore flessibilità e favorisce l'innovazione, rendendo più semplice l'integrazione di nuovi servizi e la collaborazione tra partner diversi.

Esempi di interoperabilità in Italia

L'Italia ha già avviato numerose iniziative che dimostrano il valore dell'interoperabilità:

  • Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE): consente la condivisione dei dati sanitari tra regioni e strutture sanitarie, migliorando la continuità delle cure;
  • Anagrafe Nazionale Popolazione Residente (ANPR): gestisce e verifica automaticamente le informazioni anagrafiche dei cittadini;
  • PagoPA: piattaforma nazionale per i pagamenti digitali verso la PA, integrata con i sistemi contabili degli enti;
  • Sistema di eProcurement: consente l'acquisto di beni e servizi da parte delle PA in modo trasparente e interoperabile;
  • ANIS (Anagrafe Nazionale dell'Istruzione Superiore): raccoglie e armonizza i dati delle iscrizioni e dei titoli degli studenti universitari da tutte le Università e gli AFAM (Istituti di Alta Formazione Artistica, Musicale e coreutica) a livello nazionale.
  • Anagrafe Tributaria: banca dati nazionale gestita dall' Agenzia delle Entrate che raccoglie, organizza ed elabora tutte le informazioni relative alla fiscalità dei contribuenti italiani, ovvero persone fisiche, società, enti e associazioni

Il contesto normativo e strategico

In Italia, le organizzazioni pubbliche e private beneficiano di sistemi evoluti di gestione dell'interoperabilità. Come tutte le iniziative guidate dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri, la Strategia Cloud Italia promuove infrastrutture moderne, sicure e interoperabili in conformità alle normative nazionali e comunitarie, di seguito sono riportate quelle principali:

  • Il Piano Triennale per l'Informatica nella PA 2024—2026, con l'aggiornamento 2025, rappresenta la bussola per la digitalizzazione pubblica. Il Piano pone l'interoperabilità come principio trasversale a tutte le componenti tecnologiche: servizi, piattaforme, dati, infrastrutture e sicurezza. Le PA sono chiamate a progettare e realizzare servizi “API-first”, interoperabili by design (cioè fin dalla progettazione) e by default (cioè in maniera predefinita) contestualmente alle modalità di accesso tradizionali orientate all'interazione con l'utente (per esempio tramite un sito web), accessibili tramite identità digitale e orientati all'utente, secondo il paradigma “once only”.
  • L' Agenzia per l'Italia Digitale (AgID) ha adottato il nuovo Modello di Interoperabilità, sviluppato in collaborazione con il Dipartimento per la trasformazione digitale, che permette la collaborazione tra PA e soggetti terzi tramite soluzioni tecnologiche aperte e standardizzate, evitando integrazioni ad hoc e facilitando lo sviluppo di nuove applicazioni. Le Linee Guida AgID definiscono le regole tecniche, i protocolli di sicurezza e i criteri per l'uso delle API, in coerenza con l'European Interoperability Framework.
  • Il Regolamento dell'Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) stabilisce i requisiti di sicurezza, affidabilità e qualificazione delle infrastrutture cloud per la PA. L'obiettivo è garantire che i servizi cloud siano interoperabili, resilienti e conformi alle normative italiane ed europee, riducendo il rischio di dipendenza da singoli fornitori.
  • La protezione dei dati personali (GDPR) e la sicurezza delle reti e dei sistemi informativi (NIS2) sono pilastri imprescindibili. L'interoperabilità deve essere progettata “by design” e “by default” per garantire privacy, sicurezza e trasparenza nell'accesso e nello scambio dei dati.

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Interazioni macchina-macchina (M2M) nel cloud

Cosa sono le interazioni macchina-macchina e perché sono fondamentali nell'ecosistema cloud?

Le interazioni macchina-macchina (M2M) si riferiscono allo scambio automatico di dati tra sistemi informatici, senza intervento umano. Nell'ambito della PA, questo significa che due o più servizi digitali possono comunicare tra loro in tempo reale, ad esempio per aggiornare un'anagrafica (ad es. la residenza), verificare un pagamento (ad es. di un tributo) o accertare un requisito (ad es. l'ISEE).

Nel contesto cloud, le interazioni M2M sono fondamentali perché:

  • automatizzano i processi tra enti diversi;
  • riducono gli errori manuali e i tempi di attesa;
  • favoriscono l'integrazione tra servizi distribuiti, anche su infrastrutture diverse (multi-cloud).

Le API (Application Programming Interface) sono gli strumenti principali per abilitare le interazioni M2M. Possiamo immaginarle come “contratti digitali” che definiscono:

  • quali dati possono essere richiesti o inviati;
  • in che formato;
  • con quali regole di sicurezza e autorizzazione.

Nel Modello di Interoperabilità nazionale, le API devono essere:

Un ecosistema interoperabile richiede una governance chiara delle API, che includa:

  • ruoli e responsabilità (es. API owner, sviluppatori, auditor);
  • politiche di gestione delle versioni e deprecazione;
  • monitoraggio delle performance e della sicurezza;
  • documentazione accessibile e aggiornata.

La gestione delle API non è solo tecnica, ma anche organizzativa e strategica: è ciò che consente alla PA di evolvere verso un modello “as-a-service” (cioè come servizio, che prevede l'ottimizzazione del processo in ottica digitale al fine di offrire un servizio efficiente). Offrire degli ambienti di test (sandbox) agli sviluppatori, come quello messo a disposizione dalla PDND, è una buona pratica che facilita enormemente lo sviluppo di applicazioni interoperabili.

L'interoperabilità moderna si basa su un insieme di tecnologie che rendono i sistemi più flessibili e scalabili:

  • microservizi: architettura che suddivide le applicazioni in componenti indipendenti, facilmente integrabili;
  • container (es. Docker, Podman, Incus): ambienti leggeri e portabili per eseguire i microservizi;
  • orchestrazione (es. Kubernetes, Openshift): gestione automatica del ciclo di vita dei container;
  • Intelligenza Artificiale (AI): analizza i dati scambiati per ottimizzare i processi, rilevare anomalie o suggerire azioni.

Queste tecnologie permettono alla PA di costruire ecosistemi digitali dinamici, in cui i servizi, seppur eterogenei, possono evolvere senza compromettere l'interoperabilità.

Nonostante i vantaggi, le interazioni M2M pongono alcune sfide:

  • gestione della sicurezza: ogni punto di interconnessione può essere un potenziale vettore di attacco e va quindi gestito con attenzione come indicato nel Modello di interoperabilità e dai documenti adottati da ACN;
  • controllo degli accessi: è fondamentale sapere chi può accedere a quali dati e per quali finalità;
  • monitoraggio e tracciabilità: occorre registrare ogni scambio per garantire trasparenza e controllo;
  • compatibilità tra sistemi legacy e moderni: molte PA utilizzano ancora software datati, difficili da integrare.

Affrontare queste sfide richiede competenze tecniche, ma anche una governance chiara e strumenti condivisi a livello nazionale.

La Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND)

La Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) è il fulcro dell'interoperabilità tra le amministrazioni pubbliche italiane. Gestita da PagoPA S.p.A., la PDND consente lo scambio sicuro, tracciabile e standardizzato di dati tra enti, superando la logica degli accordi bilaterali. Poggia le sue fondamenta sulle relative linee guida redatte da AgID e DTD, adottate da AgID con il parere positivo del Garante della Privacy.

Caratteristiche principali:

  • catalogo delle API: ogni ente pubblica le proprie interfacce in un catalogo centralizzato;
  • sistema di accreditamento: garantisce che solo enti autorizzati possano accedere ai dati;
  • logica “event-driven”: abilita lo scambio automatico di informazioni in tempo reale;
  • conformità al GDPR: ogni interazione è tracciata, con logiche di minimizzazione del dato e finalità amministrative esplicite.

La PDND rappresenta un cambio di paradigma: da un modello frammentato a un ecosistema connesso, dove i dati diventano un bene comune, gestito in modo responsabile.

Il Catalogo Nazionale Dati per la Semantica (schema.gov.it)

Per garantire che i dati scambiati siano comprensibili e coerenti, è fondamentale definire un linguaggio comune. Il Catalogo Nazionale Dati raccoglie:

  • Vocabolari controllati: elenco di termini/codici predefiniti e approvati che si possono usare per descrivere o classificare informazioni (ad es. classe di Laurea “LM-32” indica univocamente “Laurea Magistrale in Ingegneria Informatica);
  • Ontologie: modello formale che descrive un insieme di concetti e le mutue relazioni tra loro (ad es. “Medico” è una “Persona”, che “cura” un'altra “Persona” detto “Paziente”, e che la “cura” è un “Trattamento sanitario”;
  • Schemi dati standardizzati: descrizione del formato con cui verranno scambiati i dati, a partire dalle ontologie e dai vocabolari controllati. Per esempio, un'API che ottiene le cure somministrate a un paziente potrebbe restituire una lista di cure, scelte a partire da un vocabolario controllato, ciascuna associata con l'identificativo di una persona che è il medico che l'ha prescritta. In questo modo chi dovrà realizzare un'API simile, potrà basarsi su questo schema. Questo strumento aiuta le PA a descrivere i propri dati in modo uniforme, facilitando l'interoperabilità semantica e l'integrazione tra sistemi.

Oltre alla PDND, esistono strumenti open source e commerciali che supportano la gestione delle API e l'interoperabilità:

  • WSO2 API Manager: piattaforma open source per la pubblicazione, gestione e monitoraggio delle API;
  • GovWay: gateway open source sviluppato per facilitare l'interoperabilità tra enti pubblici, in linea con le linee guida AgID.

Questi strumenti possono essere integrati con la PDND o utilizzati in contesti locali, sempre nel rispetto del modello nazionale.

Prospettive future e innovazioni emergenti

L'interoperabilità è la base su cui costruire una Pubblica Amministrazione “aumentata”, capace di sfruttare anche l'avvento dell'Intelligenza Artificiale (AI) per migliorare i servizi, anticipare i bisogni dei cittadini e ottimizzare le risorse.

Oltre al cloud e all'AI, altre tecnologie stanno emergendo come potenziali alleate dell'interoperabilità:

  • Blockchain: può garantire la tracciabilità e l'immutabilità degli scambi tra enti, utile ad esempio per certificati digitali, registri pubblici o supply chain pubbliche;
  • Edge computing: consente di elaborare i dati vicino alla fonte (es. sensori urbani, dispositivi sanitari), riducendo la latenza e migliorando la resilienza;
  • Digital twin: modelli virtuali di processi o infrastrutture pubbliche, alimentati da dati interoperabili, per simulare scenari e ottimizzare decisioni, testandole in un ambiente digitale prima di applicarle all'elemento reale.

Iniziative come il Regolamento sull'interoperabilità europea (Interoperable Europe Act) puntano a creare un mercato unico digitale in cui le PA dei diversi Stati membri possano collaborare in modo sicuro e trasparente.

La chiave di volta

L'interoperabilità nel cloud è la vera “chiave di volta” per una Pubblica Amministrazione moderna, efficiente e centrata sui bisogni di cittadini e imprese. Adottando un approccio integrato, collaborativo e conforme alle migliori pratiche nazionali ed europee si potranno costruire servizi pubblici digitali all'avanguardia.

La partecipazione attiva di amministrazioni, fornitori e cittadini è fondamentale per accelerare l'adozione di piattaforme interoperabili, promuovere l'innovazione e garantire un ecosistema digitale sicuro, aperto e inclusivo.

Infine, sta diventando sempre più rilevante il concetto di “interoperabilità tra fornitori di servizi cloud”, che permette di effettuare, ad esempio, la migrazione e il “rehosting” tra piattaforme cloud differenti senza il rischio di incorrere in meccanismi di lock-in oppure di abilitare la comunicazione di servizi e dati residenti su piattaforme cloud diverse, rendendo effettivo il paradigma del multi-cloud oppure su piattaforme “ibride” cloud e on-premises, rendendo effettivo il paradigma dell'hybrid cloud. Grazie a questi approcci si stanno concretizzando soluzioni empiriche di edge computing e business continuity/disaster recovery.


Questo articolo è stato redatto in linea con le più recenti linee guida e strategie nazionali, con l'obiettivo di offrire una panoramica chiara e aggiornata sull'interoperabilità nella PA italiana.

Le immagini presenti in questo articolo sono state sviluppate con il supporto dell'Intelligenza Artificiale, sotto la supervisione del team comunicazione del Dipartimento, con l'obiettivo di rappresentare visivamente i temi trattati.

 
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from Revolution By Night

In Italia, quando i giovani studenti e le giovani studentesse delle superiori o ai primi anni di università durante l'estate lavorano part-time da cameriere, magazziniere, aiuto imbianchino, commesso, bagnino, animatore nei centri estivi o qualsiasi altro delle decine di lavori che i ragazzi svolgono per racimolare due soldi, letteralmente, e pagarsi le vacanze, si dice che fanno “un lavoretto”. Con questo stupido termine paternalistico e svilente, chi lo usa ammette, accetta o pratica lui stesso lo sfruttamento del lavoro.

Il “lavoretto” è sempre sinonimo di paga oraria da fame, la stessa percepita anche da qualche altro milione di lavoratori italiani, sempre rigorosamente in nero e con orari di lavoro assurdi da servi della gleba.

La mentalità del “lavoretto” è stata trasmessa ai figli da genitori fermi a 50 anni fa. Sono gli stessi genitori che convincono i figli ad accettare qualsiasi lavoro, indipendentemente dai loro studi o preparazione, con qualsiasi paga o contratto, perché “in fondo è sempre meglio di niente”; e a non lamentarsi mai, a non chiedere mai un aumento, a non chiedere maggiore sicurezza sul lavoro, a non chiedere che gli vengano pagati gli straordinari, a non prendere mai un permesso lavorativo, a sottostare a tutti i ricatti e le vessazioni di cui buona parte dei datori di lavoro italiani sono capaci.

Ma le impietose statistiche e ricerche sul mondo del lavoro ci dicono poi che i giovani che “si accontentano” e accettano fin da subito salari e contratti di lavoro non adeguati alla loro preparazione, studi e esperienza, nel corso della loro intera vita lavorativa fanno molta più fatica a migliorare le loro condizioni salariali e di lavoro in generale.

La cultura tossica del “lavoretto” e della gavetta, in una società in cui i giovani sono mediamente molto più istruiti, preparati e innovativi dei loro genitori, è roba da 1800. Allucinante.

Siamo “tutti bulicci col culo degli altri” dicono a Genova (perdonate il politically incorrect). Finché si tratta di sfruttare i figli degli altri va tutto bene, poi quando si tratta dei propri, tanti imprenditori chiedono raccomandazioni a destra e a manca, anche per figli totalmente incapaci, o li mettono direttamente a dirigere la propria azienda. Ciò ha la perversa conseguenza che il livello imprenditoriale medio, A.D. 2025, da noi è peggiore di quello del secolo scorso.

Mio figlio studia in Francia e in estate lavora per due o tre mesi per contribuire al suo mantenimento all'estero e per pagarsi le meritate, e spesso brevi, vacanze estive che si concede. Tante altre possibilità in famiglia non ne abbiamo.

In Francia non esiste il concetto di “lavoretto”. Esiste solo il concetto e la parola lavoro. Qualsiasi lavoro faccia, un ragazzo, studente o meno, part-time o full-time, 3 o 5 o 6 giorni alla settimana, anche senza alcuna esperienza, ha sempre un regolare contratto, con permessi retribuiti, straordinari pagati, riposi regolari e una paga almeno pari al salario minimo legale in vigore in Francia: 11,88 euro/ora lordi, circa 9 euro/ora netti. Cioè quanto prenderebbe un adulto neo-assunto a tempo indeterminato, con la stessa esperienza, nello stesso posto di lavoro per svolgere le stesse mansioni.

Prima del periodo estivo, in primavera, in quasi tutte le maggiori città della Francia si tengono delle vere e proprie fiere di settore dove imprese grandi, medie e piccole incontrano i giovani studenti disposti a lavorare durante il periodo estivo, per coprire le esigenze aziendali nel periodo di ferie dei suoi dipendenti.

La Francia ha una pressione fiscale alta quanto la nostra, i contributi complessivi pagati dai lavoratori (cotisations) sono più alti che da noi. Tutti pagano le tasse e lo stato sociale, il welfare, funziona abbastanza bene. La tassazione è realmente progressiva (2025): – da 0 € a 11.497 €: 0% – da 11.498 € a 29.315 €: 11% – da 29.316 € a 83.823 €: 30% – da 83.824 € a 180.294 €: 41% – oltre 180.294 €: 45%

I principi fondanti della Costituzione francese sono Liberté, Égalité, Fraternité. Tre ideali fondamentali e universali, chiari, netti e poco manipolabili. Chiunque vi si può appellare e ad essi può essere ricondotta e subordinata ogni legge. Non concedono ambiguità. Su questi principi i cittadini Francesi sono intransigenti.

L'art. 1 della nostra Costituzione sancisce che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Ma l'art. 1 della nostra Costituzione è stato violentato, manipolato e vilipeso. L'art. 36 è solo un baffo di inchiostro che deturpa una pagina.

Perché le leggi lo hanno permesso e perché la cultura dell'illegalità, dell'egoismo e del “fottere il prossimo tuo” che ci contraddistingue si porta dietro l'idea che quel lavoro possa essere ...a qualunque costo, con qualunque paga e a qualunque condizione. Solo perché l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. E l'inevitabile corollario è che se un datore di lavoro, fulgido esempio dell'italica (im)prenditoria, magari commendatore o cavaliere del lavoro, ci da un lavoro qualunque e con qualunque salario, in fondo ci sta facendo un favore.

Now playing: “Talking to Myself” Sirena – Cousteau – 2002

 
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from Die Dämmerung

My zavoevany! Vanny Duši. Lift. Lif duši rasstegnuli, Telo žgut ruki. Kriči, ne kriči: “Â ne hotela!” (Ci han conquistato! Bagni. Docce. Ascensore. Hanno slacciato il corsetto dell'anima. Mani ustionano il corpo Che tu gridi o che no: “Io non volevo!”) Vladimir Majakovskik – iz ulicy v ulicu. Traduzione di Guido Carpi

Alla notizia di intelligenze artificiali che fanno la spesa (la spesa!) al posto nostro, di sistemi operativi con intelligenza artificiale in ogni singolo elemento dell'interfaccia e di un internet che collassa oramai con cadenza mensile non posso che pensare a questa lirica di Majakovskik poco prima della rivoluzione nel 1913. Probabilmente la mia interpretazione sarà sbagliata, ma la successione di “bagni/docce/ascensori” non è casuale. In russo, come visibile sopra, sono rispettivamente “Vanny/Duši/Lift” e nel verso dopo “Lif duši rasstegnuli” si può notare come ascensore e bagno siano simili a “slacciare” e “anima” (posto al genitivo, dunque con valore di dell'anima). Forse un'iperbole o un caso, ma già allora si vedeva come la tecnologia stesse uccidendo il contatto dell'uomo con la natura, un processo che ora mi pare si sia spostato all'intelletto e alla nostra integrità morale. In poche parole, ci stanno facendo a pezzi, l'anima l'hanno slacciata da un bel po'. Il punto, è che oggi come allora, sia che gridiamo o che non gridiamo, non possiamo fermare qualcosa di irreversibile.

 
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from Il pinguino sul Ticino

Da Affinity Serif ad Affinity by Canva. Ovvero l'approccio di un veterano a una suite creativa realmente alternativa dalla versione ancora in beta di Designer solo per Mac fino alla versione 3.0 multipiattaforma attuale.

Mettetevi comodi, non ci sono video né immagini. Questa è solo una chiacchierata tra appassionati di grafica. Vi racconterò com'è andata la mia prima settimana con la nuova incarnazione di Affinity targata Canva.

Ho iniziato a usare Affinity fin da quando era in beta (“Io c'ero, Gandalf, tremila anni fa”), ai tempi in cui esisteva solo per Mac. All'epoca si parlava soltanto di Affinity Designer, e già allora permetteva cose incredibili, come uno zoom praticamente infinito.

Ricordo ancora il video di presentazione: un’illustrazione piena di dettagli in cui, man mano che lo zoom aumentava, scoprivi nuovi disegni dentro altri disegni. Era stupefacente. Mostrava anche la possibilità di unire forme in modo non distruttivo o proiettare un disegno su un’altra superficie con prospettiva controllata, così da vedere subito il risultato finale durante la modifica. Insomma, pura magia per chi era abituato ad altri software.

L'alfabeto al rovescio: dalla S di Serif alla C di Canva

Mi sento davvero un veterano del software. Ho seguito Affinity passo dopo passo, acquistando le licenze della versione 1 e poi della 2. Ora siamo arrivati alla grande novità: Canva ha acquisito Affinity. E così è arrivata la versione 3 che, fortunatamente, non è un semplice rebranding, ma la naturale evoluzione del progetto originale di Serif.

Mi sono fidato fin dal principio di Serif perché sono sviluppatori europei con alle spalle oltre trent’anni di esperienza: nati in Inghilterra nel 1987, hanno sempre puntato su soluzioni accessibili e innovative, arrivando a competere seriamente con i colossi della grafica professionale con la serie Affinity prima ancora dell’acquisizione da parte di Canva.

Il nuovo logo mi ha lasciato perplesso all’inizio, con quel font un po’ rétro che segue la tendenza del momento, un modo per dire: “Ehi, siamo sul pezzo!” A me non piace molto questo approccio perché sembra vada a snaturare l'identità reale a discapito dell'omologazione. Osservandolo bene però l’idea dietro è affascinante: una “A” disegnata come da un pennino, con un tratto sinuoso che richiama il mondo creativo. Sono riusciti a cavalcare il momento, sfruttandolo per sintetizzare bene il lavoro che dovrebbe fare una suite grafica. Dal mio punto di vista si sono salvati proprio per un pelo. Sul sito si nota anche una piccola animazione che evidenzia come Affinity oggi unisca disegno, foto e impaginazione in un unico ecosistema, sempre seguendo la filosofia del pennino e della sagoma.

E qui sta il vero cuore di questa versione. I tre programmi Designer, Photo e Publisher ora formano un solo software, all’interno del quale si passa liberamente da una modalità all’altra: vettore, pixel e layout. Non che prima non ci fosse integrazione: grazie al motore comune, già dalla versione 1 era possibile aprire un file Designer in Photo e viceversa, mantenendo effetti e filtri non distruttivi. Ma ora tutto è davvero unificato.

Studio Link è stata la svolta che ha reso Affinity una vera alternativa ai software più blasonati. Bastava cliccare sull’icona corrispondente in Publisher per passare all'interfaccia di Designer o Photo, fornendo strumenti specifici di disegno vettoriale o correzione fotografica senza mai uscire dal progetto in corso. Una funzionalità semplice ma geniale, che ha reso il flusso di lavoro molto più fluido.

Con la nuova release l’integrazione è ancora più profonda. Ora si installa un solo programma e si sceglie la modalità di lavoro in base alle proprie esigenze. Nonostante sia un'offerta 3x1, la mia impressione è che sia ancora più leggero e fluido. Posso dirlo con cognizione di causa, poiché lo noto su una macchina brizzolata che monta ancora un processore i3 dual core, 12 GB di RAM e una semplice scheda grafica dedicata AMD Radeon 5450.

Buuh! Non sai disegnare, hai ricalcato!

Artisticamente parlando il ricalco è considerato un mezzuccio semplificato, ma quando devi ridisegnare un elemento raster è più facile partire da un ricalco e nel caso rifinirlo. La funzione di ricalco vettoriale è già presente da anni nei software professionali e anche nei miei amati progetti open source ed era richiesta a più riprese anche nel popolatissimo e vivace forum. Finalmente ora l'hanno inserito! Non vedo l’ora di testarlo a fondo, ma già questa è una conquista.

Effetto o scherzetto?

Continua a gestire più tavole di disegno di dimensioni diverse nello stesso file, perfetto per creare versioni per stampa, social e web senza duplicare il progetto. L’unica sorpresa è stata la scomparsa apparente della mitica funzione Persona Esporta che mi permetteva di scegliere il formato e la qualità di esportazione per ogni tavola. Non ho proprio intenzione di salvarle una per una tutte le volte. Cerco sotto Esporta. Niente. Guardo nella colonna di destra tra gli effetti e i livelli dove compariva di solito, ma nessuna traccia. Cerco nella documentazione, non c'è alcun riferimento a un Ex Persona Esporta. PANICO.

In realtà lo hanno nascosto bene, poiché si trova sotto un nuovo menu accanto alle modalità Vettore, Pixel e Layout, nella sezione dedicata alla personalizzazione dell’interfaccia. Bisogna andare a cercare Studio Sezione o premere il tasto F5 senza restare sconcertati. Una scelta meno immediata ma più coerente con la nuova filosofia modulare. E così facendo ho scoperto che si possono anche programmare Studi personalizzati, includendo tutti gli strumenti a piacimento. Un'evoluzione più fluida del vecchio Set di impostazioni. Non male davvero.

Il piacere della lettura anche per la nonna cecata

Tra le opzioni di esportazione ora è presente anche il formato EPUB, un passo importante verso la condivisione universale dei documenti. Chi legge su tablet, Kindle o smartphone potrà finalmente gestire il testo in modo fluido, adattandolo alle proprie necessità. Rispetto al PDF, statico e legato al formato della pagina, EPUB è un formato vivo, che si adatta ai bisogni del lettore, che magari ha bisogno di ingrandire i caratteri sul proprio dispositivo perché deve leggere in pubblico o perché ha reali problemi di miopia, o ancora è in una condizione di dislessia, perciò è costretto a impostare lato utente un font speciale per favorire la leggibilità.

Nonostante Canva (o grazie a Canva?) Affinity 3 è promosso

Dopo una settimana di sperimentazione il bilancio è molto positivo. Nonostante sia diventato un software firmato Canva, tutto ciò che amavo di Affinity è ancora lì. L’interfaccia è familiare, i comportamenti sono coerenti, e anzi sembra perfino più reattivo rispetto ai tre programmi separati della scorsa versione.

I filtri non distruttivi restano il fiore all’occhiello del sistema, ora disponibili in tutte le modalità. Le maschere continuano a crearsi semplicemente trascinando una forma sul livello, si possono ancora importare i plugin di Photoshop e il workflow resta intuitivo e coerente.

La registrazione ora passa attraverso Canva, ma anche l’account gratuito offre tutto ciò che serve per lavorare. Questo aspetto è quello che più mi irrita perché non vorrei affidare i miei dati a Canva per lavorare offline. Speravo si potesse mantenere l'iscrizione storica con Affinity. Che serve comunque se si vogliono importare i plugin acquistati in precedenza. Ma l'account principale resta quello di Canva d'ora in poi. La cosa positiva è che si può disattivare la telemetria. Ok, Canva, vuoi un utente in più, ma almeno chi desidera fornire meno dati possibili ai colossi del web può tirare la tende alla finestra e non lasciarli sbirciare. Personalmente l'ho attivata solo per lanciare il segnale “Ehi, amico, io lo faccio pure l'account di Canva, ma come vedi ho associato anche un account decennale al software originale. Io seguo Serif, non te.” Non sarà altro che un debole ronzio in una tempesta, ma nel mio piccolo lo faccio consapevole di cosa farà Canva col mio account.

Chi ha l’abbonamento Pro, invece, può sbloccare le integrazioni con i servizi di Canva. Al momento non mi interessa minimamente la generazione con l'AI, che è comunque relegata all'account Pro, ma io sono un barbone e quindi ciaone. Però, anche con la licenza gratuita è disponibile la funzione Segmentazione, un modello da installare, quindi che gira in locale senza scomodare alcun server esterno, che riconosce meglio i pixel che formano un'immagine e dovrebbe garantire una selezione più accurata. Anche questo sarà oggetto di test più approfonditi.

Guardiamo al futuro senza essere Cassandra o Sibilla Cooman

Non è ancora chiaro quale sarà il modello di business a lungo termine. Canva ha sicuramente guadagnato una nuova ondata di utenti, ma resta da capire se in futuro ci saranno funzionalità a pagamento o una versione “Pro” di Affinity separata. Speriamo riescano a sostenersi con i nuovi abbonamenti alla versione Pro di Canva. Per il momento la promessa è che Affinity resterà così com'è. Speriamo di non trovare un Gramo nei fondi del tè.

Ciò che conta è che questa nuova era non spezza con il passato: Affinity 3 è una vera continuazione, non un reboot. Serif ha sempre dimostrato competenza e visione, e con il supporto di Canva potrebbe arrivare ancora più lontano. Magari un giorno vedremo anche la versione nativa per Linux anche se, ammettiamolo, ormai ci crediamo poco.

Nel frattempo, resta una splendida alternativa per chi cerca un software professionale, completo, veloce e finalmente gratuito.

Il futuro è tutto da disegnare.

#Affinity

 
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from Revolution By Night

Sono piemontese, torinese, cresciuto con il Dolcetto, la Barbera, il Nebbiolo, il Roero, il Grignolino, l'Arneis (l'unico bianco che bevo abitualmente) e poi il grandioso Barolo e l'eccelso Barbaresco.

Da italiano amante del vino reagisco disgustato ogni volta che mi viene proposto un Prosecco come aperitivo. Del Prosecco si salva una minima parte di tutta la produzione italiana, quella di eccellenza di un'area geografica molto ristretta del Veneto e del Friuli, e solo se rigorosamente biologica.

Tutto il resto, per me è robaccia imbevibile, di pessima qualità e piuttosto malsana, visto l'abuso di pesticidi che caratterizza gran parte della sua produzione (cosa che per la verità riguarda molta della produzione vinicola nazionale), come raccontato da importanti inchieste giornalistiche, studi scientifici e analisi di laboratorio e come denunciato da anni da associazioni e comitati di cittadini che vivono nella ormai vastissima area di produzione.

Considero gran parte del Prosecco prodotto in Italia la Peroni dei vini bianchi e degli spumanti, la Coca Cola degli alcolici, ma questa se non altro non fa venire il mal di testa a causa dei solfiti. Il Prosecco è mediamente una bevanda alcolica dozzinale e caso di studio di enorme, abile e riuscita operazione di marketing.

Se un tedesco in vacanza in Italia vuole stordirsi di Prosecco, convinto di bere un superbo vino italiano, lo faccia pure, cavoli suoi. Ma un italiano, un minimo avveduto, a cui piace bere con moderazione e a cui piace vantarsi, a ragione, dell'italian food e del vino italiano dovrebbe sputare per terra ogni volta che gli viene offerto un calice di Prosecco da supermercato, in un bar o una pizzeria, locali che notoriamente non si approvvigionano con bottiglie di prima qualità.

Le bollicine buone (il Prosecco buono esiste) e il vino buono in genere vanno pagati il giusto, come il cibo sano e buono. Altrimenti tanto vale stordirsi di vino da cucina in cartoccio.

Now playing: “Like a Hurricane” American Stars 'n Bars – Neil Young & Crazy Horse – 1977

 
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