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from R0manticTechie

Perchè fondamentalmente c'ho 30 anni e chi se ne frega che so' n'omo, io. Cioè alla fine ci siamo emancipati, gli uomini si possono fare la skincare e le donne possono tenersi i peli sulle braccia, sotto le ascelle, sulle gambe, un po' dove cazzo capita.

Mi stavo facendo la skincare comunque, e pensavo che qua non ho visto regole esplicite, cioè non le so riuscite a trovà se ci sono, e quindi un po' di turpiloquio penso sia concesso. Ora la classica netiquette la rispettiamo, ma se volessi scrivere “cazzo” penso di poterlo fare, o se no, fatemelo sapere che passo all'“acciderbolina”. Se qualcuno volesse farmelo sapere, fatemelo sapere, non so come, non so dove, non so quanto. Comunque su mastodon mi chiamo uguale, se mai dovessi leggere di la. Anzi se ci siete ditemi pure come si fa il repost automatico dei post pubblicati qua.

In ogni caso, stavo li che pensavo e pensavo, ma a che cazzo pensavo non lo so.. e quindi sono qui a scrivere, un po' tutte le minchiate a cui penso, al fatto che alla fine ho 30 anni e vivo con i miei genitori. Ma a me, che me ne fotte?! Cioè io ci penso, sono un grande. Non devo pagare l'affitto, non pago le bollette, non pago il cibo (in realtà omaggio i miei coinquilini dei miei buoni pasto, che sossordi), mi fanno la lavatrice, quasi sempre cucinano, cioè io che cazzo voglio di più dalla vita?! Vivo in una villetta. Chi cazzo se la potrebbe permettere una villetta, col giardino, il cane, il garage. Cioè io forse mi posso permettere un appartamento di 60mq in periferia, da single.

Ah, sono single, da un anno circa. L'ho lasciata. Era complicato, magari un giorno ne parlerò, magari no.

Il cane mi guarda storto perchè è l'una di notte ed io sto battendo sulla tastiera e lei vorrebbe chiaramente dormire e mi giudica e si starà chiedendo quando sto coglione spegnerà la luce... Tra poco amore mio.. un paio di minuti che finisco di scrivere sti pensieri del cazzo..

E insomma qua il giro è questo.

Però è bello scrivere quel che si pensa, ci penso spesso a farlo, lo avevo anche fatto in passato, lo avevo fatto online, ho provato a farlo a mano, con le mie amate stilografiche, ma non è così semplice, la penna non va così veloce come i miei pensieri che riesco a riprodurre sulla tastiera quasi in contemporanea. Inoltre, col cazzo che si riesce a scrivere su un quadernino, da stesi, sul letto, a casa dei tuoi genitori, all'una di notte.

Insomma, qua, sul mio pc adibito praticamente solo a questo scopo al momento, batto forte sulla tastiera e mi chiedo a che cazzo mi serve premurarmi così tanto del mio anonimato?! Però onestamente vorrei sentirmi libero di scrivere quello che mi pare senza che chi mi conosce mi possa giudicare. Non perchè scrivo chissà cosa, ma potrei sentirmi vulnerabile e non mi va, le persone sanno essere cattive ed io onestamente penso di essere abbastanza sensibile, soprattutto su certi argomenti. Alla fine sono un bravo ragazzo, tranquillo, senza grilli per la testa. Non bevo, non fumo e vorrei persino smettere di dire le parolacce. Magari dimagrisco ancora un po', metto un po' di muscolo, faccio sport, divento il ragazzo perfetto, così poi mi trovo anche la donna perfetta. Peccato solo esser basso.. i miei potevano impegnarsi un po' di più.. se no sai che adone ne usciva...

Per il discorso della casa di cui sopra. Al di la del fatto economico, ma che senso ha secondo voi andare a vivere da soli? Cioè da soli senza un partner. Ad oggi io ci vedo solo svantaggi. Sicuramente i miei avranno il loro contributo da rompicoglioni, ma non abbastanza da farmi accollare un mutuo trentennale. “Il mio regno della solitudine” sarebbe. Per far magari soffrire il mio cane in uno spazio piccolo e farlo stare ore da solo nei giorni rari in cui vado in ufficio. Quando e se avrò un partner, si vedrà, per ora faccio il signorino.

Il cane mi guarda di nuovo male, porca miseria sono passati solo 5 minuti...

Stacco, che ste luci blu se no mi rovinano il sonno... vado a leggere un po' sul mio Kobo, perchè io ho voluto fa l'alternativo, ho preso il Kobo invece che il Kindle, il Kindle è troppo capitalista ed infatti .. io sono capitalista.. ma ci stiamo lavorando.. un po' alla volta..

 
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from Pabba60 (per ora)

Il NyT ci avvisa che negli USA è in corso una crisi costituzionale, causata dalle azioni illegali messe in atto da quel troll con la testa arancione che si sono eletti.

Ma dai? Davvero? Inaspettato...

In fondo, il troll pregiudicato lo aveva detto, però adesso sta accadendo, che si fa? chiamo esercito? Esisterà ancora la democrazia chiamata Stati Uniti, tra quattro anni, o l'intero Occidente cadrà sotto le grinfie di una tecno oligarchia nazista? Ci sarà una guerra civile in USA? O se ne sbarazzeranno con un cecchino ? (soluzione, forse, unica fattibile, ma quel Vance mi sa che è più idiota ancora, bella gara).

In attesa di veder crollare le economie (in primis la loro) chiediamoci chi ha permesso tutto questo, come è stato possibile che un golpista potesse presentarsi ad una elezione invece di stare in galera?

La Democrazia ha fallito clamorosamente, come la Giustizia. Ha fallito il suffragio universale, ampiamente delegittimato ovunque, ha fallito l'istruzione, se ha prodotto cittadini non in grado di discernere il bene e il male. Poveri che lo avete votato, come state? Arabi americani che lo avete votato, tutto ok? Malati, i soldi per le medicine li avete? I miliardari accorsi festanti a scodinzolare, invece, in questo mese sono diventati più miliardari ancora, eh si.

I suoi elettori (poco più della metà) sono dei criminali. Si.

Mi rivolgo a te, elettore, e ti spiego.

Se tu permetti ad un criminale di commettere i suoi delitti, votandolo, mi spiace, ma sei un criminale pure tu, anche se non commetti un reato direttamente. Lo commissioni, il reato. La differenza tra il pregiudicato votato e tu che lo hai eletto, sta soltanto nel fatto che lui ha il coraggio di commettere i crimini, tu invece gli permetti di delinquere, gli concedi i mezzi, magari sperando di approfittarne pure tu, sotto la sua protezione.

Esempio, voti per avere un governo che favorisca gli evasori, perché vuoi evadere pure tu; noi insegniamo al mondo, i miliardari al governo li abbiamo mandati 30 anni fa, troppo avanti.

Quindi la giusta definizione è che sei un codardo criminale. E pure un po’ pirla, perché, salvo le élite suddette, tu non ci guadagnerai nulla, anzi ci perderai tanto.

Quindi, caro pirla, codardo e criminale, cordialmente vaffanculo.

 
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from R0manticTechie

Cioè per come stanno le cose quello sopra dovrebbe essere un titolo, ma ieri pare me l'abbia preso come fosse un hashtag. Mah. (EDIT: si doveva mettere uno spazio dopo il cancelletto...)

Stasera dopo anni con questa solita comitiva, ho conosciuto una giovincella. Sembra carina. Non sembra particolarmente interessante. Credo non nascerà nulla se non al limite una amicizia.

Domani vado in ufficio, mi aspetta una lunga giornata piena di call inutili. Mi occupo di consulenza aziendale, in una big corp. Dovrei fare l'informatico, ma faccio prevalentemente il gestionale. Mi piace, soprattutto quando dico agli altri cosa fare e come farlo e loro lo fanno e va tutto bene.

Prima ho fatto la barba e mi sono tirato abbastanza a lucido, ho preso la moto che non prendevo da tempo, anche se il posto dove sono andato era veramente vicino, però è stato divertente prenderla, nonostante il freddo, mi sono sentito un figo, mi mancava questa vibe.

In ogni caso ad oggi le bici mi piacciono più delle moto, non c'è storia. Il me adolescente mi avrebbe sputato in faccia, ma alla fine, qui abbiamo 30 anni.

Insomma sono un tipo strano. Ho tante passioni eppure sono qui a scrivere in anonimo i miei pensieri sperando che altri sconosciuti li leggano senza uno scopo ben preciso. Va a capire un po' come va la vita.

Ma alla fine, vi dirò tutto gira per un solo scopo... vogliamo tutti scopà...

 
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from Calidreaming

Questo quindi sarebbe un articolo scritto in markdown su un blog che si cura della mia privacy come di quella di chi legge e che è basato su di una piattaforma open source. Direi che ci sono davvero tutti i crismi per fare un passaggio a questa nuova modello di condivisione dei miei inutili pensieri.

 
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from gippy

Mi sono imbattuto da poco nella problematica in oggetto: una stampante multifunzione Epson ET-2850 ha smesso di stampare perché lamentava il serbatoio dell'inchiostro di pulizia pieno (Errore E-11).

Schermata d'errore

Parte hardware

Su consiglio di un amico / collega che ha un'attività di rivendita di stampanti ho ordinato il serbatoio di ricambio (originale Epson).

Per sostituirlo basta svitare due viti esterne e una che lo tiene fermo all'interno, è davvero semplicissimo. Nel farlo mi sono però accorto che né quello che stavo togliendo (e che si potrebbe anche pulire, in realtà), né quello nuovo avevano alcun chip o contatto elettrico. Da una parte è un bene, ho pensato, ma dall'altra immaginavo già che questa assenza avrebbe fatto sì che la stampante non sapesse della sostituzione. E infatti, una volta richiuso il vano col nuovo tampone inserito, l'errore era ancora lì.

Parte software

È a questo punto che è cominciata la ricerca su come far sparire l'errore e quindi far tornare la stampante a fare il suo lavoro (completamente, perché in realtà le scansioni credo le potesse fare).

Per chi avesse fretta E fosse in grado di intuire i passaggi senza tanti dettagli, ho fatto un riassunto alla fine dell'articolo.

Non è stato facile e mi sono imbattuto in varie strade che elencherò di seguito, ma prima mi preme evidenziare che la via ufficiale sarebbe quella di portare la macchina ad un centro autorizzato Epson che ti fa tutto il lavoro, ma non ho idea di quanto possa chiedere.

Facendo un po' di ricerche nel web, i primi risultati li ho trovati su YouTube: ci sono alcuni video che mostrano come fare attraverso un software (inizialmente solo per Windows, ma mi sembra lo abbiano rilasciato anche per MacOs e Linux) che ti fa fare una (e una sola!) prova gratuita, per vedere se effettivamente è efficace, portandoti il valore all'80% (dicono). Se questa va a buon fine ti propongono l'acquisto di un codice per sbloccare completamente il programmino e far sì che possa azzerare il contatore della stampante.

La chiave mi pare costasse una decina di dollari o euro, per cui sarebbe anche una cifra accettabile, ma io sono un attivista sfegatato del Software Libero e pertanto mi sono chiesto: possibile mai che nessuno abbia analizzato la cosa, facendo un po' di sniffing e/o reverse engineering per capire quali sequenze mandare alla stampante per azzerare tale contatore?

Così mi sono messo giù di punta a leggere i vari post nei diversi forum, dove ho trovato altre strade, la maggior parte delle quali (se non tutte) in questo utilissimo thread:

https://www.reddit.com/r/Epson/comments/ndv32v/comment/lgberp9

Nei vari post ho trovato dapprima un altro software, sempre a pagamento, ma a importo libero, poi un form sul sito Epson dove potrebbe essere che ti mandino il loro software ufficiale (ma non ho provato, questa la URL: https://epson.com/epsonstorefront/orbeon/fr/us_regular_s03/us_ServiceInk_Pad_Reset/new) e alla fine un meraviglioso progetto FLOSS!

Soluzione con software libero

Il programma che ho trovato è in Python ed è quindi eseguibile su qualunque sistema operativo, e a differenza dei programmini citati sopra, che richiedono il collegamento in USB e in alcuni casi l'installazione del driver originale Epson (chiudendo però lo Status Monitor), questo software agisce via rete, senza necessità di collegarsi fisicamente alla stampante.

È però necessario, pertanto, collegare la stampante alla rete col cavo (se possibile) o in Wi-Fi (come ho fatto io), e sapere l'IP che ha ottenuto, se non impostato staticamente sulla macchina stessa.

Per sapere tale IP, si potrebbe chiedere alla macchina, ma questa che ho non te lo dice sullo schermino, bensì te ne propone la stampa su carta... peccato che non possa (voglia) stampare..!

Quindi io ho risolto chiedendo al mio router l'elenco dei lease e lì in mezzo ho riconosciuto la stampante e letto l'IP assegnatole.

Questo dato servirà tra poco nel programma, da scaricare al seguente indirizzo:

https://github.com/Ircama/epson_print_conf/releases

Una volta scaricato il file zip va naturalmente scompattato (consiglio vivamente 7-Zip) e poi è necessario entrare nella directory che si viene a creare.

Nel caso di sistemi operativi Linux o MacOs, consiglio di lanciare il programma come segue: python ui.py Per Windows credo sia necessario scaricare Python se non tutto il sottosistema Linux, ma ci sono istruzioni più dettagliate nella pagina home del progetto:

https://github.com/Ircama/epson_print_conf

Dall'interfaccia del programma è possibile notare che il primo widget che si incontra è una drop down che elenca le stampanti che il programma conosce. Se lì in mezzo non c'è la Epson che si deve sbloccare, è possibile scaricare un altro file che contiene le “definizioni” di molti altri modelli, tra cui il mio. Questa la URL da cui scaricarlo:

https://codeberg.org/attachments/147f41a3-a6ea-45f6-8c2a-25bac4495a1d

Per salvarlo sarà sufficiente fare Salva dal menu File del browser (se visibile, se no premere ALT) o più semplicemente premere CTRL + S.

Una volta salvato, si potrà importare dal software dal suo menu File scegliendo la voce Import a XML printer configuration... e andando a puntare il file scaricato e salvato poco fa.

ScreenShot del software FLOSS

Dopo qualche istante di elaborazione, l'elenco dei modelli si allungherà a dismisura, portando ottime possibilità di incontrare il modello desiderato.

A questo punto va inserito l'indirizzo IP nella casella a fianco del modello e premuto uno dei tasti Get dei controlli successivi, per verificare che il software riesca effettivamente a parlare con la stampante e leggerne qualche dato.

Se queste interrogazioni vanno a buon fine, si può finalmente premere il fatidico tasto Reset Waste Ink Levels. Dopo qualche altro istante nella zona sottostante (Status) comparirà l'esito delle operazioni (in inglese) che esorterà a riavviare la stampante.

Incrociando le dita, sarà necessario premere il pulsante di spegnimento, attendere che la macchina si spenga e poi riaccenderla dopo qualche secondo.

Rullo di tamburi... se tutto è andato bene l'errore sarà sparito!

Riassumendo

  1. Collegare la stampante in rete e trovarne l'IP
  2. Scaricare il software da qui: https://github.com/Ircama/epson_print_conf/releases
  3. Lanciare il programma (dopo averlo scompattato ed entrando nella sua directory): python ui.py (o lanciare l'eseguibile se si sta usando Windows)
  4. Verificare se il modello desiderato è in elenco, altrimenti scaricare e salvare questo file: https://codeberg.org/attachments/147f41a3-a6ea-45f6-8c2a-25bac4495a1d
  5. Se necessario importare il file scaricato nel programma
  6. Selezionare il modello di stampante e inserirne l'IP nella casella accanto
  7. Premere uno dei tasti Get per vedere se riesce a parlarci e a leggere dati
  8. Premere il tasto Reset Waste Ink Levels
  9. Incrociare le dita e riavviare la stampante.

Voglio precisare che io ho fatto tutto da Linux, dove Python è presente “di serie”. Per Windows si può provare a scaricare una versione eseguibile (EXE) dalla pagina del progetto, che però non ho provato, oppure scaricare Python.

Spero di aver fatto cosa gradita per chi legge, alla prossima.

 
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from gippy

Ci saranno sicuramente dei siti per confrontare le tariffe di ricarica delle Auto Elettriche (EV), uno dei quali ho visto che ha anche una App, che però, a mio avviso, non è proprio chiarissima.

In ogni caso ho pensato questa volta di utilizzare questo blog per fare questo post che possa fare da riferimento ai miei concittadini o anche a chi fosse di passaggio.

La situazione a Terni è di circa una cinquantina di colonnine di ricarica, elencate di seguito senza un ordine particolare e a memoria.

  • la stragrande maggioranza 2 Type2 da 22kW SCAME di Acea / Umbria Energy;
  • UNA fast dello stesso operatore (non ricordo la marca della colonnina ma è abbastanza scadente perché spesso non funziona) con 1 Type2 da 40kW, 1 CCS2 DC da 50kW (mi pare) e 1 ChaDeMo sempre da 50kW, posizionata vicino ala Coop di Gabelletta;
  • alcune Enel (di proprietà alcune del Comune altre della Regione, in entrambi i casi NON MANUTENUTE) con 1 Type2 da 22kW (quando ci arriva(va)no) e 1 Type 3A 3,7kW. A memoria ne ricordo una alla stazione, 2 alla fine di via Garibaldi, una presso il parcheggio de “La Passeggiata”, una al parcheggio del belvedere inferiore della Cascata delle Marmore, una al parcheggio “Canottieri” di Piediluco;
  • UNA fast ABB (mi pare) di PlugSurfing con 1 Type2 da 40kW, 1 CCS2 DC da 50kW (mi pare) e 1 ChaDeMo sempre da 50kW, presso il rivenditore di auto accanto al Globo (a Maratta Bassa);
  • DUE UltraFast e una quick Atlante presso il parcheggio del supermercato MD;
  • UNA BeCharge con 2 Type2 da 22kW presso il parcheggio sotterraneo della IperCoop a via Gramsci;
  • DUE Quick GRATUITE con una presa Type2 da 11kW (di solito ne erogano 9) presso il parcheggio del supermercato Lidl (in via Romagna);
  • DUE Quick RePower presso il distributore IS e una presso Fashion Market, entrambi a Maratta Bassa;
  • alcune e-Motion con 2 Type2 da 22kW: presso ASM Terni a Maratta Bassa, al belvedere inferiore della Cascata delle Marmore e a Narni scalo, nel parcheggio dietro all'edicola.
  • Svariate BeCharge con 2 Type2 da 22kW tra Narni (scalo e città), San Gemini, Acquasparta e altri comuni in provincia, e una fast a Narni scalo (fast solo in DC come tutte le BeC!).

Spero di non averne dimenticate altre, ma conto di aggiornare il post di quando in quando, quanto meno per le tariffe, e con l'occasione potrei correggere o aggiungere punti di ricarica.

Venendo alle tariffe, al momento c'è una discreta giungla, com'è noto, ma viva la concorrenza!

Quello che vorrei fare qui è restringere il campo ai soli operatori applicabili alle colonnine che abbiamo in conca, quindi quelli che possano fare Roaming con:

ACEA (Umbria Energy); Atlante; BeCharge; Enel; PlugSurfing.

Oltre, ovviamente, ai rispettivi operatori delle colonnine (che vendono anche energia) vediamo quali altri operatori si possono usare in Conca, su quali colonnine e a quali prezzi e anche quali possono emettere fattura.

 
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from gippy

Ho configurato un UPS della Elsist su una macchina Linux e volevo condividere il lavoro svolto con potenziali altri utilizzatori di questi UPS.

Veniamo al dunque. Collegando tale UPS via usb e indagando otteniamo:

     lsusb

    Bus 008 Device 001: ID 1d6b:0003 Linux Foundation 3.0 root hub
    Bus 007 Device 002: ID 0001:0000 Fry's Electronics

Pertanto vediamo che Fry's Electronics è il nome con cui viene (non meglio) identificato l'UPS. A questo punto procediamo come segue:

    sudo apt-get install nut

    sudo ne /etc/nut/ups.conf

Aggiungiamo questa sezione in fondo al file:

    [myUPS]
        driver = nutdrv_qx
        desc   = "Elsist"
        port   = auto

Poi modifichiamo le regole di udev per assegnare il dispositivo a NUT:

    sudo nano /etc/udev/rules.d/90-nut-ups.rules

Aggiungendo queste righe:

    # /etc/udev/rules.d/90-nut-ups.rules
    ACTION=="add", \
    SUBSYSTEM=="usb", \
    ATTR{idVendor}=="0001", ATTR{idProduct}=="0000", \
    MODE="0660", GROUP="nut"

Quindi stacchiamo e riattacchiamo la USB dell'UPS.

Per fare un test possiamo fare:

    sudo lib/nut/nutdrv_qx -DD -a myUPS

Dovremmo ottenere molte righe riportanti i dati inviati dall'UPS. Se non vediamo errori possiamo procedere con i passi successivi.

Se invece, come è successo a me, dovesse darvi un errore di file inesistente in /var/run/nut, non dovrete far altro che creare tale directory come segue:

    sudo mkdir /var/run/nut

indi poi cambiargli gli owners in root:nut

    sudo chown root:nut /var/run/nut 

ed i permessi rw solo per user e group:

    sudo chmod o-r /var/run/nut

I passi successivi sono questi:

Modifichiamo il file /etc/nut/nut.conf

    sudo nano /etc/nut/nut.conf

Aggiungiamo questa riga

    MODE=standalone 

Quindi impostiamo l'utente per nut :

    sudo nano /etc/nut/upsd.users

Aggiungiamo quanto segue al file:

    [ups_admin]
    password = 12345678
    upsmon master

Configuriamo per il monitoraggio:

    sudo nano /etc/nut/upsmon.conf

Aggiungiamo al file:

    MONITOR myUPS@localhost 1 ups_admin 12345678

Infine lanciamo il servizio:

    sudo service nut-server start

E collaudiamo con:

    upsc myUPS@localhost

Poi, se ci piace avere un'interfaccia GUI installiamo nut-monitor:

    sudo apt-get install nut-monitor

Occhio che l'eseguibile si chiama NUT-Monitor (con i primi caratteri maiuscoli).

Manca qualche dato, a dir la verità, quindi potrebbe forse esserci qualche driver migliore di questo (qx), farò qualche prova (spero) presto e aggiornerò qui.

Spero di essere stato utile a qualcuno, oltre me stesso :)

 
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from GRIDO muto (podcast)

🔙✨ Come ho affrontato la mia prima diagnosi di artrite: superare il passato e la depressione 🏥🩺💪

<< Ogni cosa sembrava richiedermi uno sforzo così grande che non iniziavo neanche a farla. Sentivo che non ne valeva la pena e non sarei riuscito a completarla. Ogni compito che mi veniva affidato sul lavoro non faceva che alimentare questa sensazione di inadeguatezza, di pesantezza, di impegni che erano sempre più grandi, così tanto grandi da fare paura. E in tutto questo, ovviamente, il dolore non passava. >>

[...]

Se preferisci ascoltare questo episodio (il 15°) anziché leggerlo, puoi farlo a questi indirizzi:

Nel corso della mia vita mi sono sempre sentito a disagio con tutte le situazioni in cui non riuscivo a venire a capo dei problemi che dovevo risolvere. Sono certo che sia capitato a tutti, ma se anche tu sei un malato invisibile, credo che tu possa capire molto meglio cosa intendo con energie limitate e continui problemi di salute da affrontare. La nostra esistenza si trascina piuttosto che svolgersi.

Ci sono poi eventi che non è possibile controllare, come quelli che ti raccontavo nell'episodio precedente. Prima di scoprire che la mia vita stava procedendo verso un abisso, mi era molto più facile riprendermi dalle difficoltà. Non credo che sia stato semplice superare tutto quello che ti ho raccontato, ma in qualche modo credevo che fosse una specie di allenamento. Ho sempre creduto che la vita mi stesse lentamente spronando a lasciare andare, accettare lo scorrere del tempo. Ricorda che in quegli anni non ero cosciente delle mie patologie ed ero ancora convinto che i problemi dipendessero solo dal normale invecchiamento.

Negli anni precedenti alla perdita del lavoro avevo regalato a Samuele, mio nipote, la chitarra nera che avevo comprato nell'estate del '96. Me l'ero sudata tutta e aveva un valore anche sentimentale particolare per me, essendo stata la mia compagna di tanti momenti memorabili e belli, ma effettivamente non ne avevo più bisogno e gliel'avevo regalata molto volentieri. D'altra parte, io avevo la chitarra di Steve in mano.

Giusto a gennaio del 2017, però, non riuscivo più a suonare. Ci avevo provato tanto, ma già l'anno precedente mi ero reso conto che le dita, anche se si spaccavano meno rispetto a tanti anni prima, ormai mi facevano male continuamente. Un male diverso da quello superficiale della pelle, un dolore profondo, diffuso a tutte le articolazioni della mano e molto molto intenso. Le medicine indiane che prendevo mi aiutavano molto in questo senso. Ti ricordi quelle di cui ti avevo parlato e che mi aveva consigliato il medico ayurvedico nel mio viaggio in India? Ma rispetto al passato mi ero ritrovato a prenderle tutti i giorni anziché sporadicamente. Nonostante questo, le dita non avevano più forza e non si muovevano in accordo con quello che il mio cervello diceva loro di fare e suonare era dolorosissimo. Mi piangeva il cuore, ma suonare in quelle condizioni era impossibile.

Più ci provavo, più il dolore aumentava, fino a impedirmi di muovere le mani. La precisione, l'agilità e la flessibilità delle mie mani erano sparite. Dall'amplificatore uscivano suoni senza senso, note stonate, gracchianti, che non comunicavano nessuna emozione se non lo schifo che provavo io ascoltandole.

Nel corso del tempo avevo accumulato vari strumenti, cinque chitarre elettriche e una acustica. Li avevo acquistati con molta fatica, a parte la chitarra di Steve by che, per un colpo di fortuna, mi ritrovavo tra le mani. Ma ora tutti quegli strumenti restavano in un angolo a prendere della polvere, ricordandomi a ogni sguardo quello che era stato e che non poteva essere più, quello che io ero stato e che non avrei mai più potuto essere. Era evidente che i tempi andati non sarebbero tornati. Avevo perso tutto. Dissi a mio nipote Samuele che avrebbe potuto prenderli tutti lui, se lo desiderava, un prestito a tempo indeterminato. Non lo ringrazierò mai abbastanza per avere dato nuova vita a quegli strumenti. Samuele suonava già la chitarra in quegli anni. Gli avevo forse attaccato io questa malattia? Oggi ho la consapevolezza che quelle chitarre ora stanno facendo quello per cui sono nate: dare gioia. Ne stanno dando a lui e quindi ne stanno dando dieci volte di più a me.

C'era anche un'altra situazione senza via d'uscita che sentivo di dovere risolvere in qualche modo. Avevo un sacco di tempo e niente da fare per riempirlo se non cercare lavoro. Il mio istinto mi diceva che avrei dovuto studiare, finire quella laurea che avevo lasciato in sospeso, ma non ne avevo più le energie. Faticavo a tenere le penne in mano e a scrivere più di qualche parola, ma anche a reggere qualcosa di così pesante come un corso di laurea in ingegneria. Nel giro di due mesi avrei compiuto 40 anni, 40 anni e non avevo neanche terminato il primo anno di studi. Di questo passo avrei finito magari a 50 anni, troppo tardi. Cosa avevo combinato nella vita? Sarebbe stato del tutto inutile insistere, avrei solo perso altri soldi. Quindi chiusi anche con l'università. Mi sentivo triste perché avevo perso un'altra delle cose che ero stato, un altro pezzo di me, ma mi sentivo anche più leggero. Due situazioni stagnanti che per me erano diventate solo un rimpianto e un peso ora non c'erano più. In un modo o nell'altro si erano chiuse, non dovevo pensarci mai più. Non so come, ma questo pensiero mi aiutava. Avevo preso la decisione che era tempo di guardare avanti. La vita mi aveva sferrato un brutto colpo tra la perdita del lavoro e tutto il resto, ma il rovescio della medaglia era che pensavo di averlo superato e di essere finalmente più resistente. Credevo di esserne uscito più forte e in effetti mi sentivo davvero più forte. Avevo superato tante situazioni difficili nella vita e alla fine ne ero sempre uscito, quindi che ne arrivasse pure un'altra, ormai non c'era più niente che potesse fermarmi. O quasi.

Con questo spirito, a marzo del 2017 avevo deciso di non pensare più al passato e dare un nuovo corso alla mia esistenza, finalmente libero dalla morsa della procedura di fallimento. Avevo iniziato un corso professionale su un argomento che mi affascinava da sempre. Sto parlando della virtualizzazione dei server, parolone che se non sei un informatico esperto ti dirà poco, ma in sostanza si tratta di mettere i server uno dentro l'altro, come si fa con le matriosche. Grazie a queste tecnologie, al giorno d'oggi si riescono a risparmiare tantissimi soldi rispetto al passato, ma anche a migliorare l'efficienza delle macchine e ridurne l'impatto ambientale, soprattutto per i grandi data center. Io credo che sia affascinante. Avevo già capito che l'unico modo per restare a galla in questa società è quello di cambiare, di evolvere, di espandere la propria conoscenza. La società della performance, d'altra parte, ci vuole così. Il corso che iniziai a fare trattava di informatica avanzata e, al di là del fascino, mi sembrava che fosse una via saggia da intraprendere, soprattutto per chi come me aveva dovuto accantonare anche il sogno di una laurea. Sicuramente mi avrebbe aiutato a trovare un nuovo lavoro, magari anche più appagante. Poi, questo tipo di tecnologie rappresentava un po' la somma e l'espansione di tutto quello che già conoscevo nell'informatica, quindi la mia conoscenza si sarebbe nuovamente ampliata notevolmente. Sarei diventato finalmente più interessante per le aziende. Quando avevo iniziato a lavorare tanti anni prima, avevo idea che a un certo punto, dopo avere accumulato tanta esperienza, tutto sarebbe stato più semplice. Niente di più lontano dalla verità. Il mondo del lavoro è un mostro con migliaia di teste, una specie di Cerbero dei giorni nostri che è impossibile da domare, salvo in rari casi. Anche se non sei un malato invisibile, non sarai mai abbastanza, non farai mai abbastanza, chiederai sempre uno stipendio troppo alto perché si pretende il meglio da tutti e ci sarà sempre qualcuno più bravo di te o disposto a lavorare per uno stipendio più basso. Cerbero considera tutto questo, le tue aspirazioni e le tue attitudini saranno quasi sempre ignorate, ed è un vero peccato questo, perché è proprio quando si valorizzano i talenti che le persone danno il meglio di sé. Questa miopia tutta italiana è qualcosa che ci sta rovinando, a mio parere, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. In questo contesto è impossibile venire a capo, anche da sani. Figuriamoci quando hai una spada di Damocle sulla testa, come accade a me e a tutti gli altri malati invisibili. Quello che speravo nel 2017 si è realizzato solo in parte. Dopo il corso sulla virtualizzazione, un nuovo lavoro era arrivato molto presto e anche in famiglia c'erano belle notizie. Mio papà poteva finalmente tornare a casa dopo un lungo ricovero in ospedale e un intervento che lo aveva messo a durissima prova. Sembrava che io fossi riuscito ad evitare l'abisso, ma non avevo capito che ci stavo finendo direttamente dentro.

Apparentemente filava tutto liscio. Il nuovo lavoro mi piaceva, anche se era molto diverso da qualsiasi altra cosa avessi mai fatto prima. Era faticoso inserirsi in un'azienda molto grande in cui quasi tutto era nuovo e i problemi dell'informatica si risolvevano in maniera molto diversa rispetto alle altre aziende in cui avevo lavorato. Ma è anche vero che c'erano tanti stimoli e il corso sulla virtualizzazione che avevo appena fatto aveva finalmente un impiego pratico. Avevo ripreso a viaggiare, mosso dal desiderio di rivedere le Canarie. Ci volevo tornare, come ti dicevo, non passava giorno senza che ci pensassi. Avevo già maturato l'idea che avrei voluto trascorrere lì il resto della mia vita, se avessi potuto. Iniziai a sognare Fuerteventura già molto tempo prima di arrivarci. A gennaio del 2018 finalmente partii per scoprire quest'isola fantastica delle Canarie, emozionato come un bambino piccolo a Natale. Volevo capire quanto fosse diversa da Tenerife, l'isola che mi aveva fatto innamorare, e volevo anche vedere come avrei reagito davanti ai suoi paesaggi desertici, così particolari. Devi sapere che a Fuerteventura non cresce neanche un alberello. Raccontata così potrebbe sembrare un posto bruttissimo, ma ti assicuro che trovarsi lì a contemplare le sue distese che sembrano quasi marziane, così vuote come sono e color pastello, il suo deserto dorato con le sue dune che si gettano in un oceano turchese, è qualcosa di veramente magico. Ho avuto la fortuna di vederla in un momento in cui non c'era nessuno e mi ritrovavo spesso da solo ad ammirare una spiaggia così grande che non si riusciva neanche a vedere dove finisse all'orizzonte. Fuerteventura però non mi aveva fatto venire la voglia di viverci. Dopo qualche giorno il paesaggio continuavo a vederlo bello e interessante, scattavo tantissime fotografie, ma l'isola era pressoché vuota e tutto quel vuoto mi metteva un po' di angoscia e di tristezza. Fuerteventura non era calda e vitale come mi aspettavo, ma in ogni caso sempre meglio che rientrare nel buio dell'inverno emiliano, nel freddo della pianura. Sarei rimasto lì molto volentieri. Su, nella peggiore delle ipotesi, avrei trovato 18° al ritorno a casa. Un'altra influenza terribile mi costrinse a letto per settimane. Pensare che il mio sistema immunitario fosse indebolito e imbot mi dava do, ma allo stesso tempo mi ammalavo tanto spesso e questa cosa per me era inspiegabile.

Con il passare dei mesi mi ritrovai sempre più spesso esausto, a digrignare i denti e cercare di sopravvivere in quel posto di lavoro che aveva a che fare con il mondo sanitario e di conseguenza mi dava tanta tanta ansia. Ormai tutto è informatizzato e se non avessi svolto bene il mio lavoro avrebbero potuto esserci delle conseguenze dirette sulla vita dei pazienti. Non ero certo che avrei potuto tollerare a lungo questo stato di cose, anche perché non si perdeva occasione per ricordare a me e ai miei colleghi quanto fossimo inadeguati per questo ruolo. Le dita delle mani mi facevano male sempre di più, così come le articolazioni e le dita dei piedi. Andando in palestra avevo messo su nel corso degli anni tanta massa magra e poi ero anche ingrassato un po', e ora i 90 kg abbondanti si facevano sentire ad ogni passo. Per questi dolori ai piedi il medico mi mandò da un fisiatra, ma la visita fu del tutto inutile. Mi venne detto che avevo 41 anni e, come tutti i quarantenni, avrei dovuto riconsiderare il mio abbigliamento: via le scarpe rigide, benvenute le scarpe alte e gommose. Mi era anche stato suggerito di mettere dei plantari ortopedici. A me questa proposta convinceva veramente pochissimo, tanto più che nonostante li avessi presi non stavano risolvendo il problema. E per quanto riguardava le mani, beh, ormai facevano proprio male anche lavorando sulla tastiera tutto il giorno, così come i polsi, il collo, gli avambracci. Davo la colpa alla palestra e all'età, ma una parte di me sapeva che non era così.

Verso fine anno fu la sostituta del medico di base a prendere in mano la situazione. “Quella che ha sulle mani è psoriasi, lo sa?” mi disse. Mi era già stata detta questa cosa, ma continuavo a non crederci. “No, no,” le risposi, “è allergia, sono allergico al nichel.” “Io non ci giurerei,” disse la dottoressa. “Facciamo una cosa, andiamo da un dermatologo.” Ci andai subito e il verdetto venne confermato: psoriasi. Questa roba strana e pruriginosa che mi aveva devastato le mani e le altre parti del corpo per anni era sempre stata psoriasi e io non l'avevo mai saputo, o meglio, avevo fatto finta di non saperlo. Ora non potevo più ignorarla.

Quando tornai dalla dottoressa le parlai del verdetto e, visto che ero lì per l'ennesimo mal di schiena, lei fece uno più uno. Mi chiese se avessi mai fatto una visita in reumatologia, notando anche il colore rosso della mia barba. Mi suonava veramente strana questa domanda: perché sarei dovuto andare in reumatologia? Ero mica un vecchio! E poi, cosa c'entrava il colore della mia barba? Ma siamo impazziti?

Nel corso dell'anno le cose cominciarono a peggiorare, però. Nel 2019 tutti i dolori aumentarono e non c'era volta che andassi in palestra senza tornare con qualche dolore pesante. Ricordo che una volta, per circa un mese, non fui neanche in grado di infilarmi la giacca a causa di un dolore alla spalla estremamente forte. Il reumatologo mi fece mille domande, ma una in particolare mi fece gelare il sangue. “I dolori che sente aumentano o diminuiscono di notte?” Risposi che aumentavano, e anzi, alcuni uscivano fuori proprio di notte o comunque non appena mi risvegliavo. Mi visitarono tante volte nel corso dell'anno e all'ultimo incontro mi dissero che la diagnosi non poteva essere ancora certa. Avrei dovuto prendere degli antinfiammatori eventualmente più forti, specifici per chi ha l'artrite o problemi simili, poi avremmo visto come andava, se il dolore poteva essere gestibile. Col senno di poi, quel medico aveva capito tutto, ma probabilmente non aveva ancora degli elementi certi per fare la sua diagnosi e non si sbilanciò. Mi visitarono tante volte nel corso di quell'anno a intervalli regolari e mi fecero tantissime domande ogni volta. Soltanto verso la fine dell'anno mi fecero fare una risonanza al bacino, visto che il dolore nella zona lombare era tornato e si era fatto costante. La risonanza mise in evidenza delle calcificazioni dolorose e molto caratteristiche che si trovavano sulle creste iliache e in altre zone del bacino. Il medico mi fece anche delle ecografie estremamente approfondite a mani e piedi. Ci volle quasi un'ora e alla fine mi disse che l'ipotesi dell'artrite prendeva forma con più corpo. Era probabile.

Non riuscivo ad accettare questo verdetto e nemmeno a parlarne con nessuno. La cosa non era ancora certa, ma il verdetto mi aveva colpito profondamente. Era qualcosa di troppo grande, troppo importante per poterlo elaborare in poco tempo. Avere questa cosa aumentava e mi sembrava che ci fosse un peso enorme sopra di me, quello di un mostro che aspettava soltanto il momento giusto per saltarmi addosso e togliermi tutte le cose belle. Anzi, ora cominciava a essere molto chiaro che il mostro era già saltato sopra di me e mi aveva già tolto tutte le cose belle. Non potevo crederci, non ero così vecchio. Non sapevo bene cosa significasse questa cosa, ma mi era chiaro che era qualcosa di degenerativo e che il dolore sarebbe aumentato per sempre, fino a manifestarsi dappertutto. Avevo tanta tanta paura. Pensavo che la vita fosse finita. Avevo letto infatti che esistono forme di artrite che colpiscono solo alcune parti del corpo, ma l'artrite psoriasica colpisce le articolazioni e i tendini, potenzialmente tutte le articolazioni e tutti i tendini. Riesci a immaginarlo? Tende a creare calcificazioni, gonfiore e anche effetti peggiori.

Mi tenevo tutto dentro, cercando di non cedere al richiamo di un futuro oscuro che sembrava dietro l'angolo. Non sapevo cosa fare. Mi tenevo tutto dentro, non ne parlavo con nessuno. Tanto non avrebbero capito. Poi, per dire che cosa? Per descrivere che cosa? Non sarei riuscito neanche a spiegarlo. Non sapevo come fare allora, a malapena ci riesco oggi. Figurati. Questo non toglie che stessi sempre peggio. Avevo iniziato a prendere antinfiammatori molto più spesso di prima. Era l'unico modo per tirare il fiato, per togliersi di dosso tutto quel dolore e tornare a ragionare lucidamente, con chiarezza, anche solo per potere lavorare. Ed era anche l'unico modo a volte per andare in palestra, diversamente il troppo dolore non me lo avrebbe consentito. Sì, stavo invecchiando, certo, ma non tutto era perduto. Un po' di palestra, un antinfiammatorio qua e là e il dolore spariva o almeno non arrivava mai in maniera troppo intensa. Forse anche per merito delle erbe ayurvediche che prendevo di tanto in tanto riuscivo ancora a fare una vita normalissima, tutto sommato. Antinfiammatoria parte, la palestra, i viaggi e tutto il resto. E nel frattempo non ne parlavo. Mi tenevo tutto dentro di me. Nessuno doveva sapere. Gli uomini non piangono, non devono farsi vedere deboli.

Però il lavoro mi parve insopportabile. Era continuato ad aumentare nei mesi precedenti, tante cose, sempre di più, sempre più in fretta, sempre più intense. Mi ritrovai ben presto ad avere più cose da fare di quante potessi finirne ogni giorno. L'elenco delle cose da fare cresceva come una montagna che ogni giorno diventava più alta da scalare, senza che si riuscisse ad arrivare alla cima e nemmeno a vederla mai. Senza rendermene neanche conto, andai in un burnout pesantissimo che stava quasi per diventare depressione. Sì, perché al contrario di quanto credevo non era vero che ogni colpo mi rendeva più forte. Oggi credo che noi esseri umani somigliamo a dei fiori stupendi, che ogni raffica di vento perdono più petali di quanti riescano a farne ricrescere. Prima o poi, a forza di raffiche di vento, rimaniamo senza petali, senza colore, chiniamo il nostro stelo e rischiamo di seccare e non alzarci più.

Ero profondamente infelice, non facevo che piangere e sentivo tutto il peso del mondo sopra le mie spalle. Ogni cosa era pesante: mangiare, fare la spesa, uscire a cena, andare dai miei, al cinema, in palestra, leggere un libro o prendersi cura del gatto.

Ogni cosa sembrava richiedermi uno sforzo così grande che non iniziavo neanche a farla. Sentivo che non ne valeva la pena e non sarei riuscito a completarla. Ogni compito che mi veniva affidato sul lavoro non faceva che alimentare questa sensazione di inadeguatezza, di pesantezza, di impegni che erano sempre più grandi, così tanto grandi da fare paura. E in tutto questo, ovviamente, il dolore non passava. Anzi, aumentava sempre di più, dappertutto. Una situazione senza via d'uscita, come tutte le altre che avevo affrontato nella vita. Dal 2019 non sono ancora riuscito a liberarmi di questa sensazione. Il tempo passa, ma le raffiche di vento continuano ad arrivare, ogni giorno gli impegni aumentano sempre più e le energie per farvi fronte diminuiscono, anche per colpa delle patologie che ti sto raccontando. La depressione, come altre malattie invisibili, è una brutta bestia e mi è bastato assaggiarla, vederla soltanto da lontano, per capirlo. Allora me ne sono liberato per un po', e nel prossimo episodio te lo racconterò meglio, ma so che non se n'è andata per sempre. Con tutto il dolore che provo e le scarse energie so che è sempre lì in agguato, ogni tanto fa capolino e cerco di mandarla via facendo cose che mi piacciono o che mi fanno stare bene, ma so che non se ne andrà mai del tutto. Visto come procede la mia vita è facile dire “è tutto nella tua testa” a chi soffre di malattie invisibili, ma è anche tanto, tanto sbagliato. Non aiuta e non è neanche vero, purtroppo. Solo chi vive certe esperienze può dire se stiano accadendo oppure no. E dovremmo tutti imparare a fidarci di più di quanto ci viene raccontato e sicuramente dovremmo imparare a giudicare di meno. Non dobbiamo pensare che la nostra percezione della realtà possa valere anche per un'altra persona. Fidiamoci di quello che ci dice, perché a nessuno piace aprirsi su argomenti come questi, credimi. Io lo sto facendo adesso ed è veramente difficile, è doloroso persino parlarne, ricordarli, doversi spiegare. Quindi, se una persona arriva a farlo, è molto, molto probabile che ti stia dicendo la verità. Una volta ho visto una vignetta divertente che però faceva anche riflettere. Mostrava cosa sarebbe successo se all'improvviso tutte le malattie fossero state considerate come le persone che non soffrono di depressione considerano la depressione. In una parte della vignetta c'era un tizio che andava a trovare un amico all'ospedale, un amico che stava a letto con la flebo piantata nel braccio, e il tizio gli diceva: “Stare lì sdraiato non ti aiuterà, devi fare qualcosa,” come se il solo fatto di volerlo fosse sufficiente a guarire. In un'altra sezione una persona si era completamente mozzata una mano, con il polso che diciamo sgocciola ancora di sangue, e l'altra persona gli diceva: “Devi solo smettere di pensarci, vedrai che ti passa.” Ovviamente erano tutte situazioni surreali, ma che non si discostano troppo dalla mia esperienza del mondo reale. Ti sembrerà strano, forse, ma sono le stesse cose che dicono anche a me fin troppo spesso, ormai ne ho la nausea, come credo anche tutti gli altri ammalati invisibili. Le malattie, se invisibili, esistono e non deve essere una vergogna esserne colpiti, perché capita a tutti. Con quale presunzione le persone ci danno consigli di questo tipo, ammesso poi che si possano chiamare consigli? Sono davvero queste le persone che vogliamo avere con noi durante il nostro cammino, già così difficile per conto suo? Pensiamoci bene. Per ora ti lascio con il buon proposito di fidarti di chi ti dice di soffrire, anche se la sua sofferenza non è così evidente o non esiste nella forma che pensi tu. Stammi bene.

Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia. Non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

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from R0manticTechie

Finalmente abbiamo trovato il modo di creare un account mastodon ed ancora meglio un account qui, su noblogo, in modo totalmente anonimo (o quasi)

Abbiamo dovuto fare un panegirico per verificare l'account proton perchè voleva una mail o un numero di telefono. Ma col cappero che fornivo la mia mail totalmente riconducibile a me, ed ho cercato in tutti i modi di trovare un sito che mi permettesse di registrare una seconda mail senza numero di telefono. Alla fine il trick, l'italica LiberoMail non fa alcuna verifica, ho usato come mail secondaria quella di proton che volevo a sua volta sbloccare e bam. Ora ho due mail che si baciano tra di loro e sono sbloccate.

Insomma, dopo questo panegirico perchè? Beh volevo un posto dove vomitare in anonimato un po' quelle che sono le mie idee, i miei desideri, i miei pensieri arcani. Una sorta di diario personale, non troppo personale, perchè alla fine mi piacerebbe parlare di queste cose con gli amici, i parenti, ma spesso loro sono soggetto delle mie elucubrazioni e poi certe cose mica le vai a dire ai parenti, ma forse anche agli amici. Cioè mi ci vedete a dire a mia zia che sono un feticista del piede femminile?! Andiamo... certe cosa ce le si tiene per se.. spesso non ne parlo manco con gli amici. Cioè il dito nel sedere di uomo inserito dalla tizia con cui si stanno facendo cose ancora è taboo... Di che stiamo a parlà?!

Al di la di questi mantra sessuali più o meno condivisbili, vorrei un posto per sfogarmi, scrivere liberamente, lamentarmi, fare polemica e magari sembrare anche un po' ignorante. Perchè onestamente che cazzo, vorrei poter pure essere ignorante qualche volta, su qualcosa. Non posso mica sapere tutto? Anzi.. spesso non ne so niente di niente.

In ogni caso tutto questo parlare di brutte cose con le signorine mi ha fatto venire un certo set di pensieri. Vado a provvedere va. (Ecco questo lo direste mai a qualcuno che conoscete IRL?! Io personalmente non credo.)

 
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from Bymarty

E mi sono persa

Non so più cosa sono, chi sono, quale è il mio posto ! Mi sento sempre un passo indietro, oppure ai margini, sono messa all'angolo, sembra non mi si apprezzi più, ero un vulcano in piena attività che adesso si sta spegnendo, lentamente, si versano i pensieri, le parole e la voglia...eppure sono sempre io, nn sono cambiata, sono solo, più sola, più io, più me stessa, più invisibile, a chi finora mi ha sempre avuto accanto! Forse si è esaurito il mio tempo, forse non è più il mio posto, il mio momento, prima c'ero, adesso non so, non mi ritrovo, continuo a perdermi e non ritrovarmi. L'empatia che mi ha legato, che mi ha fatto capire, sentire, entrare in sintonia, pare spenta, assopita, ora sento si, ma sto male, soffro e allora dovrei allontanarmi, andare via e ricominciare da una realtà, che ho trascurato, mille pensieri si accavallano, mi confondono! Non posso essere chi nn sono, scrivere quello che non sento, continuare ad indossare la maschera e si quella che indossa, la mia seconda me, quando si perde, è sola, ha paura, piange, soffre in silenzio e di quei silenzi si nutre, vive di presenze ormai assenti e si illude che la sua luna, vada da lei per abbracciarla! E allora chi sono adesso, cosa cerco e soprattutto chi è disposto a darmi ancora una mano e accompagnarmi in questo cammino? Forse nessuno, forse ho immaginato..sognato e sperato...

 
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from Il navigatore solitario

Politica? No grazie! In un mondo che sembra sempre più diviso, la politica appare come l’ennesima arena in cui lottano potere e interessi privati. Siamo abituati a sentir parlare di riforme, promesse e ideali, ma la domanda che viene naturale è: a chi importa davvero? Per un apolitico, osservare il teatrino della politica è spesso come guardare una partita truccata, dove la posta in gioco è sempre più alta per chi gioca e sempre meno importante per chi guarda. I mali della politica sono molti e profondi. Alcuni parlano di corruzione, altri di inefficienza, ma il male principale sta nella manipolazione sottile (e a volte nemmeno troppo sottile) che si nasconde dietro le parole e le promesse. Tuttavia, questa manipolazione non è solo frutto di scelte sbagliate o di errori umani. A monte, vi è un sistema globale che opera dietro le quinte, un “governo ombra” che indirizza le sorti delle nazioni senza mai esporsi al giudizio pubblico. Grandi corporazioni bancarie, finanziarie e multinazionali detengono le chiavi del vero potere, influenzando non solo le decisioni politiche, ma anche la percezione stessa della realtà da parte dei cittadini. Per l’apolitico, questa consapevolezza è spesso più evidente. Non si tratta solo di disinteresse verso i partiti o di sfiducia nelle istituzioni: è la capacità di vedere oltre il velo della retorica ufficiale. L’apolitico si rende conto che i governi eletti, spesso, non sono altro che pedine di un sistema più ampio e meno trasparente. La sua disillusione, quindi, non è sinonimo di passività, ma il risultato di un’analisi lucida e razionale. Il vero ruolo dell’apolitico in Italia è spesso più complesso di quanto sembri a prima vista. Nonostante la tendenza comune a considerare l’apolitico come una figura disinteressata o disillusa, la sua posizione ha una rilevanza significativa nel panorama politico e sociale del Paese. Vediamo in dettaglio alcuni aspetti di questo ruolo. L’apolitico è spesso un osservatore critico, distaccato dalle ideologie e dai partiti. Questa distanza gli consente di vedere la politica senza i filtri di appartenenza, cogliendo più facilmente incoerenze, mancanze e promesse non mantenute. Anche se non partecipa attivamente, il suo sguardo distaccato serve come riflesso della crescente disillusione di una parte della popolazione che, pur non aderendo a movimenti specifici, si sente tradita dalle istituzioni. L’apolitico, in molti casi, si esprime attraverso l’astensionismo. L’Italia ha visto un aumento significativo del non-voto nelle ultime elezioni, e gli apolitici costituiscono una parte rilevante di questo fenomeno. Il loro rifiuto di partecipare può essere interpretato come una forma di protesta silenziosa, che mette in discussione la legittimità del sistema. Non è solo indifferenza, ma spesso un messaggio chiaro: “Nessuno mi rappresenta”. Pur non prendendo parte attiva alle discussioni politiche, l’apolitico si trova immerso nelle conversazioni quotidiane, spesso adottando un ruolo di “voce critica invisibile”. Non alimenta il dibattito politico tradizionale, ma spesso ne è l’eco. È quello che esprime scetticismo nei confronti delle promesse elettorali, che vede i governi susseguirsi senza percepire cambiamenti reali nella sua vita quotidiana. Questo atteggiamento, sebbene passivo, contribuisce a mantenere un equilibrio tra entusiasmo e sfiducia. In un contesto politico frammentato come quello italiano, con partiti che si scontrano su questioni ideologiche e sociali, l’apolitico si sottrae a questi conflitti. Non sentendosi rappresentato né dalla destra né dalla sinistra, si colloca al di fuori delle categorie tradizionali. Questo atteggiamento può essere visto sia come una rinuncia, sia come un rifiuto consapevole di farsi coinvolgere in un gioco di potere che percepisce lontano dalle proprie esigenze. Ma cosa accade quando osserviamo il sistema attraverso gli occhi di un apolitico che vede i fili mossi da poteri più grandi? Le grandi corporazioni bancarie e finanziarie, che operano su scala globale, agiscono come veri burattinai della politica mondiale. Il potere economico è diventato il centro nevralgico delle decisioni politiche, con governi costretti a piegarsi agli interessi di queste entità per mantenere la stabilità economica. La globalizzazione, se da un lato ha favorito l’integrazione dei mercati, dall’altro ha consegnato un potere sproporzionato a pochi, riducendo ulteriormente la capacità dei governi nazionali di agire in maniera indipendente. In questo scenario, l’apolitico non è solo uno spettatore passivo, ma un potenziale attore di cambiamento. La sua consapevolezza dei limiti della politica tradizionale potrebbe tradursi in una spinta verso nuove forme di partecipazione e rappresentanza. La frustrazione e il distacco possono, in alcuni casi, trasformarsi in una richiesta di cambiamento più profonda, in una ricerca di una nuova forma di rappresentanza che vada oltre i modelli tradizionali. In definitiva, l’apolitico in Italia non è solo uno spettatore, ma anche un monito. La sua presenza numerosa è un segnale forte di insoddisfazione verso un sistema che, per molti, sembra non rispondere più alle reali esigenze dei cittadini. Più che essere ignorato, l’apolitico dovrebbe essere compreso e ascoltato, perché rappresenta una parte crescente della popolazione che non trova più spazio all’interno del panorama politico attuale. L’apolitico, dunque, è parte integrante del tessuto sociale e, anche se silenzioso, il suo giudizio può influenzare profondamente il futuro della politica italiana. E allora, quale futuro ci aspetta? Forse uno in cui i veri decisori, coloro che operano nell’ombra, saranno finalmente portati alla luce, grazie a una consapevolezza collettiva che va oltre la propaganda e i falsi ideali. Forse è giunto il momento di riconoscere che la politica non appartiene ai governi visibili, ma a un sistema più complesso e nascosto. E forse è proprio l’apolitico, con la sua visione lucida e critica, a indicare la strada verso un cambiamento reale.

 
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from Il navigatore solitario

Sulla filosofia La filosofia è il tentativo dell'essere umano di dare un senso al mondo, alla vita e alla propria esistenza. È il motore del dubbio, della ricerca, della conoscenza e della consapevolezza. Non è solo un insieme di teorie astratte, ma uno strumento per interrogarsi sulla realtà, sulle emozioni, sulla verità e sulla morale. Ogni epoca ha avuto i suoi filosofi, e ognuno ha cercato risposte alle domande fondamentali dell’esistenza: chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando? Ma la grande forza della filosofia non sta tanto nelle risposte definitive – che spesso non esistono – quanto nella capacità di formulare domande sempre più profonde e complesse. La filosofia è ovunque: nella scienza, nell’arte, nella politica, nella tecnologia. Senza il pensiero filosofico, non ci sarebbe il progresso, perché è il dubbio che spinge alla scoperta, all’innovazione e alla riflessione critica. Alla fine, la filosofia non è solo un campo di studio, ma un modo di vivere. Chi si interroga, chi non accetta dogmi senza metterli alla prova, chi è disposto a cambiare idea davanti a nuove conoscenze, chi cerca di comprendere il mondo con mente aperta e curiosa… fa filosofia.

 
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from sottocutaneo

[cinque]

Comunque mi sposto, basta un colpo e il baricentro si squaderna, come avere dei lag nella realtà virtuale, l'immagine del reale non corrisponde più alla nostra posizione dello spazio, si crolla, si ricostruiscono cose che non sono avvenute, in questo caso abbiamo di fronte a noi Andreotti, Elon Musk e Batman, il nostro progetto, dice Musk è quello di una grande riqualificazione della zona costiera con l'eliminazione dei parassiti che hanno flagellato le produzioni olearie e la reintroduzione progressiva di danze tradizionali equestri, inizialmente attraverso l'inseminazione artificiale di modelli di IA autoctona, ma successivamente con un piano di collettivizzazione capitalista dei beni primari quali l'aria, il liquido seminale, l'acqua della noce di cocco, ti ucciderò – dice Batman – non puoi farla franca, aggiunge e non si capisce esattamente a chi stia parlando, ha lo sguardo nel vuoto, sembra respirare con il naso, a fatica, per via della maschera, io una volta sono morto – questo è Andreotti – sono morto, pensate, in diretta, durante una trasmissione tv della domenica pomeriggio, muove le mani davanti a se, come uno scoiattolo tassidermizzato, ma poi – prosegue – sono tornato in vita, con difficoltà, non dico di no, ma in vita, sorride; Musk accanto a lui fa una smorfia con il viso grosso come dire “e 'sti cazzi?” ma non dice niente, puoi sperare che quesi personaggi muoiano o rivivano o siano ricaricati, ma non cambia niente, bisogna, dice Musk, tagliare gli sprechi, scuoiare alla radice il problema della povertà, radicalizzarlo, bastardo – è di nuovo Batman – tu parli della povertà dei ricchi – dice, sempre con il suo tono nasale, è immobile, sembra incapace di muovere un muscolo, la tuta è a gradienti di grigio, Musk fa un'espressione che potremmo definire di sarcasmo, indica Batman, si gira verso Andreotti di cui non si vedono gli occhi, le lenti degli occhiali sono come appannate e non si riesce a vedere attraverso, io credo, inizia Andreotti, che qua sia necessario non un patto, ma una visione comune tra generazioni diverse perché c'è soprattutto un problema culturale e sociale che mina alle radici molte delle nostre tradizioni italiane, prendete una salsa di base tra le più versatili in cucina, sto parlando, aggiunge, della besciamella; la besciamella è facile e veloce da realizzare, è perfetta per dare una marcia in più a tanti piatti diversi, ora – dice – e si ferma, resta a guardare il vuoto, anche Musk si è bloccato, anche Batman: sta di nuovo laggando tutto; il mondo reale prende spazio, le mie dita sulla tastiera, il rumore della calderina, le cose che ho innestate nella testa e escono trasversalmente dall'alto verso il basso, io sono qua, in questo momento e non sono più, vedo le mie parti finire mentre ne faccio la catalogazione, la mappa catastale della geometria non ecuclidea del mio organismo, il segreto però – riprende Musk – è la frusta, l'uso della frusta nella cottura girando con delicatezza ma anche con determinazione in senso sempre orario evitando il formarsi di grumi, Andreotti annuisce, sembra in realtà non aver capito nulla del discorso di Musk – la noce moscata – dice all'improvviso Batman, Musk si volta verso di lui facendo un gesto con le mani incomprensibile – la noce moscata – ripete Batman – certo, annuisce Musk, e il sale, q.b. dice, e Andreotti si riattiva, fa un sorriso animale, sornione, ecco, chiosa, q.b. or not q.b.? e dalla sala il pubblico preregistrato, senza audio, parte in un applauso inintelleggibile, sembra non accorgersi della morte che cola dai punti di incontro, gli svapo, i condizionatori, il rumore dell'elettricità che permea tutta la struttura delle cose.

 
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from Recensioni giochi PC, PlayStation e Xbox

Dopo la spettacolare epopea di Black Myth: Wukong, un viaggio tra divinità e scimmie leggendarie, ritrovarsi tra le desolate lande di S.T.A.L.K.E.R. 2 è stato come risvegliarsi bruscamente da un sogno vivido e ritrovarsi catapultati in una realtà cruda e spietata, dove la minaccia non è un demone millenario, ma l'imprevedibile Zona e le sue aberrazioni. Un cambio di registro netto, insomma, dal fasto orientale alla desolazione post-apocalittica, ma entrambi capaci di tenerti col fiato sospeso, ognuno a modo suo.

Un stalker che cammina lungo un fiume contaminato, con il cielo grigio che riflette un’atmosfera di solitudine.

È difficile iniziare a parlare di S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl senza prima menzionare l’attesa. Quindici anni. Quindici anni che sembrano un’eternità per chi, come me, ha passato ore interminabili esplorando la Zona per la prima volta. Ma questa attesa non è stata uguale per tutti. Alcuni di noi, purtroppo, non vedranno mai questo sogno realizzato. La guerra – quella stessa realtà che il gioco riflette in modo inquietante – ha portato via non solo vite, ma anche storie, sogni, speranze. A loro, un ricordo eterno. Героям слава.

Ho perso tanto anch’io. La mia città natale, Luhansk, non è più casa mia da dieci anni. Ma in qualche modo, camminare di nuovo nella Zona – anche se virtualmente – è stato come tornare a casa. Una casa deformata, corrotta, ma comunque familiare.

Una visuale inquietante di un edificio in rovina al tramonto, con una figura misteriosa che si muove nell’ombra.

L’Immersione Totale: Un Mondo che Respira

S.T.A.L.K.E.R. 2 non è solo un videogioco, è un viaggio. Ogni angolo della mappa trasuda storia, non quella dei libri, ma quella vissuta, ruvida, dolorosa. Mi sono ritrovato a vagare senza meta, non per completare una missione, ma per ascoltare il vento tra le rovine, per osservare come la luce si rifletteva sull’acqua stagnante di un lago. Quel senso di familiarità – ogni capanno abbandonato, ogni albero contorto – mi ha riportato alla prima volta che ho giocato a S.T.A.L.K.E.R.: Shadow of Chernobyl.

Ma non è solo nostalgia. Questo mondo è vivo in modi che non mi aspettavo. Gli effetti sonori – un fruscio lontano, un urlo inaspettato, il clangore metallico di qualcosa che non vuoi incontrare – ti ricordano che qui sei solo un ospite. E un ospite non è mai veramente al sicuro.

Un campo aperto coperto di nebbia mattutina, con alberi contorti e detriti metallici sparsi sul terreno.

Ecco un consiglio: viaggia di giorno. Non perché la notte sia meno affascinante, ma perché alla luce del sole almeno hai una possibilità di vedere cosa ti sta venendo incontro prima che ti divori. La Zona non ti perdona, ma ti avverte, se sai ascoltare.

Una Pulizia Tecnica e il Piccolo Fastidio

Mi ero preparato al peggio: bug, glitch, crash improvvisi. E invece no. S.T.A.L.K.E.R. 2 è sorprendentemente pulito. Le texture, le animazioni, la fluidità del gameplay – tutto è stato rifinito con una cura che è raro trovare in un progetto di questa portata. Certo, ogni tanto qualcosa scricchiola, ma è il prezzo di un mondo così vasto e ambizioso.

L’unica cosa che mi ha fatto imbestialire? Non posso rinominare i salvataggi. Capisco che possa sembrare una sciocchezza, ma per chi è ossessionato dalla gestione maniacale dei file di salvataggio (ciao, sono io), è un fastidio. Forse una patch risolverà la questione. Lo spero, perché voglio poter scrivere “Questo è il punto in cui sono morto miseramente per la quarta volta” senza dover ricordare quale slot ho usato.

Un primo piano di un mutante in agguato in un tunnel oscuro, con dettagli raccapriccianti e una luce fioca sullo sfondo.

La Paura Tangibile: Un Terrore che Respira

Ho giocato a molti horror nella mia vita. Alcuni mi hanno fatto saltare sulla sedia, altri mi hanno lasciato indifferente. Ma nessuno è mai riuscito a replicare quella sensazione di costante tensione che i giochi della serie S.T.A.L.K.E.R. sanno evocare. Non si tratta solo di jump scare o mostri spaventosi. È l’atmosfera.

Una scena di combattimento frenetico, con scintille e fiamme che illuminano la notte, mentre un personaggio si ripara dietro un muro.

In S.T.A.L.K.E.R. 2, questa atmosfera è amplificata. I suoni ambientali non sono solo un sottofondo, sono un personaggio a sé. Un sibilo distante ti fa chiedere se è solo il vento o qualcosa di molto più pericoloso. Un crepitio al tuo fianco ti fa girare di scatto, con il cuore in gola. E poi c’è il silenzio. Il silenzio nella Zona è forse la cosa più spaventosa di tutte.

E quando incontri una minaccia? Non è mai banale. Ogni scontro è un test di resistenza fisica e mentale. Fuggire o combattere? Spesso la scelta giusta è la prima, ma il tuo orgoglio potrebbe dirti il contrario. E sarà la tua rovina.

Conclusione: Una Lettera d’Amore e Dolore

S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl non è solo un gioco, è un testamento. È la dimostrazione di ciò che si può creare anche in mezzo alle difficoltà più estreme. È un omaggio a chi ha atteso, a chi ha perso, a chi non c’è più.  Non è perfetto. Ma forse è proprio questa imperfezione a renderlo così speciale. Perché la Zona è così – brutale, bella, spietata, ma mai banale. E noi, come giocatori, siamo solo di passaggio. Ma che passaggio, ragazzi. E se dopo essere stati nella Zona vi viene voglia di cimentarvi in altri scontri a fuoco, date un'occhiata in giro, potreste anche decidere di acquistare giochi sparatutto per Xbox, per variare un po'. Se sei un veterano della serie, preparati a tornare a casa. Se sei nuovo, benvenuto nella Zona. Che tu possa sopravvivere abbastanza a lungo da scoprire i suoi segreti.

 
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  • non sapevo che dovessi farla
  • te l'ho detto prima!
  • non me lo hai detto
  • sono venuto da te, ti ho abbracciato e ti ho detto “ricordati che devi fare la doccia”
  • sì, ma io pensavo in generale
  • ...
  • in generale devo farmi la doccia, lo so, non pensavo intendessi oggi!
  • ...
 
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