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Era già evidente dagli esordi l’abilità di Keaton Henson di scavare nella profondità dell’animo umano, rivelandone tutta la sofferenza e la fragilità. In questo percorso, musica e pittura rappresentano per l’artista londinese una terapia spirituale, un diario intimo e delicato dove leccarsi le ferite lontano da occhi indiscreti. In questa chiave interpretativa, la copertina di “Kindly Now” è il manifesto più trasparente della complessa personalità di Henson, qui alle prese con il progetto più accessibile e immediato della sua discografia... https://artesuono.blogspot.com/2016/10/keaton-henson-kindly-now-2016.html


Ascolta il disco: https://album.link/s/2STN4lLvNNRsO0FuatKqVI


 
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from 📖Un capitolo al giorno📚

CONQUISTA DELLA TERRA PROMESSA (1,1-12,24)

Dio porta avanti il suo piano 1Dopo la morte di Mosè, servo del Signore, il Signore disse a Giosuè, figlio di Nun, aiutante di Mosè: 2“Mosè, mio servo, è morto. Ora, dunque, attraversa questo Giordano tu e tutto questo popolo, verso la terra che io do loro, agli Israeliti. 3Ogni luogo su cui si poserà la pianta dei vostri piedi, ve l'ho assegnato, come ho promesso a Mosè. 4Dal deserto e da questo Libano fino al grande fiume, l'Eufrate, tutta la terra degli Ittiti, fino al Mare Grande, dove tramonta il sole: tali saranno i vostri confini. 5Nessuno potrà resistere a te per tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò con te: non ti lascerò né ti abbandonerò. 6Sii coraggioso e forte, poiché tu dovrai assegnare a questo popolo la terra che ho giurato ai loro padri di dare loro. 7Tu dunque sii forte e molto coraggioso, per osservare e mettere in pratica tutta la legge che ti ha prescritto Mosè, mio servo. Non deviare da essa né a destra né a sinistra, e così avrai successo in ogni tua impresa. 8Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma meditalo giorno e notte, per osservare e mettere in pratica tutto quanto vi è scritto; così porterai a buon fine il tuo cammino e avrai successo. 9Non ti ho forse comandato: “Sii forte e coraggioso”? Non aver paura e non spaventarti, perché il Signore, tuo Dio, è con te, dovunque tu vada”.

Le tribù a est del Giordano collaborano per la conquista 10Allora Giosuè comandò agli scribi del popolo: 11“Passate in mezzo all'accampamento e comandate al popolo: “Fatevi provviste di viveri, poiché fra tre giorni voi attraverserete questo Giordano, per entrare a prendere possesso della terra che il Signore, vostro Dio, vi dà in proprietà”“. 12A quelli di Ruben e di Gad e alla metà della tribù di Manasse Giosuè disse: 13“Ricordatevi delle cose che vi ha ordinato Mosè, servo del Signore, dicendo: “Il Signore, vostro Dio, vi concede riposo e vi dà questa terra”. 14Le vostre mogli, i vostri bambini e il vostro bestiame staranno nella terra che Mosè vi ha assegnato al di là del Giordano; ma voi, prodi guerrieri, attraverserete ben armati davanti ai vostri fratelli e li aiuterete, 15fino a quando il Signore non concederà riposo ai vostri fratelli, come a voi, e anch'essi prenderanno possesso della terra che il Signore, vostro Dio, assegna loro. Allora ritornerete, per possederla, nella terra della vostra eredità, che Mosè, servo del Signore, vi ha dato oltre il Giordano, a oriente”. 16Essi risposero a Giosuè: “Faremo quanto ci ordini e andremo dovunque ci mandi. 17Come abbiamo obbedito in tutto a Mosè, così obbediremo a te; purché il Signore, tuo Dio, sia con te com'è stato con Mosè. 18Chiunque si ribellerà contro di te e non obbedirà a tutti gli ordini che ci darai, sarà messo a morte. Tu dunque sii forte e coraggioso”.

__________________________ Note

1,1 Il materiale di cui l’autore si serve è molteplice e comprende narrazioni di episodi e tradizioni che hanno trasmesso i fatti, spesso abbellendoli, schematizzandoli e accompagnandoli con elementi folcloristici; talvolta l’autore tenta anche di fornire una spiegazione del fatto narrato (le cosiddette eziologie). Alcuni episodi sono presentati come azioni liturgiche e, a tratti, si nota un forte influsso dell’ambiente sacerdotale. Buona parte di questo materiale si lega al santuario di Gàlgala e alla tribù di Beniamino.

1,3-4 I confini della terra qui delineati sono del tutto ideali e più ampi rispetto a quelli dei territori effettivamente conquistati e occupati sotto la guida di Giosuè (vedi anche Dt 11,24-25).

1,6-8 Con fraseologia ripresa dal Deuteronomio, Giosuè viene esortato alla pratica della legge come condizione dell’aiuto divino.

1,10-18 Questo concorso di tutte e dodici le tribù, che dipende da Dt 3,18-20 e che viene ripreso anche in Gs 22,1-8, non concorda con Gdc 1, dove la conquista è presentata come iniziativa di singole tribù. L’autore di Giosuè scrive in questo modo per offrire al popolo ebraico un esempio di unità e di collaborazione. Gli scribi sono coloro che, secondo Dt 20,5.8-9, si occupano del reclutamento per la guerra. Nel libro di Giosuè hanno il compito di provvedere al vettovagliamento e di trasmettere ordini (3,2). Fanno parte, con altri, dei collaboratori stretti di Giosuè (vedi 23,2 e 24,1).

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Approfondimenti

1,1-18. Il libro di Giosuè si presenta come la continuazione del Deuteronomio. Ricollegandosi a Dt 34,9, dove si parla della morte di Mosè (vv. 1-2), Gs inizia con un oracolo divino d'investitura per Giosuè (vv. 2-11). Segue un brano (v. 12-18) sulla fedeltà delle tribù transgiordaniche al progetto unitario di conquista della terra.

1. «Dopo la morte di Mosè, servo di JHWH». Il linguaggio è chiaramente quello del Deuteronomio, di cui vengono ripresi qui i temi teologici preferiti. Mosè è il «servo di JHWH» per eccellenza, colui che più spesso nella Bibbia è definito tale (Es 14,31, Gs 1,2.7.13.15 ecc., una quarantina di volte in tutto; cfr. anche Dt 34,5, oltre a Nm 11,11; 12,7.8). La designazione è indicativa di una interpretazione seriore della funzione di Mosè (in specie nel Deuteronomio e nella storia deuteronomistica). Lo stesso accade per altre figure dei tempi antichi, definite anch'esse in retrospettiva «servi di JHWH» (Gn 26,24, Abramo; Gn 24,14, Isacco; Dt 9,27, Abramo, Isacco e Giacobbe, ecc.). Anche i profeti sono detti “servi” a partire dall'esilio, anche qui soprattutto dalla scuola deuteronomistica, che interpreta in tal modo la profezia preesilica. In un tempo di crescente allontanamento da JHWH, i profeti sono presentati come i campioni della fede in lui e i suoi “servi” intrepidi, fino alla figura del “servo di JHWH” del Deuteroisaia. Il titolo di «ministro di Mosè» assegnato a Giosuè (cfr. Es 24,13; 33,11; Nm 11,28) vuole essere onorifico. Esso era usato in genere per i funzionari. Figlio di Nun, della tribù di Efraim, Giosuè s'era già distinto come capo della spedizione contro gli Amaleciti (Es 17,8-14); e da allora aveva operato al fianco di Mosè. Era stato accanto al legislatore sul Sinai (Es 32,17-18) e lo aveva sostenuto e talune volte rappresentato in tutti i momenti cruciali della peregrinazione attraverso il deserto (Es 33,11; Nm 11,26-30; 13,8.16; 14,6-10. 30.38; 32,11-12). Aveva quindi ricevuto l'investitura (Nm 27,18-23) come delegato a governare militarmente e politicamente Israele (mentre le funzioni sacerdotali di Mosè erano state trasferite su Eleazaro). L'investitura era stata confermata da Mosè prima di morire (Dt 34,9).

2. «verso il paese che io do». Anche questo è un dato tipico del Deuteronomio: la «terra» è un dono di Dio al suo popolo, come si ripete spesso nella parenesi deuteronomica (vedi soprattutto Dt 11,10-17).

3. «Ogni luogo che calcherà la pianta dei vostri piedi» è espressione giuridica; «calcare» significa prendere possesso, cfr. Gn 13,17; Dt 1,6-8.

4-5. Cfr. Dt 11,24-25, i cui dati qui vengono ampliati. Si veda anche Dt 1,7; 11,24.

6-7. Il successo è garantito unicamente dalla fedeltà a JHWH e dal compimento della sua legge, come s'era già insistito nel Deuteronomio (cfr., ad esempio, 29,8; 31,6.7.23). L'idea sarà ricorrente nei discorsi di Giosuè e costituirà l'argomento principale degli ultimi due capitoli del libro.

10. Questi “scribi” sono qui in effetti ufficiali di rango inferiore, specie di ispettori addetti al reclutamento o incaricati della disciplina dell'esercito (Dt 20,5-9; cfr. anche 1,15; 16,18; 29,5).

12-18. Le tribù di Ruben, Gad e metà Manasse si erano stabilite in Transgiordania. Come conciliare questo dato con il fatto che il Giordano era considerato linea di confine della terra promessa? Il libro di Giosuè risponde sostenendo che è stato lo stesso JHWH a concedere loro questa porzione del paese, quando Mosè era ancora in vita (vv. 13s.), quasi come primizia e anticipazione di quanto sarebbe accaduto alle altre tribù. Inoltre, anche queste due tribù e mezza sono impegnate a prendere parte alla guerra santa per la conquista della Cisgiordania.

(cf. VINCENZO GATTI, Giosuè – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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from lucazanini

[filtri]

per sbloccare sono [le tre a. m. diciannove [gradi] intanto scrive gli automi al minimo sindacale moto] extrapop o sono mossi da una distanza trentacinque millimetri] esistono [diverse versioni dalla] proprietà terza [esperti ambosessi duchesse si accertano] la densità [demografica l'erosione] costante peut-être

 
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from differxdiario

cosa non fa di me un collezionista—-

probabilmente: il fatto che se le condizioni di un oggetto sono troppo precarie, per fragilità o sudiciume, non so come gestirlo. il fatto che per me non c'è idolatria per autori o artisti o personaggi quali che siano. quello che vedo – sia tratti di vecchie foto, cartoline, dattiloscritti e manoscritti o libri – mi interessa solo nella misura in cui intellettualmente e (diciamo) artisticamente posso stabilire un rapporto che non è di possesso ma di immissione nel mio sistema di segni. devo poter integrare in questo modo l'oggetto nell'immaginario attivo. mio. cioè portarlo concretamente in un nuovo contesto. e farmici trascinare io stesso.

il collezionista blocca, e – se studioso – storicizza, e spiega.

è la differenza tra invenzione e inventario. io sto con la prima.

 
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from Transit

(189)

(N1)

Un tempo il #Natale sapeva di mandarini e di freddo. Oggi sa di plastica, di profumo sintetico alla cannella e di offerte “imperdibili”. È passato da evento religioso (che riconosco, ma non frequento per coerenza) a vaccino annuale contro la malinconia, somministrato in dosi di pubblicità e zucchero. Non si aspetta più la nascita di un improbabile “Salvatore”: si aspetta il corriere espresso.

L’unico presepe che conta è quello dove il nuovo dio è lo scontrino fiscale. La festa comincia già a novembre, quando si accendono i LED sponsorizzati e le vetrine diventano vetrate di cattedrali dedicate alle divinità del consumo. L’atmosfera natalizia è una liturgia pubblicitaria senza fine: famiglie perfette, pacchi scintillanti, sorrisi programmati. “Fatevi un regalo”, dicono. Ma per molti, il vero regalo sarebbe un affitto pagato o una bolletta non scaduta.

Nei magazzini e nei centri di smistamento si lavora a tempo di jingle. I veri elfi di Babbo Natale sono precari con la schiena a pezzi e la consegna garantita. Mentre il mondo si commuove davanti agli spot, loro fanno le notti per tenere accesa la giostra del Natale. Il miracolo non è la nascita di un bambino, ma che qualcuno ancora sorrida dopo dodici ore di lavoro.

(N2)

Arriva la Vigilia: la prova di sopravvivenza più ipocrita dell’anno. Tavole imbandite, sorrisi forzati, discussioni che nessuno ha voglia di affrontare. A Natale ci si ama per obbligo, si ascolta per forza, si brinda per abitudine. È il grande festival delle relazioni diplomatiche: tutti seduti insieme, uniti solo dalla stanchezza e dal desiderio che finisca in fretta. Fuori, le città traboccano di “esperienze autentiche”: mercatini vintage, regali “etici”, panettoni artigianali da quarantacinque euro.

Tutto mercificato, anche la bontà. Se non compri, non esisti. La gioia è un’unità di misura tracciata in scontrini, la pace si conta in like. “Buone feste” è diventato un riflesso condizionato, un rumore di fondo da cui nessuno si salva. Dietro le luci e i brindisi resta il buio dei margini. I poveri, i precari, gli invisibili assistono al grande spettacolo del benessere da dietro la quinta. Per loro, il Natale è solo un altro turno, un altro giorno da superare. Poi arrivano i servizi televisivi “commoventi”, la lacrima di circostanza, e tutto finisce lì: quel poco di solidarietà si scioglie più in fretta del burro nel panettone.

Il Natale consumistico è una macchina perfetta: produce desideri, li vende, e poi li sostituisce. È la religione del capitale emotivo, dove la preghiera è contactless e la redenzione avviene in tre rate. Ogni gennaio ci chiediamo perché ci sentiamo vuoti. La risposta è semplice: lo siamo, ma almeno abbiamo comprato il vuoto in confezione regalo. Viva il #Natale, dunque: patrono dell’apparenza, santo protettore dell’ipocrisia e martire della sincerità. Non importa più cosa significhi, basta che arrivi il pacco in tempo e che l’etichetta sia quella giusta. Perché in fondo, nel presepe del mondo moderno, l’unico Bambin Gesù rimasto è un prodotto in pronta consegna.

#Blog #Natale #Consumismo #Economia #Opinioni

 
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from ᗩᐯᗩIᒪᗩᗷᒪᗴ

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Chi si aspettava novità, ribaltoni o sconquassi lasci pure perdere: Keep Me Singing è il nuovo-vecchio album di Van Morrison che ci attendavamo. Con un pregio in più, però, ossia è finalmente prodotto. Ci spieghiamo meglio: negli ultimi almeno quattro lustri o quasi i dischi del Belfast Cowboy sono spesso sembrati risultato di un tizio che entrava in studio con la sua più o meno fat band, inserire la spina e registrare il più in fretta possibile – non che siano mancati brani degni ma l’idea di un po’ di mancanza di cura serpeggiava, eccome. Benvenuto, pertanto, il buon ma superfluo Duets/Re-Working The Catalogue dello scorso anno, che grazie a Don Was alzava la media della cura dei particolari... https://artesuono.blogspot.com/2016/10/van-morrison-keep-me-singing-2016.html


Ascolta il disco: https://album.link/s/3BfnBwHZZi29Wwtuv2XUF4


 
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from 📖Un capitolo al giorno📚

Esortazione finale

55. Tu credi a queste verità, ma sta’ attento alle tentazioni, perché il demonio cerca persone per trascinarle con sé alla rovina. Il nemico può tentare di ingannarti per mezzo di persone che vivono al di fuori della chiesa: pagani, giudei ed eretici; ma anche servendosi di persone che fanno parte della chiesa, ma vivono male, sono disordinati nel mangiare e nel bere, praticano la impudicizia o sono morbosamente dediti a curiosità vane e illecite, come gli spettacoli e la superstizione, o si lasciano prendere dalla febbre dell’oro e dell’orgoglio o da altri simili comportamenti scorretti.

Tu non correre dietro a costoro, ma procurati amici buoni, che troverai facilmente, se anche tu ti impegnerai a imitarli. Così adorerete e amerete il Signore disinteressatamente, perché egli sarà tutto il vostro premio e, vivendo in comunione con lui, godrete della sua bontà e della sua bellezza.

Certo il Signore non si ama come si amano le cose che si vedono con gli occhi; si ama come la sapienza, la santità, la verità, la giustizia, la carità e cose simili, che tuttavia sono presenti in lui, non come lo sono negli uomini, ma come fonte incorruttibile e immutabile da cui scaturisce ogni bene.

Unisciti a coloro che amano queste virtù, e così, attraverso il Cristo, che si é fatto uomo per essere mediatore tra Dio e gli uomini, ti riconcilierai con Dio. Non pensare invece che i perversi, per il semplice fatto che entrano tra le pareti di una chiesa, riescano poi ad entrare anche nel regno dei cieli. Ma verrà il giorno in cui saranno definitivamente separati, a meno che non riescano tempestivamente a cambiar vita.

In conclusione, imita i buoni, sopporta i cattivi, ma ama tutti; perché non sai cosa diventerà domani colui che ora è cattivo.

Non amare la loro ingiustizia, ma amali perché apprendano la giustizia: perché dobbiamo amare sia Dio che il prossimo. In questi due comandamenti, infatti, consiste tutta la legge e i profeti.

La loro osservanza è possibile solo a chi riceve il dono dello Spirito, uguale al Padre e al Figlio: perché i tre sono Dio, e in Dio solo dobbiamo porre tutta la nostra speranza, non nell’uomo, chiunque esso sia. Dio è colui che ci fa giusti, gli altri sono coloro con i quali veniamo giustificati.

Il diavolo non solo ci lusinga con i piaceri, ma ci scoraggia anche con la paura degli insulti, delle sofferenze e della stessa morte. Ma tutte le sofferenze che l’uomo affronta per il nome di Cristo e per la speranza della vita eterna, le prove che sopporta con perseveranza gli preparano un maggior premio; mentre se accondiscende alle tentazioni del diavolo, con lui sarà condannato. Le opere di misericordia, insieme all’amore di Dio e all’umiltà, impetrano e ci ottengono da Dio la grazia che i suoi servi non siano tentati in misura superiore alle loro forze (cf. 1Cor 10,13).

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«DE CATECHIZANDIS RUDIBUS» LETTERA AI CATECHISTI di Sant'Agostino di Ippona con introduzione e note a cura di GIOVANNI GIUSTI Ed. EDB – © 1981 Centro Editoriale Dehoniano Bologna https://www.canoniciregolari-ic.com/s-agostino-catechesi/


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from L' Alchimista Digitale

Manifesto in miniatura Non ti controllano dicendoti cosa fare. Ti controllano dicendoti chi devi essere. Il messaggio non è mai diretto. E' sempre questo: “Se sei così, vali. Se no, scompari.” Prima creano un modello giusto, una persona giusta, un carisma giusto poi collegano il modello ad una promessa. Status, appartenenza, protezione e accettazione. La minaccia non viene detta. Viene mostrata. Chi devia viene ridicolizzato. Chi critica viene isolato. Il carisma non ha bisogno di convincere. “Guarda me. Se fai come me, diventi come me.” La paura reale non è fallire ma restare fuori. Il cervello lo legge come pericolo. Cosi le persone non scelgono. Si adeguano. Non perché è ciò che vogliono ma per sopravvivenza sociale. Quando l'identità è esterna, basta una minaccia invisibile per guidare milioni di comportamenti. L'unica immunità è questa: un'identità che non chiede permesso.

 
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from Geocriminalità e Cooperazione Internazionale di Polizia

In Ecuador non cessa la violenza ed a farne le spese sono anche calciatori professionisti

L'Ecuador è travolto da una crisi di violenza (legata anche al calcio: Mario Pineida, difensore 33enne ed ex nazionale (foto), è stato ucciso il 17 dicembre insieme alla compagna in una macelleria di Guayaquil (https://www.rainews.it/articoli/2025/12/ecuador-ucciso-in-un-agguato-il-calciatore-mario-pineida-difensore-del-barcelona-sporting-club-6b68fb40-16e3-4512-a55a-188033bce2ab.html)

Si tratta del quinto omicidio legato al mondo calcistico nel 2025, tutti collegati alle scommesse clandestine controllate dalla criminalità organizzata. A settembre erano stati assassinati tre calciatori (Maicol Valencia, Leandro Yépez e Jonathan González), quest'ultimo minacciato per perdere una partita. A novembre è stato ucciso Miguel Nazareno, appena 16enne e considerato un talento promettente. Altri tre professionisti sono sopravvissuti ad attacchi armati.

Lo Stato ecuadoriano, già impegnato a gestire proteste sociali, non riesce a contenere il fenomeno, lasciando i calciatori esposti a un pericolo costante. Con la qualificazione ai Mondiali 2026, si spera che la vetrina internazionale possa sensibilizzare FIFA e comunità globale verso contromisure concrete, pari a quelle prese da UEFA ed Europol (https://noblogo.org/cooperazione-internazionale-di-polizia/il-calcio-e-vulnerabile-allo-sfruttamento-criminale), sì da evitare tragedie come quella del calciatore colombiano Andrés Escobar nel 1994.

Questi era un difensore della nazionale colombiana che durante il Mondiale 1994 negli Stati Uniti segnò un'autorete nella partita contro gli USA (foto), contribuendo all'eliminazione della Colombia dal torneo. Dieci giorni dopo il ritorno in patria, nella notte del 2 luglio 1994, Escobar fu assassinato nel parcheggio del locale “El Indio” a Medellín. 1. Secondo le ricostruzioni, i suoi aggressori gli avrebbero detto “Grazie per l'autogol” prima di sparargli a bruciapelo (ricevette 12 colpi di pistola). L'omicidio fu attribuito a Humberto Muñoz Castro, una ex guardia giurata, e il movente fu legato alle grandi perdite subite dal giro di scommesse clandestine a causa di quell'autorete. Castro fu inizialmente condannato a 43 anni, ma la pena fu ridotta e venne rilasciato nel 2005 dopo 11 anni di carcere.

#Ecuador #calcio #scommesse

 
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from 📖Un capitolo al giorno📚

Le cose future

54. E le altre cose predette non succederanno? È evidente che, come si sono realizzate queste profezie, si realizzeranno anche le altre. Verranno per gli onesti i giorni della tribolazione; verrà il giorno del giudizio, che separerà gli empi dai giusti nella risurrezione da morte; e il Signore metterà da parte per il fuoco non solo coloro che sono fuori della chiesa, ma anche quei cristiani che sono paglia, e per i quali sarà paziente fino all’ultima vagliatura.

Coloro poi che negano con sarcasmo la risurrezione, perché non ammettono che possa risorgere questa carne corruttibile, risorgeranno ugualmente, ma per ricevere il meritato castigo. Il Signore farà loro vedere che, se ha potuto creare i corpi dal nulla, è capace anche di ricrearli in un istante. Tutti i cristiani risorgeranno per regnare con Cristo e saranno trasformati per diventare come angeli. Il Signore infatti ha promesso che saranno come angeli di Dio (cf. Lc 20,36); e lo loderanno senza stancarsi e senza annoiarsi, vivranno in lui e della sua vita, resi partecipi di una gioia e di una felicità inesprimibile.

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«DE CATECHIZANDIS RUDIBUS» LETTERA AI CATECHISTI di Sant'Agostino di Ippona con introduzione e note a cura di GIOVANNI GIUSTI Ed. EDB – © 1981 Centro Editoriale Dehoniano Bologna https://www.canoniciregolari-ic.com/s-agostino-catechesi/


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from ᗩᐯᗩIᒪᗩᗷᒪᗴ

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Chiudete gli occhi e immaginate. Immaginate di essere seduti sul retro di un pick-up, il vento a schiaffeggiarvi i capelli, l’interstate che sfreccia sotto i vostri piedi, il sole buono della primavera a dorare un profondo orizzonte di grano. E immaginate di sdraiarvi in quella distesa di spighe bionde, quando il crepuscolo vi avvolge e voi, col naso all’insù, cercate di dare un nome alle prime stelle che baluginano in cielo. Chiudete gli occhi ancora e spingetevi nella notte silenziosa del Midwest, fino a quel silo là in fondo, dalla cui sommità potrete attendere il brumoso abbraccio dell’alba... https://artesuono.blogspot.com/2016/03/the-pines-above-prairie-2016.html


Ascolta il disco: https://album.link/s/55Ejwo4BcXTkCYCZYzwc8b


 
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from Solarpunk Reflections

Before I start, I want to premise that I'm aware that videogames are built different (literally) from books: game development is not a linear process and instead of coming up with a plot and then “just making it into a game”, it's a back-and-forth process in which the story can change several times in order to accommodate for other needs.

The consequence of this is that it's very common for videogames to end up with staggered plots, unsatisfying arcs, characters that hijack the whole story, others that vanish without explanation and themes that end up half-explored. This is exactly the case of Expedition 33 AHEM, Stray. Of course this is about Stray! I'm talking cats only, I promise.

I think this game could've been a great solarpunk story, but in order to explain why I have to start from the characters and the setting before focusing on the themes. There will be spoilers, so read at your own risk if you plan on playing the game yourself. But I advise against it, and my suggestion is to watch a playthrough instead.

Of cats and robots

The game opens with this little cat clowder that roams some post-industrial (post-apocalyptic?) wilderness, until one gets hurt and falls into the sewers. That's you, and you need to find your way out of this mess in order to get back with your siblings. Sounds quite straightforward, right? Keep this in mind.

The point of having a cat as a main character is, of course, to allow the player to do cat things. Mess around with stuff, be annoying to people, wander wherever, be cute and chaotic. This is sort of effective, but for me the feeling lasted about two hours into the game before going back to the usual quest system in which you need to help characters with their errands. There are no rats to chase around (despite roaming filthy abandoned sewers several times), nor nasty dogs to run away from. If the main idea was to roleplay as a cat in a broken world without humans, half of the interesting cat things to do are nowhere to be seen.

Among these errands, you meet B12, a drone animated by a human consciousness that talks all the time, translates things around you and hacks things that a cat can't. And in case you're wondering why would a cat need to hack things, well that's because B12 immediately becomes the main quest, even though you have no reason to care about him or the past he's hazily talking about. He just latches onto you (with your visible discomfort upon being forced to wear the backpack) and from that moment on he's guiding you around for his own sake. As soon as you meet B12, the story stops being about you, the cat and it becomes all about helping B12, the former human, regain his memories (which by the way only matter to him and none of the characters you've met up until that point).

Now, this dynamic of a silent protagonist with a flamboyant robot companion is not new to fiction, and it's been done in videogames a number of times; just think of superstars like Portal's GlaDOS and again Portal 2's Wheatley. And I love robot characters in general, from R2D2 to Wall-E, Bender and back to K-2SO and L3-37.

The issue with B12 is that... he's not nearly as interesting. His personality is flat and wholly centered on who he used to be; he only either babytalks tasks to you or yaps about his past as a human (in a game where the point is not finding out what happened to the humans, because you're a cat, not an archaeologist!). A past that is not very interesting either, since eventually you learn it's a milquetoast “tragedy” of being separated from his family. The lamest and lowest-effort backstory one could come up with in such a setting, really.

There are other characters along the way (Momo, Clementine, Doc, Zbaltazar most notably), which I enjoyed more because of their drive to reach a forbidden “Outside” that you inadvertently reignite in them. Since abandoning their common pursuit (they had formed a gang called “The Outsiders”), they dedicated themselves to different activities and it shows that each of them is unique and has a life beyond their former main purpose. I wish I could've interacted more with them, instead of relegating them to supporting characters that act only as stepping stones to move you to the next part of the City.

So in order to understand why this “pursuit of the Outside” is so important to them, I need to spend a few words on the setting.

Outside in

At first glance, the overall setting is definitely cyberpunk and postapocalyptic: a dark, walled city hosts the remnants of human culture, only populated by robots and aggressive bioengineered creatures. Decaying buildings, half-functioning robots and flickering, low-power neon signs.

But inside this hellscape there are glimmers of solarpunk: the Outsiders yearn(ed) to find a way to the world beyond the walls, and even the robots who don't share their dream have managed to build a self-sufficient and peaceful community that endures against all odds: the Slums. Among the ruins, these robots make music, collect books, tend to plants, repair devices and do knitwork for each other. This is one of the most solarpunk settings I've encountered in any videogame: under the cyberpunk veneer, there are plenty of solarpunk hieroglyphs (repurposed ruins, bikes, repairing, appropriate tech, tables on the roofs, greenhouses full of life, even a library), if one knows where to look. It's a shame that the devs and writers didn't notice themselves.

The recurring meme around solarpunk (and against it, specifically) is that “there is no conflict”, and yet here we have a stellar, yet neglected, solarpunk conflict laid out before our eyes, two opposite and irreconcilable visions of utopias: the Outsiders on one side, who believe there is a way to reach a world of pristine nature, away from misery and struggle, and everyone else on the other, who want to stay in the Slums and build the utopia right there. I say the devs didn't notice this conflict because if they had, the game could've revolved around these two factions: as a cat, would you value a tight-knit community who can provide for you and to whom you can bring joy and life and cuteness, or the freedom and thrill of wilderness together with your siblings and an adventurous gang of renegade robots? The game never bothers to explore these questions and themes: despite laying out all the pieces in front of us, it does barely anything with them.

Anyway, the story spends a few chapters in the Slum, but since you're not the main character (remember, B12 is), you need to leave the Slums and find the Outside. Full stop. How is going outside related to helping find his memories was not clear at all to me, but it is what it is.

The ending would be dogshit... if only there were any dogs

The chapters in the second half have their own interesting details and other flaws, but the ending is what once again shows the potential of solarpunk without actually delivering on it. And it's all about how it handles (or rather, doesn't) its themes.

Eventually you open up the City's skyvault (why? It was never the goal), and in order to do so B12 sacrifices himself (why? Every time he's interacted with terminals or hacked stuff through the game, nothing dangerous happened to him). This leads to a “heartwrenching”, “heroic” ending in which we're supposed to care about the sudden sacrifice of a character who hijacked the whole story for his personal quest, and then pretended to do something big for all the citizens by opening the skyvault. Let me say this once again, just to make it crystal clear: nobody ever asked you or B12 to open the skyvault. It wasn't a goal, it wasn't a quest, there was nothing that indicated it could've even been a thing.

B12 had a “heroic” sacrifice because the writers wanted the real main character to have a noble ending for everyone else's supposed benefit, even though there was nothing noble about it. B12 went from “I need to carry the memories of humanity with me” (a purpose that he makes up on the spot, since through the whole game he never motivates why he's looking to restore those memories of his) to “oops actually I'm going to die for zero :'(” literally minutes later.

This could've been fixed with an afternoon's work by the writers: had the robots in the Slums and the City yearned to see the sky/sun/stars/clouds, rather than a generic “go outside”, the skyvault opening would've been ten times as powerful and meaningful. Instead we get a three-second clip of some puzzled robots and a fifteen minutes sequence of the skyvault opening in slow-mo. This moment could've been an insanely good thematic ending, had it been set up properly. It screamed wasted potential.

On the other hand, the Outside is never shown. There is nothing about Momo, Clementine, Doc, Zbaltazar and every other robot who fought and struggled and researched their whole lives to get outside; their arcs have no ending. The thing you've chased by playing the whole story is taken away from you, and then the cat just... leaves the city, as if nothing happened. There is no closure. The devs clearly had no idea what could've been outside the city, and yet chose to make half the game about getting there (the other half was collecting B12's mildly interesting memories).

Ah, and remember how the game started? In all this, the game has forgotten the actual premise of the whole story: finding your siblings! There could've been another three-seconds clip where some meowing calls for the cat and it jumps offscene, but no! This would've taken away from the actual main character B12 and his sacrifice, so it can't be allowed. There's even a slight screen flickering, as if to suggest that B12 uploaded himself into the City's system and therefore is still alive. Involuntarily (because the writers don't understand what actually evokes sadness), this waters down his sacrifice even more, as if it wasn't already forced and unwarranted; there are no real losses either.


All in all, the game as a whole is not terrible; it's fun to play and mildly entertaining, but the way the story is conducted and how the themes are botched so badly in the ending, it left me very frustrated.

In another universe, we're still in the Slums, adopted by a newfound, vibrant community that makes its own light in a world that has lost so much.

 
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from L' Alchimista Digitale

La legge della risonanza La legge della risonanza è tanto semplice quanto implacabile: tutto ciò che fa parte della nostra vita è il riflesso fedele di ciò che risuona dentro di noi. In altre parole, il mondo esterno è una specie di eco interiore: risponde solo alle frequenze che emettiamo. Un esempio elementare ma geniale è quello del diapason: vibra soltanto se incontra un suono identico alla sua frequenza naturale. Non si muove per capriccio, non reagisce al primo rumore che passa. Ha bisogno di un tono preciso, familiare. Lo stesso accade con una radio: se trasmette in FM, non potrà mai ricevere un segnale AM, per quanto forte o insistente. Le onde non si incontrano, semplicemente si ignorano. Ebbene, l’essere umano non è né un diapason né una radio (anche se a volte sembriamo avere la stessa testardaggine delle vecchie manopole analogiche). Tuttavia, anche noi abbiamo bisogno di vibrare alla giusta frequenza per entrare in sintonia con qualcosa o qualcuno. Ognuno di noi percepisce solo ciò che è capace di risuonare dentro di sé. Tutto il resto… passa come un segnale disturbato. Prendiamo un esempio quotidiano: stai leggendo un libro e sei convinto di capirlo alla perfezione. Ma in realtà ne cogli solo la parte che corrisponde al tuo stato di coscienza in quel preciso momento. Poi, anni dopo, lo riprendi in mano e ti accorgi che non era lo stesso libro. In realtà, sei tu a essere cambiato: la tua frequenza interiore si è espansa e ora riesci a captare sfumature che prima non percepivi. La risonanza, dunque, non è fuori, ma dentro di noi. È la chiave che apre la porta delle percezioni interiori, il segreto per decifrare ciò che crediamo di vivere “fuori”. Il mondo esterno – quello dei semafori, delle bollette e delle notifiche – non è altro che uno specchio che riflette il nostro paesaggio interiore. Guardarlo senza guardarci dentro è come tentare di cambiare un film agitando il telecomando davanti allo schermo spento. Eppure, continuiamo a farlo. Siamo ciechi e sordi, non per mancanza di sensi, ma perché fissiamo con ostinazione l’esterno sperando che si aggiusti da solo. La buona notizia è che possiamo modificare la realtà senza usare la forza bruta, semplicemente cambiando la nostra frequenza interiore. È un lavoro di sintonia, non di conquista. Quando ci riusciamo, succede qualcosa di sorprendente: il mondo sembra obbedirci. E non perché abbiamo acquisito poteri magici, ma perché finalmente trasmettiamo e riceviamo sulla stessa lunghezza d’onda. E allora sì, possiamo gridarlo con entusiasmo: Eureka! Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo imparato ad accordarci con la vita, a far suonare le nostre corde come un’orchestra armoniosa invece di un concerto stonato di lamentele e casualità. La risonanza è un campanello d’allarme, ma anche un invito gentile: ci ricorda che ciò che vediamo fuori è la copia conforme di ciò che vibra dentro. Sta a noi scegliere se restare fuori sintonia o girare la manopola giusta. Che sia AM o FM, poco importa. L’importante è esserci, ascoltare, e continuare a vibrare con consapevolezza. Perché, alla fine, la vita è una frequenza che aspetta solo di essere sintonizzata.

L'Alchimista Digitale ©

 
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