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from lucazanini

[stime]

l'occhio sta nelle casistiche un fusibile] un mucchio di più fanno] sapere cosa che osserva nel suo diminuito nel continuo sfibrarsi fino] [nota che non si può parlare in occasioni come capitali conto magazzino] cose che non osserva sperano] l'udito la sua] evoluzione si definisce si [comprime] esce il fotoromanzo in epoca disadatta per poca] manutenzione l'ibrido la cilecca un uomo] di lettere tedesco trapiantato in Inghilterra fanno] la parte la fila

 
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from Cambiare le cose

#riflessioni #25aprile

Abbiamo postato uno short su YouTube per il 25 aprile. Cosa c'entra col nostro canale? Noi facciamo esperimenti divertenti, mica ci occupiamo di queste cose... L'ho fatto perché sono stanco di non occuparmi di queste cose, perché non voglio restare a guardare mentre certa gente prende una ricorrenza che unisce tutti quanti e la trasforma in uno strumento di propaganda, la svilisce nel suo significato, la fa diventare un argomento per creare nemici, quando invece esiste per ricordarci che i nemici erano altri e – a quel tempo – finalmente sconfitti. Ma voi non vi occupate di politica... è vero, e infatti questa non è politica. tricolore Celebrare il 25 aprile non significa avere un colore, vuol dire averne tre, quelli di una bandiera che ormai conta solo durante le partite di calcio, e soprattutto non avrene uno, quel nero del momento più oscuro della nostra storia. Vuol dire omaggiare la patria, ma non quella a cui pensano certe persone, fatta di nemici a ogni angolo, di confini chiusi, di donne a casa e uomini zitti a lavorare. Vuol dire omaggiare la patria che è la propria casa, rappresentata da uno stato che ti accoglie, ti protegge, ti fa sentire al sicuro e ti garantisce la libertà. Uno stato dove possiamo dire ciò che pensiamo ed essere come vogliamo senza la paura di prendersi una manganellata perché siamo dal lato opposto di chi governa, perché la nostra pelle è della sfumatura sbagliata, o perché ci piacciono gli uomini invece che le donne o le donne invece che gli uomini. Celebrare il 25 aprile è ricordarsi cosa può succedere se lasciamo che ci creino nemici dove non ci sono, se ci facciamo instillare la paura del diverso per controllarci meglio, se non ci preoccupiamo perché tanto riguarda loro e non me. Se pensiamo che il benessere venga prima della libertà e accettiamo che l'ignoranza sia il giusto prezzo da pagare perché nessuno venga a pestare i piedi nel nostro orticello. Celebrare il 25 aprile vuol dire riconoscere che dopotutto un papa morto non è un affare così importante per uno stato laico e che la possibilità di blaterare sui social, in TV e sui giornali senza che qualcuno venga a prenderci e farci sparire ce l'hanno garantita proprio le persone che ottant'anni fa il 25 aprile l'hanno reso possibile. E, per quanto possa dar fastidio, celebrare il 25 aprile vuol dire anche assicurare la possibilità di esprimersi a chi il 25 aprile vorrebbe cancellarlo. No, non si tratta di politica. Si tratta di essere persone civili.

 
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from ᗩᐯᗩIᒪᗩᗷᒪᗴ

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Ovunque proteggi è il sesto album in studio del cantautore italiano Vinicio Capossela, pubblicato nel 2006 dalla Atlantic/Warner Music. Oltre ad aggiudicarsi la Targa Tenco nel 2006 come migliore album, viene votato, nel 2007, secondo miglior album del 2006 nella categoria “world”, dalla rivista Mojo, dietro a Savane di Ali Farka Touré. L'album è presente nella classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre secondo Rolling Stone Italia alla posizione numero 6[3]. È stato presentato il 20 gennaio 2006 nella Chiesa di San Carpoforo a Milano. Registrato nel 2005 prevalentemente nelle Officine Meccaniche di Mauro Pagani, è stato pubblicato a quasi sei anni di distanza dal precedente Canzoni a manovella, sebbene ne sia radicalmente differente. Tra il 2000 ed il 2006, infatti, le uniche uscite del cantautore irpino furono la raccolta L'indispensabile nel 2003 e il libro Non si muore tutte le mattine nel 2004. Nel 2003, a Cabras, iniziarono inoltre le sessions di Canzoni della cupa, ultimate solo nel 2015. Per Ovunque proteggi, l'album è scritto e diretto da Vinicio Capossela, mentre la produzione artistica è ancora insieme a Pasquale Minieri, ex-Canzoniere del Lazio. Inoltre è il primo album in cui Taketo Gohara lavora come tecnico del suono, ma solo in alcune tracce. La copertina e le grafiche dell'album rappresentano Capossela in pelliccia e, nel libretto, con indosso la maschera sarda del su boe, che indosserà sul tour di promozione del disco nei panni del Minotauro (vedasi Brucia Troia). Alcune canzoni, come S.S. dei Naufragati, sono apparse già in precedenza.


Ascolta: https://album.link/i/1478771468


 
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from norise

FELICE SERINO

POESIE

LA COMPOSIZIONE DELLA LUCE (2015)

106 L'INDEFINITO

è nello spazio delle attese nel bianco del foglio nel buco nero del grido di munch

l'indefinito è nell'aprirsi del fiore nel fischio del treno in un lancinante addio nell’intaglio dello scalpello su un marmo abbozzato

l'indefinito è in noi sin dallo strappo di sangue della nascita

107 ANCORA A SORPRENDERCI

dici non siamo che ombre al sole della morte indossiamo l'inverno di un corpo caduco

ma dai muri il verde grida in folti ciuffi e gli alberi si cambiano d'abito e al guaiolare dei gatti s'affaccia pettegola la luna

ancora a sorprenderci in fermento la vita

e tu che vai filosofando

108 SEI ALTRO

forse meglio l'attesa a dipanare e sdipanare le ore che l'appagamento senza più desideri: il libro di poesie fresco di stampa fra le mani e ti ritrovi ora in una sorta di vortice le parole vive strappate all'anima vagano leggere non più tue ma del mondo mentre tu sei altro

109
VELE

acqua mutata in vino perché continui la festa

così al banchetto del cielo con l'Agnello sacrificato acqua e sangue dal Suo costato dal sacro cuore vele le vele rosse della Passione nella rotta del Sole per gli erranti della terra

110 NELLA FRAGILITA' DEI GIORNI

un sé perduto nella fragilità dei giorni e questa insaziabilità dell'anima da vivere come una croce

laghi d'occhi vaganti in cieli di spleen sull'eco d'un io espanso

e in sé disperso

111
MAREMONDO

gettato dentro il maremondo a masticarmi kronos

avevo smesso di capriolare in quel naturale mare materno

tornerò ad essere un grumo appena

come quando impastato di una luce di mistero mi fondevo col respiro del cosmo

112 SOGNO TRAVESTITO

dove generi giorni dissipati dove non ti travolgano le acque del dolore la realtà è sogno travestito da clown dal perenne riso -dietro la maschera una tristezza che invade

113 QUI CI STA BENE UNO SPAZIO

ecco vedi la poesia deve respirare nascendo dal bianco innalzarsi come cresta d'onda per poi immergersi fino allo spasimo in profondità d'echi e ancora su con lo slancio felice d'un enjambement

vedi la poesia è una tipa selettiva sfoglia scandaglia spoglia immagini le riveste a sua somiglianza

porta sogni e nuvole al guinzaglio

114 LA POESIA

in luce di sogno ti seduce la vita altra

nella dimora del sangue veleggiano navi di nuvole

un ventaglio di palpiti apre la casa della mente

115
NELL'INFINITO DI NOI

(visione)

abbracci senza mani di corpi immateriali

i nostri volti unificati

noi fatti d'aria

tu ed io

una sola persona

116 IL POSTO RISERVATO

chi mai ti toglierà quel posto da Lui riservato secondo i tuoi meriti altro è la poltrona accaparrata a sgomitate trespolo che pur traballa come in un mare mosso finché uno tsunami non la rovescia la vita

117 LE VENE CARICHE DI NOTTI

(stato depressivo)

le vene cariche di notti a carpire vertigini all'abisso

laddove è a confondersi col sogno la vita

il tuo imbuto a risucchiarti

118 ECHI D'INFANZIA

bacia il sole immense distese a maggese

così anche il cuore in fioritura

con l'eco dei gridi di ragazzini a frotte tra sciabolate di luce

vedermi uscire dal ricordo nell'agitarsi in quella corsa dei grembiuli come ali in voli bianchi verso casa

119 NELL'INQUIETO MIO CIELO

[ispirandomi alla figura di Giobbe]

nell'inquieto mio cielo ferite gridano il Tuo nome

disseminato altrove fiorirà il mio spirito

sì fiorirà

come nel cuore della pietra la Bellezza di angelica veste

120 AL CROCEVIA DEI VENTI

(la fatica dello scrivere)

magari ti soccorra una voce fatta carne scavata nel sogno complice la luna

una quasi presenza al crocevia dei venti

121 GOCCE DI SOGNO

navigare di nuvole pigre nel cielo della mente da queste aspettarti quasi sprizzino gocce di sogno come da mammelle

come nasce una poesia ti chiedi e inatteso ti si offre un appiglio in quel dondolarsi del bambino al parco

ti lasci condurre come un cieco e non sai mai dove ti porta poesia

122 L'ALTALENA

è poesia quel dondolarsi del corpicino quasi fatto d'aria e avvertire l'alone di mistero nella figura del nonno dietro il giornale -il confondersi delle lettere all'occhio attento

nel suo sangue un tripudio d'azzurro nell'affacciarsi l'emozione di giovani voli

123 DA MONDI DI VETRO (visione)

da mondi di vetro mi giungeva il respiro di cieli anteriori dov'ero sollevato su ali d'aquila dimora del mio centro luce del sangue lì custodita in comunione col palpito degli astri

124 LA CASA DELLE NUVOLE

cieli d'acqua e cavalli d'aria

lì custodisco ore sfilacciate e segrete pene -oh giovinezza di deliri e notti illuni

lì dove il turbinio degli anni è rappreso in un palpito che nell'aria trema

125 LA PENNA NELLA LUCE

(ad un agnostico)

e tu a ripetere non credo nei miracoli tutte balle ma se sei in vita è già un miracolo sai che si perpetua nell'oltre

glissando sul tuo intercalare io t'intingo la penna nella luce scrivo per Dio e la sua gloria

tu segui pure le tue ombre fantasmi che ti succhiano la vita

126 LUNA PARK

ride la piccola Margot alle smorfie del papà che si rade “suvvia ti porto alle giostre” e lei s'illumina di gioia e poi a cavalcioni sulle larghe spalle nella fantasmagoria delle luci

un po' ci si attarda nell'aria ancora calda di fine settembre
riverbera una miriade di stelle negli occhi innocenti mentre le nasconde il resto del viso una montagna di zucchero filato

127
L'ORA CHE DALL'ALTO

l'ora che dall'alto giungerà come un ladro ti troverà a mani vuote e cosa dunque Gli offrirai se non lune lacerate dai cani della notte e capestri di nebbie nel delirio dei giorni e vomiti esiziali di una vita in perdita

128 AGLI OCCHI DEL CIELO

agli occhi del cielo padrone dei tuoi beni sarà la ruggine

quando avranno rovesciato i tuoi forzieri gli angeli della morte

e tu non avrai più nome

allora la tua casa vuota sarà preda della gramigna e di avvoltoi affamati

mentre a essere elevato sarà il plebeo che condivideva il pasto coi cani

129 LETTERE AMO INDORARE

finché loro ci sono e hanno le mani nel sangue quasi presenze

percezioni inconsce a ravvivarle come in padella a fuoco vivo galleggianti in olio bollente dagli scoppiettanti schizzi

insieme a parentesi a guisa di unghie-di-luna appena scottate

ecco che il cuore madido di luce ci si nutre

invaghito di lettere appena pescate dall'inferno dell'olio

130
ALLUCINATE VISIONI

la sensazione di cadere in un vuoto vertiginoso

ma si era soltanto assopito

le voci confuse della tivù si fondevano con le sue allucinate visioni di fosfeni

più netta la linea di demarcazione

ora che la sua testa emergeva come da alti muri d'acqua

131
MUNCH

nel buconero del Grido spiralante la vertigine

la raccolgo dentro un foglio

vedi

pesco sogni di ragno rimasti nell'intreccio della tela

132 RICORDO UN ANGELO

da piccolo ricordo un angelo raffigurato al soffitto

con lui mi confidavo quando la febbre mi teneva a letto

nell'azzurra volta trovavo altre nuove figure lassù nascoste mute testimonianze di mie visioni

così passavo le ore pomeridiane mentre una lama di luce cadeva obliqua dalle socchiuse persiane

133 FIORE NERO

l'avvicendarsi degli anni a cogliere il nero fiore della morte

i figli emigrati in cerca di eldorado

e l'anima che ha perso pezzi del suo cielo

trasudano presenza della tua metà le fredde pareti e

le lettere d'amore ingiallite nel fondo del baule

134 L'INESPRIMIBILE

questo rebus che sei intreccio d'anima e istinto sul bordo del tempo vago sogno in te specchiato l'indefinito di te

un sé dilatato in cieli ancestrali dove l'esistere è il suo pensarsi

135 LUCE AL TUO PASSO

(ad un figlio)

reinventati la vita

non t'accorgi d'essere vivo per apparire

dai una mano di bianco alla tua anima d'autunno

migliora la tua aura

fermati estatico davanti ad un volo o l'esplodere gemmante di un fiore

ringrazia il Signore

fai pace con la vita che mordi e ti morde

è luce al tuo passo l'angelo che sulle tue orme cammina

136
IL TUO SANGUE CHE VOLA ALTO

(a Madre Teresa)

non ombra che occulti la tua anima di piccola donna immensa come il mare specchio alla bellezza

la verità è il tuo sangue che vola alto planando su celestiali lidi

oltre

le sere che chiudono le palpebre sul cerchio opaco del male

non v'è ombra a coprire il grido di luce in te gemmante

137 SGUARDI E IL TRACIMARE

sguardi e il tracimare di palpiti alle rive del cuore

aria dolce come di labbra incanutire di fronde nella liquida luce

138
FLEBILI ECHI DI CONCHIGLIA

fai che voltarti alle spalle ampie aperture d'un livido cielo dove gorghi hanno succhiato linfa ai molteplici io

ancora flebili echi di conchiglia dal mare aperto dei ricordi che il sogno criptato fa suoi

139
FINESTRE D'ARIA

fa strano guardarlo mentre il bacio deponi come su freddo marmo

dici sembra dormire

se immagini di aprirgli la spaziosa fronte vedresti attraverso finestre d'aria

come uccelli aleggiare alfabeti felici che dicono l'inesprimibile

140 FINE ANNO

semmai un aggancio la mano del vicino ora che un senso di sperdimento è la vita rivoltata ma le volte che vi hai sputato

girovagare tra luminarie e vetrine ti richiamano all'incanto del bambino mentre ti lacera dentro la morte del clochard sotto i portici nel gelo

141
SOGNO DI CARTA

alti muri di carta laceri strati e strati senza via d'uscita labirinti mentali ove galleggiano improbabili parole e voci bagaglio d'un viaggio kafkiano

142
MI PIACE IL TUO GARBO

(a mia moglie Angela)

ora dici mi piace ancora il tuo garbo e un pizzicotto mi chiedi per vedere se non è un sogno nel letto abbracciati nel dolce tepore l'attesa che salga la luce e c'inondi grati al cielo d'essere insieme sembra anniluce o primavere scandite che han visto le nostre tenerezze i silenzi

143
POESIA SI FA

è che poesia si fa da sé nel seme del suo autocrearsi

è nella danza del calabrone sul fiore nel gioco della luce con l'ombra attaccata ai piedi nelle parole bagnate in un lancinante addio

casa della poesia è dove nasce l'onda la radice del vento il volo aquilonare è vedo non vedo in una grazia velata

poesia è la bellezza che tiene in scacco la morte

144 CASA DI RIPOSO

sono io oggi ad imboccarti al pomeriggio poi il solito giro nel viale lo scricchiolio delle ruote sul selciato gli alberi vedi han perso la bella chioma ed è ancora clemente il tempo tu adagiata in una smarrita indolenza riflesso
nei tuoi occhi il cielo t'asciugo con garbo un filo di bava lucente ora che non hai più voce mi giunge eco di madre mangia se stesso chi non si dà

145
FUNAMBOLI

metti noi due guardali in bilico sulla corda tesa dell'esistere a contare gli anni come grani nelle curve dei silenzi gli abbagli nel vuoto del cielo lo sporgersi sul tempo che viene

e le cicatrici di luna nelle primavere risalendo in luce da inverni amari di catarro e croci

146 SE GRATTI L'ARGENTO

[ispirata leggendo “Finzioni”, di J. L. Borges]

paradosso temere di sparire se gratti l'argento dello specchio

quasi non t'appartenessi

realtà sfumata nel mistero

non sei che parvenza sognata da un dio

nell'insondabile suo cielo d'esagoni e sfere

147 LUCE D'AMORE

carne che presto si dissolverà nell'aria occhi che rideranno al cospetto dell'Assoluto

il tempo è breve delle ombre allungate sul cuore

invaderà tutto l'essere quella Luce che addenti

148 POESIA TI LIBRI

dal sangue un nascere d'ali poesia ecco ti libri in verde cielo d'alfabeti dove l'anima si ascolta e la vita si guarda vivere

149
ROSA D'AMORE

vita che ti attraversa in un vento di luce

angelicato fiore rosa che si schiude fra cristalli dell'inverno

150
AUSCHWITZ

impigliato il cuore al filo spinato sui prati di sangue

decorati dal fiore dell'urlo mai dissolto nell'aria tremante -grido che cammina nella memoria della storia

coperto dal velo di pietà

 
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from 📖Un capitolo al giorno📚

PREGHIERA PER LA RINASCITA D’ISRAELE 1 Al maestro del coro. Su “Il giglio della testimonianza”. Di Asaf. Salmo.

2 Tu, pastore d'Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge. Seduto sui cherubini, risplendi

3 davanti a Èfraim, Beniamino e Manasse. Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci.

4 O Dio, fa' che ritorniamo, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.

5 Signore, Dio degli eserciti, fino a quando fremerai di sdegno contro le preghiere del tuo popolo?

6 Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza.

7 Ci hai fatto motivo di contesa per i vicini e i nostri nemici ridono di noi.

8 Dio degli eserciti, fa' che ritorniamo, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.

9 Hai sradicato una vite dall'Egitto, hai scacciato le genti e l'hai trapiantata.

10 Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici ed essa ha riempito la terra.

11 La sua ombra copriva le montagne e i suoi rami i cedri più alti.

12 Ha esteso i suoi tralci fino al mare, arrivavano al fiume i suoi germogli.

13 Perché hai aperto brecce nella sua cinta e ne fa vendemmia ogni passante?

14 La devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna.

15 Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna,

16 proteggi quello che la tua destra ha piantato, il figlio dell'uomo che per te hai reso forte.

17 È stata data alle fiamme, è stata recisa: essi periranno alla minaccia del tuo volto.

18 Sia la tua mano sull'uomo della tua destra, sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte.

19 Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.

20 Signore, Dio degli eserciti, fa' che ritorniamo, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.

_________________ Note

80,1 Divisa in cinque brani ritmati da un ritornello, questa lamentazione collettiva sembra avere come sfondo la caduta della città di Samaria (avvenuta nel 722) sotto i colpi dell’esercito assiro (vi alludono i vv. 2-3).

80,2 cherubini: raffigurazioni di animali alati che sostenevano l’invisibile trono di Dio.

80,3 Èfraim e Manasse: le due principali tribù del regno di Samaria. A esse talvolta viene unita la tribù di Beniamino.

80,12 al mare... al fiume: Mare Mediterraneo e fiume Eufrate, confini ideali della terra d’Israele.

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Approfondimenti

Supplica al pastore d'Israele per la vigna devastata Supplica collettiva

La comunità d'Israele, per bocca del salmista, prega insistentemente il Signore «pastore d'Israele» (v. 2) di intervenire (vv. 2-4) nella difficile situazione della nazione, venutasi a creare in seguito a una grave sciagura o a una sconfitta militare, impossibili a precisarsi (v. 17). Le ipotesi di datazione del salmo vanno dall'XI sec. all'epoca maccabaica (II sec.). Il salmo è arcaizzante più che arcaico. Strutturalmente è suddiviso in cinque parti da un ritornello, che si ripete quattro volte, di cui tre nell'identica forma (vv. 4.8.20) e una in forma diversa (vv. 15-16). Nell'insieme è abbastanza armonico e si sviluppa in un'atmosfera serena di meditazione sui rapporti d'Israele con il Signore e sul suo ruolo nel consesso dei popoli. Il simbolismo è pastorale, agricolo, militare e antropomorfico.

Divisione:

  • vv. 2-4: invocazione iniziale e antifona;
  • vv. 5-8: situazione presente e antifona;
  • vv. 9-16: allegoria della vigna e antifona;
  • vv. 17-20: fiducia nell'intervento divino, promessa di fedeltà e antifona.

v. 2. «pastore d'Israele»: l'immagine di Dio pastore è diffusa nella Bibbia (cfr. Sal 23), tuttavia il titolo «pastore d'Israele» è un hapax (ma cfr. la citazione dubbia di Gn 49,24). «Giuseppe»: rappresenta le tribù del Nord, specificate meglio nel v. 3. In parallelismo con Israele nello stesso versetto richiama l'intero Israele. «Assiso sui cherubini»: è un antico titolo di Dio legato al culto dell'arca dell'alleanza (1Sam 4,4; 2Sam 6,2; Sal 18,10-11).

v. 3. «Efraim, Beniamino e Manasse»: Efraim e Manasse rappresentano le tribù del regno separato del Nord. Efraim e Manasse sono i figli di Giuseppe, adottati come figli di Giacobbe (cfr. Gn 48), mentre Beniamino era il suo fratello prediletto, figlio della stessa madre Rachele. La menzione di Beniamino, tribù del Sud, sta a sostegno dello spirito unitario del salmo.

v. 4. «fa' splendere il tuo volto»: è il primo ritornello del salmo. Lo splendore del volto di Dio su qualcuno è un'immagine antropomorfica. Indica benevolenza, salvezza, pace... cfr. Nm 6,25-26; Sal 4,7.

vv. 5-8. Con l'espressione «fino a quando», tradizionale nelle “Suppliche” (Sal 13,2-3), si introduce la lista dei mali che affliggono Israele. La causa è fatta risalire a Dio stesso.

v. 8. «Rialzaci, Dio degli eserciti...»: è la seconda ripetizione del ritornello. Dopo l'esposizione dei motivi (vv. 5-7) la supplica diventa più appassionante e urgente.

vv. 9-16. Con la nota allegoria della vigna (cfr. Is 5,1-7) si delinea la storia delle premure di Dio per il popolo d'Israele. Ciò serve come motivo di persuasione per il Signore a intervenire nuovamente in difesa del suo popolo. Come in Is 5,1-7, anche qui si suppongono due movimenti: l'uno positivo (premure di Dio per la sua vigna) (vv. 9-12) e l'altro negativo (abbandono della vigna nelle mani degli invasori stranieri) (vv. 13-14). I vv. 15-16 riportano il ritornello in parte variato rispetto ai vv. 4.8 e più sintonizzato al tema della vigna.

v. 16. «il ceppo che la tua destra ha piantato..»: è un antropomorfismo. Dio è tratteggiato nelle vesti di un vignaiuolo premuroso, che con le sue stesse mani pianta la vite.

vv. 17-20. Il salmista rievoca il dramma presente e lancia una maledizione per i nemici che hanno causato il disastro (v. 17); chiede al Signore di proteggere l'attuale capo responsabile del popolo che non ha il titolo di re, né altro appellativo, ma è sostenuto dal Signore (v. 18). Il ritornello finale (v. 20) esprime ora sicurezza nell'esaudimento del Signore e gioia nella salvezza.

v. 18. «uomo della tua destra»: più che un'allusione a «Beniamino» (= figlio della destra: cfr. Gn 35,18) o a un beniaminita (Saul, cfr. 1Sam 9,1), o al re Amasia, o a Zorobabele, una guida del ritorno da Babilonia (Ag 1,1; Esd 3,1), si pensa ad un personaggio indeterminato che Dio ha scelto e fortificato per un'impresa o per un incarico straordinario (cfr. Gs 1,6-9; Sal 89,22).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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from cosechehoscritto

[diario dall'influenza]

Le cose si rompono, passano di stato. Lentamente la tastiera del Macbook sta perdendo sensibilità, dopo un decennio di vita premo le i e le o e non esce niente. La tastiera dell'ebook reader invece è impazzita, premo un tasto ed escono due caratteri, uno coerente con quello che ho scritto e l'altro lontano, tasti in là. Chissà cosa si è rotto. Quale parte infinitesimale dell'elettronica prodotta chissà dove si è fulminata, quale pista scollegata, che tensione. In pratica le macchine che usavo di più per scrivere in mobilità sono andate. Ora sto scrivendo con l'ebook reader e una tastiera meccanica esterna. Non è molto portatile.

D'altronde non ho molto da scrivere perché dopo un po' non riesco a continuare. Ho una febbriciattola costante e quando vado a fare qualcosa di impegnativo mi si tappano le orecchie e inizio ad avere delle vertigini, sudore. Le cose si rompono. Devo fare cose brevi e fare pause. Riposare. Prendere medicinali. Pensare, usare l'immaginazione che – dicevo ieri con qualcuno – è tanto terribile e ci fa soffrire, quanto salvifica. Ci vuole una parte di immaginazione per immaginare il mondo. La nostra piccola traduzione del mondo. Due citazioni, allora, da due libri che sto leggendo.

”(È necessaria) una trasformazione della scienza in generale in senso estetico, imparando a riconoscere una bellezza che è rappresentata dalle forme di interconnessione nell’ecosistema (...). Gli attori del sistema trasportano le informazioni da una parte all’altra della rete, e per farlo traducono. Traducendo abilitano la coesistenza, adattano il messaggio”. La rete quindi, non è neutra, noi non trasmettiamo informazioni con il nostro ripeterle, condividerle, ma attuiamo una traduzione di quello che prendiamo e – traducendo – trasformiamo anche noi stessi. Ora, dall'altro libro:

“Noi non viviamo nella realtà, ma nelle nostre rappresentazioni della realtà. Forse abbiamo il dovere di chiudere gli occhi e occultare certe cose come nascondiamo le funzioni naturali. (...) Un uomo non lo si conosce mai, si conoscono solo le rappresentazioni sue e di altri su di lui, ma, mutando tali rappresentazioni, l’immagine si fa poco nitida e velata”. Sembra un capitolo dello stesso libro, e invece il primo è di pochi anni fa, La Cura, mentre il secondo sono i Libri Blu strindberghiani. Non dicono la stessa cosa, ma parlano dello stesso argomento. In realtà noi variamo continuamente le rappresentazioni di quello che abbiamo attorno. Più variamo più abbiamo possibilità di sopravvivere.

C'era questo test fatto pochi anni fa, ne avevo già scritto, relativo all'amigdala. A un gruppo di bambini insegnano un gioco e a metà del gioco cambiano le regole. Un gruppo si bambini si adatta facilmente alle nuove regole, un altro gruppo no, continua a voler giocare con le regole precedenti. Conservatori e non. Alla fine si scopre che i bambini del primo gruppo hanno l'amigdala di dimensione e consistenza simile, così come il secondo gruppo. Alla fine la morale e l'etica deriva da un pezzo di carne. O viceversa: è come vediamo il mondo che muta la composizione del nostro corpo.

Basta, mi fischiano le orecchie, vado a fare il pane.

 
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from 📖Un capitolo al giorno📚

LAMENTO SU GERUSALEMME RIDOTTA IN MACERIE 1 Salmo. Di Asaf.

O Dio, nella tua eredità sono entrate le genti: hanno profanato il tuo santo tempio, hanno ridotto Gerusalemme in macerie.

2 Hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, la carne dei tuoi fedeli agli animali selvatici.

3 Hanno versato il loro sangue come acqua intorno a Gerusalemme e nessuno seppelliva.

4 Siamo divenuti il disprezzo dei nostri vicini, lo scherno e la derisione di chi ci sta intorno.

5 Fino a quando sarai adirato, Signore: per sempre? Arderà come fuoco la tua gelosia?

6 Riversa il tuo sdegno sulle genti che non ti riconoscono e sui regni che non invocano il tuo nome,

7 perché hanno divorato Giacobbe, hanno devastato la sua dimora.

8 Non imputare a noi le colpe dei nostri antenati: presto ci venga incontro la tua misericordia, perché siamo così poveri!

9 Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, per la gloria del tuo nome; liberaci e perdona i nostri peccati a motivo del tuo nome.

10 Perché le genti dovrebbero dire: “Dov'è il loro Dio?”. Si conosca tra le genti, sotto i nostri occhi, la vendetta per il sangue versato dei tuoi servi.

**11v Giunga fino a te il gemito dei prigionieri; con la grandezza del tuo braccio salva i condannati a morte.

12 Fa' ricadere sette volte sui nostri vicini, dentro di loro, l'insulto con cui ti hanno insultato, Signore.

13 E noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo, ti renderemo grazie per sempre; di generazione in generazione narreremo la tua lode.

_________________ Note

79,1 Accorata lamentazione collettiva, che sgorga dalle labbra del popolo, testimone della caduta e della distruzione della città santa, ma anche di altri eventi dolorosi di cui è costellata la storia d’Israele (i vv. 2-3 vengono citati in 1Mac 7,17, durante la persecuzione siro-ellenistica). Lo sfondo sembra quello della distruzione di Gerusalemme e della profanazione del tempio da parte dell’esercito babilonese, nel 587.

79,1 eredità del Signore: la terra promessa e, più in particolare, Gerusalemme con il suo tempio.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Lamento e supplica Supplica collettiva

Il salmista, interprete della comunità orante d'Israele, si richiama alla triste e perdurante situazione della città santa, verificatasi dopo la distruzione di Gerusalemme del 587 a.C., e supplica il Signore di intervenire. Pur formando con i Sal 44; 77; 102 un gruppo omogeneo, il nostro salmo si distingue da essi per la chiara confessione del peccato. Il carme è di carattere antologico; è lineare e poco originale. È stato composto probabilmente durante l'esilio o nell'immediato postesilio. Il testo ebraico trasmesso è sostanzialmente buono. Il ritmo, dato il carattere composito, è vario. Le domande retoriche del v. 5 e del v. 10 dividono il salmo in tre strofe. Nella prima strofa prevale il simbolismo militare.

Divisione:

  • vv. 1-4: lamentazione sulla situazione attuale;
  • vv. 5-9: I interrogativo, imprecazione, implorazione;
  • vv. 10-13: II interrogativo, imprecazione, implorazione, ringraziamento.

vv. 1-4. La lamentazione riguarda la profanazione del tempio e la distruzione di Gerusalemme da parte dei pagani (gôyim) (v. 1), la strage susseguita (vv. 2-3), gli scherni e i danni morali subiti (v. 4). Il contesto storico non può essere che la distruzione del 587 a.C. per opera dei Babilonesi, riscontrata anche nelle Lamentazioni.

v. 1. «nella tua eredità»: eredità del Signore è la terra d'Israele (Es 15,17), ma in particolare la capitale Gerusalemme (Sal 48,3). «le nazioni»: in ebr. gôyim. Il vocabolo qui ha anche una connotazione religiosa. Si tratta di persone che «non riconoscono Dio» (cfr. vv. 6.10). Anche se non nominati esplicitamente si tratta di Babilonia e di altri regni circonvicini.

vv. 2-3. «in pasto agli uccelli..»: cfr. 1Sam 17,46; 2Sam 21,10. Tutto denota la tragicità della situazione. L'abbandono dei cadaveri per le strade è segno della mancanza di chi potesse seppellirli, ma anche di massimo disprezzo e maledizione. Geremia (7,33) l'aveva previsto. Questi versetti sono citati esplicitamente in 1Mac 7,17.

v. 5. «la tua gelosia»: il tema ricorre spesso nei profeti e nel Deuteronomio (Sof 1,18; Dt 4,24; 29,19). La gelosia di Dio è simile a un fuoco che divora tutto ciò che incontra. Il salmista chiede al Signore che questo fuoco cambi direzione: da contro Israele, sia indirizzato contro le nazioni empie e peccatrici, che hanno invaso e distrutto il tempio e la città.

v. 10. «la vendetta per il sangue»: Dio è esortato a rivelarsi come «vendicatore del sangue» dei suoi fedeli rivestendo la funzione del difensore (padre o marito), del gō’ēl (Nm 35,19; Lv 25,25-28). Egli infatti è padre e sposo del suo popolo e tocca a lui difenderlo (cfr. Dt 32,43; 2Re 9,6-7).

v. 11. «il gemito dei prigionieri»: il pensiero del salmista va senz'altro ai deportati in Babilonia, il cui clamore continuo e costante sale a Dio (cfr. Sal 137).

v. 12. «Fa' ricadere sui nostri vicini sette volte l'affronto...»: questo secondo appello imprecatorio è più forte del primo. Infatti non si limita alla vendetta della legge del taglione, secondo la giustizia commutativa, ma va al di là. Infatti il «sette volte» si avvicina alla vendetta che Caino teme (Gn 4,15) e che Lamech esercita (Gn 4,24). In realtà, qui l'espressione «sette volte» ha valore retorico per indicare una giustizia esemplare (cfr. Lv 26,18.21.28).

v. 13. «tuo popolo e gregge del tuo pascolo»: cfr. Sal 74,1; 80,2; 100,3. Si esprime la certezza di appartenere in modo del tutto speciale al Signore e si sottintende la fiducia e la certezza che la collera momentanea di Dio passerà.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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from morsunled

2000 Chevy Silverado 1500 Features and Trim Comparisons

The 2000 Chevrolet Silverado lineup brought significant updates to both the 1500 and 2500HD models, refining performance, comfort, and technology. This generation marked a shift toward more robust engineering while maintaining the rugged capability expected from a full-size pickup. Whether buyers prioritized daily driving comfort or heavy-duty towing, the Silverado offered multiple configurations to suit different needs.

Lighting System Improvements Chevrolet enhanced visibility and safety with a new quad-headlight design on the 2000 Silverado. The system is recommended to upgrade with the 2000 Chevy Silverado led headlights for reliable performance in all conditions. Upper trims featured fog lights integrated into the front bumper, improving illumination in low-visibility environments. The rear lighting assembly was also redesigned for better durability and a more modern appearance.

Exterior Design & Styling Chevrolet gave the 2000 Silverado a more aerodynamic yet muscular appearance compared to its predecessor. The front end featured a bolder grille design, with the 1500 models sporting a cleaner, more streamlined look, while the 2500HD emphasized a heavier-duty presence with a larger, more aggressive front fascia. Wheel options ranged from 16-inch steel wheels on base models to 17-inch alloys on higher trims, reinforcing the truck’s rugged aesthetic.

Engine & Performance Upgrades The Silverado 1500 came with several engine choices, including:

4.3L V6 (200 hp) – A fuel-efficient option for light-duty work

5.3L V8 (270-285 hp) – The most popular choice for balanced power and efficiency

6.0L V8 (300 hp) – Available in the performance-oriented SS model

Meanwhile, the 2500HD catered to heavy-duty demands with:

6.0L V8 (300 hp) – Standard on gas models

6.6L Duramax Turbo Diesel (300 hp, 520 lb-ft torque) – A game-changer for towing and hauling

Both models benefited from improved four-speed automatic transmissions, with the 2500HD receiving a reinforced 4L80-E transmission for extreme workloads.

Interior Comfort & Technology Inside, the 2000 Chevy Silverado introduced a more driver-focused cockpit with ergonomic controls and upgraded materials. The LS and LT trims added features such as:

Power-adjustable seats

Premium cloth or leather upholstery

An optional Bose sound system

Overhead console storage

Higher-end models also included dual-zone climate control and an upgraded instrument cluster with improved readability.

Trim Level Breakdown Trim 1500 Features 2500HD Features Work Truck (WT) Vinyl seats, manual windows, basic AM/FM radio Heavy-duty suspension, tow hooks LS Power accessories, upgraded stereo, alloy wheels Enhanced towing package, upgraded interior LT Leather seats, premium audio, chrome accents Heavier-duty cooling system, off-road package SS (1500 only) Sport-tuned suspension, 6.0L V8, unique styling N/A Payload & Towing Capabilities The 1500 maxed out at ~8,800 lbs towing with the 6.0L V8, while the 2500HD could handle ~12,000 lbs with the Duramax diesel. Payload ratings ranged from 1,600 lbs (1500) to 3,900 lbs (2500HD), making the HD variant ideal for commercial use.

Legacy & Buyer Considerations The 2000 Silverado remains a durable and cost-effective choice in the used truck market. The 1500 suits daily drivers and light hauling, while the 2500HD excels in heavy-duty applications. Buyers should inspect transmission health on high-mileage models and verify rust prevention, particularly in cold-weather states.

 
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from norise

FELICE SERINO

POESIE

NELL’INFINITO DI NOI (2015-2016)

LO SGUARDO VELATO

196

LO SGUARDO VELATO

dò i miei “occhi” a quel che passa in questo scorcio di tempo che mi resta d'intenerimento

la stessa luce la losanga sul letto la goccia pendente dal ciglio lo sguardo velato

ora come allora

quando “morte ti colse fior di giovinezza” scrivevo ventenne o giù di lì

-ah ridicolaggini

197

COME SBUFFO DI FUMO

riconoscilo l'hai tirata per i piedi non un'immagine viva che susciti un tuffo al cuore né metafore o enjambements

se spazi nel tuo mondo trovi

-anche un batter d'ali a ispirarti

invece buttata lì

lei dal fondo del bianco grida la immeritata striminzita vita

198

VAGHEZZA D'IMMAGINI

non un appiglio neppure l'aggancio da un sogno

vaghezza d'immagini preavvertite quasi a scivolare di sguincio nella immensità dei silenzi senza il tempo di rubargli l'ultimo fiato

-complice una quasi misterica luce

boccheggia l'anima nell'eco d'un grido come di un frantumarsi di cristalli

199

COLUI CHE INTINGE CON ME

Gesù aveva i suoi “followers” ma per nessuno vorresti la sua fine (in)gloriosa

quale fuoco ti attraversa la carne giuda-di-turno

nel laccio dell'inganno il mondo

la croce è la porta stretta che ha chiavi d'aria

200

QUANTE PICCOLE VITE

(a Iqbal)

tra trame di tappeti e catene lasciò a terra la sua ombra e s'involò

quante piccole vite su di sé per farne una

-indivisa-

la sua firma di sangue su un Sogno immenso

201

SPLEEN 2

brusio di voci

galleggiare di volti su indefiniti fiati

si sta come staccati da sé

golfi di mestizia mappe segnate dietro gli occhi

vi si piega il cuore nella sanguigna luce

202

TROMP-L'OEIL

(l'ispirazione)

nella mezzaluce t'invita l'occhieggiare del trompe-l'oeil

la visione centrata nell'intime corde ti sale da un remoto di ancestrali lidi

IL TUO SPLENDERE

su un remoto di assonnate rive -spiumata di luce l'anima- torna

a far breccia il Tuo splendere

settanta volte sette ho conficcato i chiodi altrettante non basteranno lacrime da versare

sulle Tue luminose piaghe

204

IL PENSIERO VOLA

il pensiero vola

quindi volo

anche se zavorra giù mi trattiene

le invidio tuttavia per quegli ossicini cavi le creature del cielo

noi -peso di terra- ossa come vetro a sbriciolarsi con gli anni

205

NUDITA'

(di un sogno ricorrente)

labirintici corridoi

ti vedi venire contro traversandoti una moltitudine

ti fa strano che non fan caso che giri nudo

poi come un ladro ti trovi a spiare dentro stanze ottocentesche aspettandoti semmai un incontro piccante

206

CHIMERA

vaghezza di nuvole a stracci

tu nella mezza luce mi chiami poesia chimera

mi conforta la tua ala vellutata d'angelo

quando come in sogno visiti le vuote stanze di quest'anima vagante

207

I PASSI ALL'INDIETRO

nell'ora dolente Ti consegno i passi all'indietro le volte che ho svoltato l'angolo davanti all'ingiustizia

al cuore sperso dona corazza di verità senz'alibi

rivestimi Signore con veste di fuoco

208

AUSCHWITZ

il velo della memoria in luce di sangue si ravviva

è fiore che s'apre nell'urlo

209

FAMMI LUCE

ti prego fammi luce in questo pauroso dedalo dell'io assalito dai mostri della mente avvolto nella camicia di nesso degl'istinti

sono cieco fiume senza foce da me diviso arreso

fammi luce

e sarà giorno quando ti saprò riconoscere staccato dalla mia ombra mortale

210

CUL-DE-SAC

dritto ti c'infili se pensi che la fine è sempre in atto e il mondo è un addio dopo l'altro è maschera invece per chi finge di non accorgersi

negli occhi ti restano saltabeccanti sui resti di una festa colombi a frotte

211

E SARAI RAGGIO

sei disceso angelo per vivere in carne la morte

non sguardo dal ponte: vieppiù ti lega trama di dolore e rara gioia

le spoglie deporrai e sarai raggio di quel Sole che non puoi vedere

212

OCCHI SECCHI

clessidre di sangue emotivo a sovrastarti stillicidio nella mezzaluce

a chi chiedere di questo ginepraio di pena e l'oro del mattino fatto piombo

occhi secchi a perdere pezzi di cielo

nel sangue degli echi

213

CIELO AMORE

manto d'azzurro palpito capovolto abisso

misericorde ben conosci il fondo delle pene

di noi mendichi d'infinito specchio sei

dove invertigina il cuore nell'abbraccio delle stelle

214

VELE STANCHE

leggi scavi ché nasca -ne va del creare affossato- linfa nuova a diradare quella nebbia della mente

dal grembo della notte esca la tua barca

vi spiri augurante il buon vento a gonfiare le tue vele stanche per nuova ventura nel mare blu d'inchiostro

dove è bello finanche morire

215

DOPPIO CELESTE

rigenerarsi in linfa a disperdere grumi

dove si china l'anima a contemplare

nel profondo di te ecco il cielo farsi d'un “azzurro” misterico e tu da un suo lembo a spiare

un te senza morte -specchiato

216

DA UN DOVE

i repentini voltafaccia del tempo alle soglie dell'autunno le foglie già morenti

invita due corpi il tepore delle lenzuola nella bocca dell'alba

sai il momento migliore per il dono dell'ispirazione è quando ti giungono ovattati i rumori e tu in un tuo mondo col sonno di un eterno respiro

più tardi poi sul lungomare sulla pelle la fresca brezza forse un gabbiano avrà per te nel becco un verso prezioso

217

LA PAROLA

la parola è nostra madre

che genera la danza e la gioia nuda

la parola dice di sé del tempo del primo stupore

t'apre il terzo occhio

parla all'orecchio del cuore

218

NAVI DI NUVOLE

(visione)

raggio verde balena nel tramonto

su navi di nuvole vedere apparire angeli udirne i celesti canti

rassicuranti presenze ondeggianti lievi tra i pensieri orfanezze d'amore a consolare

messaggeri di luce ondeggianti nel sogno ad ascendere dove s'inalba il cuore

219

SOTTO PORTICATI

sotto porticati cartoni e cappotti lisi hanno respiri

a un passo vetrine ridono in abbagli di sole

più in là privati paradisi

un rombo testarossa è strappo d'anima a dividere la terra tra i “morti” e i vivi

il mondo ha denti aguzzi

220

ALTERIGIA

[Ispirandomi al verso di Vincenzo Cardarelli: “vorrei coprirti di fiori e d'insulti”]

m'appiglio alla tua fredda grazia come ad un corrimano: sto su inclinato piano mentre t'offri a una vertigine di distanze

ancor più ora ti fai preziosa

221

UNA CERTA LUCE A FLETTERSI

di buon'ora bisticci con la lampo t'insegue tiranno il tempo

una certa luce a flettersi nel cuore fa strada a un dove che non trovi

perdurasse quel lampo che viene va prima che lo fermi su carta ma

se non torna non ha “dignità”

raduni pezzi di un puzzle scombinato nello sperdimento d'una stagione andata

222

IL CARRO DELL'ORO

sotto cielo aperto una ad una cadute le teste

a calcificarsi sorrisi ebeti sul trasfigurato carro dell'oro

223

L'OLTRAGGIO

perso nelle forme strane delle nuvole mi sento lontano da un mondo estraneo

assisto all'oltraggio della rosa che si perpetua

sono esposto alla vita

224

NEL VASTO MARE DEL SOGNO

nel vasto mare del sogno galleggia l'immagine di te esile scricciolo a sussurrare all'orecchio del cuore edulcorate parole

ritrovarci nel nostro giardino d'infanzia mano nella mano impastati di sole a rincorrere saltabeccanti piccioni riandare alle incoscienti acrobazie per i soli tuoi occhi

interrotte dall'acuto richiamo di tua madre per la merenda

smosse le acque del sogno ora a svanire da un oltre ti sento

225

COME ASESSUATO ANGELO

sospesa nel vuoto m'appari asessuato angelo mentre in dormiveglia mi rigiro

giungerà mi dici squarciando le nubi lui l'Atteso ci sorprenderà come un ladro a strapparci alla morte carne della sua carne

e ruggine allora sarà l'oro

226

IL LIMITE

(ad un materialista)

devi ammetterlo come nave incagliata ti senti bravo al più nel leggere fondi di caffè

non certo alla tua portata della poesia il rinnovato sangue i frammenti di stelle la lucente coda di cometa a cui s'attaccano in sogno i bimbi

non certo quei misteri insondabili che impregnano i muri di casa con le anime dei morti che abitano il tuo vuoto

non alla tua portata quella profondità del gran mare del sogno che è vita che si lascia vivere

227

NELL'ORA SOSPESA

quel giorno ti sbarberanno t'infileranno il vestito buono ma non serve prodigarsi più di tanto non restano che spoglie l'anima è già via

nell'ora sospesa fisseranno compunti quel viso di marmo mentre il tuo presente ha chiuso la porta

il pugno o la palata di terra con la benedizione dell'officiante poi a tavola com'è uso per dire la vita continua

qualcuno forse già alticcio leggerà con deferenza alcuni tuoi versi trovati in tasca

restano in rete briciole di te

228 GIA' GRANDE TI VEDO

dai che ti porto alle giostre finiti i compiti promettimi che prima di dormire stasera dirai una preghierina per quei bambini saltati in aria

-la larga macchia rossa sull'asfalto nella liquida luce degli occhi penetrare in quell'abbaglio fino al sogno-incubo

su da bravo che ti porto alle giostre ci perderemo nella fantasmagoria di luci

ecco: già grande ti vedo

a risvegliarti domani convitato di pietra il Tempo

229 ANELITI D'INFINITO

è la vela rossa della Passione a prendere vita nel tuo sangue spanto nella luce

ti dai d'amore in aneliti d'infinito anima persa per rive sfiorite negli occhi

230 SFIORITE RIVE

sfiorite rive in cadenza d'anni l'azzurra vastità di te solo

si svenano in caducità di foglie i giorni accartocciati sul viale della dimenticanza

231 VICOLO

dolore antico di donne in nero a segnarsi se dal profondo si levano i morti a dare infausti presagi

vicolo inghiottito da un grappolo di case appese a strapiombo

ricettacolo d'umori ancestrali in un tempo cristallizzato sospeso

232 DAMMI L'ABBRIVIO

dammi l'abbrivio musa nel dormiveglia o nel profondo fa che s'accenda la mia casa di nuvole in verdi cieli e alfabeti

sostieni quella neo-nata struttura arco di parole e suoni che si parte dal cuore a navigare il più bello dei mari

[ultimo verso: da Hikmet]

233 A BOCCA PIENA

trucidata vita dai lenzuoli di sangue nei telegiornali un dire assuefatto freddo che ti sorprende non più di tanto a bocca piena che non arriva al cuore

-per quei bambini occhi rovesciati a galleggiare su un mare di speranza la cui patria è ora il cielo

violata la sacralità vita che non è più vita vilipesa resa quale fiore a uno strappo feroce di vento

234 IN UNA PIEGA DEL VENTO

luce obliqua sui tuoi anni andati sui tuoi fogli nell'aria sparsi

quale data incideranno sulla tua lapide un giorno non ti è dato sapere

ma sono degli uomini le convenzioni e scomodare kronos è eresia

rinascere in una piega del vento senza guerre né odi per la rotta del cielo

pindarici voli che ti lasciano le ali spezzate

235 NAUFRAGI

il viso un libro le pagine gli io indefiniti maschere che indosso se non mi trovo

poi s'apre il corpo -occhi lapidati- nell'emergere dai tanti me

236 FANTASIA 2

dipingono il mio sonno i morti veleggiando al chiaro d'una luna complice sul filo d'orizzonte ricreando gl'incantesimi del bambino in me mai perduto

veleggiano discreti sul filo del respiro entrandomi su dalle narici con la barca di cristallo dei sogni le vele al vento per l'ignoto

237 FANTASIA 3

la barca trasparente del sogno dove ti porta? palpiti seguono la scia uscendo dalla camera della mente

immagini icastiche gli argini rompono del trasognato sguardo

238 ULISSIDI

ulissidi e la vela della passione su perigliosi flutti

intrisi di mistica luce a sbraitare di gioia il cuore sull'orizzonte la terra promessa

239 UN OCCHIO DI RIGUARDO

un occhio di riguardo per quei tralci che non secchino anzitempo

-noi protendimento dell'Albero che nei secoli affonda le sue radici

un occhio di riguardo ché a prezzo di sangue fu il riscatto

240 ANAMORFOSI

del sognato ricordi a brani mentre l'io è anamorfosi nella “valvola” del sogno

ti svegli e ti ritrovi davanti a un te dagli enigmi irrisolti un circolo vizioso il tuo uroboro

ti appare anamorfosi a volte anche questa vita che imita sempre più il sogno nell'avvicendarsi degli anni i treni persi alle stazioni

 
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from norise

FELICE SERINO

POESIE

PALPITI DI CIELO (2015)

151

SPLEEN

lei dagli occhi blucielo inquadrata in un ritaglio del tuo sogno lucido

ed è un morire dentro percorrere l'acciottolato d'un bianco accecante che conduce al mare

e quel sorriso a durare nel cuore perdutamente altrove

ti fa il verso il gabbiano planato sulla tua isola di spleen

152

IL GRIDO

ad un cielo sordo ad ogni voce ed eco appeso il grido testa e croce ti giocasti l'anima nel bailamme d'un'allucinata notte a simulare la morte

153

L'ATTESA

ti tiene in vita come a fine inverno la primavera canterina

(non già l'appagamento senza più desideri)

ti tiene in vita quel non so che riempia i vuoti

(come il trepidare per l'uscita delle prime poesie o per il primo appuntamento)

ecco risuona l'attesa come un'eco di mare

sei la vela che si gonfia di vento

154

IL LEBBROSO

alle sue spalle un cielo bianco cadmio

e la figura ieratica a fendere la folla chiudere le distanze

luminosa Farfalla “vede” posarsi sulle dolenti piaghe

155

L'INDICIBILE

dove deflagrano nude parole al di là della scrittura ho cercato nel calamaio del cuore l'inesprimibile

ciò che non può essere detto

ho cercato stanze inesplorate negli anfratti del mare

le voci trattenute nella gola del vento

l'indicibile nella luce della bellezza

156

ANCORA IN VOLO

perduto in me l'aquilone ancora in volo dal tempo che più che reale m'era sogno la vita

ora forse nascosto dietro le nuvole o a giocare col vento

in cadenza di vortici imprevedibili

come l'esistere

157

NEI FONDALI

per nulla mi separerei da questa pena nel macerarmi chino sulle parole tra respiri di solitudine

-v'è un accendersi di segni e strade mentre attraverso l'inconoscibile che in sogno spio

non altro anelo che questo inabissarmi nei fondali di fonemi

finché la morte mi sorprenda in un'emorragia d'inchiostro

158

CHIEDILO ALLA LUCE

scrivere la luce inginocchiato nella luce

inspirando bellezza ch'emana come da un tempo altro

pure ami la luce ferita:

chiedile delle infinite crocifissioni

fattene guanciale in notti di pianto

159

DIVERGENZE

la luna china sulle mie notti disfatte di poeta in erba a carpire versi da “urlo” beat ante litteram coi sogni di gloria nel cassetto in cerca della parola luminosa che “spacca”

e tu rivolto alla mia “crisalide” che andavi blaterando nel citare la preistoria carducci et similia

160

UN CIELO CI NASCE

dal peso mortale un cielo ci nasce

penetra luce nella ferita più fonda

siamo respiro cosmico legati a una stella di sangue originaria armonia che nel vivere si frange

161

SENZA TITOLO

ora il mio sangue si eleva al battesimo della luce

vedi sono fiorito

e la morte non la ricordo più

sono uscito da lei come da un fiume di tenebra

162

LUCE DI LUNA

(l'ispirazione)

ti dai d'amore e in veste notturna t'ammanti all'occhio del cielo

in silente vaghezza il tuo porgerti china sul sangue che ridèsti

nell'essere mio: m'irradia d'epifanie luce di luna

163

A DARTI L'ABBRIVIO

a darti l'abbrivio sarà forse l'urlo del fiore che s'apre

creare è del funambolo senza rete o è come andare su vetri

una parola un taglio

164

RESURREZIONE

rinfranca il Tuo offrirti in croce chicco che germoglia in esplosione di vita

ma il silenzio del cuore si fa abisso: duemilanni e la pietra sepolcrale come non fosse rimossa:

al primo canto a rinnegarti

165

TI CADEVANO GLI OCCHI

capre e cavalli di nuvolette pigre in un cielo dilatato nel respiro ecco da dietro l'angolo apparire la ragazza dalla maglietta rossa a fare footing nella luce lattiginosa del mattino

poi t'accorgi d'aver solo sognato -desiderio fatto pensiero allucinato- e nel ritrarsi quel cielo la ragazza s'è come sovrapposta a quella vista la prima volta al parco or sono trentanni

quando dovunque guardavi ti cadevano gli occhi su quella figura esile nell'alone di luce lunare

ma tant'è che stasera ti “cadono” gli occhi davanti al teleschermo

166

CONTROLLARE IL SOGNO

è diventata la sua arte ne sa uscire e rientrare quando vuole e secondo l'umore persino programmarlo

mentre prende sonno basta che si concentri e in vividi colori le appaiono pesci uccelli fiori vasta varietà di flora e fauna finestra su cui s'affaccia un mondo altro

nel suo luogo di degenza un bell'evadere dal grigiore è vivere questo exo-esistere parallelo

lei divenuta oggetto di scherno un libro aperto lei amica-madre dei gatti col loro gnaolìo alla luna

167

SPLEEN 2

ali e croci dell'esistere sono il veliero che attende il buonvento sotto i mille occhi di un cielo allucinato a farmi il verso un gabbiano in volo da un dove non so dire

168

BLASFEMIA

ricusi l'abisso capovolto intriso del Suo sangue

dall'orlo della luce ti distanzi in vaghezza dell'effimero

vanagloria leva al cielo un pugno d'aria

169

PASQUA

del Suo olocausto ha ribaltato il fondo rovesciato la pietra che teneva in scacco la Vita

-escono lucenti raggi da acqua e sangue del costato

al canto d'osanna l'angelo si china sul giorno umano

170

NELL'ANIMA BAMBINA

come non ricordare il rifugio del passerotto intirizzito le mani a coppa e il caldo fiato

o il micino di pochi giorni lucido di saliva portato in bocca da mammagatta

come non riconoscere le tracce lasciate sul sentiero teatro di giochi e l'acuto richiamo della madre la tavola apparecchiata inondata da sciabole di sole

immagini vive custodite nell'anima bambina

che ancora ti chiamano dal buio fondo degli anni

171

L'ESTRO

dicono abbia avuto da piccolo “familiarità” con le feci

-oddio! strillava la madre e le comari: -niente paura è roba sua

e già l'estro emergeva ché ci scribacchiava per terra tra losanghe di luce

172

I CIELI DEL JAZZ

capricci di note facce ondivaghe in acque del sogno la nausea lungo i corridoi di latrine il gemito del sax le gonfie gote tempo rallentato avvitato nel marasma di umori

poi il mattino li raccoglie spugne e l'anima della musica che attraversa muri di separazione

173

SENZA TITOLO 2

ho sognato d'essere un bosco devastato

e in me cadevo

cadevo

con schianti d'alberi

174

QUESTO GIOVANE CUORE

(alla figlia)

capriolare nell'ante-nascita tu rosa vestita per la vita

tuffarti nell'azzurro e respirare la poesia pura d'incontaminati cieli vorresti

ah non debbano i veleni del mondo -mio e tuo anelito- intaccare questo giovane cuore

175

SCHEGGE DI STELLE

a mitigare il gelo delle parole che il tuo volto a volte veste

non riesco ma a notte quando il tuo corpo s'apre a una luna complice schegge di stelle mi sorridono

176

COME IN PRIMAVERA

impoverito mi sento quando sfuggono a volte le note di quell'aria struggente che alberga nell'anima e -breve appagamento di fioriture e voli- nelle ore vuote m'accompagna a sprazzi

pure ritorna rivivendo in letizia come in primavera la chioma di verde a ornare quell'albero triste -superato il morso del gelo

177

A VOLO D'ANGELO

il nero asfalto il lenzuolo i nasi all'insù l'attico al ventesimo depressione dicono

autopsia perché: se non s'è tirato un colpo si è “solo” spaccato

178

IN UN ANGOLO REMOTO

la vita d'un uomo nella luce degli occhi

i paesi esotici i mari che ha varcato

a barattare per nuove esperienze la vecchia pelle di coriaceo ulisside

ma si passa una vita intera senz'ancora conoscersi:

in un angolo remoto l' ombra da tenere al guinzaglio

179

LA MUSA

dove inginocchiata è la luce lo spirito contempla

come un incantesimo la novità di lei la tua corda sfiora

accordando il tuo vagheggiare

s'anima il tuo cielo in volo d'angeli

e febbre è la parola

180

E' BELLO SOGNARE

come tirare su un secchio di ricordi custoditi in fondo al tuo cuore

come riesumare i tuoi morti aspettarti da loro fausti presagi

o l'apparire di vagoni di nuvole e lunghi corridoi di porte chiuse

dove ti sembra essere stato

181

VITA SOLLEVACI

vita sollevaci dall'ignavia dei giorni -serpe mimetica

fa che non sprofondiamo in questo buio di stelle calpestate

le addomesticate coscienze fanne bottiglie a navigare mari di speranza

e come un fuoco vivo a forma di croce

giunga il messaggio della tua sacralità

182

LA PAROLA ESSENZIALE

non altra che quella l'unica annunziata che la mente arrovella

fanne cuore e centro il raggio renda armonico il disegno senza ne urlerebbe la trama

il sangue fatto acqua

183

IN QUEST'ARIA STAGNANTE

pensando a te vedo il vuoto di una porta e dietro la porta ricordi a intrecciare sequenze indistinte sogni e pensieri asciugati mentre un sole di sangue s'immerge nel mare

in quest'aria stagnante come un olio passa la luce sopra il dolore

184

ANTINOMIA LA MORTE

ritenere antinomia la morte – la tua

come un abbaglio o un trapassare di veli

e nel distacco quando il mondo senza più te sarà impregnato della tua essenza

” leggerai” il tuo necrologio pagato un tanto a riga

185

VANAGLORIA

vita che mi mastichi mia vita dagli equilibri spezzati e anse d'ombre dove annegare il grido

difendimi dal mio profondo

uccidi in me quel capriccio aureolato solo da esibire

186

VOLARE BASSO

volare basso per dare tanto con poco

lei a volte si cela nello specchio o nel buio del divano

luce affebbrata la parola che ti tiene avvinto

celeste fuoco

187

DAL GIARDINO DEI SOGNI

forse quando il tuo orizzonte è a chiudersi sullo scenario del mondo e tutto è consegnato all'evidenza della fine

dal giardino dei sogni ti strizzerà l'occhio ancora qualche verso

lo vergherai in fretta su un tovagliolo al bar prima che si disintegri nell'aria

come i tuoi io dagli anni risucchiati

188

LA NUDITA' DEL SANGUE

pindarici voli leggevo nel tuo cielo e i tumulti del sangue in cadenza di note sul pentagramma di sogni rubati e franti

oltre quel fatuo fuoco è ora un discendere nel tuo specchio incrociare la nudità del sangue

dal profondo ti vedo riavere il cielo veleggiando sicuro

ed è la corazza che indossi a darti la forza del perdono

laddove ti appariva debolezza

189

IN LINFA D'ALFABETI

manca poco possano piovere lettere nel tuo sogno controllato e tu ti veda riflesso in pozzanghere a cogliere parentesi unghie-di-luna e il grido delle a le sospensioni delle e

poco manca sia la musa un donarsi in linfa d'alfabeti di cui s'imbeve il tuo sogno lucido

190

SPLEEN

lo scoglio e tu come un tutt'uno quasi sul ciglio del mondo avvolto in una strana luce

labbra di cielo questo contatto di sole

vedi nell'aria marina un gabbiano planare su una solitudine che ti lacera all'infinito

191

UN DOVE

trafitto da ustioni di luce quasi a difesa avvolto in un mantello di vento

vano interrogare un dove

in bianchi cieli l'angelo è di pietra

l'anima un buco nell'immenso

192

QUELL'UOMO CHE

quell'uomo che “incurante” della tempesta dormiva

che ha diviso il mare che è uscito dalla morte squarciando i cieli

quell'uomo che se il granello di senape non muore

uomo-dio fattosi bambino ed ultimo Dio incarnato

trascinato dal cielo dal peccato

193

ASIMMETRICI VOLI

parole colte e frante nella febbre d'un grido

aperte ali dei sensi contro pareti di cristallo

scrivere sul sangue di un sogno kafkiano

194

KANDINSKJI

sfilacciano sogni di ragno graffi di luce

a destarti un'alba bagnata di colore

quel giallo spalmato nel canto della tela

195

DALL'OBLO'

la poesia quella di lungo respiro dà vertigine

è come prendere il mare e non vedere che l'orizzonte e mai la terra

le immagini vedi dall'oblò del cuore sovrapporsi fare ressa e

infine sbarchi boccheggiando col mar di terra

 
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DALI' GENIO E SREGOLATEZZA

Eccessivo, eccentrico, paradossale, contraddittorio. Non ci sono appellativi che non siano stati usati per esprimere le caratteristiche di questo personaggio eclettico e dissacrante, nato per eccellere e stupire agli inizi del XX secolo. Salvador Dalì è nato due volte. La prima, a Figueras, il 21 ottobre 1901, ma il bimbo morì a 21 mesi di vita. Il Nostro nascerà nove mesi e dieci giorni dopo la sua morte, l'11 maggio 1904. Egli si trascinerà dietro tutta la vita il peso di dover reincarnare il fratello maggiore di cui porta il nome: “una sorta di complesso di colpa del sosia, trasformato in fissazione paranoica, estetica” (Marco Vallora). “Tutte le mie eccentricità, tutte le mie esibizioni incoerenti sono la tragica costante della mia vita”, si legge in Conversazione con Dalì (1969), di Alain Bosquet. “Devo provare a me stesso che non sono il fratello morto ma quello vivo. Come nel mito di Castore e Polluce, uccidendo mio fratello ho conquistato l'immortalità per me stesso”. Come dire che la morte del primo Salvador è la molla, l'arco teso che lo lancerà molto lontano…nel firmamento della pittura. “Lo si voglia o no, sono stato chiamato a realizzare prodigi”, ha dichiarato. Nella sua biografia si legge che ha una relazione ambigua col poeta Garcia Lorca, ma si dice che Dalì abbia sempre rifiutato le ripetute avances di Federico. “Canto le tue ansie d'eterno illimitato”, scriverà il poeta in una sua ode dedicata all'amico.Dalì è stato uno dei maggiori esponenti del Surrealismo (nuovo spirito dell'arte battezzato da Apollinaire col nome di Superrealismo, al debutto del balletto Parade di Cocteau, 1917); costituito fra gli altri dai poeti Paul Eluard e Andrè Breton, dal cineasta Bunuel, dagli artisti figurativi Manritte, Ernst, Mirò, Man Ray; e ancora, Edward James, Hans Arp, Arpo Marx (solo per citare quelli che diverranno famosi). Sposò dopo una convivenza di molti anni, Gala Diakonoff di dieci anni più grande, moglie del poeta Eluard (da cui poi divorziò), ed ex compagna di De Chirico; una donna-manager avida di potere, la quale impostò da subito la relazione col ruolo di “protettrice”, o meglio di impresario, relegando a Dalì quello di “dipendenza”, e desiderosa di organizzargli la vita. In amore prediligeva il triangolo; ma grandi furono le sue sfuriate di gelosia quando nel periodo precedente la seconda guerra mondiale Dalì divenne amante di Edward James.Egli non era per lei che una semplice “macchina per far soldi”. “I Dalì sono due, uno appartenente al suo mondo di vivida, geniale e avvincente paranoia, in cui vive più della metà della sua vita; l'altro è l'accorto affarista, creato dalla moglie Gala” (Edward James a Dalì, marzo 1941). (Fu Andrè Breton a coniare l'anagramma Avida Dollars dal nome Salvador Dalì – cosa che divertì molto l'interessato). Il miele è più dolce del sangue (1927) fu il suo primo dipinto surrealista. Famosa la serie dei suoi orologi molli. Molti i disegni e i dipinti raffiguranti la moglie Gala. Soggetti della sua arte, anche i ritratti di Eluard, Lenin, Freud. Dal 1927 al 1929 fu il periodo per lui più prolifico e rappresentativo. Famoso resta il suo ritratto a una vedette del cinema, Mae West.

La sua potenza espressiva, l'intensità cromatica delle forme nello spazio e nella luce, davano voce e sangue alla tela. Alcuni dei suoi quadri, unici e dalla stesura raffinata, restano l'espressione dell'inconscio collettivo del XX secolo. Egli, il genio, ne è l'archetipo. Vogliamo qui aprire una parentesi per dire che nell'immaginazione popolare il genio è sempre dotato di poteri magici; è sempre considerato come agente di una forza esterna. Questo potere può risultare misterioso anche al genio stesso. Egli obbedisce a una sorta di desiderio istintivo, a una necessità interiore. L'arte visionaria di Dalì passa alla storia anche per i titoli bizzarri e improponibili quali, per citarne qualcuno: “Burocrate medio atmosferocefalico nell'atto di mungere un'arpa cranica”, “Teschio atmosferico che sodomizza un pianoforte a coda”, “Autoritratto molle con pancetta fritta”, “Lo svezzamento del nutrimento dei mobili”, “Acido Galacidalacide sossiribonucleico (Omaggio a Crick e Watson)”. Nella storia dell'arte, in modo specifico egli è il Surrealismo, in una rappresentazione personalissima, spesso dal contenuto delirante, definita “metodo paranoicocritico”.La sua opera apre le porte verso universi paralleli, in una visione allucinatoria; ma Dalì è ben consapevole del confine che separa il mondo reale dall'immaginario. Nel 1944 Alfred Hitchcock lo volle per la realizzazione delle sequenze oniriche per il film Io ti salverò, con Gregory Peck e Ingrid Bergman. Si trattava di illustrare i sogni del protagonista in preda ad amnesia. Egli era originale ad ogni costo e viveva di un protagonismo insaziabile. Sempre in equilibrio sulla corda tesa delle sue assurde trovate, ad una conferenza alla Sorbona del 1955, si presentò in una RollsRoyce bianca, stipata di cavolfiori. Nelle sue performances, ogni cosa che toccava si trasformava in oro. Scrive nel suo Diario di un genio: “in uno stato di permanente erezione intellettuale ogni mio desiderio è esaudito”. Un sempre crescente numero di psichiatri vedevano in lui un caso allettante dal punto di vista di uno studio ravvicinato. Egli è noto agli studiosi della psiche come un “perverso polimorfo”. Nell'opera daliniana gli istinti sessuali appaiono cerebralizzati e sublimati dall'arte. Dalì era sempre eccessivo e le sue manie grandiose e strampalate spesso infastidivano. Fu molto criticato dalla stampa e dall'opinione pubblica, e anche minacciato, per aver dichiarato di simpatizzare per il generale Franco. Fino alla fine, ebbe il culto paradossale della propria immagine. Negli ultimi tempi, fra gli alti e bassi della malattia che lo aveva colpito (morbo di Parkinson), si lamentava dicendo com'era difficile morire. (Gli era già mancata Gala da alcuni anni). Fantasma di se stesso, morì a 87 anni, il 23 gennaio 1989, nella clinica dove era stato ricoverato per collasso cardiaco.

Fonte: Meredith Etherington-Smith, Dalì, Garzanti 1994.

 
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LA POESIA DI NIL

Nedda Falzolgher, detta Nil, nasce il 26 febbraio 1906 a Trento, quando quella parte del territorio è ancora sotto il dominio austriaco. Il padre era un bancario e la madre di ricca famiglia. Primogenita, sensibile, intelligente, vive nei primi anni una vita serena e gioiosa. La bimba cresce bene fino all'età di cinque anni, quando inattesa la disgrazia viene a stravolgere il suo destino: è colpita da paralisi infantile, o più comunemente detta, poliomielite. Ella si sente attratta per vocazione naturale verso la scrittura e la poesia; vocazione che rappresenta per il suo spirito sofferto una specie di resurrezione. “Nil non poteva andare verso le cose, ma le cose venivano a lei a cimentare la sua forza e la sua gioia, e tutto la investiva e subito l'abbandonava, lasciando segni di grazia sulla sua anima con il moto dell'onda marina che scrive parole di vita su tutta la riva” (da Il libro di Nil). I genitori cercano di renderle la vita meno disagevole possibile. La mamma la incoraggia in quella sua insaziabile sete di cultura che la indirizza verso la scrittura alimentando il suo mondo interiore. Nedda apprenderà ad uscire da quel mondo circoscritto dalle pareti di casa per conoscere il mondo esterno, perseguendo il raggiungimento di un ideale superiore. Dall'età di 27 anni, ella riceve in casa amici poeti e artisti, e la sua dimora diviene presto un punto d'incontro culturale. Fra i giovani frequentatori c'è un ragazzo, Franco Bertoldi, che resterà per lei un amore impossibile.

“Non ti darò contro il petto dolore

più che il rigoglio delle fronde sciolte.

Dammi tu spazio allora per questa morte:

io non ho solco per vivere

e non ho paradiso per morire;

e sento in me stormire

quest'agonia d'amore,

bionda, contro la zolla che la ignora…”.

Nella sua opera Il libro di Nil, pubblicato postumo dal padre, c'è una sezione di poesie intitolata Ritmi dell'infinito, dove si leggono versi scritti durante la guerra.

“Stasera io sono stanca

delle tue mani lontane;

stanca di grandi stelle disumane,

com'è sazia l'agnella di erbe amare…”.

Il 2 settembre 1943 Trento fu bombardata e Nedda fu salvata dalle macerie, insieme ai genitori. In seguito, la ragazza inizierà una corrispondenza con Domenico, suo salvatore e amico, facente parte di un servizio di volontariato. Lo spirito altruistico e la bontà di Domenico fanno sì che Nedda si avvicini ad una dimensione spirituale personale intensa.

“Ma una luce è posata sulle cose,

come la carità senza parola;

e ogni vita attende sola

che la raccolga con gesto d'amore”.

La guerra termina e la ragazza può tornare a casa. Intanto la madre da tempo malata, viene a mancare nel settembre del '50.

“T'amo, Signore, per la muta passione delle rose.

T'amo per le cose della vita leggere,

le cose che sognano i morti la sera

dentro la terra calda,

sotto il limpido brivido degli astri.

Ma più t'amo, Signore per la misericordia

delle tue grandi campane

che portano nel vento verso

l'anima della sera

la nostra povera preghiera”.

Nedda ha sempre continuato a scrivere nel trascorrere degli anni. Ora, sente la vita sfuggirle e soffre per quel che non ha vissuto.

“Ora tu vedi queste mie canzoni

simili tanto alle foglie che sperdi,

amaro Iddio del silenzio.

E sai che non hanno feste di sole

perché di tutto il sole tu inondi

la Terra dove cammina l'amore”.

“Ascolta ancora, Dio,

le sorgenti, e perdona,

e nella mano portaci, col seme

delle stagioni innocenti”.

Nil rende lo spirito il 2 marzo '56, a 50 anni. Chiudiamo questo breve excursus con dei versi stupendi, nati da quest'anima candida:

“…Che ansia, allodola pura,

questo palpito d'angelo sommerso

che ha smarrito la vena dei venti;

sul respiro del mondo senti

ancora tutte le stelle

mutar la tua voce in chiarore…”.

[Notizie liberamente tratte da: Nedda Falzolgher – la poesia, la vita, Isa Zanni, Linguaggio Astrale n. 136/04]

Bibliografia Nedda Falzolgher: poesia e spiritualità, edizione Comune di Trento 1990 Nedda Falzolgher: il cuore, la poesia, edizione Comune di Trento 1990

 
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SIMONE WEIL, IL FUOCO DELLA VERITA'

Personalità dal carattere forte e volitivo, che per la sua fede nella verità fu spesso pietra d'inciampo e che eccelse in coerenza fino al limite dell'estremismo più radicale, Simone Weil nacque il 3 febbraio 1909 a Parigi. A 14 anni attraversa una crisi di sconforto adolescenziale (“ho seriamente pensato a morire a causa della mediocrità delle mie facoltà naturali”). A 21 le si manifestano quelle cefalee che la faranno soffrire atrocemente sino alla fine della sua vita. (“Il mio impulso, nelle crisi di mal di testa” – confessa – “è colpire qualcuno alla testa”). Un estremo sforzo di attenzione le permette di lasciar soffrire la carne “ per conto suo, rannicchiata in un angolo”. All'inizio degli anni '30, quando milita nei ranghi del sindacalismo rivoluzionario, la Weil professa un antimilitarismo radicale. “Il patriottismo (…) non tende ad altro che a trasformare gli uomini in carne da cannone” (1). Professoressa al liceo di Auxerre, Simone nel dicembre '34 non disdegna di sperimentare il lavoro manuale, prestando opera come manovale presso Alsthom (società di costruzioni meccaniche) a Parigi (“lavoro durissimo, calore insopportabile, fiamme che lambivano le braccia…”). L'anno seguente la Weil lavora come fresatrice alla Renault. A settembre, in Portogallo, nel villaggio Pavoa do Varzim, a 80 chilometri circa a nord di Porto, ella percepisce l'affinità tra Cristo e i più poveri, scoprendo il cristianesimo nella sua dimensione più vera e straziante. Quella data, 15 settembre, è la festa patronale di Nostra Signora dei 7 Dolori. Nell'agosto '36, Simone Weil s'impegna nella guerra civile in Spagna nelle file degli anarcosindacalisti. Partita per prendere parte a una rivoluzione, ella si rende conto di non far altro che partecipare a una guerra. L'anno seguente, Assisi è la prima delle tre tappe della sua conversione. “Fu una volta che ero intenta a recitare la poesia Love” [di George Herbert, n.d.a.] – scrive – “che Cristo stesso è disceso e mi ha presa”. Da allora la poesia diventa preghiera. La sua conversione assume contorni più netti durante il soggiorno all'abbazia di Solesmes, nella settimana santa. Ha allora 29 anni. Nella primavera del '40, Simone conoscerà le Bhagavad Gìta, dalla cui lettura riceverà, per sua ammissione, un'impronta permanente. Su consiglio di René Daumal ella si avvierà allo studio del sanscrito, lingua originale del testo sacro. Dopo aver lasciato Parigi, il 13.6.1940, giorno in cui la capitale francese viene dichiarata “città aperta”, Simone in settembre s'installa a Marsiglia e prende contatti con gli ambienti della Resistenza. La rete alla quale appartiene viene scoperta, e nella primavera del '41 ella viene interrogata per quattro volte dalla polizia. Ogni volta si aspetta di venir arrestata e prepara la valigia con alcuni vestiti… Resterà fino al marzo '42 alla base dell'organizzazione e della diffusione dei quaderni clandestini della Resistenza, i Cahiers du Témoignage chétien per i sei dipartimenti del Sud-Est. Nel giugno '41, Simone va a trovare padre Joseph-Marie Perrin presso il convento domenicano a Marsiglia, dietro richiesta di questi di conoscerla; lei gli chiede di voler fare l'operaia agricola, e il frate la indirizza da Gustave Thibon a Saint Marcel d'Ardeche. La Nostra si appassiona al Tao Te Ching e studia le Upanishads. Impara a memoria il Pater in greco; inoltre s'interessa molto di Platone e riconosce in lui un mistico, vero testimone di Dio. L'incontro con Lanza Del Vasto, avvenuto lo stesso anno, a Marsiglia, permetterà a Simone di percepire meglio il reale significato della “non-violenza alla Gandhi”. Come la Weil, anche Del Vasto si meraviglia delle compromissioni della Chiesa col potere e con l'impero della violenza.

Egli ricorda Simone in un suo libro, e ad un certo punto aggiunge che, ascoltandola parlare, “nel giro di dieci minuti non si vedeva più il suo viso; si percepiva soltanto l'anima, in cui risplende il fuoco della giustizia” (2). Il 6 luglio '42, Simone Weil parte per New York. Qui conosce, fra gli altri, Jacques Maritain. Il 14 dicembre si stabilisce a Londra, dove viene assegnata come redattrice alla Direction de l'interieur de la France Libre (commissariat à l'action sur la France).

IL PENSIERO, L'OPERA, L'ESPERIENZA SPIRITUALE

Nel '34 Simone Weil scrisse Rèflexions sur les causes de l'oppression sociale et de la liberté, considerato dal suo maestro Alain opera di prima grandezza, e che lei non pubblicò mai soprattutto per le critiche di un amico. La Weil si ricollega volentieri alle analisi proposte da Marx sull'oppressione dei lavoratori da parte del sistema produttivo della grande industria e sull'asservimento dei cittadini da parte del sistema di governo dello stato. Ecco come si esprime in uno dei suoi pensieri dal profondo spessore filosofico: “Il padrone è schiavo dello schiavo nel senso che lo schiavo fabbrica il padrone”. La Weil sarà anche tra i primi a denunciare le deviazioni della rivoluzione sovietica. Autrice di numerosi articoli su questioni sociali ( in L' Effort, La Tribune, ecc.), ebbe anche varie conversazioni con Leon Trotsky, incontrato nel '33 quando fu ospite dei suoi genitori per qualche giorno. Con lui nutriva divergenze di idee non tanto sul proletariato, quanto sulla difesa della “persona”. Una prossimità spirituale e politica tra la Weil e Georges Bernanos è davvero inconcepibile. Tuttavia, Bernanos denuncia “l'impero della forza” allo stesso modo di Simone. Egli teme che ben presto i giovani facciano “della crudeltà una virtù virile”, sicché la “misericordia” appaia loro segno di debolezza e stupidità. Ciò che ferisce più profondamente Bernanos è che i crimini della crociata franchista vengano commessi in nome del cristianesimo e con la benedizione della Chiesa. Il poeta Joe Bousquet, che Simone aveva conosciuto a Carcasonne nel marzo '42, riconobbe immediatamente la poetica autentica dalle poche pagine che ella gli aveva mostrato. “Si direbbe che il ritmo dei versi è per voi quello della coscienza”, le scriverà in una lettera (3). (Nel 1918, a 21 anni, Bousquet era un corpo che viveva solo a metà, colpito da un proiettile alla spina dorsale). La Weil aveva scritto una decina di poesie e le aveva sottoposte al giudizio di Paul Valèry e dello stesso Bousquet. Ella compose anche Venise sauvée, tragedia in tre atti, durante l'esilio a Londra, e che rimase incompiuta. “Sono convinta”, scrisse in una lettera all'amico Bousquet, “che la sventura da una parte, e dall'altra la gioia come adesione totale e pura alla perfetta bellezza, implicanti entrambe la perdita dell'esistenza personale, sono le due sole chiavi per mezzo delle quali si entra nel paese puro, il paese respirabile, il paese del reale” (4). “A me fa impressione, nella vicenda di Simone Weil, la sua situazione di apolide”, scrive Giovanni Pizzutto. “In realtà Simone Weil è ebrea ma è contro il semitismo; è marxista ma rifiuta il totalitarismo; è europea ed innamorata della cultura greca e della religione indù; è vicina alla Chiesa (…) però non si sente di entrare nella Chiesa” (5). Il futuro papa Paolo VI diceva a Thibon che era cosa molto spiacevole che Simone non avesse spinto fino al battesimo la sua conversione al cristianesimo, perché meritava di essere fatta santa. Simone Weil apparteneva alla categoria dei predestinati che vivono “come se essi vedessero l'invisibile”. Per lei il vertice del cristianesimo era che l'amore e la verità si uniscono soltanto sulla croce. Perché la verità è terribile. Padre Perrin precisò i limiti entro cui Simone Weil rifiutava la formula agostiniana Fuori dalla Chiesa nessuna salvezza.

Tale formulazione del mistero cristiano è diametralmente opposta alla sua apertura universale. Simone riduceva la Chiesa, istintivamente, al grande animale sociologico, secondo l'espressione usata da Platone. La prova crocifiggente dell'amicizia con Joseph M. Perrin fu proprio il rifiuto di Simone per il battesimo. Ella era trattenuta sulla soglia della Chiesa da difficoltà insormontabili, come lei asseriva, di ordine filosofico. Ma pare acquisito che Simone sia stata battezzata dalle mani di un'amica, Simone Deitz, probabilmente alla fine di giugno '43, all'epoca del soggiorno presso l'ospedale Middlesex di Londra, dove ella era stata ricoverata il 15 aprile, perché ammalata di tubercolosi. Quale significato bisogna dare a questo tardivo battesimo, sul quale ella preferì mantenere il silenzio? Riguardo il suo ineffabile desiderio di annientarsi in Dio, ecco dai Cahiers (17 quaderni di “pensieri” scritti dall'inizio del '41, a Marsiglia, alla fine del '42, in America) una breve preghiera, da far venire i brividi: “Padre, poiché tu sei il Bene e io sono il mediocre, strappa da me questo corpo e questa anima e fanne cose tue, e di me non lasciar sussistere, in eterno, altro che lo strappo stesso, oppure il nulla”. Desiderare d'essere nient'altro che lo strappo: sentimento inconcepibile per un comune mortale che non sia dotato di una “mente” superiore! Trasferita al sanatorio di Ashford, nella contea di Kent, il 17 agosto, Simone Weil muore dopo una settimana, nel sonno. Viene sepolta il giorno 30 nel “New Cemetery” di Ashford. Molte delle opere della Weil sono state pubblicate postume. Alcune fra le più importanti: Attente de Dieu, La Colombe, Paris 1950; La connaissance surnaturelle, Gallimard, Paris 1950; Cahiers I, II, III, Plon, Paris, rispettivamente negli anni '51, '53, '56.

Bibliografia e fonti – (1) Simone Weil, Oeuvres complètes. Ecrits historiques et politiques, Gallimard, Paris 1960 ; (2) Lanza Del Vasto, L'arca aveva una vigna per vela, Jaka Book, Milano 1980; (3) Joe Bousquet, Cahiers du Sud, Rivage, Marseille 1981 (rèedition) ; (4) Simone Weil, Pensée sans ordre concernant l'amour de Dieu, Gallimard, Paris 1962 ; Canciani, Fiori, Gaeta, Marchetti, Simone Weil, la passione della verità, Morcelliana, Brescia 1984.

 
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