Una Tela Bucata: l'Umanità Negata di Expedition 33
A meno di un anno dal debutto di Clair Obscur: Expedition 33, sono esplose le controversie sul primo titolo di Sandfall, lo studio francese la cui opera ha quasi vinto molti premi annuali del settore videoludico.
Le lodi ruotano intorno alla potente componente estetica, dalla fotografia alla motion capture, dal sound design alla colonna sonora, dalla scrittura dei dialoghi ai personaggi vividi e realistici; aspetti su cui molti videogiochi moderni fanno affidamento come colonne portanti, e sui quali Expedition 33 ha seminato la competizione durante il 2025. E metto subito le mani avanti dicendo che tutte queste componenti hanno il loro merito, ma non è quello di cui voglio discutere in questo articolo (che non è una recensione!).
Le critiche recenti ovviamente si concentrano sull'uso di IA, pratica che viene ormai universalmente vituperata sia dai giocatori che dagli sviluppatori. Eppure credo che criticare questo titolo sulla base dell'uso di strumenti antietici sia superficiale e manchi di considerazione verso altre fallacie, ben più gravi e moralmente pericolose. Vi espongo sei problemi narrativi che tolgono al gioco molta più umanità di quanto l'ausilio di asset generati possano mai fare.
Per discutere approfonditamente di questi difetti avrò bisogno di includere molti SPOILER, anche e soprattutto sui colpi di scena e sui finali del gioco. Leggete dunque a vostro rischio e pericolo, e solo se avete già giocato tutti i finali e la sidequest di Clea!
Cercherò di essere il più analitico possibile e fazioso, anche se qua e là sarò costretto a usare metafore colorite e iperboli per trasmettere accuratamente quanto questo gioco mi abbia fatto bestemmiare.
Fatte le dovute premesse, entriamo nel Dipinto.
1 — L'Offerta Ingannevole, la Promessa Rubata
Sin da subito, il gioco ci colpisce con due dritti emotivi in pieno volto: Gustave che perde l'amata Sophie davanti ai suoi occhi e la partenza della Trentatreesima Spedizione alla volta del Monolito, la titanica struttura che indica gli anni rimanenti agli abitanti di Lumière prima che la Pittrice faccia svanire l'intera popolazione.
I temi portanti non vengono nascosti da una blanda e generica introduzione: si parla del terrore di perdere i propri cari in un futuro incerto e del lutto collettivo nel vedere un mondo che muore senza alcuna soluzione in vista. Ma si parla anche di speranza e ingegno: la prossima spedizione ha a sua disposizione un nuovo strumento (il Lumina Converter) che potrebbe aiutare i lumieresi a porre fine all'ecatombe di cui sono stati vittime per quasi settant'anni.
Il cuore della storia è una comunità disperata che si lancia in un ultimo, disperato volo verso l'ignoto per evitare la condanna all'oblio.
Eccetto che... non è così.
Le premesse dell'Atto Uno vengono messe da parte, e i conflitti magistralmente introdotti dal Prologo vengono dirottati e bastardizzati dall'entrata in scena di Verso. Dall'inizio dell'Atto Due, gli obiettivi della Spedizione vengono sempre più diluiti e sostituiti dal dramma familiare dei Dessendre, la famiglia che ha dato origine al dipinto e che ora se ne contende le sorti.
Lungo l'Atto Due questa mancanza tematica affiora principalmente nei Diari delle precedenti spedizioni: se all'inizio i resoconti dei lumieresi sacrificatisi per la propria comunità sono testamenti di uno sforzo collettivo di cui la Trentatreesima Spedizione raccolgono i frutti, proseguendo diventano sempre più giustificazioni a posteriori (“perché non si può fare questa cosa?” “Eh, ci ha provato la Spedizione 41 e sono morti tutti...”) o morti assurdamente stupide, ai limiti del comico. Inoltre, nonostante la Trentatreesima disponga di uno strumento rivoluzionario, al giocatore non viene mai chiesto di lasciare alcunché per la Trentaduesima Spedizione, rivelando maldestramente che non sarà necessaria.
Tornando ai Dessendre (che purtroppo sono l'elemento centrale di questa storia), il finale ci porta a chiederci da quale parte della famiglia spezzata decidiamo di stare, riducendo l'intero mondo che abbiamo esplorato per cinquanta ore di gioco a una mera pedina di scambio, una parte secondaria della trattativa. Uno scenario in cui pochi attori con poteri sovrumani decidono delle sorti del mondo in base alle proprie sofferenze e rancori.
Il lutto collettivo e la speranza di Lumière, incarnati dai membri della Spedizione, vengono sostituiti dai lutti individuali e dalle vendette personali dei membri della famiglia; Atto Uno e Atto Tre sembrano quasi due storie scorrelate, con temi e messaggi così diversi che è difficile riconciliarli.
Personalmente, ho adorato come l'Atto Uno potesse essere interpretato in chiave ecoclimatica: la Frattura e il Gommage sono potenti analogie della crisi climatica, e una storia che interpretasse queste minacce globali in chiave fantastica e allegorica sarebbe stata un toccasana nell'attuale panorama culturale. Ovviamente non è stato così, e ho dovuto mettere da parte le mie aspettative per sopportare l'ennesimo dramma familiare. Beautiful, ma in una Belle Époque dark fantasy.
2 — Il Dirottatore
Al centro dell'opera di deragliamento narrativo e tematico c'è Verso, il carismatico e tormentato kamikaze simulacro del primogenito Dessendre. Nonostante appaia solo nell'Atto Due, Verso è chiaramente il protagonista di questo gioco; chi sostiene che “il protagonista è la Spedizione intera” si è probabilmente fermato all'Atto Uno.
Verso mente agli altri membri della Spedizione (per ingraziarseli o portarseli a letto), nasconde informazioni critiche al successo della missione (notevole quelle sugli Axon e sulla Barriera), gaslighta e manipola tutti i personaggi con cui interagisce. Più avanti nel gioco, viene mostrato che Verso ha lasciato che Gustave morisse per poter approfittare del dolore di Maelle e far sì che si fidasse di lui.
Nonostante questo, non solo il giocatore è costretto a giocare nei suoi panni per l'atto più lungo del gioco, ma il gioco stesso ne giustifica continuamente le azioni senza mai metterlo di fronte ai propri misfatti. I personaggi che potrebbero contraddirlo (Lune, Maelle, Sciel; casualmente tutte donne!) si piegano come sedie a sdraio ogni volta che sono di fronte a lui. L'esempio più eclatante è quello di Lune: logica, curiosa e persistente, in Atto Uno era il contraltare razionale a Gustave (più emotivo, carismatico e impulsivo), mentre in Atto Due si fida quasi ciecamente di Verso e raramente lo interroga su tutto ciò che potrebbe dire al resto della Spedizione.
A ogni possibile occasione, il gioco mette al centro i traumi e la sofferenza di Verso e li usa come giustificazione per tutto ciò che compie, lasciando in secondo piano la caratterizzazione di ogni altro personaggio.
3 — Testa Vinco Io, Croce Perdi Tu
Siccome il gioco adora Verso e odia ogni altro personaggio, i finali sono ingannevoli e deludenti: al giocatore viene chiesto di scegliere se stare dalla parte di Maelle/Alicia, e preservare il Dipinto, i lumieresi e i Gestral, o da quella di Verso, per distruggere il Dipinto e costringere Maelle/Alicia e Aline a tornare a Parigi.
È uno scenario da “testa vinco io, croce perdi tu”, in cui se il giocatore sceglie Verso salva la famiglia (sacrificando tutti gli abitanti del Dipinto), e se sceglie Maelle/Alicia condanna tutti a un futuro di falsa felicità che nasconde un dolore inevitabile (la depressione di Verso, il jumpscare di Maelle/Alicia sfigurata alla fine). Questo discende dal fatto che il gioco si rifiuta di considerare gli scenari in cui Verso non ha ragione (e se Aline e Maelle/Alicia non restassero nel Dipinto in eterno ma dopo qualche mese/anno, grazie allo sfogo artistico, guarissero e decidessero di tornare a Parigi di loro sponte? E se rimanendo nel Dipinto avessero davvero una vita più felice, anziché essere costrette a tornare a Parigi e soffrire in una famiglia abusiva e contro rivali spietati? E se Verso non fosse automaticamente depresso ma imparasse a godersi la vita a Lumière con la sorella che dice di amare?). Ce ne sono molti altri, ma il gioco non può prenderli in considerazione perché dà per scontato che restare nel Dipinto sia una scelta sbagliata, che in principio è solo l'opinione di Verso ma viene presentata come deterministica e unica opzione realistica.
In entrambi i finali, il gioco dà ragione a Verso: se si segue il suo piano, lui si sacrifica (eroicamente e tragicamente) e la famiglia Dessendre “guarisce” dal trauma (non viene chiarito come); se si segue il piano di Maelle/Alicia, a tutti i membri della famiglia è impedito di guarire (non viene chiarito perché). Persino il titolo è un inganno: “chiaroscuro” implica più prospettive, luci e ombre che cambiano a seconda dei punti di vista, ma non c'è alcun chiaroscuro, nessuna prospettiva; il punto di vista è solo uno, quello di Verso, in entrambi i finali.
Un falso dualismo di questo tipo è, a mio parere, un affronto verso il giocatore e un inganno narrativo spregevole.
4 — Il Lutto (?)
“Expedition 33 è un gioco che parla di lutto” è, come si dice dalle mie parti, un par di palle.
L'intera trama si regge sulle dinamiche di una famiglia abusiva, la cui inabilità di comunicare è esacerbata dal controllo su una dimensione alternativa e, in un secondo momento, dalla morte del figlio maggiore. Non a caso i personaggi dipinti (Alicia Dipinta, Renoir Dipinto) non parlano tra loro e solo raramente col giocatore (Clea solo durante la sua sidequest) e i duali dei personaggi nel Dipinto (Renoir/Curatore e Aline/Pittrice) non hanno nemmeno una bocca né linee di dialogo.
Fatemi sfogare su Renoir Dipinto per un momento: questo personaggio è fondamentalmente inutile alla storia. Capisco l'intenzione degli sviluppatori di volerlo presentare come inizialmente malvagio per poi rivelare che avesse buone intenzioni (la famosa Sindrome di Itachi), ma siccome il gioco non può rivelare troppo presto il colpo di scena dell'Atto Due, è costretto a farlo parlare per enigmi come lo zio ubriaco alle feste di famiglia che nessuno sa se stia scherzando o meno, con dialoghi tra il vago e l'attivamente frustrante. Tutti gli incontri tra Verso e Renoir Dipinto sono interazioni in cui entrambi parlano da soli, senza ascoltarsi a vicenda. D'altronde, se avessero comunicato chiaramente tra loro e ai membri della Spedizione, il giocatore avrebbe immediatamente capito che Verso intendeva distruggere il Dipinto e Lumière. E questo il gioco non può permetterlo.
Gli sviluppatori pensano di rappresentare con profondità una famiglia spezzata dal lutto per la morte di un membro, quando in realtà è l'esatto opposto: nessuno dei Dessendre riesce a elaborare il lutto a dovere perché sono una famiglia disfunzionale a prescindere dalla morte di Verso.
Non solo questa contestualizzazione manca totalmente, ma l'analisi delle dinamiche è fatta di carta velina e viene sfruttata solo per massimizzare l'effetto tragico e accrescere la risposta emotiva nel giocatore (“queste persone sono tristi e soffrono quindi compiono cattive azioni! Non è triste?”).
Il gioco non parla di lutto, non esplora davvero il tema di come superare i traumi emotivi. Se volesse farlo, i membri dei Dessendre parlerebbero tra loro e avrebbero compassione vicendevole, si aiuterebbero e sosterrebbero a vicenda per superare un ostacolo comune. Invece il lutto è solo un espediente narrativo, un pretesto che viene spremuto a ogni occasione per invischiare i personaggi (e il giocatore, vicariamente) nelle faide interne di questa fottuta famiglia e far avanzare la storia nella direzione decisa dagli sviluppatori.
5 — Ai Lumieresi è Negata l'Umanità
E arriviamo infine al vero punto nevralgico che connette i quattro precedenti: ai lumieresi non è concesso di esistere.
Nonostante il gioco ci chieda per due atti interi di empatizzare con i personaggi che ci accompagnano, mostrandoci i loro traumi, i loro sogni, le loro storie e i loro problemi (in breve: la loro umanità), essi diventano cartonati di loro stessi nel momento in cui viene rivelato che si trovano in un dipinto. Da quel momento in avanti, tutti i personaggi che provengono da fuori o danno per scontato che i lumieresi sono troppo ignoranti per comprenderne la natura (nonostante abbiano inventato indipendentemente il Lumina Converter, che in teoria nullifica il potere del Curatore di attuare il Gommage!), o sono disposti a sacrificarli in massa per il bene di una persona amata. Un gioco di prestigio emotivo e narrativo che ci chiede di empatizzare con i personaggi solo finché serve alla trama, solo per accrescere la risposta emotiva del giocatore alla tragedia che inevitabilmente affronteranno.
Il gioco presenta una narrativa manipolativa perché invece di risolvere la mancanza di informazioni (come ho discusso sopra, avendo Verso o Renoir che rivelano alla Spedizione il ruolo della Pittrice sin da subito), la usa come giustificazione per deumanizzare. La trama è costruita con l'assunzione che i lumieresi non possono salvarsi da soli, che lasciati a se stessi sarebbero un pericolo (per chi, poi?).
In quest'ottica, i due finali sono un indoramento del Dilemma del Tram, bastardizzato però in modo da far sì che le rotaie siano connesse e che il tram ritorni a travolgere i lumieresi anche quando si sceglie il finale di Maelle/Alicia; ma questo è moralmente giustificato dal gioco in quanto i lumieresi “sono solo dipinti”, finti. Non umani. Sacrificabili.
A questa deumanizzazione contribuisce anche il linguaggio usato dai fan in molte discussioni online: termini come “Alicia vera” e “Alicia finta” o “la famiglia nel mondo reale” rivelano l'implicito che alcuni personaggi valgano meno di altri, nonostante il gioco stesso dichiari (in una missione secondaria, attraverso l'Anima di Verso Bambino) che anche i personaggi dipinti hanno un'anima.
Il gioco non dà ai lumieresi la possibilità di difendersi e di far valere il loro diritto all'esistenza; esistenza che è in principio sullo stesso piano di quella dei Dessendre, ma che viene retrocessa in quanto non più importante per raccontare le diatribe infantili dei Dessendre. D'altronde, il finale di Maelle/Alicia, che in teoria restituisce umanità ai lumieresi, lo fa in modo superficiale e surrettizio, chiarendo molto bene che si tratta di un'inganno, un'illusione, una recita il cui solo scopo è fuggire da una realtà dolorosa.
Sarebbe stato molto più aderente e rispettoso (verso i lumieresi, verso Maelle/Alicia, ma anche verso i giocatori che hanno apprezzato l'Atto Uno) se la scelta finale fosse stata fra Verso e i lumieresi, con Maelle/Alicia (che ha vissuto sedici anni a Parigi e sedici a Lumière, e quindi conosce entrambi i mondi) a fare da arbitro e facilitatrice tra i due lati. Ma orchestrare un compromesso non è un finale abbastanza tragico per un videogioco, né metterebbe al centro il punto di vista di Verso, quindi il gioco si rifiuta di considerarlo.
6 — Se si parla di genocidio...
Chiariamo subito un elemento cardine: il Gommage è, in termini moderni, un genocidio. Abbiamo una comunità intrappolata in una città i cui abitanti vengono decimati di anno in anno; il gioco (questa volta giustamente) sa bene che non serve spiegarne la crudeltà, e il giocatore comprende perfettamente la gravità dell'evento. Questo sarebbe stato efficace anche senza mettere Sophie in frigo, ma tant'è. Ai francesi piace fredda.
Il gioco di prestigio retorico ed emotivo però è sempre lo stesso: il genocidio iniziale è vile perché non ha un volto, ma quando a esso viene data una giustificazione sulla base di sofferenze pregresse e mentendo e manipolando ogni altro personaggio (“Renoir/Curatore e Verso lo fanno per il bene della famiglia”), allora diventa accettabile, necessario persino.
Questa narrazione non è solo problematica di per sé, ma lo è doppiamente nell'anno 2025 in cui gli occhi di tutti, pure dei gamers, sono puntati sulle manifeste tattiche di deumanizzazione operate da Israele al fine di eliminare i gazawi.
In conclusione, Expedition 33 tradisce consistentemente i temi che cerca di portare alla luce e sacrifica una narrativa organica ogni volta che può prendere la strada che rende il giocatore più triste. E in un mondo in cui distorcere le emozioni del proprio pubblico per giustificare atti atroci, questi errori sono secondo me assai più gravi dell'uso dell'IA. È una mancanza di rispetto nei confronti del proprio pubblico.
Non a caso, l'aspetto preoccupante di tutta la debacle dell'IA è che in un primo momento Sandfall ha negato di averla usata; poi, dopo essere stati scoperti, sono passati a dichiarazioni del tipo “sì, l'abbiamo usata, ma solo un po'” e poi, dopo essere stati privati dei premi, “sì, ci sembrava sbagliato, non la useremo più”. Mentire alla fanbase, gaslightare, spostare i paletti, promesse vaghe; va tutto bene finché il prossimo gioco sarà altrettanto ben accolto. Dove abbiamo già visto queste mosse?
Se siete videogiocatori di lunga data, vi esorto a fare attenzione a questi tipi di narrative in ogni videogioco che uscirà da qui in avanti, e a osservare la storia da lati diversi da quelli che propongono gli sviluppatori. Non accontentatevi che il gioco “abbia un bel vibe” un bel sistema di combattimenti o una bella colonna sonora; chiedetevi cosa vuole dire la storia e cosa vogliono dire gli artisti che stanno provando a raccontarla. Chiedetevi se poteva essere raccontata in un altro modo.
Dall'altra parte, mostra anche quanto sia poco rilevante per un videogioco avere una trama narrativamente e tematicamente consistente per raccogliere premi a destra e a manca; l'importante per ottenere il plauso globale della fanbase è avere bella musica, begli sfondi, un MC tenebroso, una minorenne rossa e tante, tante lacrime. Il resto è secondario.

Dagli albori della Storia del mondo, il lavoro è stato considerato una punizione. Adamo ed Eva furono condannati a lavorare sulla Terra per aver disobbedito. Nella Genesi si legge: “Perciò l’Eterno Iddio mandò via l’uomo dal giardino d’Eden, perché lavorasse la terra donde era stato tratto”. Adamo ed Eva sicuramente non sono mai esistiti, ma vero è il contenuto della loro storia. Lo è per il semplice fatto che qualcuno si è posto il problema del concetto di lavoro come punizione, fatica. E l’ha tramandato!
La pretarella custodiva un segreto: quello dei tesori dei briganti, frutto delle razzie nelle case dei ricchi, nascosti nelle campagne per il timore di essere giustiziati se colti con le mani nel sacco. Le pretarelle erano donne chiamate così perché avevano sempre un prete in famiglia e sopratutto perché realizzavano i loro profitti sempre all’ombra di un campanile. Senza la Chiesa una pretarella avrebbe fatto la campagnola, la donna a servizio. Invece come quel prete che predica bene e razzola male, la pretarella sapeva razzolare. In quei tempi, la calura estiva soffocava le famiglie alle prese con gli insuperabili problemi della sussistenza. La pandemia della Spagnola era ormai alle spalle e cambiamenti politici erano nell’aria: la Marcia su Roma c’era stata a ottobre e il Papa con la “pax Christi in regno Christi” non riusciva a contenere il marcio all’interno della Chiesa. Concetta era una zia zitella di una pretarella, di famiglia patriarcale. Era nata nel 1838, aveva vissuto il periodo del Risorgimento, quello dell’Unità d’Italia, aveva visto i briganti, l’emigrazione, la Grande Guerra, la pandemia. Ora la sua malattia le stava risparmiando di rendersi conto del nuovo ordine che avanzava, che non dava spazio nella società ai malati, ai diversi, ai deboli nel nome della razza sana e pura. Zia Concetta aveva qualche peccatùccio da farsi perdonare: nella sua vita, talvolta, aveva inveito alle spalle delle persone che non l’aggradavano. Aveva imprecato, augurato una sorta di occhio per occhio dente per dente per presunte malefatte che l’ignara persona avrebbe compiuto nella sua vita, ma non ancora commesse, e, che potevano ricadere anticipatamente sui suoi cari. Spesso ci azzeccava, era capace di riconoscere il male in una persona prima ancora che questo venisse fuori. Per questo motivo si era guadagnata fama di fattucchiera e aveva condotto un’esistenza alquanto solitaria. Adesso alla fine dei suoi anni, stava scontando in vita questi peccati, cosicché una corsia preferenziale le si potesse aprire per la porta del Paradiso, senza passare nel Purgatorio. Zia Concetta adesso viveva come in un sogno, dove non c’è più il tempo. Le facce amiche erano quelle dei ricordi lontani. Quando riconosceva una voce familiare subito le domandava dove si trovasse sua madre che non c’era più da anni. Se ne dispiaceva e riviveva una seconda, terza, quarta, quinta volta il lutto. Allora quella voce per non farle rivivere l’ennesima volta il dispiacere di una morte, le rispondeva che in quel momento sua madre non c’era e che presto sarebbe tornata a casa. Zia Concetta si alzava dalla sedia per andare a bere e si risedeva senza aver bevuto. Ingoiava, respirava, camminava, andava in bagno perché gli veniva automatico. Riusciva a vestirsi e svestirsi, a lavarsi da sola. Mangiava quando aveva fame, ma poteva mangiare anche un chilo di fagioli senza accorgersene. Zia Concetta non sapeva fare i conti, non sapeva contare i soldi, non sapeva che giorno della settimana fosse, che mese o che anno. Viveva un perenne presente. Si irritava per nulla, quando non riusciva a fare qualcosa diveniva intrattabile e viveva di fisime. Era malata, ma non era demente. La sua malattia ancora non aveva un nome nel piccolo paese dove zia Concetta e la nipote pretarella vivevano, ma in Germania un dottore di nome Alzheimer qualche decennio prima aveva osservato delle anomalie nel cervello di una paziente morta, che negli ultimi anni della sua vita assomigliava in tutto e per tutto a Zia Concetta.
Un'associazione di Calvi Risorta in provincia di Caserta, ha analizzato le varie coordinate di una cartina dei telegrafi ed è andata alla ricerca di quello caleno, scoprendo l’edificio su di un anfratto sulla direttrice Teano – Gaeta. Fino ad allora i resti della struttura, erano ritenuti “delle fortificazioni preromane”. Invece sono i resti dell’edificio telegrafico borbonico di Chappe.
Sull'Unità Italiana si sono spesi fiumi di parole e di inchiostro. Il dualismo tra borbonici e Savoia, ancora oggi alimenta il dibattito su quel periodo. I fatti storici ci dicono che dallo sbarco di Garibaldi a Marsala e il successivo in Calabria passarono più di tre mesi. Fu un’occupazione, una guerra. Successivamente ci vollero altri 10 anni per controllare tutto il Sud Italia. Partendo dalla novella “Libertà” di Giovanni Verga sui fatti accaduti a Bronte in Sicilia ripercorriamo quel periodo storico.