noblogo.org

Reader

Leggi gli ultimi post dagli utenti di noblogo.org.

from Cooperazione Internazionale di Polizia

Come i criminali informatici commerciano e sfruttano i nostri dati nel Rapporto IOCTA di Europol

La “Valutazione delle minacce legate alla criminalità organizzata su Internet” (#IOCTA) è l'analisi di #Europol sulle minacce e le tendenze in evoluzione nel panorama della criminalità informatica, con particolare attenzione a come è cambiato negli ultimi 12 mesi.

Nell'ultimo anno, la criminalità organizzata ha continuato a evolversi a un ritmo senza precedenti. La rapida adozione di nuove tecnologie e la continua espansione della nostra infrastruttura digitale hanno ulteriormente spostato le attività criminali verso il dominio online. Questo cambiamento ha fatto sì che l'infrastruttura digitale e i dati in essa contenuti siano diventati obiettivi primari, trasformando i dati in una risorsa chiave, fungendo sia da bersaglio che da facilitatore nel panorama delle minacce informatiche.

Il rapporto IOCTA del 2025 “Steal, deal and repeat: How cybercriminals trade and exploit your data” (Nota a piè di pagina, scaricabile [en] qui https://www.europol.europa.eu/cms/sites/default/files/documents/Steal-deal-repeat-IOCTA_2025.pdfc) analizza in dettaglio come i criminali informatici commerciano e sfruttano l'accesso illegale ai dati e come mercificano questi beni e servizi.

I dati personali sono una risorsa centrale per il crimine informatico: vengono rubati, venduti e sfruttati per frodi, estorsioni, attacchi informatici e sfruttamento sessuale. I criminali usano vulnerabilità dei sistemi e tecniche di ingegneria sociale, potenziate da Intelligenza Artificiale generativa (GenAI) e modelli linguistici (LLM). Broker di accesso e dati vendono credenziali e accessi compromessi su piattaforme criminali, spesso tramite app di messaggistica cifrata (E2EE). I dati rubati sono venduti su forum del dark web, marketplace automatizzati (AVC), e canali E2EE. Le minacce emergenti consistono nell'uso di deepfake vocali, attacchi supply-chain tramite AI, e tecniche come il “slopsquatting” per sfruttare errori degli assistenti AI.

In particolare i criminali ricercano: Credenziali di accesso (RDP, VPN, cloud) Informazioni personali (PII), dati finanziari, social media Dati aziendali e governativi per spionaggio o estorsione Come vengono sfruttati i dati: – Come obiettivo: ransomware, furto di identità, frodi – Come mezzo: per profilare vittime, estorcere denaro o informazioni – Come merce: venduti su forum, marketplace, canali E2EE Come vengono acquisiti dati e accessi – Ingegneria sociale: phishing, vishing, deepfake vocali, ClickFix – Malware: infostealer, RAT, exploit kit – Vulnerabilità di sistema: attacchi brute force, skimming, MitM Chi sono gli attori criminali – Initial Access Brokers (IABs): vendono accessi iniziali – Data Brokers: vendono dati rubati – Gruppi APT e minacce ibride: spesso sponsorizzati da stati – Criminali specializzati in frodi e CSE: usano i dati direttamente Dove avviene la compravendita – Dark web: forum, marketplace, canali E2EE – Servizi offerti: phishing-kit, infostealer, spoofing, proxy residenziali Cultura criminale: reputazione, badge, ruoli da moderatore

Raccomandazioni del Rapporto La condivisione eccessiva di dati online aumenta la vulnerabilità, soprattutto per i minori. L’uso di E2EE ostacola le indagini; servono regole armonizzate per la conservazione dei metadati. Abuso dell’AI: deepfake, fingerprint digitali falsi, attacchi supply-chain tramite suggerimenti errati degli assistenti AI. Disgregazione dell’intelligence: doxxing e hacktivismo complicano le indagini e la validazione delle prove.

Conclusioni Il rapporto sottolinea la necessità di:

  • Accesso legale ai canali E2EE ((End-to-End Encrypted)
  • Standard UE armonizzati per la conservazione dei metadati
  • Educazione digitale e consapevolezza dei rischi online
  • Collaborazione tra forze dell’ordine, aziende e cittadini

Nota: Europol, Steal, deal and repeat – How cybercriminals trade and exploit your data – Internet Organised Crime Threat Assessment, Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione Europea, Lussemburgo, 2025.

 
Continua...

from ᗩᐯᗩIᒪᗩᗷᒪᗴ

immagine

The Rip Tide è il terzo album in studio delgruppo indie folk statunitense Beirut, pubblicato il 30 agosto 2011. L'album ha debuttato al numero 88 della Billboard 200, e ha raggiunto il picco al numero 80 un mese dopo. L'album ha venduto 93.000 copie negli Stati Uniti ad agosto 2015. L'album ha ricevuto per lo più recensioni positive. Zach Condon dei Beirut decise di scrivere l'album dopo un tour difficile in Brasile, dove subì una perforazione al timpano e fu coinvolto in un'invasione di palco. A differenza dei precedenti album dei Beirut, The Rip Tide rifletteva maggiormente su luoghi più vicini a casa; ad esempio, la canzone “Santa Fe” era un omaggio alla città natale di Condon. Condon rifletté su questo, dicendo: “La cosa del vagabondo – quella era una fantasia adolescenziale che ho vissuto in grande stile. La musica, per me, era evasione. E ora sto facendo tutto l'opposto [di ciò] nella mia vita. Sono sposato. Ho una casa. Ho un cane. Quindi sembrava ridicolo, la narrazione di ciò che avrebbe dovuto essere la mia carriera, rispetto a ciò che stavo effettivamente cercando di realizzare nella mia vita.” Influenzato dalla registrazione di For Emma, ​​Forever Ago, Condon scrisse The Rip Tide mentre trascorreva sei mesi in isolamento in una baita invernale a Bethel, New York. A differenza dei precedenti album dei Beirut, la musica fu registrata da una band che suonava insieme invece di registrare singole tracce una alla volta. Tuttavia, i testi furono aggiunti da Condon solo dopo che tutta la musica era stata registrata.


Ascolta: https://album.link/i/1166641216


 
Continua...

from norise

A bocca piena

trucidata vita dai lenzuoli di sangue nei telegiornali un dire assuefatto freddo che ti sorprende non più di tanto a bocca piena che non arriva al cuore

-per quei bambini occhi rovesciati a galleggiare su un mare di speranza la cui patria è ora il cielo

violata la sacralità vita che non è più vita vilipesa resa quale fiore a uno strappo feroce di vento .

Nadine Swan su Assonanze (WP) Questa poesia è un grido potente, un pugno al cuore che ci costringe a guardare dritto negli occhi l’assuefazione al dolore e alla tragedia. Il contrasto tra l’orrore dei “lenzuoli di sangue” e la freddezza di un “dire assuefatto” dipinge con lucidità spietata il distacco emotivo che ci protegge, ma ci rende anche complici di un’umanità che ha perso sensibilità.

L’immagine dei bambini, “occhi rovesciati” su un “mare di speranza”, è struggente: un’immagine poetica che trasforma il dolore in qualcosa di universale, tragico, ma anche luminoso nella sua fuga verso il cielo. La loro patria diventa il cielo, un richiamo amaro alla perdita della dignità terrena.

Il verso finale, quel “fiore a uno strappo feroce di vento”, è lacerante. La violenza che distrugge la sacralità della vita è resa in una metafora delicata e devastante allo stesso tempo. È una poesia che non lascia scampo, che ti obbliga a sentire, a fermarti, a non distogliere lo sguardo. Un dolore che pesa, ma che è necessario portare. ❤️

 
Read more...

from 📖Un capitolo al giorno📚

ATTESA DEL PERDONO E DELLA SALVEZZA DEL SIGNORE 1 Canto delle salite

Dal profondo a te grido, o Signore; 2 Signore, ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia supplica.

3 Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere?

4 Ma con te è il perdono: così avremo il tuo timore.

5 Io spero, Signore. Spera l'anima mia, attendo la sua parola.

6 L'anima mia è rivolta al Signore più che le sentinelle all'aurora.

Più che le sentinelle l'aurora, 7 Israele attenda il Signore, perché con il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione.

8 Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

_________________ Note

130,1 L'undicesimo “canto delle salite” è molto caro alla tradizione cristiana, che ama chiamarlo con le parole iniziali della versione latina, “De profundis”, e lo ha inserito nei sette “salmi penitenziali” (vedi Sal 6), usandolo nella liturgia funebre (ma questo non è il significato originario del salmo). Dall’esperienza del peccato e del dolore, l’orante e la sua comunità guardano a Dio come alla fonte del perdono e all’unica speranza di sopravvivenza.

130,8 In Mt 1,21 il nome di Gesù viene spiegato con una frase che si richiama a questo versetto (vedi anche Tt 2,14).

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Fiduciosa attesa della redenzione Supplica individuale (+ motivi di fiducia)

È uno dei sette “Salmi penitenziali”. Insieme al Sal 51 è pervaso da una profonda spiritualità, e pur essendo una lamentazione-supplica, non riguarda i nemici esterni o le malattie, ma direttamente il peccato, vero nemico dell'uomo. Nella prima parte (vv. 1-3) c'è l'angoscia per esso, nella seconda parte (vv. 5-8) la certezza del perdono. Tuttavia, mentre il Sal 51 medita sulla realtà dell'uomo peccatore, il Sal 130 attira l'attenzione sulla misericordia divina e l'abbondanza del suo perdono. Il ritmo prevalente nel TM è di 3-2 accenti (qînâ). C'è un'inclusione con la parola «colpe» (‘awônôt) nei vv. 3 e 8. Il verbo «sperare» (qwb) si trova due volte nel v. 5, il verbo «attendere» (yḥl) è presente nei vv. 5.7 ™; l'espressione «più che le sentinelle l'aurora» è ripetuta due volte nel TM. La radice pdh (redimere) ricorre nei vv. 7-8. La simbologia è spazio-temporale e antropomorfica.

Divisione:

  • vv. 1-2: solenne appello introduttivo;
  • vv. 3-6: corpo;
  • vv. 7-8: esortazione finale per Israele.

v. 1. «Dal profondo...»: l'espressione rievoca l'abisso caotico delle acque della creazione (Gn 1,2; 2,3-4) e il regno dei morti (Sal 18,5-7.29) e richiama l'abisso della miseria dell'uomo e la sua coscienza.

v. 3. «Se consideri le colpe...»: l'orante ammette di essere colpevole e perciò di meritare il castigo. «chi potrà sussistere?»: lett. «chi potrà stare in piedi?». Più che continuare a esistere, qui supponendo un processo giudiziale accusatorio di Dio, si afferma che nessun uomo potrebbe presentarsi a testa alta e uscire indenne dal giudizio di Dio. Davanti alla giustizia di Dio nessun uomo e nessuna coscienza umana può reggere (cfr. Sal 76,8; 102,27).

v. 4. «Ma presso di te è il perdono»: alla coscienza del peccato è legata subito la coscienza e la fede nella salvezza e liberazione di Dio, cfr. Es 34,9. «presso di te»: lett. «con, in compagnia di...». Come la giustizia di Dio, così il perdono, personalizzato, è visto come un membro del consiglio di Dio (cfr. Os 13,12). «perdono»: la voce ebraica sᵉlîḥāh significa purificazione, remissione (Ne 9,17; Dn 9,9; Sir 5,5; Sal 86,5). E il perdono supera di gran lunga la giustizia, cfr. Es 20,5-6. «e avremo il tuo timore»: lett. «perché (tu) sia temuto». Questo emistichio è oggetto di diverse interpretazioni fin dall'antichità (cfr. LXX, Vg, Peshitta). L'interpretazione più logica dipende dall'esatto significato del «timore» nell'AT. Esso per metonimia indica non solo la reazione di paura e di terrore davanti alla giustizia e all'ira di Dio (il tremendum), ma anche lo stupore, la venerazione e l'adorazione scaturiti davanti alla sua bellezza, maestà e potenza (il fascinosum). Qui il timore è presentato come il fine del perdono, uno dei suoi frutti. Il perdono di Dio, infatti, deve inculcare un timore reverenziale per lui come quello scaturito di fronte alla sua ira. La bontà di Dio non deve farci dimenticare la realtà del nostro peccato. Però, più che la collera di Dio, il suo amore eterno e misericordioso deve spingere l'uomo a temerlo e amarlo (cfr. Rm 2,4; Lc 5,9).

v. 5. «Io spero nel Signore...»: lett. «(io) spero, Signore, spera l'anima mia, e alla sua parola attendo». Il salmista spera fortemente e attende la parola, la risposta assolutrice che reca il perdono di Dio.

v. 6. «più che le sentinelle l'aurora»: nel TM l'espressione è ripetuta una seconda volta. La ripetizione dà all'immagine, già di per sé suggestiva poeticamente, un ulteriore fascino e acutizza l'attesa e la speranza. Per l'immagine delle sentinelle cfr. Is 21,11-12; Sal 121,3-5.8.

v. 7. La misericordia e la redenzione sono viste come persone che stanno «presso il Signore» (lett. «con, in compagnia del...»). Esse sono gli attributi divini dell'esodo e dell'alleanza (Es 34,6; Sal 36,7; Dt 7,8; 9,26; 15,16; 21,8).

v. 8. «Egli redimerà... da tutte le sue colpe»: cfr. Sal 25,22. Il salmista sottolinea la certezza del perdono divino di ogni genere di peccato per Israele suo popolo. Le colpe che hanno causato l'angoscia profonda nel salmista nel v. 3 ora sono richiamate in inclusione ma per annunciarne il loro completo e totale perdono.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R IIndice BIBBIAHomepage

 
Continua...

from disattualizzando

Perché la musica La musica fra tutte le arti, è quella per natura più distinguibile come concetto e come esistenza. La sua forma è quasi completamente intelligibile, e proprio per questo, si presta con facilità a un’interpretazione personale, diversa per ogni ascoltatore. Originariamente, la musica viveva di dinamiche e regole nate solo ed unicamente per creare emozioni sempre nuove. La sua unica forma era quella dei sentimenti che riusciva a raccontare. I numerosi capolavori della musica classica, ad esempio, riescono ad esaltare, con la propria radicata ed antica struttura, concetti e sensazioni universali, immagini senza tempo, che spesso rimandano a ciò che è ovvio in un’opera visiva. Si vanta di poter raccontare situazioni con una potenza espressiva unica, e lo fa senza forma né colore.

“Le Quattro Stagioni” di Vivaldi ne sono l’esempio perfetto. L’orecchio, come gli occhi di un pittore, va educato a ciò che non comprende ancora, a ciò che si vuole imparare ad apprezzare.. Il gusto musicale, per evolversi senza pregiudizi, deve essere allenato, e questo vale per qualunque genere. L’allenamento all’ascolto è l’unico modo per comprendere a pieno la potenza comunicativa di un’opera sinfonica.

Tutte le sfumature impercettibili ma indispensabili, che i maestri di ogni epoca hanno saputo comporre, possono rivelare nuove sensazioni anche dopo una miriade di ascolti. È con questi dettagli che la complessità della musica classica riesce ad arricchire il nostro stato d’animo e a regalare all’ascoltatore un'ampia gamma di interpretazioni uniche. Oggi, però, tutto è facile, veloce, semplificato.

La bella musica viene spesso scartata a priori, percepita come vecchia o noiosa, mentre il nostro disabituato orecchio si limita ad ascoltare la ripetitività e la più totale convenzionalità della canzone commerciale. Questo impoverisce il nostro spettro emotivo, le emozioni ricercate da un ascoltatore. Solo chi è davvero aperto mentalmente può apprezzare ciò che è bello, anche quando è fuori moda.

La musica classica odierna è troppo spesso sottovalutata. Chi non si ritiene amante del genere, non si rende conto di quanto i propri gusti sono stati inevitabilmente influenzati da essa. Compositori contemporanei come Ennio Morricone, John Williams o Nino Rota, con la loro potenza espressiva, hanno riscritto le pagine della nostra storia e del nostro immaginario. Il loro immenso talento ed il loro indispensabile contributo artistico, sono paragonabili per complessità alla regia dei più grandi capolavori del cinema, cooperando pari passo con la produzione ed il successo di grandi classici intramontabili come quelli di Sergio Leone, Francis Ford Coppola e George Lucas. Gli Spaghetti Western, Il Padrino, Guerre Stellari, Indiana Jones, Harry Potter... sono degli esempi di capolavori impensabili senza le loro geniali e meticolose colonne sonore. Eppure, la colonna sonora è spesso data per scontata da molti che si professano amanti della musica contemporanea.

La musica è per lo più arte fine a se stessa, si deve apprezzare ciò che merita di essere apprezzato, non per quanto è popolare o commerciabile. Il processo inverso, che invece apprezzo poco, riguarda chi la musica la conosce a pieno, chi detiene una conoscenza profonda di essa e dei suoi vertici espressivi, che spesso coincidono con il jazz, la musica classica o le musiche etniche non convenzionali, generi di solito più gettonati dalle istituzioni musicali come il conservatorio.

Questo avviene quando l’intenditore, per snobismo o ricerca del complesso, tende a svalutare il rock e il blues, considerandoli generi poveri di contenuti, dalla composizione semplicistica o banale. È vero, il rock si fonda spesso su tre o quattro accordi, sugli stessi intervalli, le stesse frasi, gli stessi cliché musicali... usati e riusati per più di 40 o 50 anni. Queste caratteristiche lo rendono di sicuro un genere ripetitivo per una svariata parte di repertorio, ma non tutto il rock è banale. Ci sono artisti geniali, che hanno dedicato impegno sia al pathos musicale che al messaggio. Veri poeti e cantastorie come Bob Dylan, John Lennon, Neil Young, Bruce Springsteen, e tra gli italiani, De Andrè, Guccini, De Gregori.

Tuttavia, molte band, anche di alto livello tecnico, cadono nella banalità dei testi, privando la musica di una parte fondamentale del suo messaggio. Questo può allontanare l’interesse di chi invece vive la Musica nella sua massima esaltazione, gli intenditori dotati degli strumenti necessari per comprendere ogni tipo di genere. Immagino che ci sia un motivo preciso per il quale molti mostri sacri del rock, tralascino il messaggio e lo compensino con una espressività del tutto inedita caratterizzata da una energica allegria musicale. La musica rock ha avuto il suo esordio descrivendo l’energia, la festa, l’eccesso, il lato dionisiaco dell’essere umano. Il debutto di Elvis, ad esempio, ha avuto un obiettivo chiaro: riportare la gioia nel mondo, dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Il genere è nato per far ballare, divertire, unire il mondo, senza doversi giustificare con messaggi aulici e particolarmente impegnativi. La stessa tv a colori, nata un paio di decenni dopo, ha saputo colorare la vita delle persone, rinforzando questo senso di pace e divertimento, e ha permesso di vivere insieme ai propri giovani idoli dell’epoca, dimostrando che tutto poteva essere possibile.

La prima Woodstock è diventata un gigantesco movimento di persone contrarie alla guerra in Vietnam, alla violenza ed alle armi che hanno da sempre caratterizzato gli Stati Uniti, contrarie all’abuso di potere da parte delle autorità. Predicavano una vita colma di valori ed ideali di fratellanza e armonia, più di quanto sia mai capitato nella storia. Il rock, nella sua apparenza disimpegnata, in realtà ha sempre voluto portare rivoluzione, rottura, cambiamento. La musica dev’essere quindi considerata un’arte a tutto tondo, perché racchiude in se stessa ciò che ogni altra arte può esprimere al proprio meglio.

Nella musica abbiamo il messaggio, il contesto, l’immagine mentale indotta, l’interpretazione personale, l’esaltazione delle emozioni e l’accrescimento spirituale nell’ascoltarla e soprattutto nel comprenderla. Kandinsky lo sapeva bene: proprio dalla musica nacque l’arte astratta. Voleva che la pittura potesse ispirare quanto un’orchestra sinfonica. Allo stesso modo Musorgskij, con “Quadri di un’esposizione”, trasformò dipinti in suoni.

Hanno saputo dimostrare come la musica e la pittura possono incontrarsi e collimare perfettamente nonostante le differenze. In ogni epoca la musica, come tutte le arti, si è evoluta insieme al pensiero umano, come fosse lo specchio dei nostri tempi. Negli ultimi decenni è cambiata ad una velocità innaturale, la canzone dell’anno prima è già superata, e le hit estive non durano più dell’estate stessa.

Ciò ha comportato tristemente ad una involuzione artistica e la musica ha cessato di avere la pretesa più importante e la sua più grande qualità: l’ eternità. Per chi la fa, la musica resta una disciplina libera e dinamica, che permette di esprimere al meglio il proprio stato d’animo, senza filtri. La magnifica contraddizione esiste al momento in cui si vuole essere davvero liberi: bisogna conoscere bene le regole che la governano. Come Harry Houdini che, per liberarsi, doveva conoscere il funzionamento di ogni serratura, ogni catena. Sono proprio le catene di Houdini ad averlo reso libero, è stata la conoscenza di ciò che lo blocca a fare di lui un maestro della fuga.

La musica ha una funzione anche terapeutica, permette di entrare in uno stato di vuoto mentale e concentrazione totale. E’ valvola di sfogo, introspezione e via di fuga. Permette di sognare e di proiettarsi in tempi lontani e futuri, tempi che magari esistono solo nella nostra testa.

 
Continua...

from Transit

(168)

(IR)

Nota: Lo so, non è da me farla così lunga, ma in un mondo che impazzisce forse un pochino di squilibrio ce lo metto anche io. La verità è che la #Pace è davvero impossibile. Almeno così sembra. Il che rende, fondamentalmente, questo uno sfogo. Ci vuole pazienza.

La notte tra il 12 e il 13 giugno 2025 ha visto l'ennesima escalation del conflitto mediorientale, quando #Israele ha lanciato un massiccio attacco aereo contro l' #Iran, mirato principalmente alle strutture nucleari e militari di Teheran. Le forze israeliane hanno colpito siti sensibili, distruggendo laboratori e centri di ricerca, nonché eliminando alcuni tra i principali comandanti delle Guardie della Rivoluzione, l'élite militare iraniana. Un colpo che ha scatenato una serie di reazioni internazionali. L'Iran, come prevedibile, ha replicato con una serie di droni che hanno tentato di colpire obiettivi strategici in Israele, gettando il paese in una nuova spirale di violenza.

Le parole di #DonaldTrump, che ha immediatamente espresso un sostegno incondizionato all'azione israeliana, hanno ulteriormente polarizzato il dibattito internazionale. Trump ha minacciato l'Iran con nuove offensive se non avesse accettato un accordo sul nucleare, aggiungendo così un ulteriore strato di complessità alla già tesa situazione geopolitica. L’appoggio degli Stati Uniti alla politica aggressiva di Israele sembra segnare il punto di non ritorno di un conflitto che ha radici profonde, alimentato da ideologie contrapposte e da interessi strategici divergenti.

Politicamente, l'attacco israeliano ha reso evidente l'intensificarsi della guerra a bassa intensità tra le potenze regionali. Israele, con la sua operazione “Leone Ascendente”, ha voluto chiarire una volta per tutte che non tollererà il programma nucleare iraniano, ritenuto una minaccia per la propria sicurezza nazionale. Questo attacco ha avuto l'effetto di indebolire momentaneamente l'Iran, uccidendo alcuni dei suoi strateghi più esperti e decimando parte delle sue capacità operative. Tuttavia, la risposta dell'Iran non si è fatta attendere: il lancio di droni ha avuto il chiaro intento di far capire a Israele che ogni azione avrà una controparte, anche se le capacità belliche di Teheran, pur impressionanti, non possono in alcun modo paragonarsi alla potenza di fuoco israeliana.

Le implicazioni politiche per il Medio Oriente sono incalcolabili. L'Iran ha immediatamente mobilitato le sue milizie alleate in Siria, Libano e Iraq, preparando il terreno per una possibile guerra per procura che potrebbe estendersi ben oltre i confini dei due paesi coinvolti. In questo scenario, la comunità internazionale rischia di assistere a una polarizzazione crescente, con i paesi arabi che, pur condannando l’aggressione israeliana, non sembrano disposti a schierarsi apertamente a favore di Teheran, temendo le ripercussioni di un allineamento troppo esplicito.

(IR2)

Moralmente, invece, l'attacco israeliano solleva interrogativi inquietanti sulla legittimità di un'azione preventiva, soprattutto quando si considera che l'Iran ha sempre sostenuto di non avere intenzioni belliche dirette contro Israele. Sebbene Israele possa giustificare il suo intervento come una misura di difesa preventiva, non si può ignorare la violazione della sovranità iraniana e il fatto che l’attacco possa generare un'ulteriore spirale di violenza e vendetta. La morte di alti ufficiali iraniani e scienziati nucleari potrebbe, inoltre, rafforzare la narrativa del martirio e alimentare il risentimento tra la popolazione iraniana, creando un ulteriore fossato tra l'Iran e l'Occidente.

Da un punto di vista etico, sorge anche la questione dell’equilibrio delle forze: mentre gli Stati Uniti e Israele vedono la sicurezza come una priorità assoluta, l'Iran non può fare a meno di difendere ciò che considera un diritto sovrano, ossia la propria capacità di autodefinirsi come potenza regionale. La domanda che sorge spontanea è quindi se la logica della deterrenza, che ha caratterizzato la guerra fredda, possa essere applicata efficacemente in un contesto così volatile e intrinsecamente pericoloso.

L'operazione ha accentuato le divisioni interne in Iran, dove il regime potrebbe trovarsi a fronteggiare un'ondata di proteste interne. La crisi economica che affligge Teheran, le sanzioni internazionali e il crescente malcontento popolare potrebbero minare ulteriormente la stabilità del governo. Tuttavia, un sentimento di orgoglio nazionale potrebbe temporaneamente consolidare il consenso interno contro l'invasore straniero, come spesso accade in contesti bellici.

In Europa, la situazione appare delicata. L'Unione Europea, da sempre promotrice di un approccio diplomatico e pacifico, si trova ora a dover navigare tra due fuochi: la necessità di mantenere relazioni economiche con l'Iran, e l'alleanza con Israele, che rappresenta uno dei suoi principali partner strategici. La Francia e la Germania hanno condannato l'escalation, chiedendo una de-escalation immediata, ma non sono riuscite a offrire una soluzione concreta. L'Italia, pur allineata in linea di principio con le posizioni europee, ha adottato un tono più cauto, sottolineando la necessità di una mediazione internazionale urgente per evitare che il conflitto degeneri in una guerra totale.

Il nostro stato si è trovato a giocare un ruolo delicato nel bilanciare il proprio supporto a Israele con l’esigenza di non alienarsi la cooperazione iraniana. Sebbene il governo italiano abbia espresso una condanna per l'aggressione israeliana, si è anche preoccupato delle implicazioni a lungo termine di una rottura totale tra l'Iran e l'Occidente. L'Italia, infatti, è da sempre favorevole a un approccio diplomatico per risolvere la crisi nucleare iraniana, e un’escalation militare potrebbe compromettere gli sforzi compiuti negli anni passati per stabilire un dialogo.

L’Unione Europea, nel suo insieme, ha rilasciato dichiarazioni ufficiali invocando una “de-escalation immediata”, ma la divisione tra i membri più favorevoli a un duro confronto (come la Polonia) e quelli più favorevoli a un negoziato (come l’Italia e la Spagna) è ormai palese. Il rischio è che l'Europa, incapace di adottare una linea unitaria, finisca per essere marginalizzata in un conflitto che potrebbe ridisegnare gli equilibri di potere nell'intera regione mediorientale.

L'attacco israeliano all'Iran ha profondamente scosso gli assetti geopolitici internazionali, mettendo in luce non solo le fragilità politiche e sociali dei protagonisti del conflitto, ma anche la difficoltà di una comunità internazionale a trovare un punto di mediazione efficace. Le conseguenze politiche, morali e sociali di questa nuova escalation sono ancora in divenire, ma una cosa è certa: l'Europa e l'Italia dovranno affrontare con urgenza la necessità di rinnovare i propri approcci diplomatici, se vogliono evitare che il conflitto si trasformi in una guerra su scala globale. La strada verso una stabilizzazione del Medio Oriente sembra sempre più incerta e tortuosa, e l'unica speranza risiede nel ritorno al dialogo e alla cooperazione internazionale.

#Blog #Iran #Israele #Medioriente #War #Guerra #Opinioni #Politica #Politics

 
Continua...

from Alviro

L’intensità dei momenti può abbagliare, ma è la continuità che costruisce significato. Una passione fugace può sembrare indimenticabile, ma ciò che resiste alle prove del tempo — un’amicizia che attraversa le stagioni, un impegno che non vacilla, un amore che cresce ogni giorno — ha un valore ben più profondo.

I momenti intensi, per quanto brillanti, sono come fuochi d’artificio: affascinano per un attimo, poi svaniscono. Le cose davvero importanti nella vita sono quelle che restano, che si radicano, che si costruiscono con pazienza. Non servono emozioni travolgenti per rendere qualcosa memorabile: serve presenza, costanza, e il coraggio di restare anche quando l’intensità lascia spazio alla quotidianità.

In fondo, non è difficile brillare per un attimo. Ma durare, quello sì, è raro. E prezioso.

 
Continua...

from ᗩᐯᗩIᒪᗩᗷᒪᗴ

immagine

Homeland è il settimo album in studio di Laurie Anderson, pubblicato nel 2010. Si tratta di un concept album sulla vita negli Stati Uniti, il suo primo album di nuovo materiale da Life on a String del 2001. Il disco è stato prodotto da Anderson, Lou Reed e Roma Baran. Anderson ha iniziato il tour del progetto alla fine del 2007. L'uscita dell'album era originariamente prevista per il 2008. A causa dei continui cambiamenti di forma del progetto, l'uscita è stata posticipata più volte. L'ultima uscita, nel 2010, è stata un cofanetto di due dischi composto da un CD e un DVD. La canzone “Only an Expert” è stata pubblicata come singolo in vinile da 12” il 18 maggio 2010. Una canzone intitolata “Pictures and Things” era il lato B del singolo. L'ultima traccia dell'album, “Flow”, è stata nominata per il Grammy Award come migliore performance pop strumentale nel 2011.


Ascolta: https://album.link/i/376832039


 
Continua...

from 📖Un capitolo al giorno📚

INVOCAZIONE A DIO CONTRO I NEMICI D'ISRAELE 1 Canto delle salite

Quanto mi hanno perseguitato fin dalla giovinezza – lo dica Israele –,

2 quanto mi hanno perseguitato fin dalla giovinezza, ma su di me non hanno prevalso!

3 Sul mio dorso hanno arato gli aratori, hanno scavato lunghi solchi.

4 Il Signore è giusto: ha spezzato le funi dei malvagi.

5 Si vergognino e volgano le spalle tutti quelli che odiano Sion.

6 Siano come l'erba dei tetti: prima che sia strappata, è già secca;

7 non riempie la mano al mietitore né il grembo a chi raccoglie covoni.

8 I passanti non possono dire: “La benedizione del Signore sia su di voi, vi benediciamo nel nome del Signore”.

_________________ Note

129,1 Rievocando le molte situazioni di oppressione che hanno scandito la sua storia (nei vv. 1-2 l'accenno alla giovinezza forse allude alla prima oppressione, quella egiziana), la comunità d’Israele riconferma la propria fiducia nel Dio dei padri, che mai ha esitato nell’offrire salvezza e liberazione.

129,6 l’erba dei tetti: cresciuta sulle terrazze in terra battuta, che facevano da tetto alle case, quindi con scarse radici.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

La fiducia in Dio: certezza per Israele Salmo di fiducia

Il ritmo del salmo nel TM è quello dell'elegia (qînâ), di 3 + 2 accenti. Probabilmente è del postesilio. Strutturalmente è a intreccio graduale nei vv. 1-2. I vv. 1-4 riguardano il passato e i vv. 5-6 il futuro. Nella prima parte c'è l'immagine dell'aratura (v. 3) e nella seconda quella della mietitura (v. 7). La simbologia è temporale, spaziale, agricola e liturgica. È simile al Sal 124 e per l'ostilità menzionata riecheggia il Sal 120.

Divisione:

  • vv. 1-4: racconto del passato doloroso;
  • vv. 5-8: supplica per un futuro migliore.

v. 1. «dalla giovinezza»: allusione al periodo dell'esodo (cfr. Os 2,17; Ger 2,2). «ma non hanno prevalso»: il salmista può dirlo con orgoglio, a nome d'Israele, di non essere stato schiacciato e annullato definitivamente dai nemici, per grazia di Dio (v. 3) (cfr. Lam 3,2).

v. 3. «Sul mio dorso hanno arato...»: il simbolo agricolo dell'aratura richiama la flagellazione e la devastazione della guerra (cfr. Mic 3,12; Is 50,6; 53,4-5).

v. 4. «Il Signore è giusto...»: si attribuisce la causa della sopravvivenza a tante angherie e oppressioni al Signore che è «giusto» (= fedele alla sua alleanza).

v. 5 «quanti odiano Sion»: sono quelli che odiano il Signore e il suo popolo (cfr. Is 4,3; 64,10; Mic 3,10.12; Sal 51,20). Sion è luogo della presenza della casa di Davide e del tempio del Signore, ove si raccoglie il popolo a pregare.

v. 7. «non se ne riempie la mano il mietitore...»: dopo l'immagine dell'erba dei tetti (gramigna), che non avendo radici subito dissecca (v. 6), segue l'immagine del grano, che falciato si rivela inservibile, perché poco consistente per non aver maturato il seme nella spiga. Ambedue i paragoni (v. 6-7) servono a descrivere il rapido annientamento dei nemici di Dio e del suo popolo, auspicato dal salmista.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R IIndice BIBBIAHomepage

 
Continua...

from Marco Benini

Periferie

Le periferie sono spazi stratificati e in continuo movimento, intrecciati con vissuti personali e collettivi, segnati da condizioni complesse. Nate da urbanità frammentate, sono attraversate da vere e proprie forme di invisibilità.

Condizioni avverse, in cui talvolta l’umano e il simbolico emergono con forza: nuove estetiche, spazi di solidarietà, laboratori d'innovazione, economie informali, pratiche educative non convenzionali.

Forme di resistenza: espressioni vitali, segnali preziosi che ci ricordano quanto sia urgente fare in modo che queste esperienze non restino isolate, ma diventino parte di un disegno più ampio, sostenuto da risorse accessibili.

Periodicamente, drammatici bagni di realtà ci spingono a rispondere ai problemi strutturali delle periferie con misure emergenziali.

Ma ciò che serve è un approccio trasformativo, basato sull’empowerment, sulla promozione del benessere mentale, sull’educazione socio-affettiva come leva della cittadinanza attiva, su percorsi di rigenerazione urbana partecipata e sul rafforzamento di reti solidali capaci di durare nel tempo.

Perché, quando viene meno l’accesso a ciò che è essenziale – una scuola, un medico, un autobus – la vita si restringe.

Perché, quando si resta fuori dalle scelte che plasmano lo spazio comune, le aspirazioni diventano problemi da gestire.

Perché, nell’impossibilità di immaginare un futuro, il tempo degenera.

Non vanno “salvate” le periferie, vanno riconosciute per ciò che sono: luoghi abitati, complessi e vitali, attraversati da potenzialità e problematiche profonde, culture ibride e capacità di resilienza.

Per dar vita a percorsi di emancipazione e benessere in questi luoghi servono alleanze solide e un quadro di riferimento stabile, sostenuto da metodologie di finanziamento all’avanguardia. Occorre costruire le basi di un ecosistema educativo, culturale, urbano e politico che offra supporto in modo accessibile, stabile e coerente.

Intervenire, allora, non è un atto di salvataggio, ma un gesto di giustizia sociale.

 
Continua...

from lucazanini

[filtri]

si] allungano del caso del vetro a soffietto nello smistamento stringono [la deriva dei continenti il panavision nella replica pittori] derivati -meno di genere subaffitti un gruppo tre punti  elettrogeno a monete replicano la fuga di Don gerarchie gli animali le cose il terzo stato la classe morta energetica lo strato] la corteccia -meno neuropop successivo corrosiva [la gabella il] contratto capoverso sigle un dimenticatoio preceduto rosso lo spettro FF0000 accumuli [online è presente è] un'area trasmessa la secchezza] [delle fauci

 
Continua...

from Alviro

Amo le cose vere, certo, ma chi dice che la verità debba sempre mostrarsi nuda e cruda? Le parrucche, le maschere, i travestimenti non sono solo finzione: sono arte, gioco, sopravvivenza. A volte, persino una forma di sincerità più profonda.

Perché limitarsi a sorridere per nascondere il dolore, quando si può indossare un volto di glitter e paillettes per trasformarlo in qualcos’altro? La maschera non è solo menzogna: è libertà. Libertà di essere chi non si è, chi si sogna, chi si teme, chi si desidera. Il teatro, il carnevale, il trucco sono linguaggi antichi che dicono: “Ecco un’altra verità, una che forse non osavi confessare.”

E poi, siamo davvero così sicuri che il “vero” sia sempre migliore del “finto”? A volte, una bugia gentile salva un’amicizia. Un costume stravagante rivela più coraggio di mille parole sobrie. Un volto dipinto può essere una dichiarazione, una protesta, una poesia.

La vita non è un tribunale della autenticità. È un palcoscenico. E se vogliamo recitare, danzare, fingersi eroi o mostri, perché no? L’unica maschera inaccettabile è quella che ci costringiamo a portare per compiacere chi grida: “Sii te stesso!” — come se “noi stessi” fossimo qualcosa di semplice, di immutabile, di privo di contraddizioni.

Preferisco mille maschere a un solo volto imposto. Preferisco la complessità alla purezza. Preferisco ridere, fingere, esagerare, trasformarmi. Perché anche nell’artificio, a volte, si nasconde una verità più grande.

 
Continua...

from disattualizzando

Il girone delle multinazionali Al giorno d’oggi, la diffusione delle Multinazionali è agevolata dalla crescente Globalizzazione: trampolino di lancio per imprenditori avidi, fanatici ed arrivisti, mossi unicamente dal desiderio di guadagno ed espansione. Questi facoltosi potenti hanno sacrificato valori morali ed ideali, appartenenti al loro passato come semplici persone, per raggiungere la vetta. La tutela dell’ambiente e la libertà, persino quella dei propri dipendenti, sono spesso volutamente ignorate, in nome del successo e dell’ascesa sociale. Le unicità culturali dei diversi paesi, che andrebbero preservate e non contaminate, sono minacciate da un’espansione imprenditoriale egoistica e colonizzatrice. Il pensiero occidentale è la chiave per esportare tantissime aziende nel resto del Mondo, servendosi del malsano pretesto di voler condividere valori e benessere, spesso imposti e contrastanti con la cultura autoctona, definita erroneamente arretrata dagli approfittatori. Questa scusa per lo più ipocrita, è il doppio fondo di una volontà studiata per ampliare le fasce di mercato dei Grandi Commercianti che, una volta saturato il proprio mercato nei nostri paesi, sono partiti a conformare il resto del Mondo verso una sola cultura, verosimilmente la nostra. Il rischio più grave è l’omologazione culturale globale, che potrebbe cancellare le peculiarità delle società più lontane da noi.

Il simbolo più evidente di questo meccanismo è il McDonald's: presente in ogni angolo del mondo, offre ovunque lo stesso sapore standardizzato e scadente. I suoi prezzi accessibili lo rendono attraente per tutti, anche per le fasce sociali più povere, vendendo cibo spazzatura al limite della tossicità. La qualità è di solito così scadente che potrebbe essere meno nocivo mangiare una volta a settimana, piuttosto che mangiare tutti i giorni in questo colosso industriale. In molti paesi del cosiddetto Terzo e Quarto Mondo, le persone che lavorano per queste multinazionali sono sottopagate, erano povere prima e continuano ad esserlo adesso. La stragrande maggioranza di loro, è costretta ad alimentarsi con la nostra spazzatura, propinata dalla stessa Multinazionale da cui dipendono. Il buon senso e la giustizia vengono sistematicamente ignorati, a favore delle logiche di mercato.

La globalizzazione ha davvero migliorato le nostre vite?... o piuttosto, quelle di chiunque non abbracci la cultura occidentale capitalista e consumistica? Da questo aspetto sicuramente no. Il successo di servizi come McDonald's si basa su velocità, accessibilità e comodità, e sono gli stessi motivi per cui siamo totalmente catturati dai sevizi di Amazon. Sono così efficienti e sbalorditivamente veloci che non si riesce a farne a meno.

Dovremmo però essere tutti più consapevoli degli effetti disastrosi che le multinazionali hanno sull’economia e sull’ambiente, basta consultare il proprio “dispensatore di cultura”, ma continuiamo a scegliere la comodità a discapito della nostra etica. Il motivo per cui pochissime menti andrebbero contro questi meccanismi spettacolarmente attraenti, è racchiuso in una giustificazione tanto banale quanto pericolosa: “Tanto lo fanno tutti”. L’idea generale è che se qualcosa è condiviso da tutti, allora non può essere sbagliato. E’ un processo mentale così facile ed elementare che rende facile uniformarsi e che ci solleva, almeno in apparenza, dalla responsabilità morale.

Siamo stati volutamente cresciuti secondo falsi valori e falsi ideali per renderci dei consumatori perfetti. Il nostro interesse è quasi unicamente seguire la folla, tralasciando il punto di partenza ed il punto di arrivo e soprattutto, se la destinazione possa essere catastrofica o no. Di conseguenza siamo tutti coinvolti, anche inconsapevolmente, nel sostenere un sistema corrotto e egoista. Viviamo in una realtà che non ha mai avuto a cuore i bisogni del consumatore, si concentra piuttosto a rendere il consumatore stesso bisognoso ed assuefatto. Stiamo parlando di un sistema mondiale nato e studiato per essere incontrastabile, capace di sopravvivere a qualsiasi crisi o epoca futura. Siamo tutti responsabili equivale al fatto che nessuno lo sia, ma la più grande responsabilità resta nelle mani degli oligarchi del capitalismo, che ci hanno indottrinati con le loro strategie persuasive, come la costante pubblicità, alimentando le logiche di mercato. Basta prestare attenzione ad una qualsiasi pubblicità.

Una lontana soluzione potrebbe presentarsi solo se, a livello globale, trovassimo un motivo comune per far risuonare le nostre voci all’unisono e partecipare attivamente ad una lotta ideologica totale. Ognuno di noi, orientale o occidentale che sia, avrebbe le sue ragioni per combattere. Unirsi in un collettivo e vasto schieramento di opposizione è un modo per fare la differenza.

Una soluzione individuale e riduttiva come tale, si cela fra le decisioni che prendiamo ogni giorno: la scelta quotidiana di non alimentare consapevolmente un sistema che riteniamo ingiusto.

 
Continua...

from Troppacaffeina

Di solito, il lettore medio si accosta alla lettura di questo libro pensando di insinuarsi voyeuristicamente nella morbosa e lubrica storia del maturo professore che intreccia una relazione proibita con una ragazzina disinibita. Certamente questo è ciò che immediatamente salta agli occhi in “Lolita”: lo scandalo, il peccato, l'oscurità mostruosa da cui l'occhio curioso non riesce ad allontanarsi. Invece, non appena si comincia a leggere, ecco la rivelazione: “Lolita” è un viaggio allucinato alla ricerca della perfezione della lingua, del fraseggio, della musicalità dell'espressione (tutto questo è percettibile anche attraverso la bella traduzione in italiano – per Adelphi, l'arduo compito è stato assolto con maestria da Giulia Arborio Mella). E lo si intuisce fin dal meraviglioso incipit¹, un gioiello di efficacia e bellezza che sembra la strofa di una canzone, che già contiene la potenza di tutto il romanzo, una lettera d'amore e di passione nei confronti della parola stessa. E la narrazione, durante il dipanarsi della vicenda, sperimenta vie diverse e si trasforma: da concreta e tangibile dei primi capitoli, sfuma gradualmente nell'onirico, e la conclusione si stempera in una nebbia di sogno, mutandosi in una spirale vorticosa in cui il protagonista, il professor Humbert, cade senza scampo. E poi c'è il libro, con tutti i suoi temi e le sue allusioni: Nabokov costruisce una storia sull'impossibilità di stabilire relazioni vere, basate sull'affetto reciproco, quando le fondamenta su cui il rapporto è costruito sono il possesso, il controllo e la violenza. La corruzione di Humbert, e la pretesa di avere Lolita in un modo perverso e innominabile, ne deforma l'innocenza e la purezza, si appropria della sua giovinezza e della sua identità stessa. Chi è, dunque, Lolita? Cosa “rappresenta”? È il simbolo dell'infanzia tradita? È forse la figura del desiderio di libertà e di autodeterminazione? Lolita è tutto questo, ed è soprattutto una nitida metafora dell'individuo soggiogato e riplasmato dall'autorità dittatoriale, ridotto a un “possedimento”, su cui il mostro reclama diritti e privilegi che in realtà non gli appartengono. Eccola, dunque, la vera abiezione di Humbert: è un orrore dalla doppia faccia, perché il professore parla con facondia in prima persona, cercando di sedurre il lettore e di giustificare la nefandezza delle sue azioni e dei suoi abietti impulsi. In questo modo, genera un contrasto alienante tra la simpatia che il personaggio sembra chiedere per sé, e il suo dolce e terribile abisso personale, ovvero la sua attrazione per le giovanissime “ninfette”, un tabù degno del più feroce stigma sociale. “Lolita” è un romanzo assoluto, profondo e vasto come un intero mondo, e, come ogni grande capolavoro che sia in grado di meritarsi il titolo di “pietra miliare della letteratura”, è capace di scuotere il tranquillo e rassicurante senso comune, per sconvolgere l'etica, la morale e la coscienza. . ¹ Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth. Lo. Lee. Ta. Anche questo particolare contribuisce a stupire: come spiega nella sardonica postfazione, Nabokov ha scritto “Lolita” direttamente in inglese (e non nella sua amata lingua madre, il russo) per permettergli di essere annoverato nella letteratura americana.

 
Continua...

from GRIDO muto (podcast)

QUESTO E' UN ADDIO.

A memoria mia non c'è mai stata una singola volta in cui io sia andato alle urne per non riceverne, poi, una enorme delusione.

I casi erano 2: o vinceva una coalizione/partito così impresentabile da farmi domandare “ma com'è possibile?”, oppure chi votavo io si rivelava una tristissima delusione, poco dopo (ma, molto più spesso, si è verificato il primo caso). Non parliamo di referendum; quasi mai le mie speranze hanno prevalso o raggiunto il quorum.

Perché?

Con il tempo, questa domanda è diventata sempre più ingombrante nel mio cuore e nei pensieri.

Perché?

Mi sono convinto, piano piano, di essere diverso: un italiano atipico, le cui speranze non erano condivise quasi da nessuno. E, in effetti, lo sono.

Eppure era così facile capire chi fosse impresentabile! Ci sono stati e ci sono presidenti del Consiglio per cui “il popolo” (o almeno quella parte con cui avevo a che fare) sbavava letteralmente: guai a toccarli! Guai ad accennare che, forse, la tal misura poteva non essere molto azzeccata: chi mi stava intorno mi mangiava la faccia (come diciamo dalle mie parti), fatte salve poche eccezioni. Dopo pochi mesi tutto questo fervore passava, i disastri che per me sarebbero stati evidenti diventano effettivamente lampanti, ma si dava un colpo di spugna al presidente di turno e si ricominciava con un altro personaggio, con altri disastri.

Ma perché? Perché continuavamo in questo circolo vizioso, sempre più al ribasso, con candidati sempre più impresentabili, sempre più (dati alla mano) incapaci quando non addirittura dannosi?

Non avevo risposte, ma intanto il Paese precipitava sempre più in basso, e mi sentivo impotente: non c'era modo che le cose cambiassero. Anche se la speranza era l'ultima a morire, questo clima di immobilità lo percepivo negli ambienti di lavoro, dove nessuno voleva far sentire le proprie ragioni di dipendente. Lo avvertivo nei vari referendum, dove troppo pochi votavano. Lo leggevo nelle facce delle persone quando mi spiegavano perché “dovremmo smettere tutti di votare” e poi effettivamente non ci andavano (più).

Non è cambiato granché da quegli anni, se non che io sono diventato vecchio. O quasi.

A 48 anni, dopo 30 anni di votazioni, di occasioni sprecate, di Stato civile che vedo sempre più gettare alle ortiche, posso dire di essere diventato vecchio dentro, se non fuori.

Sono tanto, tanto stanco di tutto questo.

Io, che sono un italiano decisamente atipico, non trovo un posto per me, qui.

Io, che sono uno che non usa mai le piste ciclabili contromano, uno che, prima di fermarsi a chiacchierare sul marciapiede, si assicura che ci sia abbastanza spazio per far passare altre persone; uno che paga SEMPRE il biglietto per i mezzi pubblici (e, la volta che si dimentica, ne paga 2 la volta successiva); uno che, se ha tempo, lascia che altre persone passino davanti in una fila (chiedendo prima a chi sta dietro). Uno che, visto che può camminare, non solo lascia libero il posto riservato alle persone con disabilità, ma parcheggia lontano lontano e si fa una passeggiata, che non si sa mai che ci sia qualcuno meno abile di me che può beneficiare di un posto più vicino al tal ufficio. Io che le tasse le ho sempre pagate senza mai lamentarmi. Io sono quello che si pone le domande, continuamente. Son quello che si ferma, mentre cammina, per lasciare che i piccioni finiscano di mangiare senza spaventarli. Sono quello che porta il cibo ai gatti randagi.

Io sono quello che, pur lavorando presso un ospedale, non ha mai chiesto, preteso o accettato un trattamento di favore dai colleghi medici della stessa struttura, e ho sempre avuto le prestazioni dopo mesi come tutti gli altri. Io, che per anni ho pagato più IMU del dovuto ma non l'ho mai chiesta indietro al mio Comune. Io, che ho ricevuto quella cartella esattoriale di 1850 euro dall'Agenzia entrate e non mi sono lamentato, perché erano soldi che non avevo pagato prima, e ho pure ringraziato gli impiegati negli uffici per il lavoro che fanno. Io, che ringrazio l'Europa di esistere, pur con tutti i suoi difetti.

Io, che quando vedo una persona che ha la pelle di un colore diverso dal mio, non mi faccio domande. Se parla italiano, per me è uno di noi.

Ecco, io sono questo cittadino.

E ne ho pieni i coglioni. E ho perso qualsiasi speranza: non vedrò mai un'Italia giusta, né sul fronte dei diritti (anche civili), né nella “cultura”. L'Italia è diventato un posto dove si mangia bene (e peraltro manco l'unico) e stop.

Sono stufo di essere quello diverso, quello che è lui quello strano. No cari miei, quelli strani sono coloro che non hanno il mio senso civico, sono gli altri. Sono quelli che ieri e l'altro ieri non hanno mosso le chiappe dal divano se non per andare al mare. Sono quelli che non hanno votato, perché “altrimenti Landini prende 2 milioni” [falso] o perché “anche l'astensione è una forma di espressione”. No belli miei, con tutti i miliardi che lo Stato butta per darci la possibilità di esercitare uno dei cardini della democrazia, il minimo che puoi fare per non sprecare SOLDI PUBBLICI è che alzi le chiappe e vai a votare “NO”, se proprio non ti piacciono i quesiti, come ho fatto io tante volte.

Gli strani sono quelli che non hanno ancora capito che il problema, in questo Stato, non è il politico Barabba di turno: siamo “noi”, è la gente. I politici non vengono da oltremare o da Nettuno, vengono da noi, da questo Paese.

Sono persone che, come l'italiano medio, si lamentano continuamente e danno colpe a questo o a quello, ma non se ne prendono mai una. Continuano a dare le colpe a sinistra, tanto che ormai sembra quasi che la causa di tutti i mali sia la sinistra, ma non fanno un c***o per cambiare le cose, nemmeno quando ne hanno la possibilità. E in questo, purtroppo siamo perfettamente rappresentati dall'attuale Presidente del Consiglio, e molti altri.

C'è e ci sarà sempre “qualcun altro” che deve risolvere i nostri problemi, ma mai noi in prima persona. Noi siamo perfetti, non dipendono da noi i nostri problemi. Anzi. Certo, passiamo col rosso, ma perché abbiamo fretta. Superiamo il limite di velocità, ma solo un pochino. Ci facciamo licenziare apposta a fine luglio per godere di un mese di stipendio senza lavorare, col sussidio di disoccupazione, ma ce lo meritiamo più di altri. Poi a settembre si vedrà.

Mediamente, siamo quelli che si lamentano del traffico, ma poi parcheggiano in doppia fila perché “ non c'è più posto”.

Come le persone che si lamentano dell'immondizia in giro, ma non la raccolgono e inveiscono contro il Comune che “non pulisce abbastanza”, o contro la società dei rifiuti che, come ho sentito dire di recente, “ci costringe fare la differenziata, che dobbiamo fare?”. Sicuramente non devi buttarla nel campo. QUELLA non è la soluzione.

E con queste premesse, come volete che siano i nostri politici? Persone uguali a noi, altrimenti non le voteremmo. Ma siccome questi atteggiamenti li abbiamo tutti, non saremo mai rappresentati da nessuno che davvero faccia quello che si deve fare per risollevare il Paese. Anzi: visto che lo sport nazionale pare che sia fregare lo Stato, non vedo molte differenze, non c'è un “noi” e “loro” quando si parla di cittadini e politici.

E' per tutti questi motivi che vi dico addio.

Dopo l'ennesimo schiaffo, dopo la dimostrazione che a nessuno frega più nulla neanche dei diritti dei propri figli/nipoti/coniugi, allora non c'è davvero più speranza. Diventa una lotta contro i mulini a vento da cui mi sfilo non per ignavia, ma perché l'avversario, oltre che troppo grande, è inutile combatterlo.

Continuerò a fare quello che ho sempre fatto perché sono fatto così, ma con questo Paese ho chiuso: non è il mio, non mi ci sento bene. (Aggiungiamoci poi che ci sto male anche fisicamente).

Spero, un giorno, di poter chiudere anche letteralmente, spostandomi altrove e godendo di una pensione (se mai arriverà) che mi sono sudato fino all'ultimo centesimo e oltre.

(l' “oltre” è la parte che non arriverà mai, perché manco questo siamo capaci di fare: offrire un futuro ai cittadini onesti).

Una cosa è certa: a me la cittadinanza è arrivata nascendo qui da gente nata qui, ma se potrò scegliere qui non ci voglio morire.

Dove, ancora non so: ma ovunque tranne qui.

Ora datemi pure del vigliacco se vi va.

___

Il canale Youtube su cui pubblico video e podcast, Grido Muto, presto cambierà nome.

Racconterò lì il processo che mi porterà altrove: la ricerca, le speranze, tutto. Seguitemi lì se vi va.

https://www.youtube.com/@gridomuto

#referendum #referendum2025 #politica #fibromialgia #artrite #malatiinvisibili #MalattieInvisibili #MalattieCroniche #VivereAllEstero #Estero #Emigrare #Emigrazione #FugaDeiCervelli #SensoCivico #Identità

 
Continua...

from Transit

(167)

(MR)

Nel cuore impenetrabile della giungla malese, dodici intrepidi avventurieri affrontano un viaggio estremo, tra fango, sudore e liane, alla ricerca di un montepremi da dividersi alla fine del percorso. Ma non sono esploratori, non sono ex militari, e no, nemmeno boy scout. Sono... professionisti digitali. O qualcosa del genere.

I loro titoli? Un tripudio di inglesismi, abbreviazioni e parole che, messe insieme, sembrano generate da un algoritmo ubriaco: content creator, consulente creativo, digital strategist, autore di contenuti web, project manager di progetti fluidi (ma quali?). Alcuni sono “ex manager”, che non si capisce bene se vuol dire che hanno lasciato la scrivania o se è la scrivania ad aver lasciato loro.

Li vediamo marciare tra le zanzare e i serpenti come se dovessero raggiungere il Wi-Fi più vicino, mentre il sudore scioglie l’ultima traccia di ceretta alle sopracciglia e i loro zaini sembrano contenere più prodotti skincare che strumenti di sopravvivenza. Il vero pericolo, però, non è la natura selvaggia: sono le tentazioni.

Ad ogni bivio, una nuova prova morale: una bistecca tomahawk da 240 euro, una suite con aria condizionata e minibar, un massaggio balinese a otto mani. Se uno di loro cede – e, spoiler: cedono spesso – il montepremi si riduce. Tutti si indignano, ma poi, alla tentazione successiva, cambiano idea. Perché rinunciare a una Jacuzzi in mezzo alla giungla solo per lasciare agli altri qualche euro in più?

(MR2)

E qui sorge spontanea una domanda: se questi sono i lavori del futuro, noi che ci svegliavamo alle sette per timbrare il cartellino abbiamo sbagliato tutto? Forse. Ma resta il dubbio: cosa fanno, esattamente, queste persone?

Uno dice: “Creo contenuti emozionali per il web”. Che potrebbe voler dire scrivere una poesia, girare un reel con la nonna, o semplicemente filmarsi mentre beve un cappuccino con lo sguardo assorto. Un altro è “strategic planner esperienziale”, cioè, se abbiamo capito bene, organizza eventi dove la gente si sente ispirata a investire in sé stessa. Un terzo “ha lasciato la finanza per seguire il cuore”, e oggi racconta la propria trasformazione interiore tramite podcast. Spoiler: la finanza sembra sentirsi benissimo anche senza di lui.

Certo, i tempi cambiano, e non tutti devono sapere riparare un tubo o accendere un fuoco con due sassi. Ma in certi momenti – tipo quando piove da tre giorni e bisogna costruire un riparo – l’assenza di skill pratiche diventa più evidente del fard sbavato sulle guance. E la giungla, quella vera, non fa sconti ai CEO di sé stessi.

Alla fine, mentre il montepremi si assottiglia e le prove si moltiplicano, resta solo una certezza: nella giungla digitale di oggi, l’unica vera sopravvivenza è farsi notare. Anche se l’unica cosa che si è costruita, finora, è un profilo LinkedIn pieno di parole che non significano nulla.

#Blog #TV #Opinioni #SocialMedia #Reality

 
Continua...