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from Il diario di Erik

Sliding Doors #12

Un dolore lancinante alla testa accompagnò la ripresa dei sensi di Anna, come se mille aghi le trafiggessero il cranio senza pietà. Le sembrava di essere intrappolata in fondo ad un gorgo fangoso e oscuro, completamente disorientata e senza alcun appiglio per riemergere alla superficie. Con le mani tremanti e un ultimo disperato sforzo dettato dal puro istinto di sopravvivenza, compose un numero sul telefono – che solo più tardi avrebbe scoperto appartenere a un amico in comune. Il suo corpo venne scosso da tremiti incontrollabili prima di prorompere in un pianto straziante e disperato, tanto violento da impedirle di articolare anche una sola parola comprensibile, lasciando che dall'altra parte della linea si sentissero solo singhiozzi angoscianti.

“Stai calma, calmati, lo so che sei Anna, dimmi almeno dove ti trovi che arrivo subito!” implorava Leòn con voce concitata, urlando nel cellulare mentre cercava di comprendere la situazione. Anna, con uno sforzo sovrumano, riuscì a sputare una singola sillaba tra i singhiozzi: “Bar!” “Arrivo subito!” rispose Leòn. Nel precipitarsi verso la sua macchina, con il cuore che gli martellava nel petto, telefonò immediatamente a Brigitte, così che almeno un familiare fosse informato e potesse aiutare a gestire quella che sembrava una terribile crisi di Anna. Arrivarono entrambi nel parcheggio con il fiato corto, divorati dall'ansia e dal nervosismo di essere completamente all'oscuro di quanto fosse accaduto.

“Guarda Brigitte, Anna non riusciva nemmeno a parlare, un pianto disperato,” Leòn la mise al corrente dell'unica informazione che possedeva, mentre il mistero della situazione veniva drammaticamente amplificato dal pianto straziante e dalle urla che echeggiavano distintamente già nel cortile sul retro dell'edificio. Si precipitarono attraverso la porta e corsero su per le scale, prendendo due gradini alla volta, finché non trovarono Anna accasciata sul pavimento, scossa da singhiozzi incontrollabili, con la testa stretta disperatamente tra le mani tremanti.

“Sei caduta? Ti sei fatta male?” chiese Brigitte alla sorella con voce preoccupata, cercando di aiutarla a sorreggersi e valutando rapidamente le sue condizioni. Leòn, con passi cauti, si sporse verso l'interno del bagno e, in un silenzio carico di tensione, afferrò lentamente la mano di Brigitte e la guidò sulla soglia del locale. Entrambi, con gli occhi sbarrati dall'orrore di fronte alla scena che si presentava loro, proruppero all'unisono in un'esclamazione sgomenta: “Oh cazzo!”...

 
Continua...

from Il diario di Erik

Sliding Doors #6

Nei paesini un altro momento di vitalità è più o meno verso l’ora di cena. Dai negozi che chiudono, ai bar che si svuotano, c’è movimento. Nessuno però, fa caso al bar dell’angolo perchè il lunedì è chiuso per turno. Le luci spente non impensieriscono nessuno.

Nemmeno Guido, che è quel tipo che cammina a passo spedito almeno un centinaio di volte al giorno su e giù per la via fa caso alle vetrine spente.

Nota però il gatto del bar appollaiato sul davanzale della finestra che miagola.

” Ciao Simba! Ti hanno chiuso fuori?” chiede come se potesse ricevere risposta.

Ma il gatto che lo conosce comincia a fare le fusa e dare colpi con la testa contro la mano.

Come per aiutarlo? Guido fa spaziare gli occhi in lungo e in largo ma purtroppo non scorge nessuno, nessuna luce nessun rumore dentro la casa adiacente al bar.

Sta sopraggiungendo la sera, la sera d’estate, con brevi folate di vento per un effimero refrigerio dall’afa che caratterizza le estati in pianura.

La gente ancora circola in bicicletta o a piedi per respirare più agevolmente e non sudare eccessivamente. Il tempo passa lentamente , solamente cinque minuti dopo il gatto è sparito, ritirato nella sua tana.

Come Anna è ancora ritirata nella sua tana, al caldo ma sembra non importarle, senza cena ma non ha fame. E’ ancora preda della rabbia per non avere sue notizie.

“ Non chiama! E figurati domani avrà tutto il giorno dedicato a se stesso, mangiare da solo, fumare da solo, STARE DA SOLO! Ecco quello che vuole, non me he gli ho dato tutto! vuole stare da solo! Basta prendo 40 gocce e resto immobile a letto.”

Sliding Doors #7

I paesi, specialmente quelli rurali, sono ancora l’ultimo anello che collega una comunità ai loro avi, alle società arcaiche. Ad uno stile di vita semplice e senza fronzoli, dove l’importante è stare bene assieme. Nonostante tutto queste caratteristiche stanno lentamente scemando: le storie personali diventano sempre più personali e isolate.         
Ogni comunità ha tante storie quanti sono gli abitanti, ma oggi non si intrecciano più come una volta, o meglio si intrecciano tramite i social. Allora sì che in quei luoghi ognuno dà il meglio di sé, specialmente i giovani.

Quelli più anziani ancora ti avvisano quando passando vicino a casa tua avvertono un forte odore di gas, così tu possa provvedere chiamando l’assistenza.

Il giorno dopo un sole estivo cocente fino al tardo pomeriggio illuminava e riscaldava anche un avventore del bar che trovò di nuovo Simba appollaiato sul davanzale della finestra. Due carezze affettuose e il gatto cominciò a fare le fusa e a dare capocciate alla mano.

Saltò giù dalla finestra e guardò dal basso verso l’alto quell’omone gentile.

Fece lo slalom tra i suoi piedi e fece capire l’intenzione di volere andare verso il cortile. Un animo nobile che ama gli animali non rimane insensibile verso un così chiaro messaggio fatto da un gatto, notoriamente animale scontroso, così lo seguì e si trovò davanti ad un cancello in apparenza chiuso.

Simba, infatti, come d’abitudine si allungò con tutto il corpo e le zampe contro il cancello cercando di spingerne una parte.

“Ma cosa pensi di fare?”, e istintivamente allungò la mano e con enorme sorpresa il cancello con una leggera pressione, cigolando si aprì.

Simba sgattaiolò come un fulmine all’interno seguito dal buon samaritano.

C’era un silenzio strano per essere il retro di un bar, ma proprio mentre stava per andarsene ecco che arrivò. Come un soffio, caldo, afoso, denso e dolciastro passò per un istante sotto il suo naso, talmente veloce che ne rimase solo il ricordo nella mente, ma mentre più cercava aggettivi per descriverlo, solo uno ne rimaneva: sgradevole.

Sliding Doors #8

“ Thomas, senti anche tu questa puzza?” chiese Andreas al collega mentre stava chiudendo il cancello.

I due amici avevano una agenzia di assicurazioni che confinava con il bar, erano amici che poi sono diventati colleghi e conoscevano tutte le abitudini di quella parte di paese, se non tutto.

“Sembra che ci sia un animale morto in cortile!” rispose Thomas alzandosi sulle punte per poter sbirciare al di là del cancello che separava il cortile dalla strada.

“Non vedo niente”- aggiunse ma così facendo si appoggiò al cancello e si accorse che era aperto.

Entrarono e diedero un’occhiata intorno. Non c’era niente di diverso dal solito: la macchina di Jerome, i bidoni della spazzatura del bar vuoti [era il giorno di chiusura] i vasi dei sapori interrati e gli scatoloni vuoti accatastati sotto la finestra.

“Viene dalla casa, secondo me si è spento un freezer e tutto è andato a puttane!”- osservò Thomas.

“Sai cosa possiamo fare? Chiamare Jerome e avvisarlo!” suggerì Andreas già con il cellulare in mano.

Con somma sorpresa sentì squillare il cellulare di Thomas attraverso la finestra del bagno al piano di sopra.

E lo sentì per parecchio, finché non cadde il collegamento.

Provò ancora un paio di volte , ancora nessuna risposta.

“L’avrà dimenticato?” si domandò Thomas.

Fecero il giro dell’abitato, guardando dentro le finestre, in giardino e dietro le tende del bar. Non videro nessuno.

“Facciamo un ultimo tentativo, poi me ne vado a casa che ho fame.” Andreas tirò fuori il cellulare e compose un numero.

“Chiamo Anna, di sicuro avrà le chiavi ed entrerà per risolvere il problema! Ciò detto con un cenno salutò l’amico e si mise al volante.

Driiiiinnnnn! Driiiiiiinnnnn!

Da sotto le lenzuola emerse Anna strizzando gli occhi. [Per quanto ho dormito? Ho esagerato con le gocce? Che ora è? Ho udito un telefono? Sarà lui? Impossibile! Vediamo chi ha telefonato] Sara vide il numero di Andreas sul display, una cascata di pensieri iniziò a scorrere nella sua mente, ma nessuno che spiegasse il suo dubbio: “Perché cazzo mi avrà chiamato?” Premette il tasto di richiamata e attese.

“Ciao Andreas, sono Anna, mi hai cercato?”

“Sì, senti dal cortile si sente una forte puzza, quasi di marcio, temo si sia spento un freezer, sarà tutto scongelato, ho provato a chiamare Jerome ma non risponde, anzi ho sentito il suo cellulare suonare mentre ero in cortile ma non mi ha risposto. Sai dov’è? Ci pensi tu?”

Immediatamente sveglia non salutò neppure Andreas e si mise a sedere di scatto sul letto.

Sliding Doors #9

“ Giuro che se lo trovo sballato e tutto il contenuto del freezer da buttare gli spacco la faccia!– Anna quasi urlò mentre pensava.

“ Il pesce, gamberi e vongole appena comprati. Le tartine per gli aperitivi! Madonna!! Più ci penso e più mi incazzo! – Ormai era salita in macchina e dopo aver sfiorato lo spigolo del muro di casa partì sgommando verso il bar.

Appena arrivata nel retro, guardò tutt’intorno come se potesse vedere l’odore che le aveva anticipato Andreas. E’ sempre stata chiamata dai suoi amici “Segugio”, grazie all’incredibile senso dell’olfatto che dimostrava ogni volta che ce n’era bisogno. Come quella volta che se fosse stato per Jerome con il suo olfatto addormentato dalla nicotina sarebbero ancora seduti a raccogliere le briciole del locale dopo l’esplosione causata da una fuga di gas.

Invece, appena uscì in cortile, Anna sentì quell’odore acuto e pungente del gas e avvisò immediatamente il pronto intervento.

Anche questa volta lo sentì subito.

Entrò come una furia in magazzino sbattendo come Tatarella quella portina di legno contro lo stipite.

Senti solo il classico ronzio di tutti i freezer che funzionavano perfettamente.

Li guardò uno dopo l’altro come se potessero dirle qualcosa e sentì i suoi capelli rizzarsi dietro la nuca.

“ E’ entrato un animale! C’è un animale morto!”

Urlò sconfitta dal disgusto di dover fare i conti con qualcosa di vomitevole nascosta in qualche angolo della cantina.

Prese il telefono e compose il numero di Jerome.

“Dov’è quello stronzo!” – aveva appena finito di comporre il numero e il pensiero minaccioso che sentì uno squillo provenire dal piano di sopra.

Spalancò gli occhi e le si seccò la gola. C’è il telefono e non c’è Jerome che praticamente viveva con il cellulare attaccato alla mano.

Partì di corsa verso le scale e nemmeno si accorse di averne fatte due rampe che si trovò davanti alla porta d’ingresso dell’appartamento al piano superiore.

Mentre stava per appoggiare la mano sulla maniglia cominciò a percepire un odore tremendo aleggiare nell'aria.

Sliding Doors #10

Una ridda di domande scaturirono nella testa di Anna come un Big Bang.

Fu assalita da un vortice di domande, ogni domanda immediatamente dava origine ad un’altra. Bisognosa di risposte, ma non c’era risposta alcuna che potesse soddisfare la sua smania. Ogni cosa precipitava in un caos mentale e dopo qualche istante sospeso nel vuoto trascorso con lo sguardo ebete perso a fissare una porta di legno si sentì un groppo in gola.

Paralizzata in piedi davanti ad una porta chiusa evitava di prendere qualsiasi decisione.

Quegli istanti in cui il cervello è una tabula rasa, ma il tuo istinto primordiale ti avverte che aprire quella porta cambierà per sempre la tua vita.

Non sai quello che fai, non sai quello che dovresti fare ma sei sola, in una casa enorme, silenziosa. Sentì un clacson lontano e un rimbrotto di un ciclista nella strada sottostante.

Si decise ad appoggiare la mano alla maniglia e tentò di aprire. Era chiusa.

“ Perchè? Perchè? Perchè hai chiuso la porta? Chiudi solo l’ingresso! Non mi volevi ?” la domanda scaturita nella mente si stava trasformando in un urlo di terrore.

Sliding Doors #11

Anna sentiva il panico montare dentro di sé come un'onda oscura e travolgente. I suoi muscoli, dapprima rigidi, iniziarono a tradirla: un tremito sottile, quasi impercettibile, che ben presto divenne una tempesta incontrollabile. Le mani, prima ferme, ora danzavano in un movimento frenetico e ingovernabile. Il tremore si propagava come un veleno, serpeggiando attraverso le sue braccia, invadendo ogni fibra del suo corpo con una furia primitiva e incontrollata.

Un mantra ossessivo rimbombava nella sua mente frantumata: “Bisogna entrare. Devo entrare.” Le parole rimbombavano come un tamburo impazzito, cancellando ogni altro pensiero razionale, ogni tentativo di controllarsi.

Con una determinazione disperata, corse sul terrazzo adiacente, i suoi passi ritmati da un'urgenza selvaggia. Un tubo di metallo, un tempo destinato a sostenere orgogliosamente una bandiera, ora era diventato la sua unica arma contro la barriera che la separava dalla verità. Lo afferrò con mani tremanti ma volontà di acciaio.

Come una furia scatenata, si lanciò contro la porta. Il primo colpo risuonò con un tonfo secco: il metallo penetrò nel legno con una violenza quasi carnale. Ma non era abbastanza. Ancora e ancora si scagliò, ogni colpo scandito dal suo respiro affannoso, dai suoi singhiozzi trattenuti.

Quando finalmente cedette, letteralmente scivolò dentro come un'ombra. L'odore la colpì immediatamente: acre, putrescente, carico di un presagio di morte che le assalì le narici e minacciò di soffocarla.

Le gambe tremolanti la sostennero a malapena. Si aggrappò al tavolino nel corridoio, un ultimo baluardo contro il collasso totale. Un istante di esitazione: aveva il coraggio di procedere? L'odore, sempre più intenso, proveniva dal bagno, un richiamo macabro che non poteva ignorare.

Con movimenti da sonnambula, raggiunse lo stipite del bagno. Dapprima tutto sembrava normale: piastrelle lucide, la doccia nell'angolo, la vasca maestosa. Ma poi lo specchio la tradì, rivelando l'orrore: Jerome, immobile, con una carnagione bluastra, giaceva esanime tra la vasca e il bidet.

Il mondo intorno a lei si dissolse in un vortice nero. Cadde, pesante e inerte, come un corpo privo di vita, inghiottita dall'abisso del suo stesso terrore.

 
Continua...

from Il diario di Erik

Diciassette luglio duemilaventitre Sliding Doors #1 3.30 di mattina, fa caldo anche dopo una doccia.

Penso che dovrei cercare di alzar...

Buio.

9.00 di mattina, sole ed una bella freschezza soffia attraverso le strade e le case.     Il centro del paese è come al solito popolato dai quotidiani avventori abituati a passeggiare in centro mossi dalle più disparate esigenze.  Chi deve andare in farmacia, “sai mio marito ha terminato le aspirine”,                             chi deve andare dal macellaio, “ ho finito le bistecche, ma già che ci sono prendo anche il formaggio”                                                                                                                               chi deve prendere le sigarette ma anche il giornale,                                                       chi esce per fare quattro chiacchiere, “ perchè in casa non so che fare”. Quasi tutti hanno come abitudine di fermarsi al bar dell'angolo per un intermezzo con un caffè, un succo, una bibita fresca. 9.30 qualcuno lancia delle occhiate verso la piazza , qualcosa non quadra ma non riesce a capire immediatamente. “   Non hanno ancora aperto” osserva quello che è parcheggiato sulla bicicletta di fianco alla panetteria dalle otto del mattino, accennando con un gesto del mento all'indirizzo del bar. “ Avranno fatto tardi ieri sera” suggerisce una signora appena uscita con un sacchetto di pane. “Ho sentito che ieri sera hanno litigato un'altra volta e se n'è andata a casa”. “Ah quindi deve aprire lui? ” aggiunge un ragazzotto appena arrivato e conclude: “ adesso dove andiamo a bere il caffè?” Sliding Doors #2 Il via vai continua con lo schema classico dei paesi, momenti deserti subito sostituiti da momenti di intenso traffico. Un uomo ben vestito si ferma davanti all’ingresso del bar, compone un numero sul cellulare e attende guardandosi intorno.

“ Ehi, Bistèk ! Come va? “ domanda una signora con i capelli corti biondi che sembra uscita da un centro profughi.

“ Non c’è male, e tu, sempre sbarazzare cantine? “

“ Sì ma adesso non interessa più a nessuno! “ risponde sconfortata la donna e aggiunge “ cosa fai qui impalato? “

“ E’ il mio giro settimanale per raccogliere ordini ma a quanto vedo oggi qui non concludo niente“ risponde sconsolato il rappresentante

“ Succede ogni tanto ma quasi sempre in tarda mattinata aprono, altrimenti di solito mettono un biglietto di avviso per la chiusura momentanea “

“ Va bè, ho un altro appuntamento, devo scappare, ci vediamo! “ conclude l’uomo avvicinandosi alla sua macchina. La donna saluta con un cenno della mano e prosegue immersa nei suoi pensieri. Dall’altra parte del paese, una casa sta vivendo la stessa situazione. Finestre chiuse, persiane chiuse, porte chiuse, nessun segno di vita. Del resto nelle piccole realtà  è una situazione molto frequente negli ultimi tempi.

Sliding Doors #3

“ Hai telefonato al papà? “ chiese Alice mentre si schermava gli occhi dal sole e cercava di guardare quella figura che troneggiava ai suoi piedi, era sdraiata a prendere il sole.

Théo si sfregò le mani tra i capelli bagnati scuotendo la testa.

“ Non ancora, adesso starà lavorando e io devo andare in barca con Lucas ! Lo chiamo stasera che sarà a casa, promesso! “ rispose e subito si girò scattando di corsa verso il mare.

“ Ehi ricordati di fargli concludere la faccenda con l’avvocato, non voglio alti pensieri! gli urlò contro Alice e poi si rivolse verso la nonna sotto l’ombrellone:

“ Potrebbe costarci altri soldi oltre a quelli spesi per il divorzio! “

La nonna guardò il mare e rimase indifferente, come faceva con tutto da quando era rimasta vedova. Si accontentava che quel nipote bellissimo fosse rimasto in famiglia, per il resto chi se ne frega. Infatti non aveva neppure compreso cosa avessero combinato Théo e suo padre per farla arrabbiare così tanto. Sembrano tutti e due calmi e tranquilli che dover chiamare persino un avvocato ! E sentire parlare di tribunali , mai successo nella sua vita.

Era l’inizio primavera quando Alice con gli occhi fuori dalle orbite entrò in casa e disse che Théo e suo padre, UFF ! Suo padre ! Il suo papi, aggiunse con fare lagnoso, loro due, che ultimamente sembrava avessero trovato una vera intesa, erano stati citati in giudizio da una non meglio conosciuta società ed erano stati accusati di diffamazione verso uno dei loro prodotti. Come se non bastasse erano stati chiamati a comparire in aula del tribunale davanti a un giudice, ovviamente accompagnati da un avvocato.

Avvocato che costa! E la sentenza? Chi può dirlo. Ah ma io non spenderò un centesimo! Che imparino a vivere.

“ Mamma ti serve qualcosa? ma senza aspettare una risposta si alzò

“ Vado a fare una passeggiata” concluse e se ne andò sotto il sole”.

Sliding Doors #4

“ Mamma, è a casa la zia?” chiese Thérèse sbirciando dalla finestra spostando la tendina con le sue dita affusolate.

Guardava indagatrice quelle finestre sbarrate al di là del cortile e si chiedeva come mai non erano ancora aperte e la zia Anna in cortile a pulire e incerare qualche mobile. L’aveva sempre ammirata quella zia che si spaccava in quattro per gli altri e non era abbastanza per se stessa. Ricordava di quando andava a scuola e la zia Anna tutti quegli anni le faceva da autista portandola e riprendendola tutti i giorni e concludeva il viaggio sempre con la stessa frase “ come sei bella!”. E comunque aveva cominciato a chiedersi, d’accordo la zia è un pò particolare, ma anche il suo Jerome è parecchio strano però.

“ Mi sembra d’averla vista rientrare presto ieri sera, questo vuol dire che avevano litigato e che quindi se ne starà rintanata in casa per un paio di giorni.

Mi chiedo come Jerome la possa sopportare!” rispose con un velo di ironia la madre.

“ D’altra parte stasera e domani il bar rimane chiuso e avranno tutto il tempo per schiarirsi le idee”. concluse Brigitte mentre finiva di interrare l’ultima piantina di Fucsia, nel pomeriggio sarebbe arrivato il giardiniere e avrebbe fatto appendere i vasi vicino al porticato dove avrebbero fatto un disegno colorato con il Glicine di fianco alle colonne.

Sliding Doors #5

Driiiiinnnn Driiiinnnn 

Lo schermo del telefonino illumina con la sua luce fioca il comodino di Anna, proiettando ombre inquietanti sulle pareti della stanza buia. 

Driiiiinnnn Driiiinnnn 

“Adesso chi è?” si chiede Anna mettendo il naso fuori dalle coperte con estrema riluttanza, facendo una smorfia di fastidio mentre cerca di sopportare il trillo insistente del telefono che come un picchio impazzito perforava la sua testa dolorante. 

“Uff, mia sorella! La chiamo dopo” 

e si rintana di nuovo sotto le coperte, cercando rifugio nel calore familiare.

“Mia sorella! Cazzo vuole a quest'ora! E quello là figurarsi se si degna di chiamare, non l'ha mai fatto, aspetta sempre che sia io ad andare là a riverirlo come una serva! LUI deve venire qui altrimenti non muovo un dito, questa volta basta!“ 

Era attraversata da un fiume impetuoso di rabbia incontrollabile, al punto tale che certe volte si trasformava in tremori violenti e pianti disperati che sembravano non avere fine.

“Ogni singola volta la stessa maledetta storia. Dice che sono io quella che va via e invece è lui che mi caccia via con i suoi comportamenti! Con i suoi modi cafoni da persona incivile, la sua arroganza insopportabile, la sua prepotenza che non conosce limiti!! Perché continuo ostinatamente a mettermi sempre con uomini del genere? Cosa avrò mai fatto di male nella vita per meritarmi questo?”

Nel buio più totale della stanza allungò la mano tremante per cercare a tentoni un fazzoletto di carta, asciugarsi gli occhi gonfi di pianto e poi buttarlo con rabbia a terra, ad unirsi agli altri a formare un tappeto bianco intriso di dolore e delusione. 

“Ogni dannata volta mi promette solennemente che non succederà più ma invece eccomi qui di nuovo, a piangere da sola nel letto come una stupida ad aspettare un minimo segno che dimostri che non sono completamente invisibile ai suoi occhi! Poi io, come al solito, lo implorerò disperatamente e lui si degnerà di venire qui, sempre dopo estenuanti preghiere, e io, come una perfetta idiota, accetterò ancora una volta le sue scuse vuote! MI ODIO PROFONDAMENTE PER QUESTO!”

Proruppe in una nuova serie di singhiozzi incontrollati e si rintanò completamente in lacrime sotto le coperte serrando gli occhi con forza, cercando di sfuggire alla realtà che la circondava.

 
Continua...

from Bymarty

🖋️Le mie cicatrici, fanno parte di me..

La più importante oggi per me è quella che mi hanno cucito qualche mese fa! Non l'ho scelta, non mi è stata imposta, era già mia! Da allora la mia cicatrice mi sta insegnando a scegliere come vivere e anche sopravvivere a ciò che mi è accaduto. Spesso, agli inizi, nell'attesa, nella mia mente , l'ho considerata quasi una punizione, una condanna. Eppure ogni giorno, guardandola, sfiorandola con paura, ripensando a quello che rappresenta oggi e ciò che mi ha nascosto ieri, imparo quasi ad amarla! La mia cicatrice mi sta insegnando a vivere di nuovo, ad apprezzare ciò che magari ignoravo e ad evitare di perdermi ancora ..

Perché le mie cicatrici, non solo quella che adesso posso sfoggiare, ancora ben visibile, insieme a quelle invisibili dell'animo, dei pensieri, adesso sono la mia vita, la mia nuova me! Sto imparando a non difendermi per timore, a non chiudere il mio cuore, a non allontanare chi mi sa ascoltare e a non fuggire anche quando posso restare. Non è un trofeo, che mi ricorda che “ce l’ho fatta”, serve per ricordarmi che non devo sopravvivere, ma aiutare me stessa a capire come far diventare la me rimasta, vera e libera.. E allora forse smetterò di sentirmi a disagio e diversa e saranno proprio queste cicatrici ad indicarmi la strada, facendomi guardare al passato senza timore e al futuro con speranza e senza più alcun timore!

 
Continua...

from ...cosa ne pensa Jollanza?

Le luci si accendono ed una frazione di secondo dopo un pubblico di più di duecento persone si spende in un mare di applausi, mentre la sigla che apre la puntata fatta di trombe jazz squillanti ed allegre accompagna il tutto. Il presentatore entra in scena con la sua pettinatura sgargiante ed il sorriso fresco di detartrasi.

Conan

«Benvenute e benvenuti, eccoci anche oggi in una nuova puntata del vostro talk-show preferito, live sui social!»

applausi

Il pubblico continua ad applaudire, l'orchestrina fa il suo lavoro per tenere alta l'eccitazione e l'eleganza della trasmissione. Una volta terminata l'entrata in scena gli operatori segnalano al pubblico di calmarsi in attesa della punch-line che apre la puntata:

«...avrete sentito, il Papa sta sempre meglio: è stata decisiva la scelta di servirsi di un ospedale laico invece di andare a Lourdes come avrebbe fatto un vero credente!»

badum-tiss risponde il batterista, altri applausi e risate come da copione. Il presentatore fa spallucce ed una faccia buffa, come se dovesse scusarsi di qualcosa che ha detto, lascia che il pubblico si sfoghi e poi continua: «A parte gli scherzi siamo tutti contenti che si stia riprendendo, davvero. Ma l'ospite di questa serata non è un Papa o una persona del suo calibro: ha quasi quarant'anni e possiede un particolare talento per l'overthinking! Un applauso al Baron Jollanza!»

Faccio la mia entrata con un sorriso imbarazzato, salutando il pubblico che applaude e fischia dall'eccitazione. Un operatore mi indica la poltrona dove dovrò sedermi, posta naturalmente proprio di fianco alla scrivania del presentatore che mi accoglie con una stretta di mano calorosa. Mi siedo, silenzio in sala, attacca lui il discorso.

Talk

«Allora, Jollanza... Baron Jollanza... Barone... Jolla... come dovremmo chiamarti oggi?» mi domanda per rompere il ghiaccio. «In realtà non mi è mai importato molto, tanto mi giro comunque» sorridendo in camera. Non sono a mio agio e più cerco di non dimostrarlo più lo dimostro. «D'accordo allora! A quanto ho capito oggi sei qui da noi per fare un annuncio molto importante, è corretto?» «Esattamente... » non so il nome del presentatore quindi i punti di sospensione restano lì. Non l'ho chiesto, non guardo la tv ed onestamente la cosa è strana perché tutta questa storia è opera mia sulle pagine di un blog piuttosto anonimo «sono qui per dirvi che mollo Instagram.»

Il silenzio in sala perdura, forse qualcuno mormora aspettando una battuta che faccia ridere, ma lo stupore c'è tutto. Il presentatore osserva la scena, deve dire qualcosa o questo silenzio continuerà all'infinito.

«...ma nel senso che ti prendi una pausa e poi tornerai, è corretto?» «Non credo» rispondo io «e ne ho tutte le ragioni.»

Altra pausa nel silenzio. Visto che nessuno, nemmeno il chiacchierone, prende parola allora continuo io con tutta calma.

«Mettiamola così, lo faccio per stare meglio. Con me stesso e con chi vuole stare con me. È una scelta che trovo matura e» Vengo interrotto dal presentatore: «Beh ma non mi sembra che salverai il mondo con questa scelta o che chi controlla quel social si metterà le mani nei capelli dalla disperazione, dico bene?» rivolgendosi al pubblico per avere del supporto, ma gli applausi sono circa la metà di quelli avuti a inizio puntata.

Gli rispondo: «Vedi, non è una questione di “cosa cambia” o “non serve a nulla”. È una cosa che faccio per me, perché sento che potrebbe essere la strada migliore percorribile per stare bene. Mi spiego» dico, mentre mi sistemo sulla poltrona e mi rivolgo direttamente al pubblico e non più alla telecamera «il Cyberpunk è molto probabilmente il mio genere letterario preferito. Il ramo della fantascienza più distopico ed arrugginito ci ha dato dei veri capolavori sia in ambito letterario che cinematografico. Penso anche nel campo musicale dopotutto, se guardiamo a certi sottogeneri della techno.»

Talk

Il presentatore sorride, sembra più tranquillo ora che sto parlando senza freni quindi mi fa procedere dandomi spazio.

Continuo: «è un genere che è nato come parodia, o meglio, come satira di un mondo che sarebbe stato mangiato dalle corporazioni e dall'indifferenza. Negli anni '80 quegli autori già si immaginavano una torma di zombie allacciati alla Rete, tecnologie incredibili ma usate male e meno diritti per la persona comune in cambio di altri giocattoli. E la cosa che più mi fa imbestialire non è che ci siamo già a quel punto ma il principio che c'è dietro: abbiamo preso quelle storie di satira per un manualetto di istruzioni e l'abbiamo seguito alla lettera nonostante la scritta in copertina che dice “TI PREGO NON FARLO”.»

Il presentatore mi guarda un pochino confuso, e mi chiede: «...d'accordo, ma tutto questo cosa c'entra con Instagram ed il mondo social?» si mette a guardare la cartellina col copione che ha sulla scrivania e legge «dopotutto il primissimo articolo del tuo blog parla di come usare i social in maniera più sana ed etica, non di abbandonarli del tutto. Come mai questo cambio di opinione?»

Bella domanda.

«beh... non è che volessi fare il guru/santone tecnologico da seguire all'epoca, non rinnego quell'articolo soprattutto perché lo ritengo ancora valido. Il FediVerso funziona ed è gestito da esseri umani al contrario di»

Questa volta vengo interrotto a metà frase: «ahh il problema sono le IA quindi, le intelligenze artificiali! È un problema che hanno in molti ultimamente ed abbiamo preparato apposta un servizio che»

lo interrompo a mia volta: «No, non è un problema di IA. Le studio, sto per prendere una seconda certificazione sull'argomento e mi fido della tecnologia. Il mio problema è come i miei dati personali vengono usati da quelle IA, o da algoritmi, e quanto» prendo dalla tasca il telefono e lo consulto, come per cercare qualcosa in particolare che provi il mio punto. «Durante questo mese me ne sono successe parecchie. Volevo già mollare quella piattaforma e lo dicevo da un paio di mesi, ma poi mi sono capitate cose meravigliose ed altre diametralmente opposte tutte nello stesso periodo. Quindi mi sono sfogato con degli amici via messaggio ed il risultato è stato trovarmi gli stessi argomenti consigliati fino allo sfinimento sul feed di Instagram.»

Mostro velocemente ai presenti il telefono. Non vedranno una mazza, ma tanto è gente abituata a non leggere ed a fidarsi della prima cosa che vedono. Potrei mettere una foto di Madre Teresa a cavalcioni su un T-Rex con un mitra e la prenderebbero per vera.

trex

«...appena ho perso i contatti con una persona a me cara Instagram mi ha subito consigliato video e post di espertoni chad che mi dicevano come superare quella condizione di tristezza e diventare un maschio alpha come impone la moda, possibilmente misogino. Un mio amico se n'è andato ed ecco altri video che mi raccontano come posso superare un lutto in 10 velocissimi passi e sul perché non devo essere un perdente come lui. Mi rubano la bici? Subito arrivano le pubblicità su annunci di bici in vendita e video di immigrati che le rubano» sospiro «e ricordate, tutte queste cose derivano da chat dove mi sono sfogato con persone a me molto vicine. Cose private. Non ho mai cercato questi argomenti online e nemmeno su Instagram, tanto più se puntati verso destra. Se prima la mia schermata era piena di pseudo modelle, scienziati e meme minchioni... nel giro di un giorno è diventato il raduno degli psicologi da supermercato. Adesso per esempio è bastato lo spazio di un venerdì sera ed un weekend, dove mi sento molto meglio, ed il mio feed è tornato magicamente come prima. Non lo trovate assurdo? Assurdo quanto il lamentarsi dei troppi controlli da parte delle autorità mentre siamo ben disposti a mettere i nostri selfies e le geolocalizzazioni su qualche server controllato dalle stesse autorità verso cui puntiamo il dito. Passiamo il tempo a frignare su quanto fanno schifo gli Stati Uniti e poi non sappiamo staccarci dai loro servizi. Non voglio passare per paranoico o convincervi a fare lo stesso, è che ho bisogno di un cambio di rotta per una questione di coerenza e cominciare da qui credo sia la mossa più logica perché mi sembra, almeno ultimamente, di aver curato più la mia persona digitale che quella reale.»

Questa volta il silenzio in sala è dato dalla confusione, come quella che tutti abbiamo provato quando abbiamo saputo che Babbo Natale non esiste anche se lo sospettavamo fortemente, prove in mano. Il presentatore prende parola.

calm down

«D'accordo è una cosa che può spaventare, ma è proprio il concetto di “contenuto mirato” quello che stai sperimentando. E la censura a volte è necessaria» puntualizza. «Per il “contenuto mirato” posso anche starci concettualmente: la regola è “dai all'algoritmo qualcosa da mangiare e lui sputerà fuori qualcosa di simile” autoalimentandosi. Non è male l'idea ma qui mi leggono le chat e non mi sta bene per nulla. E per la censura sono sempre stato della politica “se scrivi una minchiata te ne prendi la responsabilità” quando invece vedo che chi dovrebbe essere redarguito viene idolatrato, portandoci sul fondo dell'ignoranza avendo più traino di chi invece vuole divulgare sapere. Chi protesta per il clima, chi vuole più diritti, chi cerca di migliorare le cose viene additato come un terrorista perché l'informazione viene trasformata in indignazione senza possibilità di replica. Oh sapete quanto mi piaceva passare il tempo a leggere i commenti degli imbecilli che invocano la pena di morte qua o sperano in uno Stato di Polizia senza freni là. E quanto mi piaceva rispondergli a tono, vedendoli incazzati ed incapaci di argomentare ma... ho capito che alla fine sono come loro. Siamo sulla stessa moneta, solo facce diverse. Quella che insulto molto spesso è una persona sola che cerca attenzioni e se gli dò corda dimostro di essere come lui, ma se non gli rispondo penserà di avere ragione per via della regola dell'ultima parola. Vedetelo come un percorso di disintossicazione, non mi interessa più passare il tempo a vedere quanti likes ha fatto un mio commento arguto o se la foto del mio ultimo hobby ha ricevuto qualche cuoricino. Potrei pulire il feed e cercare moderazione, ma ci ho già provato fallendo altre volte ed alla fine sono sempre al punto di partenza. Ho un migliaio di ricette salvate nei preferiti ma ne avrò realizzate solo un paio in tutto questo tempo perché “poi lo faccio”, e mentre aspetto il momento giusto sto guardando altri reels senza soluzione di continuità. Ecco quanto è inutile tutto questo, ecco quanto tempo spreco dietro ad una buona tecnologia che uso malissimo. E l'unica cura per questa cosa, siccome mi conosco, è un taglio netto di punto in bianco.»

il presentatore è spiazzato: «wow, beh... erh... ma non ti annoierai a morte da oggi? Voglio dire, mollare tutto di colpo, cancellare l'abitudine...»

«Ti ringrazio per la domanda» e non so ancora dargli un nome perché non aggancio il volto. Cambia di continuo, come la gente famosa che seguiamo «magari mi annoierò presto e avrò la tentazione di tornare online, ma al momento ho solo voglia di uscire e sentire chi avrà voglia di stare con me. L'obiettivo è quello di avere conversazioni sane senza l'affanno di cercare un video coi gattini per riempire lo spazio appena c'è un attimo di silenzio» in quel momento mi accorgo che il presentatore suda: ha notato che il pubblico è quasi del tutto sparito, restano una manciata di persone ancora interessate al mio discorso ed attente mentre gli operatori staccano le fibre ottiche dalle telecamere, che si spengono. «No aspettate, voi non» dice nel panico, come se la fine stesse davvero arrivando.

Lo tranquillizzo: «calmati, sei solo un personaggio che mi è servito per illustrare un punto qui sul mio spazio. Ho fatto tutto questo perché volevo dimostrare che da ora in poi voglio passare del tempo di qualità senza sprecarlo dietro ad uno schermo, tu potrai stare qui in attesa di essere tirato fuori per un'altra occasione speciale. Non sono riuscito a darti ancora un volto perché la mia immaginazione è bollita dal periodo, ma appena capirò come visualizzarti ti concederò un'altra intervista in esclusiva. Avere una vita continuamente esposta in vetrina non lascia segreti, per quello da domani cambia la musica.»

fading

Si tranquillizza e sparisce senza dire nulla. Le luci si spengono, qualche applauso arriva, ma inizia Aprile e per me è come se partisse un anno nuovo con tanti propositi e la voglia di fare meno cazzate.

C'è ancora una telecamera accesa, è questo blog. Io e la poltrona siamo gli unici oggetti di scena illuminati ora e mi rivolgo direttamente a chi legge: «Non sarò più il saccentone che sa tutto perché passa la sua giornata a scorrere reels per le ultime tendenze: voglio che mi dica qualcosa tu ora. Sei il mio nuovo schermo da seguire con tante cose interessanti da vedere. Invitami ai concerti, fammi sapere delle ultime novità, raccontami tutto.»

 
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