E-MAIL SETTIMANALE 2024

lunedì 22 aprile 2024 PROFETI 18

Lamentazioni 2

La traduzione greca dei LXX attribuisce il libro a Geremia, introducendolo con questa nota: «Dopo che Israele fu condotto via in prigionia e Gerusalemme venne resa deserta, il profeta Geremia si sedette piangendo e fece questo lamento su Gerusalemme». Attribuzione che ha accreditato, nella storia dell’arte, l’immagine del profeta che piange di fronte alle rovine della città.

Oggi si tende, invece, a ritenere che le Lamentazioni siano opera di uno o più autori a noi non noti e a collocarne la composizione subito dopo la distruzione di Gerusalemme del 587-586 a.C. Potrebbero essere nate tra gli abitanti di Giuda non deportati in Babilonia.

Il testo è strutturato in cinque lamentazioni, unite dal riferimento alla caduta di Gerusalemme e al conseguente esilio, in uno scenario di distruzione, desolazione e sofferenza. Il lamento è collettivo. Solo il terzo capitolo si presenta come un lamento individuale.

I primi quattro capitoli sono poemi acrostici alfabetici (dal greco ákron = estremo e stíchos = verso), cioè: ogni strofa inizia con una lettera dell’alfabeto ebraico in successione. Nel terzo capitolo, inoltre, i singoli versetti di ogni singola strofa iniziano con la stessa lettera. Il quinto capitolo non è acrostico, ma è composto da 22 versetti, tanti quanti le lettere dell’alfabeto ebraico. Una composizione così ben strutturata era utile, probabilmente, per l’apprendimento mnemonico, ma anche per comunicare l’idea che essa conteneva tutto ciò che era necessario dire.

Il tono dei testi è liturgico. Alcuni di questi poemi potrebbero, quindi, essere stati composti e recitati nelle celebrazioni che commemoravano la caduta di Gerusalemme (cfr. Zc 7,5).

Al centro della riflessione teologica del libro vi è la meditazione sulla distruzione di Gerusalemme e la condizione desolata nella quale ora il popolo si trova. La causa di quelle situazioni dolorose è attribuita all’idolatria e ai peccati di Israele, puniti da Dio. Proprio per questo, però, è possibile continuare a sperare: Colui che guida la storia ha consentito la distruzione, ma ora può perdonare e risollevare. Questa speranza contribuisce anche ad attenuare il peso dell’interrogativo sulla sofferenza dei giusti e degli innocenti.

Spesso il lamento si trasforma in un invito alla conversione e il libro si conclude con una richiesta a Dio in questa direzione: «Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo, rinnova i nostri giorni come in antico» (Lam 5,21).

Claudio Stercal

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lunedì 15 aprile 2024 PROFETI 17

Geremia 47

I capitoli dal 46 al 51 del Libro di Geremia raccolgono – come in altri libri profetici – una serie di “oracoli sulle nazioni” articolata in due sezioni: nella prima gli oracoli rivolti a varie nazioni (Ger 46-49), nella seconda quelli destinati a Babilonia (Ger 50-51).

La prima parte è databile tra il 605 e il 587 a.C., la seconda verso il 593 a.C., come lascia intendere il versetto: «Quando egli andò con Sedecìa, re di Giuda, a Babilonia nell’anno quarto del suo regno» (Ger 51,59).

Da notare la “disposizione geografica” degli oracoli: prima quelli destinati alla nazione più occidentale – l’Egitto (Ger 46) –, poi quelli rivolti ai paesi più vicini a Israele – Filistea (Ger 47), Moab (Ger 48), Ammon, Edom e Damasco (Ger 49) –, infine ai paesi più a est: Kedar e Asor – nel deserto siro-arabo –, Elam (Ger 49) e Babilonia (Ger 50-51).

Gli oracoli possono essere attribuiti a Geremia soprattutto perché nel contenuto, nello stile e nell’uso delle immagini mostrano varie somiglianze con gli oracoli di Ger 4-6 e con altri passi del libro. È probabile, però, che siano stati composti in momenti diversi e, prima di essere raccolti nella parte finale del libro, abbiano circolato per un po’ di tempo in modo autonomo in contesti diversi, subendo progressive modifiche e rielaborazioni.

Tra le idee centrali, emerge la forte sottolineatura della grandezza del Dio di Israele. Con la sua forza e la sua giustizia governa su tutti i popoli e, nonostante gli errori e i peccati degli uomini, prosegue nella realizzazione del suo disegno di salvezza. Tutti possono sbagliare e, per questo, essere sottoposti al giudizio e al castigo di Dio, il quale, però, opera sempre per la redenzione e la salvezza di tutti: «[All’Egitto dice] Li consegnerò in mano di quanti vogliono la loro vita [...]. Ma dopo sarà abitato come in passato» (Ger 46,26); «Guai a te, Moab, sei perduto [...]. Ma io cambierò la sorte di Moab negli ultimi giorni» (Ger 48,46-47); «Voi sarete scacciati [...]. Ma dopo cambierò la sorte degli Ammoniti» (Ger 49,5-6).

Il capitolo 52, aggiunto probabilmente nell’ultima fase della redazione del libro, chiude il testo con un’appendice storica – parallela a 2Re 24,18-25,30 – che arriva a narrare sino all’amnistia concessa, nel 562 a.C., dal re di Babilonia, Evil-Merodàc, al re di Giuda, Ioiachin, al quale vengono donati abiti nuovi, viene concesso di sedere sempre alla mensa reale e viene assicurato il sostentamento necessario (cfr. Ger 52,33-34). Il libro si chiude, quindi, confermando, anche grazie a queste annotazioni di carattere politico, giuridico ed economico, la speranza nel Dio d’Israele che non abbandona mai il suo popolo, anzi tutti i popoli, con i quali vuole “concludere un’alleanza”, “scrivere la sua legge sul loro cuore”, “essere il loro Dio ed essi il suo popolo” (cfr. Ger 31,33).

Claudio Stercal

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lunedì 8 aprile 2024 PROFETI 16

Geremia 37-45

I capitoli 37-44 narrano episodi della vita di Geremia compresi tra l’assedio di Gerusalemme e il trasferimento in Egitto (587/586 a.C.), inseriti redazionalmente in una cornice – costituita dai capitoli 36 e 45 – che fa riferimento invece al 605 a.C., il quarto anno del regno di Ioakim.

I capitoli 37-41 ruotano in particolare attorno a due avvenimenti:

1) l’imprigionamento di Geremia e la sua successiva liberazione (capitoli 37-39); viene più volte sottolineata l’autenticità e l’affidabilità del suo ministero profetico e vengono illustrati i motivi del suo invito a non abbandonare Gerusalemme e a restare fedeli alla religione dei padri;

2) l’uccisione di Godolia, il governatore che i Babilonesi – dopo la vittoria del 587 a.C. – avevano messo a capo della Giudea (capitoli 40-41); la sua morte sembra una conferma della necessità di trovare una soluzione più convincente e stabile per il futuro di Israele.

In questi capitoli i Babilonesi vengono presentati in una luce sostanzialmente positiva: liberano Geremia dalla prigionia e gli offrono la possibilità di scegliere se vivere in Giudea o andare a Babilonia (cfr. Ger 40,1-6); nominano il governatore Godolia, consentendo a chi rimane in Giudea di riorganizzare una forma di vita sociale ed economica. Un giudizio negativo, invece, è espresso nei confronti dei responsabili della morte di Godolia che, capeggiati da Giovanni, non prestano fede alla parola di Dio e alle profezie di Geremia e, anziché restare con «i superstiti di Giuda» (Ger 42,19), scelgono di fuggire in Egitto, divenendo «oggetto di esecrazione e di obbrobrio tra tutte le nazioni della terra» (Ger 44,8).

Con il capitolo 45 terminano le informazioni relative al profeta Geremia che, negli ultimi anni, si è scontrato più volte soprattutto con coloro che, rifugiandosi in Egitto, hanno abbandonato il culto del Dio di Israele e «bruciato incenso a divinità straniere» (Ger 44,15), in particolare alla «Regina del cielo» (Ger 44,17), una delle divinità del pantheon fenicio e cananeo, forse la dea Astarte.

Per Geremia, quindi, la storia del popolo è pesantemente segnata dal mancato ascolto della parola del Dio di Israele e dei suoi profeti e dalle conseguenti scelte idolatriche e immorali. Ciò nonostante il cammino, anche se difficile e doloroso, prosegue. L’intervento di Dio è indubbiamente severo, ma non viene meno il Suo dono a chi “in ogni parte della terra” lo ascolta e lo segue: «Tu vai cercando grandi cose per te? Non cercarle, poiché io manderò la sventura su ogni uomo. Oracolo del Signore. A te farò dono della tua vita come bottino, in tutti i luoghi dove tu andrai» (Ger 45,5). Un linguaggio severo, con sfumature persino “belliche”, ma aperto alla speranza.

Claudio Stercal

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lunedì 1° aprile 2024 PROFETI 15

Geremia 33 Oggi dovremmo essere arrivati al capitolo 33 del Libro di Geremia che, con il capitolo 32, costituisce la seconda parte del Libro della consolazione.

Nel capitolo 32 abbiamo assistito a una delle azioni simboliche del profeta: dopo avere annunciato la caduta della città e la cattura del re (cfr. Ger 32,1-5), egli acquista un campo per testimoniare, con il conforto della Parola di Dio, la speranza nel futuro: «Ancora si compreranno case, campi, e vigne in questo paese» (Ger 32,15).

Molti di noi ricorderanno che, nel difficile anno 2020, mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano, prese spunto da questo testo di Geremia – nel tradizionale discorso in occasione della festa del patrono Sant’Ambrogio – per richiamare tutti alla speranza: «Il profeta, su ispirazione del Signore, compie un gesto che poteva essere interpretato come sconsiderato: mentre si profila la caduta di Gerusalemme, la deportazione del popolo, la dominazione babilonese, quindi la catastrofe nazionale che cancella il regno di Giuda, Geremia firma un contratto per acquistare un campo, fa un investimento per il futuro. [...] Anch’io, per quello che posso e secondo le mie responsabilità, rimango al mio posto e, imitando Geremia, ho deciso di comprare un campo, cioè di seminare speranza» (M. Delpini, Tocca a noi, tutti insieme).

Nel Libro di Geremia, all’acquisto del campo segue una bella preghiera (Ger 32,16-25), nella quale il profeta rinnova la propria fede nella grandezza di Dio: «Nulla ti è impossibile» (Ger 32,17), ed esprime il dolore per l’infedeltà del popolo: «Non ascoltarono la tua voce» (Ger 32,23).

La seconda parte del capitolo 32 e il capitolo 33 contengono una serie di oracoli di salvezza nei quali Dio rimprovera il popolo – «A me rivolsero le spalle, non la faccia» (Ger 32,33) –e, allo stesso tempo, promette un futuro di prosperità e gioia: «Proverò gioia nel beneficarli; [...] lo farò con tutto il cuore e con tutta l’anima. [...] E compreranno campi in questa terra» (Ger 32,41.43); «Io farò rimarginare la loro piaga, li curerò e li risanerò; procurerò loro abbondanza di pace e di sicurezza» (Ger 33,6): «Perdonerò tutte le iniquità commesse ribellandosi contro di me. E questo sarà per me titolo di gioia» (Ger 33,8-9).

Con il capitolo 34 riprende la narrazione delle vicende di Geremia interrotta dal Libro della consolazione. Il narratore sembra andare a ritroso, dall’assedio di Gerusalemme (587 a.C.) agli inizi del regno di Ioiakim (605 a.C.), per ricordare alcuni episodi che mettano in luce come la catastrofe incombente è imputabile al cattivo comportamento della classe dirigente (cfr. Ger 34) e del re (cfr. Ger 36). Un comportamento ancora più deplorevole se confrontato con quello dei Recabiti (cfr. Ger 35), un piccolo gruppo all’interno di Israele che si era mantenuto fedele a Dio e alle prescrizioni del loro antenato Ionadàd, figlio di Recab.

Dopo un assedio durato un anno e mezzo, Gerusalemme, nell’agosto del 587 a.C., cadrà nelle mani dei Babilonesi e Geremia, liberato dalla prigionia, svolgerà il proprio ministero tra «i poveri del popolo, che non avevano nulla» (Ger 39,10) rimasti a Gerusalemme.

Claudio Stercal

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lunedì 25 marzo 2024 PROFETI 14

Geremia 26–32

Per comprendere meglio gli episodi della sezione autobiografica del libro di Geremia (Ger 26–45), che inizieremo a leggere questa settimana e in cui è presentata la rivalità tra Geremia e altri profeti, è bene fare attenzione ai riferimenti storici di ciascun episodio, ovvero alla datazione riportata all’inizio.

Il processo a Geremia che troviamo in Ger 26 rimanda al discorso sul tempio che abbiamo letto in Ger 7 ed è ambientato all’inizio del regno di Ioiakìm (Ger 26,1), quando ancora la predicazione di Geremia era finalizzata a suscitare la conversione perché si evitasse la catastrofe. Scopriamo così che allora – anche prospettandosi per lui una condanna a morte – Geremia era rimasto saldo nella certezza di essere inviato da Dio (Ger 26,15) e che aveva avuto alla fine salva la vita per l’intervento in suo favore di alcune persone autorevoli. Al contrario, un altro profeta (falso?), Uria, sopraffatto dalla paura, era fuggito in Egitto, ma – una volta catturato – era stato rimpatriato e ucciso. Gli episodi di Ger 27–29, invece, sono ambientati sotto Sedecia, quando Geremia per annunciare che ormai l’unica possibilità di salvezza è accettare che Dio abbia concesso potere a Babilonia e sottomettersi al suo giogo (Ger 27,12), compie un’azione simbolica presentandosi con corde e giogo al collo. Dopo qualche tempo (cfr. Ger 27,1 e 28,1) – mentre egli continua a circolare con il giogo al collo – viene contestato dal profeta Anania, che a sua volta compie un’azione simbolica: rompe il giogo di legno, annunciando di sua iniziativa la fine del potere babilonese. La parola che il Signore rivolge a Geremia, però, annuncia – sempre con l’immagine del giogo, ma di ferro – l’inasprimento del dominio (Ger 28,12ss.).

Da questi capitoli che parlano di vera/falsa profezia emerge la questione del discernimento: come riconoscere chi annuncia la parola di Dio? O – se vogliamo esprimere il concetto in modo consono alla nostra società secolarizzata e alle piazze mediatiche in cui oggi si verificano i confronti – come si possono valutare nel presente (prima di vedere a chi la storia darà ragione) i vari pareri? Come capire chi parla per amore della verità e chi per alimentare il proprio narcisismo? Dalla lettura di Geremia emergono alcuni indizi: la continuità con la tradizione (Ger 28,8); la capacità di accettare umiliazioni e sofferenze (Ger 26,14; 28,11); la rinuncia alla risposta impulsiva (Geremia attende la Parola di Dio, prima di parlare, cfr. Ger 28,12); la pazienza, ovvero l’accoglienza dei tempi di Dio (Ger 27,22).

Negli ultimi capitoli, già in Ger 29 ma più marcatamente da Ger 30 – in cui inizia il cosiddetto libro della consolazione (Ger 30–31) – in poi, cambia la prospettiva e incontriamo lunghe promesse positive, fino a quella di una nuova alleanza, che non è una riforma religiosa, come tante ne ha conosciute Israele, ma una trasformazione radicale della relazione tra il Signore e il suo popolo: essa è nuova ed eterna, caratterizzata dalla scrittura della legge di Dio sul cuore (Ger 30,33), sede della memoria, dell’intelligenza e della decisione d’amore; dalla conoscenza del Signore; e dalla rivelazione del perdono di Dio nei confronti del peccatore. Ciò che va notato è che nel libro della consolazione le immagini di salvezza e promessa sbocciano sullo sfondo della sventura e della sofferenza: non si tratta di una consolazione a buon mercato, ma di una vita nuova che è passata attraverso le difficoltà e il dolore e forse non è un caso che Gesù riprenda proprio l’immagine della nuova alleanza nel suo sangue (Lc 22,20) per parlare del suo dono della vita.

Laura Invernizzi, ausiliaria diocesana

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lunedì 18 marzo 2024 PROFETI 13

Geremia 19–25

Giungiamo alla conclusione della prima parte del libro di Geremia (capitoli 1-25), leggendo alcuni densi capitoli che ci introdurranno maggiormente al dramma e alle sofferenze che il profeta deve affrontare a causa della sua missione (cfr. Ger 19-20; 23); al suo rapporto con i re che si sono succeduti sul trono di Giuda durante la sua vita (Ger 21-22) e al suo sguardo sulla politica internazionale e sulla lettura degli eventi (Ger 24-25).

Quando il Signore gli affida non (o non solo) un messaggio verbale, ma un’azione simbolica da compiere, è la vita di Geremia a diventare parola. Così, per denunciare l’idolatria, le connivenze e gli abusi di potere di sacerdoti, capi del popolo e falsi profeti, egli è invitato a scendere nella valle di Ben-Innòm, la valle della Geènna, con una brocca e a spezzarla. Se in Ger 18 per gli Israeliti c’era ancora una speranza (il vasaio riplasmava il vaso), ora, «poiché essi si sono intestarditi, rifiutandosi di ascoltare» (Ger 19,15) Geremia annuncia in questo modo la fine. Fermatosi poi nel Tempio a rendere più esplicito il messaggio, viene fatto arrestare, fustigare e incarcerare dal sacerdote Pascur.

L’ultima delle confessioni di Geremia (Ger 20,7-18), registra il punto estremo della sofferenza del profeta: il suo dolore ha raggiunto la sua relazione con Dio (v. 7), con la sua Parola (v. 8), con gli altri (v. 10) e persino con se stesso (v. 9). Geremia, però, resta in dialogo con Dio, rivolgendosi direttamente a lui (vv. 7.12). È – e ciò vale anche per le nostre preghiere a volte un po’ “sgangherate” – un segno di grande fiducia portare i propri sentimenti, la propria emotività, le proprie fatiche e insicurezze davanti a colui al quale le si rinfaccia.

Durante il suo ministero Geremia si è rapportato con vari re, che in questi capitoli sentiremo nominare: Giosia (dal 627 al 609 a.C.) è «il morto» di cui si parla in Ger 22,10 e di cui si dice che «praticava la giustizia» (Ger 22,15) senza avvalersi dei privilegi legati al suo status, ma tutelando i poveri e favorendo il benessere di tutti; gli successe suo figlio Ioacàz (detto anche Sallum), che fu deposto dal faraone Necao a favore di suo fratello Ioiakìm (609-598); poi il figlio di questi, Ioiakìn (che Geremia chiama Conia in Ger 22,24.28 e 1Cr 3,16-17 è detto Ieconia), che regnò solo tre mesi e dieci giorni nel 598; e infine, lo zio di costui, cioè un altro figlio di Giosia, Sedecia (598-587), che fu l’ultimo re di Giuda prima della distruzione di Gerusalemme e della deportazione della popolazione a Babilonia; dove egli stesso finì i suoi giorni. Nel capitolo25 giungiamo alla soglia di questo tragico evento: l’«anno quarto del regno di Ioiakìm» (Ger 25,1), infatti, è anche l’anno in cui Nabucodònosor, sovrano babilonese, pone fine all’impero assiro nella battaglia di Càrchemis (605 a.C.) e conquista il potere.

Dopo ventitré anni di missione, in cui ha cercato di far tornare il popolo al Signore, senza essere ascoltato, Geremia interpreta quanto sta per accadere – l’invasione babilonese – come punizione divina imminente. Per lui, a questo punto, l’unica cosa sensata da fare è sottomettersi al giudizio divino riconoscendo il potere storico dato a Babilonia da Dio stesso. In altre parole, Geremia invita ad assumere responsabilmente le conseguenze dei propri atti e dei propri rifiuti, invece di recriminare vagamente, e senza fare autocritica, contro una sorte ritenuta ingiusta.

Laura Invernizzi, ausiliaria diocesana

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lunedì 11 marzo 2024 PROFETI 12

Geremia 12–18

Si è raggiunto un punto di non ritorno: il rapporto con Dio da parte del popolo non esiste più. La sistematica e ostinata violazione della relazione significa che l’alleanza è rotta e nemmeno l’intercessione del profeta – tre volte interdetta a Geremia nel corso del libro (Ger 7,16; 11,14; 14,11) – può cambiare qualcosa. Per di più, Geremia è perseguitato e gli stessi suoi concittadini gli intimano di non profetare nel nome del Signore. Geremia inizia a sentire la fatica della missione e a vivere la crisi. Questo è il punto cui siamo giunti nella lettura del libro di Geremia.

In questa settimana avremo modo di entrare maggiormente nel mondo interiore di Geremia e nel suo rapporto con Dio, attraverso le sue confessioni, di cui già abbiamo iniziato a leggere la prima nel capitolo 11. Si tratta di brani, per certi aspetti simili ai Salmi e a certe pagine di Giobbe, che vengono chiamati così dagli studiosi in analogia alla Confessioni di sant’Agostino e che presentano il lamento che Geremia leva a Dio a causa delle sofferenze sperimentate nel corso del suo ministero profetico.

Le confessioni di Geremia, nelle quali si delinea via via il profilo di un uomo credente, sebbene tormentato da dubbi e domande, sono cinque (Ger 11,18–12,6; 15,10-21; 17,14-18; 18,18-23; 20,7-20) e si trovano per la maggior parte nei capitoli che stiamo per leggere. Il loro linguaggio è spesso violento e i temi toccati altamente drammatici e coinvolgenti: molte delle domande di Geremia sono anche le nostre, sicché, mentre leggiamo quanto accade nel suo animo siamo portati anche a interrogarci sul nostro rapporto con Dio, sul nostro modo di leggere la storia, sulla nostra vocazione, sulle nostre scelte e sulle loro conseguenze.

Per aver accolto la missione e aver parlato trasmettendo la parola di Dio, infatti, Geremia è perseguitato e parla degli intrighi contro di lui orditi – come abbiamo visto – dai suoi concittadini (Ger 11,21) e – come vedremo – anche dalla propria famiglia (Ger 12,6). Eppure, nonostante il proprio cuore sia con il Signore (Ger 12,3), non riesce a comprendere come Dio agisca, dal momento che minaccia castighi, ma gli empi continuano a prosperare (Ger 12,1). Geremia ha accolto la parola di Dio con gioia ed entusiasmo e si percepisce come appartenente a Dio (Ger 15,16), ma si sente, sempre a causa di Dio, isolato dalla comunità (Ger 15,17); la parola di Dio gli impone persino di rinunciare a una famiglia propria (Ger 16,1-2) e di partecipare tanto ai lutti (Ger 16,5) quanto ai banchetti (Ger 16,8). Si sente come un malato cui vien meno l’ultima speranza, Dio. Accusa il Signore di essere diventato come un torrente infido (Ger 15,18), ovvero lo accusa di infedeltà.

Se Geremia usa parole dure con Dio, la risposta che riceve non è meno dura: «Se ritornerai, io ti farò ritornare e starai alla mia presenza; se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile, sarai come la mia bocca» (Ger 15,19). Il profeta è invitato alla conversione, a rivedere le proprie posizioni, a tornare alla fiducia, lasciando che Dio sia Dio e a non sostituendosi a lui, per giungere così a una più profonda conoscenza di Dio e a una vocazione rinnovata.

Laura Invernizzi, ausiliaria diocesana

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lunedì 4 marzo 2024 PROFETI 11

Geremia 5–11

Dopo i primi oracoli sul tema della disputa tra Dio e il suo popolo e dell’appello alla conversione, letti la scorsa settimana, incontriamo una sezione che ha per tema la rovina di Gerusalemme, a causa di un esercito nemico che irrompe dal nord (già incontrato nel capitolo 4), non nominato espressamente.

Anche se una delle difficoltà nella lettura del libro di Geremia è la mancanza al suo interno di un ordine cronologico e tematico, gli studiosi ritengono che Ger 1–6 sia da collocare temporalmente sotto Giosia, durante il cui regno (627-609 a.C.) la situazione internazionale iniziò a cambiare, con frantumarsi dell’impero Assiro, che porterà dopo il 612 all’affermarsi della potenza di Babilonia. Non è possibile, tuttavia, identificare i nemici di cui parla questa sezione (Assiri? Babilonesi?): mancando un riferimento preciso, quindi, il discorso di Geremia raggiunge più facilmente anche i nostri giorni, in cui le minacce di nemici ai confini sono attualità e l’analisi delle cause che Geremia propone può aiutare ciascuno a considerare anche le proprie responsabilità.

La caduta di Gerusalemme è presentata come una sventura terribile e imminente, che proviene dal settentrione. Questa sciagura è motivata dal totale e generale rifiuto del Signore, una sorta di ateismo pratico e ribelle (Ger 5), che lascia il Signore senza scelta: se non si trova nemmeno un giusto, la cui presenza sarebbe stata sufficiente per il perdono (cfr. Ger 5,1), vuol dire che tutti sono corrotti e la sventura è inevitabile.

La gravità della situazione è sottolineata anche nel cap. 6: come ai nostri giorni, persino di fronte all’evidenza del disastro, nessuno è capace di ascoltare e nessuno ha la volontà di accettare gli avvertimenti del Signore. «A chi parlerò, chi scongiurerò perché mi ascolti? – dice il profeta – Il loro orecchio non è circonciso, non sono capaci di prestare attenzione. La parola del Signore è per loro oggetto di scherno» (Ger 6,8). Quando il pensiero è contorto, la parola divina è vista come qualcosa di risibile, gli abusi vengono chiamati «pace, pace» (Ger 6,14), tutti gli avvertimenti vengono trascurati (Ger 6,16ss).

Dal capitolo 7 inizia una nuova sezione contenente oracoli della seconda fase della predicazione di Geremia, sotto Ioiakìm (609-598), in cui vi sono dure critiche alle scelte di politica interna (ambito civile e religioso) ed estera. Nei capitoli 7–10 il tema centrale è quello della fiducia umana e viene sviluppato in quattro parti: il Tempio non è garanzia di sicurezza (Ger 7,1–8,3); da parte del popolo non c’è speranza: persino coloro che dovrebbero guidarlo sono complici e corresponsabili della corruzione (Ger 8,4-23); il parlare falso e ingannevole disgrega la comunità: non ci si può fidare nemmeno delle parole di amici e fratelli (Ger 9,1-21); solo in Yhwh, il solo vero Dio di fronte a tutti i falsi idoli, fiducia e speranza trovano una solida base (Ger 9,22–10,25).

Infine, in Ger 11 leggeremo la prima delle confessioni di Geremia, in cui il profeta dà voce al proprio tormento interiore, sfogandosi davanti a Dio, talora persino contestandolo. In Ger 11,18-20, scopriremo, così, come Geremia viva la sua difficile missione di annuncio della Parola in un mondo che non ne vuole sapere: egli, fatto oggetto di trame ostili a causa della sua predicazione, mette la sua vita nelle mani di Dio, chiedendo a Lui di difendere la sua causa.

Laura Invernizzi, ausiliaria diocesana

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lunedì 26 febbraio 2024 PROFETI 10

Is 64-66; Ger 1–4

Siamo ormai arrivati agli ultimi e intensissimi capitoli di Isaia (64–66).

In questi capitoli viene prolungata la riflessione sulla storia di Israele iniziata nel cap. 63, fino a quando il popolo non si rende conto di aver peccato e di aver causato con la propria iniquità la propria desolazione (Is 64,6). L’emergere di questa consapevolezza – della consapevolezza di essere responsabili di quanto si sta soffrendo – potrebbe gettare nella depressione dal momento che non è possibile salvarsi da soli; se però è raggiunta nel dialogo con Dio, apre alla speranza. La richiesta di aiuto a Lui, perché faccia uscire dalla situazione, allora, non è fatta basandosi sui propri meriti o sulla promessa di un cambiamento futuro, ma basandosi esclusivamente sul suo essere Padre (Is 64,7-11).

I due capitoli finali (Is 65–66), nella composizione del libro, appaiono come la risposta di Dio. Si tratta di due capitoli in cui sono presenti promesse di consolazione, ma anche minacce profetiche che denunciano l’idolatria, il mancato ascolto della parola del Signore, la mancata obbedienza: comportamenti antitetici rispetto alla novità, alla pienezza di vita di quei cieli nuovi e di quella terra nuova che Dio prepara per tutte le genti che – come Isaia annunciava sin dal cap. 2 – nel compimento escatologico saranno radunate in una grande comunità di salvezza in Gerusalemme.

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Conclusa la lettura del libro di Isaia, ci addentreremo nel libro più lungo di tutto l’Antico Testamento: il libro del profeta Geremia.

Questi, nato verso l’anno 650 a.C. ad Anatot, era di famiglia sacerdotale, ma non ci risulta abbia mai esercitato ministero (come per esempio Ezechiele). Al contrario, Geremia è totalmente preso dalla missione profetica dall’inizio (prima del suo concepimento, cfr. Ger 1,5). Per Geremia la “chiamata”, la vocazione, non è semplicemente un episodio della vita, per quanto importante possa essere, ma è l’intima essenza della sua esistenza. Leggendo, così, il primo capitolo in cui viene narrata, veniamo introdotti a tutto il libro e tutta la predicazione di Geremia: il primo capitolo, infatti, ha valore programmatico e fornisce i temi centrali del libro, fondamentali per capire il contenuto, la persona del profeta e il suo comportamento.

Incontreremo in Geremia una persona straordinaria: egli è il depositario di una missione che supera i confini del popolo eletto; è il «profeta delle nazioni» (Ger 1,5), sulle quali ha autorità come un re (l’edificare di Ger 1,10); è il rappresentante accreditato, cui Dio mette in bocca la sua parola (Ger 1,9). Il «non saper parlare» che egli lamenta (Ger 1,6) non è un ostacolo per Dio, perché la fonte dell’autorità del profeta non è l’esperienza, non è il sapere acquisito, ma è l’autorità di Colui che lo manda. Nell’esperienza profetica la parola di Dio (il suo parlare), infatti, non è un patrimonio posseduto una volta per tutte e manipolabile a piacimento (è bene ricordarlo anche da parte nostra), ma un evento sorgivo e originario, che nel suo darsi sorprende lo stesso profeta. Il profeta riconosce che è Dio a parlare nella sua bocca, nel momento in cui dice parole «che non sa», parole che non ha preparato, e che per questo non possono che provenire da Dio.

Laura Invernizzi, ausiliaria diocesana

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lunedì 19 febbraio 2024 PROFETI 09

Isaia 57

Con il capitolo 56 è iniziata la terza e ultima parte dell’opera, abitualmente indicata come «Terzo Isaia», anche se gli studiosi sono sempre più incerti nell’attribuirne la composizione a un autore diverso rispetto al «Secondo Isaia».

Il nucleo centrale di questa sezione può essere individuato nel capitolo 61 che, come sintetizza bene il biblista Patrizio Rota Scalabrini: «È il vero centro di gravità di quest’ultima sezione del libro di Isaia. Vi si trovano infatti tutti i temi-chiave, come quelli dello spirito del Signore, della sua vendetta o rivincita, della consolazione, dello splendore, delle rovine e della loro ricostruzione. Ebbene, il profeta [...] presenta qui la propria vocazione come un essere consacrato con l’unzione dello spirito del Signore in vista di una missione precisa: la promulgazione dell’anno giubilare con la liberazione dei prigionieri e un profondo cambiamento delle sorti di Sion. Perciò la città viene ricostruita con l’apporto del servizio degli stranieri e il Signore rinnova per essa le sue promesse di salvezza, motivo di gioia e di lode. La risposta di Gerusalemme è l’esultanza per quanto il Signore fa per lei, legandola a sé con un legame sponsale» (P. Rota Scalabrini, Sedotti dalla parola. Introduzione ai libri profetici, Elledici, Torino 2017, p. 114).

Oggi, nel capitolo cinquantasettesimo, possiamo leggere un lungo oracolo contro le pratiche idolatriche (Is 57,3-13) – «Di me non ti ricordi, non ti curi? Non sono io che uso pazienza da sempre?» (Is 57,11) – al quale segue un annuncio di salvezza – «voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazione» (Is 57,18) – che prepara alle belle considerazioni, che leggeremo domani, sul vero culto prediletto da Dio: fatto non di formalità ed esteriorità, ma consistente anzitutto «nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti» (Is 58,7).

Già nell’Antico Testamento l’amore a Dio e al prossimo “camminavano insieme”.

Claudio Stercal

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lunedì 12 febbraio 2024 PROFETI 08

Isaia 50

Con il capitolo 49 è iniziata la seconda parte della sezione attribuita al Deuteroisaia (capp. 40-55).

Ieri, in Is 49,1-6 abbiamo letto il secondo carme del Servo, che secondo alcuni esegeti si estende sino a Is 49,9. Il testo contiene una conferma della vocazione del Servo del Signore. Una vocazione che si identifica con la sua stessa vita: «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato» (Is 49,2). Inoltre, la sua missione viene estesa al mondo intero: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe [...] Io ti renderò luce delle nazioni [...] fino all’estremità della terra» (Is 49,6). Il Deuteroisaia sottolinea l’efficacia della parola di Dio – consente di parlare come una «spada affilata» e di agire come una «freccia appuntita» (Is 49,2) –, ma non sottovaluta le difficoltà che la missione comporta: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze» (Is 49,4).

Oggi, nel capitolo 50, troviamo il terzo carme del Servo (Is 50,4-9). Il testo presenta il Servo come un fedele «discepolo» del Signore, «attento» alla Sua parola e impegnato a seguirla con la massima disponibilità: «Non mi sono tirato indietro» (Is 50,5). Ancora una volta, però, si ricorda che la fedeltà alla parola di Dio può portare con sé difficoltà e persecuzioni: «Ho presentato il mio dorso ai flagellatori» (Is 50,6). Non per questo, tuttavia, verrà meno la vicinanza del Signore: «È vicino chi mi rende giustizia» (Is 50,8). Una vicinanza che consente di non perdere mai, anzi di rafforzare sempre di più la speranza nella salvezza operata da Dio: «Il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?» (Is 50,9). Il carattere autobiografico di questi testi – scritti in prima persona – fa pensare che l’autore, per presentare il Servo del Signore, abbia attinto ampiamente alla propria esperienza di vita e di fede. Questo gli consente di descrivere in modo credibile ed efficace la missione dei profeti e dei discepoli di ogni tempo. Le sue espressioni potranno, quindi, essere facilmente applicate a Gesù e a tutti coloro che, nei secoli successivi, sceglieranno di ascoltarlo e seguirlo con impegno. Tutti attraverseranno difficoltà e prove, ma questo non impedirà di sperimentare la vicinanza e la forza del Signore, che, secondo i suoi disegni, non solo restaurerà «le tribù di Giacobbe», ma porterà la «salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49,6).

Claudio Stercal

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lunedì 5 febbraio 2024 PROFETI 07

Isaia 43

I capitoli 40-55 costituiscono quella che è normalmente considerata la seconda parte del libro, chiamata quindi Deutero-Isaia. È composta da una raccolta di oracoli che, a motivo delle parole con cui inizia – «Consolate, consolate il mio popolo» (Is 40,1) –, viene indicata anche come «Libro della consolazione» di Israele.

Gli oracoli contenuti in questi capitoli, pur trattando temi cari al profeta Isaia, non possono essere attribuiti a lui perché si riferiscono a un periodo storico successivo: la fine dell’esilio babilonese (538 a.C.). Gli accenni a Ciro, re dei Persiani – Ciro II di Persia, noto come Ciro il Grande, 590-530 a.C. – (cfr. Is 44,28; 45,1), fanno pensare che la maggior parte di questi oracoli siano stati composti tra il 553 a.C., anno in cui Ciro comincia la sua ascesa, e i primi anni dopo il 539 a.C., data della resa di Babilonia.

È difficile identificarne l’autore. Si può ipotizzare che chi li ha scritti abbia svolto il proprio ministero, verso la fine dell’esilio, nella comunità dei Giudei esiliati in Babilonia.

La composizione non sembra seguire un rigoroso ordine logico; appare piuttosto come una raccolta di oracoli a sé stanti, senza una successione tematica precisa, anche se in primo piano ritorna spesso il tema della salvezza di Israele e del ritorno dall’esilio.

Dal punto di vista letterario, lo stile conciso e incisivo di Isaia lascia il posto a un linguaggio ridondante e solenne, che tende alla composizione innica e al discorso sapienziale.

Ieri, nel capitolo 42, abbiamo visto entrare in scena il «Servo del Signore», un personaggio «eletto» da Dio e sostenuto dal Suo «Spirito», cui viene affidata la missione di «portare il diritto alle nazioni», cioè di estendere il riconoscimento della signoria del Dio di Israele a tutto il mondo allora conosciuto.

Singolari e sorprendenti appaiono le modalità della sua azione: è non violento e mite; forte ma agisce dalla dolcezza; opera per la consolazione di una comunità fragile che sta perdendo la fede. Gli studiosi hanno discusso a lungo sulla sua identità. La lettura ebraica tende a interpretare il personaggio in una dimensione collettiva, riferendolo ai Giudei in esilio che ricevono da Dio la missione di essere suoi testimoni; la lettura cristiana vi individua, invece, una possibile profezia della missione di Gesù, Messia sofferente.

Nel libro di Isaia, al «Servo del Signore» vengono dedicate quattro composizioni che prendono il nome di «Carmi del Servo»: Is 42,1-7; 49,1-6; 50,4-9; 52,13–53,12.

Claudio Stercal

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lunedì 29 gennaio 2024 PROFETI 06

Isaia 36-39

I capitoli 36-39, spesso indicati come “appendice” storica, sono in realtà ben più che un’appendice. Vi vengono narrati eventi – presenti anche in 2Re 18-20 – che propongono una riflessione di grande finezza psicologica e profondità teologica.

La narrazione ruota attorno a due episodi “sorprendenti”, miracolosi: la conclusione dell’assedio assiro a Gerusalemme, databile nel 701 a.C. (capitoli 36-37), e la guarigione del re Ezechia, avvenuta poco prima, ma narrata subito dopo (capitoli 38-39).

Nel capitolo 36, che leggiamo oggi, viene ricordata la prima ambasciata assira a Gerusalemme, nella quale il «gran coppiere» del re assiro Sennàcherib invita il popolo a diffidare sia del soccorso degli Egiziani che dell’aiuto del Signore: «Non vi inganni Ezechia dicendo: il Signore ci libererà!» (Is 36,18).

Il problema appare, quindi, non solo politico e militare, ma anche teologico. Il re d’Assiria si propone addirittura come il vero realizzatore della volontà di Dio: «Il Signore mi ha detto: Sali contro questa terra e mandala in rovina» (Is 36,10).

Nel capitolo 37, il re Ezechia decide allora di consultare Isaia. Il profeta invita a non temere, perché grazie all’intervento del Signore l’assedio finirà presto: «Così dice il Signore: Non temere per le parole che hai udito e con le quali i ministri del re d’Assiria mi hanno ingiuriato. Ecco, io infonderò in lui uno spirito tale che egli, appena udrà una notizia, ritornerà nella sua terra e nella sua terra io lo farò cadere di spada» (Is 37,6-7). Un bell’invito ad avere fede in Dio, anche se risente, naturalmente, del contesto culturale e “bellico” del tempo.

Nel testo seguiranno:

a) una bellissima preghiera del re Ezechia che, pur riconoscendo la forza dei re d’Assiria, sa bene quanto siano inconsistenti i loro idoli − «non erano dèi, ma solo opera di mani d’uomo, legno e pietra» (Is 37,19) – e, d’altra parte, confida nella vicinanza del Signore e nella sua forza: «Tu solo sei Dio per tutti regni della terra; tu hai fatto il cielo e la terra. Porgi, Signore, il tuo orecchio e ascolta» (Is 37,16-17);

b) e, poi, l’oracolo del profeta Isaia che: prima, replica alla provocazione assira: «Chi hai insultato e ingiuriato? […] Ti farò tornare per la strada per la quale sei venuto» (Is 37,23.29); successivamente annuncia un segno per Ezechia: il dono del cibo e la sopravvivenza (cfr. Is 37,30-32); infine promette che, per amore, il Signore non abbandonerà Gerusalemme e il suo popolo: «Proteggerò questa città per salvarla, per amore di me e di Davide mio servo» (Is 37,35).

Pur in contesto e con un linguaggio “antichi”, si intravvede un bel modo di vivere nella fede e di interpretare e raccontare le vicende del popolo di Dio e del rapporto con il suo Signore.

Claudio Stercal

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lunedì 22 gennaio 2024 PROFETI 05

Isaia 29-35

La scorsa settimana, con la lettura del cap. 28 ci siamo introdotti in una sezione del libro di Isaia in cui si alternano oracoli di giudizio e oracoli di salvezza e che si concluderà con il cap. 33. Gli eventi storici che restano sullo sfondo sono dati dalla crisi nei rapporti con gli Assiri degli anni 705-701 a.C.: in quegli anni la Giudea venne invasa dagli Assiri e Gerusalemme assediata dalle truppe di Sennàcherib.

Per cinque volte (Is 29,1.15; 30,1; 31,1; 33,1; un’altra ricorrenza era in Is 28,1) incontreremo l’interiezione «guai», che è molto frequente nei profeti (circa 50x) e in particolare in Isaia (21x). Si tratta di un’espressione che deriva dal lamento funebre, ma nei profeti assume una valenza propria e viene impiegata per introdurre la denuncia di comportamenti o atteggiamenti che hanno esiti pericolosi e forieri di morte. In questo senso è antitetica all’espressione «beato/beati» con cui vengono introdotte le beatitudini (cfr. anche le «beatitudini» e i «guai» di Lc 6,20-26). Più che di condanne ineludibili, si tratta di avvertimenti dati perché ci si possa ravvedere dagli atteggiamenti indicati. In mezzo a questa sezione di «guai», tra l’altro, Dio, «d’improvviso, subito» (29,4) opera la salvezza (cfr. 29,1-8), ma questa, paradossalmente, è più difficile da riconoscere rispetto ai castighi e desta stupore incredulo (29,8-14), se non vero e proprio rifiuto, perché, essendo opera divina, supera le aspettative e le misure umane, lascia spiazzati e confusi.

I «guai» sono rivolti a Gerusalemme (29,1ss), chiamata Ariel, che significa «leone di Dio», ma è anche il termine con cui si indicava il braciere dell’altare; ai sapienti (29,15ss) che cercano di tenere nascoste a Dio le loro trame; ai figli che si ribellano (30,1ss), cioè a chi – pur essendo del popolo di Dio – non ha fede, venendo a patti con gli avversari e stringendo alleanze mortifere, mirando alla propria autodifesa; a coloro che sperano e confidano nell’Egitto (31,1ss) e non nel Signore e, infine, all’Assiria (33,1ss), il devastatore che sarà devastato.

Alla fine del cap. 33 nel principale manoscritto di Isaia che è un rotolo trovato a Qumran (un sito nella zona del Mar Morto), si trovano tre righe vuote in fondo alla colonna. Generalmente un tale spazio vuoto segna il passaggio a un altro libro, per cui negli studi recenti gli esegeti valorizzano lo stacco, suddividendo (anche per altri motivi) Isaia in due parti (non in tre) e interpretando i capp. 34–35 come l’inizio della buona notizia di consolazione, che pervade la seconda parte del libro.

In particolare, il cap. 34 è visto come l’inizio di un nuovo processo che non riguarda più Israele (come nel cap. 1), ma le nazioni, anche se nel cap. 34 è soprattutto Edom (terzo nemico di Israele dopo Assiria e Babilonia) a essere chiamato in causa e sottoposto a un giudizio severo; il cap. 35, invece, anticipa temi che saranno sviluppati in seguito, come l’esultanza del deserto che fiorisce (v. 1); la venuta del Signore (v. 4); l’acqua che scaturisce nel deserto (v. 6); l’apertura di una strada chiamata «via santa» (v. 8); il canto di gioia dei «riscattati dal Signore» (v. 10).

Laura Invernizzi, ausiliaria diocesana

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lunedì 15 gennaio 2024 PROFETI 04

Isaia 22-28

Nella lettura continua di Isaia, in questa settimana leggeremo ancora alcuni oracoli contro le nazioni (Is 22-23); dopo di questi, dal cap. 24 troveremo una sezione, che viene chiamata «grande apocalisse di Isaia» e che si estende fino al cap. 27. Infine, con il cap. 28 inizierà una nuova sezione in cui si alterneranno oracoli di salvezza e oracoli di giudizio.

Nel contesto internazionale degli oracoli che abbiamo letto fin qui, forse può sorprendere che a un certo punto ci si concentri sulla «valle della visione» (Is 22,1), che indica Gerusalemme. Tra le grandi nazioni, questa piccola città circondata da alture sembra fuori luogo, ma per Isaia ogni visione ha all’orizzonte Gerusalemme e la salvezza delle nazioni passa attraverso questa città, come abbiamo letto anche in Is 2. Nell’oracolo del cap. 22, però, anche Gerusalemme è sottoposta a giudizio. Di essa è stigmatizzata la gioia, che, agli occhi del profeta, è incongrua. Da quanto si comprende dall’oracolo il motivo dell’esultanza è la liberazione sperimentata. Si parla, infatti, di una città assediata (Is 22,7) da popoli che vengono da est (forse mercenari degli Assiri) e che si è data da fare per resistere, demolendo le case per fortificare le mura e attrezzandosi con serbatoi per raccogliere l’acqua all’interno delle mura stesse (Is 22,9-11). Da questi indizi si intuisce che si fa riferimento all’assedio di Gerusalemme del 701 a.C., che si concluse con un nulla di fatto perché per misteriosi motivi improvvisamente l’esercito di Sennàcherib tornò in Assiria senza procedere oltre.

Perché mai la gioia che nasce da tale insperata liberazione dovrebbe essere una reazione incongrua? Il popolo viene rimproverato perché, impaurito e tutto intento alla propria autodifesa, non si è reso conto dell’appello che si levava dagli eventi e che la predicazione di Isaia aveva esplicitato: il Signore chiamava al pentimento non alla festa (cfr. Is 22,12). Isaia invita, quindi, a rendersi conto che la salvezza non è frutto delle proprie opere di autodifesa, ma dell’opera di Dio.

Se per l’oracolo contro Gerusalemme è possibile identificare un fatto storico cui si fa riferimento, ciò che distingue l’apocalittica dalla profezia è l’assenza di riferimenti storici espliciti: in Is 24–27 non si parlerà più di nazioni e città ben precise, ma della distruzione di una non precisata «città del nulla», in cui domina il caos sociale e anche religioso, e della costruzione di una «città forte» e coesa sui valori della giustizia, che è probabilmente Gerusalemme, sebbene Gerusalemme non sia menzionata. Le due città sono antitetiche: basate di due stili di vita opposti, sono emblema di due modi differenti di vivere la città e la convivenza sociale. La «città del nulla» che viene rovesciata è basata sull’orgoglio e sull’autoesaltazione (cfr. Is 26,5); la «città forte», invece, trae la sua forza dalla pace assicurata dal Signore a chi inlui confida. L’assenza dei nomi delle città accresce il valore simbolico e aiuta a cogliere il messaggio perenne e attuale del messaggio di Isaia, portando a interrogarci su “dove vogliamo abitare” e invitando a vivere secondo il progetto di Dio, che edifica la «città della pace».

Laura Invernizzi, ausiliaria diocesana

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lunedì 08 gennaio 2024 PROFETI 03

Isaia 15-21

Continua la serie di oracoli contro le nazioni: nei capitoli che leggeremo questa settimana sarà la volta di Moab (capp. 15-16), che si trova al di là del Giordano ed è stato un tempo sottomesso a Israele; di Damasco e del suo alleato Israele/Efraim (cap. 17); dell’Etiopia (cap. 18), o meglio di quella zona che oggi chiameremmo «alto Egitto»; dell’Egitto (cap. 19) e di Babilonia (cap. 21).

Profezia e storia non sono mai disgiunte: se da un lato la profezia, cogliendo le linee di fondo, evidenziando le costanti in azione, è in grado di fare emergere da casi particolari messaggi di valore universale, dall’altro ha sempre come punto di partenza un evento preciso, che il profeta contempla profondamente. Lo sfondo degli oracoli contro le nazioni è dato dalla politica internazionale del periodo a cavallo tra l’VIII e il VII sec. a.C., che vedeva come “superpotenze dominanti” l’Egitto a ovest e l’Assiria, che poi prevarrà, a est, ma l’occasione da cui scaturiscono i vari oracoli è data da alcuni eventi particolari quali, per esempio, un saccheggio notturno operato da razziatori sconosciuti (forse Assiri) ai danni di Moab; la stipulazione di una lega contro l’Assiria promossa da Damasco e Israele e sostenuta dall’Egitto, che sperava di riconquistare potere nella zona sottraendolo agli Assiri; l’invio di ambasciatori “etiopi”, dalle caratteristiche fisiche che probabilmente hanno impressionato la gente (letteralmente: «un popolo alto e depilato», Is 18,2.7), da parte del faraone a Gerusalemme, per convincere a entrare nella lega antiassira anche Giuda, che, però, non si lasciò coinvolgere (anche Isaia era contrario); la caduta di Babilonia, per mano assira nell’VIII sec. a.C. ecc.

Il tono di minaccia che tocca ogni ambito di vita (città e campagne, vigne, campi, messi, pascoli ecc.) è pervasivo, tuttavia, nella profezia di Isaia: l’annuncio di sventure imminenti e la descrizione di dolori patiti non sono mai chiusi in sé stessi, ma sono aperti a una speranza. Questo si intuisce fin dalla profonda empatia che il profeta manifesta per la sorte di Moab («il mio cuore geme per Moab», Is 15,5), ma più chiaramente emerge nell’annuncio della conversione dell’Etiopia al Dio di Israele (Is 18,7) e soprattutto in un passo che può essere annoverato tra i passi più universalistici di tutto l’Antico Testamento: Is 19,16-25. Vi si annuncia la conversione dell’Egitto e dell’Assiria: l’ostilità politica tra le due superpotenze cesserà ed esse saranno congiunte da un sentiero di pace, che passa attraverso Israele; tutti e tre i popoli, Assiria, Egitto e Israele diventeranno benedizione per tutta la terra. Si tratta di una profezia di straordinaria attualità, che ci dona uno sguardo meno superficiale per guardare alla storia dei nostri giorni e ci invita a pregare, perché il nostro desiderio si unisca a quello di Dio sul mondo.

Laura Invernizzi, ausiliaria diocesana

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lunedì 01 gennaio 2024 PROFETI 02

Isaia 8-14

Abbiamo iniziato a leggere, la scorsa settimana, una sezione del libro di Isaia che gli studiosi chiamano libro (o libretto) dell’Emmanuele, la cui estensione è variamente intesa. C’è, infatti, chi considera solo Is 7–8 e chi allarga la sezione a Si 6,1–9,6. Parecchi oracoli probabilmente ci sono noti, perché ripresi nella liturgia in virtù della loro forte valenza messianica.

In questa sezione appare più volte il motivo del figlio o del bambino, che da un lato, indicando che la vita continua, è simbolo di speranza, dall’altro è portatore di novità: la sua presenza allude al modo inaudito in cui il Signore opera nelle vicende storiche per portare al suo popolo la salvezza. In particolare, vengono ricordati due bambini: Emmanuele, di cui abbiamo già letto la scorsa settimana, e il secondo figlio di Isaia, il cui nome è Maher-salal-cas-baz. Entrambi i nomi hanno significato profetico che viene chiarito nei capitoli che stiamo leggendo.

L’identità di Emmanuele, la cui nascita è annunciata nel capitolo 7 ed è segno della presenza divina, è indeterminata, ma il significato del suo nome, la cui traduzione è: «con noi [è] Dio», viene chiarito al capitolo 8, in cui Emmanue­le non è più un bambino non ancora nato, ma il proprietario della terra di I­sraele: la fonte della sua forza è divina e vanifica le cospirazioni delle nazioni, per cui il giudizio annunciato da Isaia verrà e coprirà la terra intera, ma il re­sto (che sopravviverà) può nutrire speranza perché il paese appartiene a Emmanuele (Is 8,8-10).

Anche il bambino che Isaia avrà da sua moglie porterà un nome simbolico: prima ancora del suo concepimento, davanti a testimoni autorevoli, quali il sommo sacerdote Uria e Zaccaria suocero del re, gli viene imposto un nome che significa pronto bottino-veloce saccheggio. Egli sarà così un annuncio vivente della profezia legata a Samaria e Damasco (in quel momento nemici di Giuda) che saranno sconfitti dall’Assiria.

Il tema del figlio è quindi legato strettamente alla storia che Isaia insegna a leggere e interpretare teologicamente, scoprendo negli eventi la Parola del Signore, ma senza cadere in facili semplificazioni. Per non perdersi nella grande quantità di nomi geografici che si trovano durante la lettura è bene tener presente che all’epoca il regno era diviso in due: il regno del nord, che viene indicato con Samaria o Efraim (o Israele) e uno al sud, indicato con Giuda, la cui capitale è Gerusalemme e il re Acaz; Damasco (Aram/Aramei) indica la Siria, vicina di Israele; l’Assiria, nemica mortale di Israele (di cui causerà la distruzione) e Giuda, è la minaccia attuale incombente. Forse può meravigliare che a un certo punto l’Assiria venga presentata come strumento dell’azione educatrice di Dio verso il suo popolo (Is 10,5): ciò si motiva perché sotto la minaccia assira il popolo dovrebbe confidare in Dio e aggrapparsi solo a lui; ma non significa che la crudeltà devastatrice di questa grande potenza (come di altre potenze) sia approvata da Dio! Anche l’Assiria, come tutti i popoli, sarà sottoposta al giudizio divino.

Laura Invernizzi, ausiliaria diocesana

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lunedì 25 dicembre 2023 PROFETI 01

Carissimi,

il giorno di Natale, quest’anno, iniziamo a leggere insieme i libri dei profeti biblici. Non so quanti di noi li conoscano già, comunque leggerli per la prima volta o rileggerli è sempre una “bella avventura”, soprattutto se lo si fa insieme ad altri, anche se “a distanza”. Dovreste avere già ricevuto il calendario di lettura, per sicurezza lo alleghiamo di nuovo.

I capitoli da leggere sono complessivamente 258. Termineremo, quindi, sabato 7 settembre 2024.

La prima tappa è costituita dal lungo (66 capitoli) ma bellissimo libro del profeta Isaia che ci accompagnerà sino al 28 febbraio 2024. Indubbiamente un grande ingresso nel mondo della profezia biblica… Come di consueto, una volta alla settimana vi invieremo una mail di accompagnamento.

Il libro di Isaia è frutto di un complesso lavoro redazionale, durato diversi secoli.

1) All’origine vi è la predicazione del profeta omonimo, che operò all’incirca tra il 740 e il 700. Come per molti profeti, si pensa che gli oracoli da lui proclamati oralmente siano stati in seguito raccolti dai suoi discepoli negli attuali capitoli 1-39. All’interno di questa sezione si trovano, comunque, anche alcune parti che forse non risalgono a Isaia, ma sono state aggiunte più tardi, come per esempio i capitoli 24-27.

In questa prima sezione ritornano di frequente alcuni grandi temi: Sion, il monte sul quale sorge il tempio, è il luogo della presenza di Dio e segno della sua volontà di salvezza; Giuda e Gerusalemme, il popolo eletto e amato da Dio, ha abbandonato la fede e si trova così sotto il giudizio divino, da questo processo emergerà un “resto” del popolo, purificato e convertito; alla dinastia regale davidica, il Signore affida il compito di governare con giustizia e diritto, per far regnare la pace.

2) L’opera del Secondo-Isaia (capitoli 40-55) va collocata nel periodo dell’esilio babilonese (587-538), immediatamente precedente la conquista di Babilonia da parte di Ciro re di Persia, nel 539. L’attenzione si sposta sulle “cose nuove” che Dio farà per il suo popolo. La salvezza d’Israele è quasi una “nuova creazione”; il dominio universale di Dio è contrapposto alla vanità degli idoli. Particolare, nel Secondo-Isaia, è anche la figura del “Servo”, la cui sofferenza viene interpretata come salvezza per Israele e per tutti gli uomini.

3) La terza parte (capitoli 56-66) può essere stata composta tra il 530 e il 515 circa, dopo il ritorno dall’esilio e dopo la ricostruzione del tempio di Gerusalemme. Questa parte ha molti temi in comune con la seconda, in particolare la prospettiva di salvezza universale. Emerge, però, anche una maggiore attenzione agli aspetti legati alla pratica del culto, al tempio, all’osservanza della legge e in particolare del sabato.

Destinatario delle parole contenute nel libro di Isaia è stato sempre tutto il popolo d’Israele, in diversi momenti della sua storia. Nella prima parte si può notare, tuttavia, una singolare attenzione ai capi del popolo e alla casa reale, che vengono fortemente esortati a una maggior fede. Nella seconda parte, il profeta si rivolge a un popolo in esilio, sfiduciato, che dubita del Signore e della sua capacità di salvare. La terza parte è diretta a una comunità che affronta i difficili momenti della ricostruzione civile, politica e religiosa, in Gerusalemme e Giuda.

Per il momento, buona lettura e tanti cari auguri di Buon Natale!

Claudio Stercal

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mercoledì 13 dicembre 2023 LEGGERE LA BIBBIA INSIEME un capitolo al giorno

Anche quest’anno viene proposta la lettura, un capitolo al giorno, di ampie sezioni della Bibbia. L’iniziativa – avviata nel 2018 da mons. Claudio Stercal e cresciuta di anno in anno – prevede nel 2023-2024 due possibili percorsi: il Nuovo Testamento e i Profeti. Entrambi prendono avvio il giorno di Natale 2023 e si concludono a settembre 2024.

La lettura è personale e può essere svolta nel momento preferito della giornata. Per condividere il cammino e ricevere settimanalmente qualche suggerimento per la lettura.

Qui sopra si possono ritrovare le e-mail inviate a chi segue il percorso dei Profeti.