REGOLA DI SAN BENEDETTO – 20
Capitolo XX – La riverenza nella preghiera
1 Se quando dobbiamo chiedere un favore a qualche personaggio, osiamo farlo solo con soggezione e rispetto, 2 quanto più dobbiamo rivolgere la nostra supplica a Dio, Signore di tutte le cose, con profonda umiltà e sincera devozione. 3 Bisogna inoltre sapere che non saremo esauditi per le nostre parole, ma per la purezza del cuore e la compunzione che strappa le lacrime. 4 Perciò la preghiera dev’essere breve e pura, a meno che non venga prolungata dall’ardore e dall’ispirazione della grazia divina. 5 Ma quella che si fa in comune sia brevissima e quando il superiore dà il segno, si alzino tutti insieme.
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Approfondimenti
1-5: Qualità dell'orazione SB non definisce la preghiera; dà per scontato che i monaci per cui scrive sappiano bene che cosa sia. Il titolo stesso del capitolo risulta estremamente sobrio. “Riverenza” denota un atteggiamento generale della presenza di Dio, di timore nel senso biblico, che include umiltà e amore. SB inizia con un argomento “a fortiori”: “Se con i potenti..., tanto più con Dio...” (vv 1-2). Se la parola “rispetto” (reverentia, come nel titolo) richiama sopratutto l'atteggiamento dell'inferiore nei confronti del superiore, le parole “umiltà” e “purezza di devozione” del v.2 completano la disposizione dell'animo nella preghiera. “Devozione” ha il senso proprio di “dono di sé medesimo”, abbandono, adesione piena e senza condizioni.
3: sobrietà delle parole, purezza del cuore, compunzione Sono altre due qualità che fanno parte della saggezza tradizionale del monachesimo. Alla “riverenza” formata di umiltà e di puro abbandono (= purezza di devozione, dei vv 1-2), si aggiungono ora la “sobrietà delle parole”, la “purezza del cuore” (cioè quella coscienza monda dai vizi e dai peccati cui SB ha accennato sopratutto nel capitolo sull'umiltà, RB 7,12.18.29.70; vedi più sotto il significato della “puritas cordis”) e la “compunzione” (anche negli strumenti delle buone opere (RB 4,57) e riguardo all'oratorio (RB 52,4) SB parla delle lacrime che accompagnano la preghiera). Poi SB conclude dicendo che la preghiera sia “breve” e “pura” (di nuovo!), a meno che non si prolunghi per ispirazione di Dio (v.4) e che comunque in comunità sia breve (v.5).
Due problemi riguardo al c.20
Primo problema. Che il c.20 parli della preghiera personale è evidente; ma SB si riferisce all'orazione privata fuori dell'Ufficio divino o anche – e forse in primo luogo – all'orazione salmica, cioè alla preghiera silenziosa che i fratelli facevano prostrati a terra, dopo ogni salmo? Una risposta precisa non è facile, perché il testo non è abbastanza chiaro. Tuttavia ci sono ragioni più valide per ritenere che SB in questo capitolo si riferisca anzitutto alla preghiera personale nell'ambito dell'Ufficio divino. La posizione stessa del capitolo, come termine finale della sezione dell'Ufficio divino e dopo il capitolo 19 sul modo di salmodiare, induce a credere che SB, mentre redigeva il testo, stesse pensando all'orazione silenziosa dopo i salmi in coro; poi all'improvviso, nel v.4, annotò un'osservazione che gli venne in mente riguardo alla preghiera privata fuori dell'Ufficio (quando la si può protrarre per ispirazione divina); e difatti con la frase successiva posta in contrapposizione “ma in comune” del v. 5, ritorna al tema originale, cioè alla preghiera privata dopo ogni salmo, che doveva durare fino a quando il superiore dava il segnale (v. 5) e tutti si levavano per cominciare la salmodia. Si noti ancora che i passi paralleli della RM si riferiscono alla preghiera silenziosa dopo ogni salmo (RM 48,10-11). Tuttavia – ripetiamo – la questione non è chiara. E forse è meglio superarla pensando all'unità della preghiera (comune e personale) presso i monaci.
Secondo problema. L'altra questione importante è il significato preciso di certi termini con i quali SB descrive le qualità della preghiera. Balza agli occhi in questo c.20 la mancanza di citazioni bibliche, in contrasto con il c. 19 che ne è pieno (Tuttavia c'è nel v.3 chiara l'allusione alle parole di Gesù sulla preghiera in Mt 6,7 e a tutto l'insegnamento della parabola del fariseo e del pubblicano in Lc 18,9-14). In compenso, il capitolo intero è pieno delle idee del monachesimo precedente sulla preghiera, e non solo le idee, ma il linguaggio, lo stile, i termini sono caratteristici della scuola sopratutto di Evagrio Pontico e di Cassiano. Così la parola “purezza” appare in tre versetti consecutivi: “purezza di devozione” (v.2), “purezza del cuore” (v.3), “preghiera breve e pura” (v.4): ebbene, si tratta di espressioni tecniche di Cassiano e della sua spiritualità.
puritas cordis, oratio pura “Puritas” o più spesso “puritas cordis” indica la cima dell'itinerario ascetico-spirituale, cioè la totale liberazione dalle passioni, la carità, la perfetta armonia dell'uomo paradisiaco (Coll. 10,7). Alla “puritas cordis” corrisponde la “oratio pura”. Ci troviamo proprio alle vette della vita spirituale. Di fatto, per Evagrio e per Cassiano “oratio pura” è l'espressione tecnica per indicare l'orazione perfetta, la contemplazione suprema (Coll. 9,8). Che cosa rimane di tutto ciò in RB 20? Cioè, come intende SB questa “puritas cordis”, questa “oratio pura”? Certamente, SB è influenzato da Cassiano; i termini che usa: devozione, compunzione, lacrime, si trovano tali e quali in Cassiano (Inst. 5,17; Coll. 3,71; 19,1 ecc...), come anche per la brevità (Inst. 2,10; Coll. 9,36). Quindi si può dire che SB, con i vocaboli che utilizza, suggerisce l'ideale dell'orazione pura nel suo grado più elevato. Però ... suggerisce soltanto! Uomo pratico secondo Gesù Cristo, non può con poche qualità esposte sulla preghiera, proporre a semplici principianti le vette dell'orazione. La Regola, in effetti, non parla delle cime dell'orazione come le insegnano Evagrio e Cassiano, ma dell'orazione di tutti i giorni. Che SB voglia lanciare anche i suoi discepoli verso le “cime” e che lo desideri, non c'è dubbio. Però le sue istruzioni, i suoi principi fondamentali si riferiscono all'immediato: ora e qui la preghiera deve essere riverente, umile, piena di abbandono, breve e pura (cioè intensa, senza distrazioni) e deve sgorgare da un cuore puro (cioè sincero, senza macchia di peccato) e contrito. Tutto ciò SB lo ha espresso con quattro coppie consecutive di vocaboli:
- con umiltà e rispetto (v.1),
- con tutta umiltà e purezza di devozione (v.2),
- nella purezza del cuore e la compunzione delle lacrime (v.3),
- breve e pura (v.4)
Questo è il senso del c. 20 della Regola.
Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.