📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA: Profeti dal 25/12/2023 al 07/09/2024 ● Concilio Vaticano II dall'11/09 al 24/12/2023 ● Nuovo Testamento dal 25/12/2022 al 10/09/2023

Capitolo XX – La riverenza nella preghiera

1 Se quando dobbiamo chiedere un favore a qualche personaggio, osiamo farlo solo con soggezione e rispetto, 2 quanto più dobbiamo rivolgere la nostra supplica a Dio, Signore di tutte le cose, con profonda umiltà e sincera devozione. 3 Bisogna inoltre sapere che non saremo esauditi per le nostre parole, ma per la purezza del cuore e la compunzione che strappa le lacrime. 4 Perciò la preghiera dev’essere breve e pura, a meno che non venga prolungata dall’ardore e dall’ispirazione della grazia divina. 5 Ma quella che si fa in comune sia brevissima e quando il superiore dà il segno, si alzino tutti insieme.

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Approfondimenti

1-5: Qualità dell'orazione SB non definisce la preghiera; dà per scontato che i monaci per cui scrive sappiano bene che cosa sia. Il titolo stesso del capitolo risulta estremamente sobrio. “Riverenza” denota un atteggiamento generale della presenza di Dio, di timore nel senso biblico, che include umiltà e amore. SB inizia con un argomento “a fortiori”: “Se con i potenti..., tanto più con Dio...” (vv 1-2). Se la parola “rispetto” (reverentia, come nel titolo) richiama sopratutto l'atteggiamento dell'inferiore nei confronti del superiore, le parole “umiltà” e “purezza di devozione” del v.2 completano la disposizione dell'animo nella preghiera. “Devozione” ha il senso proprio di “dono di sé medesimo”, abbandono, adesione piena e senza condizioni.

3: sobrietà delle parole, purezza del cuore, compunzione Sono altre due qualità che fanno parte della saggezza tradizionale del monachesimo. Alla “riverenza” formata di umiltà e di puro abbandono (= purezza di devozione, dei vv 1-2), si aggiungono ora la “sobrietà delle parole”, la “purezza del cuore” (cioè quella coscienza monda dai vizi e dai peccati cui SB ha accennato sopratutto nel capitolo sull'umiltà, RB 7,12.18.29.70; vedi più sotto il significato della “puritas cordis”) e la “compunzione” (anche negli strumenti delle buone opere (RB 4,57) e riguardo all'oratorio (RB 52,4) SB parla delle lacrime che accompagnano la preghiera). Poi SB conclude dicendo che la preghiera sia “breve” e “pura” (di nuovo!), a meno che non si prolunghi per ispirazione di Dio (v.4) e che comunque in comunità sia breve (v.5).

Due problemi riguardo al c.20

  1. Primo problema. Che il c.20 parli della preghiera personale è evidente; ma SB si riferisce all'orazione privata fuori dell'Ufficio divino o anche – e forse in primo luogo – all'orazione salmica, cioè alla preghiera silenziosa che i fratelli facevano prostrati a terra, dopo ogni salmo? Una risposta precisa non è facile, perché il testo non è abbastanza chiaro. Tuttavia ci sono ragioni più valide per ritenere che SB in questo capitolo si riferisca anzitutto alla preghiera personale nell'ambito dell'Ufficio divino. La posizione stessa del capitolo, come termine finale della sezione dell'Ufficio divino e dopo il capitolo 19 sul modo di salmodiare, induce a credere che SB, mentre redigeva il testo, stesse pensando all'orazione silenziosa dopo i salmi in coro; poi all'improvviso, nel v.4, annotò un'osservazione che gli venne in mente riguardo alla preghiera privata fuori dell'Ufficio (quando la si può protrarre per ispirazione divina); e difatti con la frase successiva posta in contrapposizione “ma in comune” del v. 5, ritorna al tema originale, cioè alla preghiera privata dopo ogni salmo, che doveva durare fino a quando il superiore dava il segnale (v. 5) e tutti si levavano per cominciare la salmodia. Si noti ancora che i passi paralleli della RM si riferiscono alla preghiera silenziosa dopo ogni salmo (RM 48,10-11). Tuttavia – ripetiamo – la questione non è chiara. E forse è meglio superarla pensando all'unità della preghiera (comune e personale) presso i monaci.

  2. Secondo problema. L'altra questione importante è il significato preciso di certi termini con i quali SB descrive le qualità della preghiera. Balza agli occhi in questo c.20 la mancanza di citazioni bibliche, in contrasto con il c. 19 che ne è pieno (Tuttavia c'è nel v.3 chiara l'allusione alle parole di Gesù sulla preghiera in Mt 6,7 e a tutto l'insegnamento della parabola del fariseo e del pubblicano in Lc 18,9-14). In compenso, il capitolo intero è pieno delle idee del monachesimo precedente sulla preghiera, e non solo le idee, ma il linguaggio, lo stile, i termini sono caratteristici della scuola sopratutto di Evagrio Pontico e di Cassiano. Così la parola “purezza” appare in tre versetti consecutivi: “purezza di devozione” (v.2), “purezza del cuore” (v.3), “preghiera breve e pura” (v.4): ebbene, si tratta di espressioni tecniche di Cassiano e della sua spiritualità.

puritas cordis, oratio pura “Puritas” o più spesso “puritas cordis” indica la cima dell'itinerario ascetico-spirituale, cioè la totale liberazione dalle passioni, la carità, la perfetta armonia dell'uomo paradisiaco (Coll. 10,7). Alla “puritas cordis” corrisponde la “oratio pura”. Ci troviamo proprio alle vette della vita spirituale. Di fatto, per Evagrio e per Cassiano “oratio pura” è l'espressione tecnica per indicare l'orazione perfetta, la contemplazione suprema (Coll. 9,8). Che cosa rimane di tutto ciò in RB 20? Cioè, come intende SB questa “puritas cordis”, questa “oratio pura”? Certamente, SB è influenzato da Cassiano; i termini che usa: devozione, compunzione, lacrime, si trovano tali e quali in Cassiano (Inst. 5,17; Coll. 3,71; 19,1 ecc...), come anche per la brevità (Inst. 2,10; Coll. 9,36). Quindi si può dire che SB, con i vocaboli che utilizza, suggerisce l'ideale dell'orazione pura nel suo grado più elevato. Però ... suggerisce soltanto! Uomo pratico secondo Gesù Cristo, non può con poche qualità esposte sulla preghiera, proporre a semplici principianti le vette dell'orazione. La Regola, in effetti, non parla delle cime dell'orazione come le insegnano Evagrio e Cassiano, ma dell'orazione di tutti i giorni. Che SB voglia lanciare anche i suoi discepoli verso le “cime” e che lo desideri, non c'è dubbio. Però le sue istruzioni, i suoi principi fondamentali si riferiscono all'immediato: ora e qui la preghiera deve essere riverente, umile, piena di abbandono, breve e pura (cioè intensa, senza distrazioni) e deve sgorgare da un cuore puro (cioè sincero, senza macchia di peccato) e contrito. Tutto ciò SB lo ha espresso con quattro coppie consecutive di vocaboli:

  • con umiltà e rispetto (v.1),
  • con tutta umiltà e purezza di devozione (v.2),
  • nella purezza del cuore e la compunzione delle lacrime (v.3),
  • breve e pura (v.4)

Questo è il senso del c. 20 della Regola.

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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Capitolo XIX – La partecipazione interiore all’ufficio divino

1 Sappiamo per fede che Dio è presente dappertutto e che «gli occhi del Signore guardano in ogni luogo i buoni e i cattivi», 2 ma dobbiamo crederlo con assoluta certezza e senza la minima esitazione, quando prendiamo parte all’Ufficio divino. 3** Perciò ricordiamoci sempre di quello che dice il profeta: «Servite il Signore nel timore» 4** e ancora: «Lodatelo degnamente» 5 e ancora: «Ti canterò alla presenza degli angeli». 6 Consideriamo dunque come bisogna comportarsi alla presenza di Dio e dei suoi Angeli 7 e partecipiamo alla salmodia in modo tale che l’intima disposizione dell’animo si armonizzi con la nostra voce.

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Approfondimenti

La sezione liturgica di SB si chiude con due brevi capitoli di contenuto diverso dai precedenti. RB 8-18 ha un aspetto – possiamo dire – più tecnico: si tratta di organizzare i vari uffici, precisarne le rubriche ecc...; RB 19-20 ha un aspetto più spirituale, precisa sopratutto le disposizioni interiori della preghiera.

I due capitoli: “Modo di celebrare il divino Ufficio” (RB 19) e “Riverenza nella preghiera” (RB 20) sono strettamente collegati, perché salmodia e orazione silenziosa non sono altro che due aspetti di una medesima realtà, due momenti dell'aspirazione dell'anima verso Dio. La distinzione netta e rigorosa tra orazione comunitaria e orazione privata, tra orazione mentale e orazione vocale è una cosa relativamente moderna. Il problema della relazione tra liturgia e contemplazione non si poneva affatto per la mentalità degli antichi cristiani. Per gli antichi monaci, come per tutti i cristiani, non esisteva che una sola orazione, camminando o lavorando, nei campi o in monastero: colloquio personale con il Signore, colloquio fondamentalmente basato e mantenuto nella Scrittura e attraverso la Scrittura. Quindi tutto l'ordinamento scrupoloso sull'Ufficio divino di RB 8-18 non deve trarre in inganno, quasi si vogliano escludere altre forme di orazione, quella che oggi siamo soliti chiamare personale o privata. Non è così:

  1. primo, perché – come abbiamo visto – l'orazione segreta e interna costituiva una parte dell'Ufficio divino da intercalarsi, secondo l'uso monastico, alla recita dei salmi (orazione silenziosa dopo ogni salmo);
  2. secondo, perché secondo la RB si chiama orazione tanto l'Ufficio divino, quanto l'orazione privata dentro o fuori del medesimo Ufficio; ambedue, così, non sono che due aspetti di una medesima realtà;
  3. terzo, perché per SB, come per tutto il monachesimo primitivo, tutta la vita del monaco senza eccezione era, alla fine dei conti, “Opus Dei” (Opera di Dio). Tutta la vita del monaco era concepita come strettamente legata alla sua preghiera.

I capitoli 19-20 della RB dipendono da RM 47-48 che presuppongono una fonte comune che non è facile determinare, con evidenti allusioni a Cassiano (Coll 23,6; Inst 2,10).

1-5: Citazioni scritturistiche Il c.19, in cui si dice al monaco quale atteggiamento interiore deve avere durante la celebrazione dell'Ufficio divino, è pieno del concetto della memoria Dei (ricordo di Dio). La prima citazione, da Prv 15,3, l'abbiamo già incontrata in RB 7,26 nel primo gradino dell'umiltà che qui viene in pratica richiamato: è la coscienza permanente della presenza di Dio, l'atteggiamento radicale di fede in cui Dio è continuamente presente alla sua creatura. Ebbene, questa “memoria Dei” non deve abbandonare un istante il monaco sopratutto quando compie l'Opera di Dio per eccellenza, la preghiera comunitaria. Seguono tre citazioni dai salmi, frasi che tante volte ripetiamo all'Ufficio divino.

La prima, (v. 3 – Sal 2,11) inculca il “timore di Dio”, è il rispetto profondissimo, unico, che costituisce il fondo di tutto l'atteggiamento religioso, che qui SB applica allo speciale servizio d'onore prestato a Dio nella lode pubblica.

La seconda citazione (v. 4 – Sal 46,8) si riferisce alla “sapientia” con cui si deve salmodiare. “Psallite sapienter – cantate inni con arte”: che cosa significa precisamente? Scienza, abilità, arte, perfezione, accuratezza, precisione, attenzione? È difficile precisarlo. Tutte queste cose insieme. Comunque, non c'è dubbio che “sapienter” si riferisce anzitutto alle disposizioni spirituali dei monaci che celebrano l'Ufficio; non si tratta qui di rubriche o di cerimoniale (che pure hanno la loro importanza), qui si parla della disciplina dell'“uomo interiore”.

La terza citazione (v. 5 – Sal 137,1) ci trasferisce in una prospettiva molto ampia. Qui c'è tutta la tradizione monastica sugli angeli e sulla relazione tra vita monastica e vita angelica, in ultima analisi tutta la prospettiva escatologica della vita monastica (e della vita cristiana in quanto tale). La RB vuol dire probabilmente che l'Ufficio divino dei monaci non è solo anticipazione della liturgia celeste, ma anche una partecipazione del culto che gli angeli tributano a Dio. SB, cioè, sente vivamente l'unione del cielo con la terra durante la celebrazione dell'Ufficio divino. Inoltre per lui l'Opus Dei non è soltanto imitare ciò che gli angeli fanno in cielo; ma questi si rendono realmente presenti nella liturgia monastica e i monaci realizzano il servizio divino anche alla loro presenza, come dice espressamente il v.6.

6-9: Conclusione Dopo le citazioni della S. Scrittura, SB tira le conclusioni: “Ergo – dunque...“, e riassume tutta la spiritualità dell'Ufficio divino con una brevissima ma scultorea frase: Mens nostra concordet voci nostrae (il nostro spirito concordi con la nostra voce). SB ha presente l'insegnamento dei Padri; si veda sopratutto S. Agostino: “Quando pregate il Signore con salmi e inni, si volga nel cuore ciò che si esprime con le parole” (Epistola 211,7); o quest'altro bellissimo brano: “Se il salmo prega, pregate; se sospira, sospirate; se gioisce, gioite; se spera, sperate; se teme, temete” (Commento ai salmi, II sul salmo 30, discorso 3). La RM espone con molta prolissità la stessa idea (RM 47,9-20), La brevissima frase di SB è ancora più efficace.

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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Capitolo XVIII – L’ordine dei salmi nelle ore del giorno

1 Prima di tutto si dica il versetto: «O Dio, vieni in mio soccorso; Signore, affrettati ad aiutarmi», il Gloria e poi l’inno di ciascuna Ora. 2 A Prima della domenica si dicano quattro strofe del salmo 118; 3 alle altre Ore, cioè a Terza, Sesta e Nona, si dicano tre strofe per volta dello stesso salmo. 4 A Prima del lunedì si recitino tre salmi e cioè il salmo 1, il 2 e il 6; 5 e così nei giorni successivi fino alla domenica si dicano di seguito tre salmi fino al 19, in modo però che il 9 e il 17 si dividano in due. 6 Così le vigilie domenicali cominceranno sempre con il salmo 20. 7 A Terza, Sesta e Nona del lunedì si dicano le ultime nove strofe del salmo 118, tre per ciascuna Ora. 8 Esaurito questo salmo in due giorni, cioè alla domenica e al lunedì, 9 a Terza, Sesta e Nona del martedì si recitino rispettivamente tre salmi dal 119 al 127, cioè in tutto nove salmi. 10 Questi vengano sempre ripetuti allo stesso modo nelle medesime Ore fino alla domenica, lasciando però invariati gli inni, le lezioni e i versetti per tutte le Ore della settimana, 11 in modo che alla domenica si cominci sempre dal salmo 118. 12 Il Vespro poi si celebri ogni giorno con il canto di quattro salmi, 13 dal 109 fino al 147; 14 eccettuando quelli che sono riservati alle altre Ore, cioè i salmi 117-127, 133 e 142, 15 tutti gli altri si dicano a Vespro. 16 E poiché vengono a mancare tre salmi, si dividano i più lunghi del gruppo indicato, ossia il 138, il 143 e il 144. 17 Il 116, invece, che è il più breve, venga unito al 115. 18 Stabilito così l’ordine della salmodia vespertina, tutto il resto, cioè la lezione, il responsorio, l’inno, il versetto e il cantico, si dica come abbiamo disposto sopra. 19 A Compieta, infine, si ripetano tutti i giorni gli stessi salmi e cioè il 4, il 90 e il 133. 20 Una volta fissato l’ordine della salmodia di tutti i salmi rimanenti vengano distribuiti in parti uguali nei sette Uffici notturni, 21 dividendo quelli più lunghi e assegnandone dodici per notte. 22 Ci teniamo però ad avvertire che, se qualcuno non trovasse conveniente tale distribuzione dei salmi, li disponga pure come meglio crede, 23 purché badi bene di fare in modo che in tutta la settimana si reciti l’intero salterio di centocinquanta salmi e con l’Ufficio vigiliare della domenica si ricominci sempre da capo. 24 Infatti i monaci, che in una settimana salmeggiano meno dell’intero salterio con i cantici consueti, danno prova di grande indolenza e fiacchezza nel servizio a cui sono consacrati, 25 dato che dei nostri padri si legge che in un sol giorno adempivano con slancio e fervore quanto è augurabile che noi tiepidi riusciamo a eseguire in una settimana.

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Approfondimenti

1-21: Distribuzione del salterio Delineato lo schema di tutte le Ore, SB ne designa i rispettivi salmi; finora li ha assegnati solo per le Lodi (cc.12-13), mettendo salmi particolarmente appropriati a quell'Ora; e così farà per Compieta (v.19: ogni giorno i salmi 4, 90 e 133).

Per il resto, divide il salterio in vari gruppi, disposti sommariamente così:

  • salmi 1-19 a Prima (vv.2-6)
  • salmi 20-108 all'Ufficio notturno (vv.20-21)
  • salmi 109-117 e 128-147 a Vespro (vv.12-18)
  • salmi 118-127 alle Ore minori (vv.7-11).

A differenza degli orientali, presso i quali il salterio era recitato solo nelle vigilie e nei vespri (i salmi erano raggruppati in sezioni stabili e inseparabili – carismi – che si seguivano senza interruzione), RB e il rito romano includono nella ripartizione settimanale tutte le Ore. Tuttavia anche in SB (e nel rito romano) abbiamo una lectio continua dei salmi (vedi schema sopra). La linea evolutiva della distribuzione del salterio è: Bisanzio-Roma-RB. RB è meno semplice, meno coerente, meno omogenea. Si pensi al caso di Prima che inizia il salterio dal lunedì (v.3), mentre nel rito bizantino e romano il salterio comincia la domenica. Tutto fa ritenere che il salterio benedettino è un'opera secondaria, su rimaneggiamenti del romano. Con questo, SB ha ottenuto due risultati: l'abbreviazione e la varietà. Avendo meno salmi da assegnare alle Opre primitive (Vigilie e Vespri), ha dovuto dividere quelli più lunghi, ridurre da cinque a quattro quelli del Vespro; ugualmente, tre strofe del salmo 118 (invece di sei come nel rito romano) alle Ore minori. SB abbrevia anzitutto a causa del lavoro. L'Ufficio romano era per comunità urbane; adattandolo a monasteri rurali ha dovuto abbreviare specialmente le Ore minori che interrompevano il lavoro giornaliero. Come già si è detto, lo schema della RB corrisponde allo schema “A” del “Thesaurus” della Liturgia delle Ore nel rito monastico.

22-25: L'intero salterio in una settimana Terminata l'esposizione del suo cursus liturgico, SB avverte che non intende imporre categoricamente la sua disposizione. Possiamo qui notare la libertà lasciata dal santo all'iniziativa di altri, o anche la sua umiltà che non pretende di aver creato una struttura perfetta. Lascia quindi libertà, ma a una condizione: che si salvaguardi la recita settimanale dell'intero salterio. E lo fa appellandosi ai Padri della vita monastica, evidenziando il contrasto tra “i nostri santi padri... alacremente... in un sol giorno” e “noi tiepidi... in una settimana”. Pare che si alluda all'episodio delle Viate Patrum (3,6; 5,4.57): un egiziano andò a visitare un altro, che lo volle ossequiare con una buona cena – un piatto di lenticchie! – ma prima lo invitò a pregare dicendo: Facciamo l'Opera di Dio (Opus Dei), e poi mangeremo”. Ambedue erano tanto fervorosi che uno recitò l'intero salterio e l'altro (sempre a memoria, s’intende) due Profeti maggiori! Insomma SB vuole stimolare l'ardore dei monaci (vedi fine cap.73), far vincere la tiepidezza e la negligenza, incitarli alla corsa continua, al fervore nella via della preghiera, per arrivare a quella preghiera senza interruzione (“Pregate incessantemente” 1Ts 5,17; Ef 6,18; cf. Rom 12,12; Fil 4,6; Col 4,2) di cui la preghiera a ore fisse in comune è solo un mezzo e una tappa.

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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Capitolo XVII – Salmi delle ore del giorno

1 Abbiamo già stabilito l’ordine della salmodia per l’Ufficio notturno e per le Lodi; adesso provvediamo per le altre Ore. 2 All’ora di Prima si dicano tre salmi separatamente, ciascuno con il proprio Gloria 3 e l’inno della stessa Ora segua il versetto Deus in adiutorium prima di iniziare i salmi. 4 Finiti i tre salmi, si reciti una sola lezione, il versetto, il Kyrie eleison e le preci finali. 5 A Terza, a sesta e a Nona si celebri l’Ufficio secondo lo stesso ordine e cioè il versetto iniziale, gli inni delle rispettive Ore, tre salmi, la lezione, il versetto, il Kyrie eleison e le preci finali. 6 Se la comunità fosse numerosa, si salmeggi con le antifone, altrimenti si recitino i salmi tutti di seguito. 7 L’ufficio del Vespro comprenda quattro salmi con le antifone, 8 dopo i quali si reciti la lezione, quindi il responsorio, l’inno, il versetto, il cantico del Vangelo, il Kyrie e il Pater, a cui segue il congedo. 9 Compieta, infine, consista in tre salmi di seguito, senza antifona, 10 ai quali segua l’inno della medesima ora, una sola lezione, il versetto, il Kyrie eleison e la benedizione con cui si conclude.

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Approfondimenti

Il numero dei salmi delle Ore diurne Il numero di tre salmi per ogni Ora è tradizionale (dall'oriente, all'Ufficio romano, alla RB) e si raggiunge così il sacro numero di 12 (= 3 salmi x 4 Ore, cioè 12 al giorno come 12 alla notte!). RM mette l'antifona a tutti e tre i salmi delle Ore minori, RB solo se la comunità è grande (v.6). A Compieta sempre i salmi senza antifona.

Cantare i salmi con l'antifona comportava più tempo e maggiore solennità, le piccole comunità non sempre potevano farlo. Tuttavia SB vuole che i salmi delle Ore minori siano recitati singillatim et non sub una Gloria (distinti e non sotto un solo Gloria) (v.2) forse perché altrove accadeva che i salmi detti senza antifona perdevano anche il Gloria. SB vuole che le Ore minori possano avere salmi non antifonati, se la comunità è piccola, ma sempre ognuno con il proprio Gloria.

Le parole missae, missas (vv.4.5.8.10) significano semplicemente la fine dell'Ufficio, che a Compieta termina con la benedizione, alle altre Ore con il Pater. Non pare quindi che ci fosse la colletta conclusiva; è certo che al Laterano fino al sec. XII il Pater sostituiva la colletta.

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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Capitolo XVI – La celebrazione delle ore del giorno

1 «Sette volte al giorno ti ho lodato», dice il profeta. 2 Questo sacro numero di sette sarà adempiuto da noi, se assolveremo i doveri del nostro servizio alle Lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e Compieta, 3 perché proprio di queste ore diurne il profeta ha detto: «Sette volte al giorno ti ho lodato». 4 Infatti nelle Vigilie notturne lo stesso profeta dice: «Nel mezzo della notte mi alzavo per lodarti». 5 Dunque in queste ore innalziamo lodi al nostro Creatore «per le opere della sua giustizia» e cioè alle lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e a Compieta e di notte alziamoci per celebrare la sua grandezza.

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Approfondimenti

Sette volte al giorno e una volta di notte SB fissa le Ore canoniche per il giorno: sono sette senza contare l'Ufficio notturno e includendo l'Ora di Prima. Il numero sette, già considerato sacro nell'AT, lo è per l'Ufficio divino in forza del citato v. 164 del salmo 118 (certo, il salmista intende dire “sette volte” nel senso di “molte volte”, ma la tradizione monastica vi ha visto indicato un numero preciso). SB non include l'Ufficio notturno, per il quale trova una giustificazione nell'altro versetto citato, il 62, del salmo 118. Quindi: “sette volte al giorno” (Lodi, Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespro, Compieta) e “una volta la notte” (l'Ufficio vigiliare o notturno).

L'Ora di Prima L'Ora di Prima fu istituita, come narra Cassiano (Inst 3,4), nel monastero di Bethlehem, dove i monaci, dopo le Lodi, tornavano a letto; perché alcuni pigri ne abusavano restandovi fino a Terza, fu introdotto un nuovo Ufficio al levar del sole per dare a tutti lo stimolo di alzarsi e recarsi al lavoro. Poi si diffuse pian piano anche in occidente fin dagli inizi del secolo VI. A Roma era in uso e da qui la derivò SB (c'è anche nella RM, manca in Cassiodoro e nell'Italia del Nord). Cassiano parla della resistenza che incontrò la nuova ora, la quale somiglia alle Lodi, ma più tardi prese sempre più il carattere di preparazione al lavoro. Ad essa SB dà una considerazione speciale, le assegna salmi particolari ogni giorno (mentre per Terza, Sesta e Nona ogni giorno fa ripetere gli stessi salmi). Nel corso dei secoli l'Ora di Prima era diventata l'Ora di preparazione al lavoro anche nel senso di organizzazione della giornata: si recitava nella sala del capitolo, si leggeva la Regola, il martirologio del giorno, gli anniversari di morte, l'abate dava gli avvisi o distribuiva incarichi particolari per quel giorno.

Terza, Sesta e Nona Terza, Sesta e Nona risalgono a remotissima antichità nella Chiesa. Ne parlano molti Padri. Furono scelte perché salisse a Dio la lode nelle tre principali divisioni del giorno, ma fu loro assegnato anche un senso mistico: Terza ricorda la discesa dello Spirito Santo (vedi gli inni); Sesta ricorda la crocifissione di Gesù; Nona è l'ora in cui Gesù discese agli inferi, in cui Pietro e Giovanni salivano al tempio a pregare (At 3,1), il centurione Cornelio ebbe la visione (At 10,3).

Vespro Vespro corrisponde al sacrificio serale dell'AT, come le Lodi corrispondono a quello del mattino. Lodi e Vespro erano considerate le Ore più solenni; ad esse SB assegna i cantici evangelici Benedictus e Magnificat e il Pater recitato per intero dall'Abate “propter scandalorum spinas” (per le spine degli scandali) (RB 13,12-14). Il Vespro si celebrava al cominciare della notte. SB ne anticipa un po' l'ora per dar posto alla Compieta. Altri autori coevi e la RM usano anche il termine Lucernaria; SB solo la parola Vespera e non presenta traccia di rito lucernare: vuol dire che si attiene alla più pura tradizione romana, l'altro termine rimanda ad influssi liturgici non romani.

Compieta Sulle origini e lo sviluppo di Compieta i liturgisti non sono d'accordo. È conosciuta già da S. Basilio (il quale attesta anche l'uso in essa del salmo 90) e c'è nell'Ufficio romano classico. Certo, la sua diffusione deve molto all'ordinamento di SB. La parola Completorium significa Ufficio che complet (conclude) l'Opus Dei e la giornata del monaco.

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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Capitolo XV – Quando si deve dire l’alleluia

1 L’Alleluia si dica sempre dalla santa Pasqua fino a Pentecoste, tanto nei salmi che nei responsori; 2 da Pentecoste poi sino al principio della Quaresima lo si dica soltanto negli ultimi sei salmi dell’Ufficio notturno. 3 Ma in tutte le domeniche che cadano fuori del tempo quaresimale i cantici, le Lodi, Prima, Terza, Sesta e Nona si dicano con l’Alleluia, mentre il Vespro avrà le antifone proprie. 4 I responsori, invece, non si dicano mai con l’Alleluia, se non da Pasqua a Pentecoste. =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Quando si deve dire l’alleluia Tra i capitoli sull'Ufficio notturno e mattutinale e quelli sull'Ufficio diurno, SB intercala un breve capitolo sull'uso dell'alleluia, parola ebraica che significa “lodate YHWH”, che si trova al principio e alla fine di parecchi salmi ed era diventata una formula di giubilo. L'uso dell'alleluia differiva da chiesa a chiesa. Il rito romano classico riservava l'alleluia al tempo pasquale e, nelle domeniche, dal terzo notturno all'Ora di Nona.

Per la RM l'alleluia significa la speciale appartenenza dei “servi di Dio” al loro Signore (in Ap 19,1ss i santi sono presentati come coloro che cantano eternamente l'alleluia). Secondo la RM il monastero come “casa di Dio” rappresenta il cielo; vivere nel monastero equivale a vivere continuamente “con il Signore” in un eterno tempo pasquale, in una anticipazione della vita eterna (RM 13,72; 88,14; 95,23). Perciò la RM usa l'alleluia con singolare abbondanza rispetto al rito romano e alla tradizione lerinese (Lerins-Arles), assegnandolo a tutte le Ore dell'Ufficio feriale.

RB si conforma all'uso romano per le domeniche, cioè l'alleluia dal terzo Notturno fino a Nona; invece, diversamente dall'Ufficio romano, prescrive l'alleluia nei giorni feriali al secondo Notturno. Naturalmente in Quaresima non si dirà mai l'alleluia, mentre da Pasqua a Pentecoste si dirà sempre, cioè a tutte le Ore, anche nei responsori.

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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Capitolo XIV – L’ufficio vigilare nelle feste dei santi

1 Nelle feste dei santi e in tutte le solennità si proceda come abbiamo stabilito per la domenica, 2 ad eccezione dei salmi, delle antifone e delle lezioni, che saranno proprie di quel giorno; si segua però l’ordine già fissato. =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Nelle solennità, Ufficio con tre Notturni come la domenica Nel titolo si parla solo delle feste dei santi, ma nel corpo del capitolo si tratta di tutte le altre solennità, ossia le feste dei misteri del Signore: Pasqua, Natale, Epifania, Pentecoste, ecc. Per questo il calendario monastico si era adattato subito alla chiesa romana. Oltre alla B. Vergine Maria, al Battista e ad alcuni Apostoli, a Montecassino si celebravano S. Martino e pochi altri: le feste dei santi erano molto rare. In questi giorni la struttura dell'Ufficio notturno era quella domenicale, cioè con il terzo notturno, con dodici lezioni e dodici responsori, soltanto che salmi, lezioni e responsori saranno stati propri di quel giorno festivo.

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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Capitolo XIII – Le lodi nei giorni feriali

Schema delle Lodi feriali 1 Nei giorni feriali le Lodi si celebrino nel modo seguente: 2 si dica il salmo 66 senza antifona, recitandolo lentamente in modo che tutti possano essere presenti per il salmo 50, che deve dirsi con l’antifona. 3 Dopo di questi, si dicano altri due salmi secondo la consuetudine e cioè 4 al lunedì i salmi 5 e 35, 5 al martedì il 42 e il 56, 6 al mercoledì il 63 e il 64, 7 al giovedì l’87 e l’89, 8 al venerdì il 75 e il 91 9 e al sabato il 142 con il cantico del Deuteronomio, diviso in due parti dal Gloria. 10 In tutti gli altri giorni poi si dica il cantico profetico proprio di quel giorno, secondo l’uso della Chiesa romana. 11 Quindi seguano i salmi di lode, una breve lezione dell’Apostolo a memoria, il responsorio, l’inno, il versetto, il cantico del Vangelo, la prece litanica e così si termina.

L'orazione del Signore 12 Ma l’ufficio delle Lodi e del Vespro non si chiuda mai senza che, secondo l’uso stabilito, alla fine, tra l’attenzione di tutti, il superiore reciti il Pater per le offese alla carità fraterna che avvengono di solito nella vita comune, 13 in modo che i presenti possano purificarsi da queste colpe, grazie all’impegno preso con la stessa preghiera nella quale dicono: «Rimetti a noi, come anche noi rimettiamo». 14 Nelle altre Ore, invece, si dica ad alta voce solo l’ultima parte del Pater, a cui tutti rispondano: «Ma liberaci dal male». =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

1-11: Schema delle Lodi feriali Nei giorni feriali rimangono fissi il salmo 66 come introduzione (recitato lentamente perché tutti possano giungere), il salmo 50 e le “laudes”, cioè i salmi 148-149-150. Cambiano ogni giorno i due salmi dopo il 50 e il cantico dell'AT (corrispondente al “Benedicite” della domenica), come usa la chiesa romana (v.10).

12-14: L'orazione del Signore Il Padre Nostro insegnato da Gesù ebbe fin dagli inizi della chiesa il posto d'onore nella preghiera pubblica e privata. In Spagna si recitava solennemente nell'Ufficio divino e così prescrive SB. In tutte le Ore il Padre Nostro si recitava al termine, ma sottovoce, fino al “E non ci indurre...”; ma per le Lodi e i Vespri, cioè all'inizio e al termine del giorno, SB vuole che si reciti in maniera solenne, a voce alta, da parte del superiore, perché i monaci si sentano obbligati dalla pubblica promessa di “rimettere i debiti” e si perdonino a vicenda le scandalorum spinae (le spine degli scandali), cioè le piccole ferite di ogni giorno, piccoli screzi o incomprensioni che anche in un'ottima comunità ci sono sempre. Ricordiamo che nei primi secoli il Pater era considerato il mezzo ordinario per rimettere i peccati veniali: “I peccati – dice S. Agostino – anche se sono quotidiani, almeno non siano mortali; prima di avvicinarvi all'altare, badate a dire: dimitte nobis...” (Discorsi su Giovanni 26,11). Racconta Cassiano (Coll 9,22) di certi cristiani che, arrivati a quel punto del Pater, passavano sotto silenzio il “dimitte nobis”, naturalmente per non credersi obbligati al perdono...!

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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Capitolo XII – Le lodi

1 Alle Lodi della domenica, prima di tutto si dica il salmo 66 tutto di seguito, senza antifona, 2 quindi il salmo 50 con l’Alleluia, 3 poi il 117 e il 62 4 quindi il cantico dei tre fanciulli nella fornace (il Benedicite), i salmi di lode, una lezione dell’Apocalisse a memoria, il responsorio, l’inno, il versetto, il cantico del Vangelo (il Benedictus) e la prece litanica con cui si finisce. =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

LODI, Ufficio del Mattino L'Ufficio che SB chiama “matutini” o “matutinorum sollemnitas” (la parola “sollemnitas” sta al posto di “sinassi”, “riunione liturgica”, “Ufficio” come in Cassiano Inst 3,10 ecc.) è poi rimasto con il nome di LAUDI (“Lodi mattutine” oggi) a causa dei salmi 148, 149 e 150 che conteneva e che la stessa Regola chiama Laudes (RB 12,4). Si dovevano celebrare sempre allo spuntar dell'alba (RB 8,4), era l'Ufficio del nuovo giorno che spuntava. L'Ufficio delle Lodi è antichissimo; ai cristiani era particolarmente caro perché ricordava la risurrezione del Signore Gesù, il trionfo della luce della grazia sulle tenebre dell'errore. Lo schema di SB dipende dall'Ufficio romano classico, eccetto il responsorio e l'inno. Nel c. 12 si parla delle Lodi della domenica; nel c. 13 delle Lodi dei giorni feriali.

1-4: Le Lodi domenicali Il salmo 66 fa da introduzione; si eseguiva lentamente, per i ritardatari, come all'Ufficio notturno l'invitatorio. Poi c'era, con le antifone, il salmo 50 (fisso per tutti i giorni secondo una tradizione già antica), affinché con il “Miserere” ci si purificasse prima di passare a cantare le lodi di Dio. Anche S. Basilio dice che nel far del giorno si soleva cantare “psalmum confessionis” (il salmo di confessione). Poi veniva il salmo 117, che è per eccellenza il salmo pasquale, il canto della risurrezione; quindi il salmo 62 che è il più caratteristico come canto del mattino: “O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco...”. Seguono le “Benedictiones”, cioè il “Benedicite”, il canto dei tre fanciulli nella fornace, e le “Laudes”, cioè i salmi 148-149-150 che chiudono il salterio e sono tutta una serie di inviti a lodare il Signore (sono considerati da SB un tutt'uno e sono fissi per tutti i giorni).

L'inno, aggiunto da SB, è quello che più evidenzia il tema di Cristo-Luce. Il cantico del Vangelo (Benedictus) sta magnificamente al termine delle lodi mattutine, specialmente per i versetti: “verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte”, versetti così appropriati nel momento in cui sta per sorgere il sole.

Nella conclusione la prece litanica probabilmente era completa, cioè con le varie intenzioni cui si rispondeva: “Kyrie eleison...” «con cui si finisce»... ma vedremo al c. 33 che bisognerà concludere con il Padre Nostro.

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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Capitolo XI – L’ufficio notturno nelle Domeniche

Ora della levata di domenica 1 Per l’Ufficio vigilare della domenica ci si alzi un po’ prima.

I tre “notturni” dell'Ufficio domenicale 2 Anche in questo caso si osservi un determinato ordine, cioè, dopo aver cantato sei salmi come abbiamo stabilito sopra ed essersi seduti tutti ordinatamente ai propri posti, si leggano sul lezionario quattro lezioni con i relativi responsori, secondo quanto abbiamo già detto; 3 solo al quarto responsorio il cantore intoni il Gloria e allora tutti si alzino subito in piedi con riverenza. 4 A queste lezioni seguano per ordine altri sei salmi con le antifone come i precedenti e il versetto. 5 Quindi si leggano di nuovo altre quattro lezioni con i propri responsori, secondo le norme precedenti. 6 Poi si recitino tre cantici, tratti dai libri dei Profeti a scelta dell’abate, che si devono cantare con l’Alleluia. 7 Detto quindi il versetto, con la benedizione dell’abate si leggano altre quattro lezioni del nuovo Testamento nel modo già indicato. 8 Dopo il quarto responsorio l’abate intoni l’inno Te Deum laudamus, 9 finito il quale lo stesso abate legga la lezione dai Vangeli, mentre tutti stanno in piedi con la massima reverenza. 10. Al termine di questa lettura tutti rispondano Amen, poi l’abate prosegua immediatamente con l’inno Te decet laus e, recitata la preghiera di benedizione, si incomincino le lodi.

Prescrizioni in caso di ritardo 11 Quest’ordine dell’Ufficio vigiliare della domenica dev’essere mantenuto in ogni stagione, tanto d’estate che d’inverno, 12 salvo il caso deprecabile in cui i monaci si alzassero più tardi, nella quale circostanza bisognerà abbreviare le lezioni e i responsori. 13 Si stia però bene attenti che ciò non avvenga; ma se dovesse accadere, il responsabile di una simile negligenza ne faccia in coro degna riparazione a Dio. =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

1: Ora della levata di domenica L'insieme del monachesimo occidentale nel V e VI secolo ha praticato la vera vigilia (le grandi “vigiliae” con salmi e letture che duravano quasi tutta la notte) ogni settimana. In RB e nell'ufficio romano questa vigilia lunga è scomparsa e al suo posto rimane l'ufficio notturno allungato. Si può vedere in questo fatto una mitigazione della RB, ma anche la soluzione di alcune difficoltà di orario incontrate da altre regole che ritenevano le vigilie complete (in Francia il sabato e la domenica, in Italia solo la domenica); infatti molte regole parlano di espedienti contro i sonnolenti, S. Cesario, ad esempio, obbliga i monaci a rimanere in piedi o a fare qualche lavoro durante le letture per vincere il sonno, ecc. Allora, la riforma radicale di SB (l'abolizione della veglia completa) non è un rilassamento ma un modo pratico per risolvere il problema: è meglio, cioè, dormire e riposare la prima parte della notte e vegliare poi nella preghiera e nella meditazione della Parola di Dio; si perde quindi di durata, ma si guadagna di intensità; e anche la lectio divina del giorno di domenica a cui SB dà molto più tempo (RB 48,22) ne risulterà avvantaggiata. Abbiamo qui un esempio in più del primato spirituale sopra l'ascesi solo materiale. Nonostante sia stata abolita la pratica della vigilia nel senso originale, il nome è restato (25 volte in RB, come nel titolo di questo capitolo), ma ormai solo nel senso di Ufficio notturno, come appunto quello di “notturno”.

2-10: Composizione dei tre “notturni” dell'Ufficio domenicale L'Ufficio notturno domenicale è un ampliamento di quello feriale; rimane invariato il numero dei dodici salmi, ma ci sono dodici lezioni con altrettanti responsori prolissi; il terzo notturno ha una struttura particolare, essendo composto di tre cantici dell'AT con alcuni elementi nuovi: “Te Deum”, “Amen” dopo il Vangelo, “Te decet laus”. Il vangelo proclamato dall'abate alla vigilia domenicale era, molto probabilmente, uno riguardante la risurrezione del Signore. Un Ufficio così ricco e vario occupava evidentemente buona parte della notte e comportava non poca fatica. Per celebrarlo con dignità la comunità doveva alzarsi molto prima degli altri giorni e d'estate il sono era ridotto veramente a poco. Quindi, nonostante l'abolizione della vigilia in quanto tale, abbiamo un ufficio notturno con una ampiezza e una solennità degne della commemorazione settimanale della risurrezione del Signore.

11-13: Prescrizioni in caso di ritardo Alzarsi tardi poteva più facilmente capitare in quei tempi, perché mancavano gli orologi a suoneria. Mentre per il giorno avevano la clessidra, la meridiana, l'orologio idraulico e altri strumenti, la difficoltà era grandissima per la notte. Usavano vari espedienti, come per esempio il consumo di una candela, ma più spesso dovevano affidarsi al corso delle stelle o al canto del gallo; per tutti era necessaria una speciale attitudine a vegliare. Ma la negligenza, la distrazione, la sonnolenza entravano a volte in causa: SB ribadisce che tale disordine deve assolutamente evitarsi; troppa riverenza merita l'Opera di Dio perché si debba abbreviare a causa di un ritardo nella sveglia. Si noti che l'abbreviazione, in caso, riguarderà letture e responsori, mai il “sacro” numero dei dodici salmi!

Tratto da:APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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