📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA: Profeti dal 25/12/2023 al 07/09/2024 ● Concilio Vaticano II dall'11/09 al 24/12/2023 ● Nuovo Testamento dal 25/12/2022 al 10/09/2023

TERZA LAMENTAZIONE Alef 1Io sono l'uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira. Alef 2Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Alef 3Sì, contro di me egli volge e rivolge la sua mano tutto il giorno. Bet 4Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha rotto le mie ossa. Bet 5Ha costruito sopra di me, mi ha circondato di veleno e di affanno. Bet 6Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da gran tempo. Ghimel 7Mi ha costruito un muro tutt'intorno, non posso più uscire; ha reso pesanti le mie catene. Ghimel 8Anche se grido e invoco aiuto, egli soffoca la mia preghiera. Ghimel 9Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra, ha ostruito i miei sentieri. Dalet 10Era per me un orso in agguato, un leone in luoghi nascosti. Dalet 11Seminando di spine la mia via, mi ha lacerato, mi ha reso desolato. Dalet 12Ha teso l'arco, mi ha posto come bersaglio alle sue saette. He 13Ha conficcato nei miei reni le frecce della sua faretra. He 14Sono diventato lo scherno di tutti i popoli, la loro beffarda canzone tutto il giorno. He 15Mi ha saziato con erbe amare, mi ha dissetato con assenzio. Vau 16Ha spezzato i miei denti con la ghiaia, mi ha steso nella polvere. Vau 17Sono rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere. Vau 18E dico: “È scomparsa la mia gloria, la speranza che mi veniva dal Signore”. Zain 19Il ricordo della mia miseria e del mio vagare è come assenzio e veleno. Zain 20Ben se ne ricorda la mia anima e si accascia dentro di me. Zain 21Questo intendo richiamare al mio cuore, e per questo voglio riprendere speranza. Het 22Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie. Het 23Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà. Het 24“Mia parte è il Signore – io esclamo –, per questo in lui spero”. Tet 25Buono è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca. Tet 26È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore. Tet 27È bene per l'uomo portare un giogo nella sua giovinezza. Iod 28Sieda costui solitario e resti in silenzio, poiché egli glielo impone. Iod 29Ponga nella polvere la bocca, forse c'è ancora speranza. Iod 30Porga a chi lo percuote la sua guancia, si sazi di umiliazioni. Caf 31Poiché il Signore non respinge per sempre. Caf 32Ma, se affligge, avrà anche pietà secondo il suo grande amore. Caf 33Poiché contro il suo desiderio egli umilia e affligge i figli dell'uomo. Lamed 34Schiacciano sotto i loro piedi tutti i prigionieri del paese. Lamed 35Ledono i diritti di un uomo davanti al volto dell'Altissimo. Lamed 36Opprimono un altro in una causa. Forse il Signore non vede tutto questo? Mem 37Chi mai ha parlato e la sua parola si è avverata, senza che il Signore lo avesse comandato? Mem 38Dalla bocca dell'Altissimo non procedono forse le sventure e il bene? Mem 39Perché si rammarica un essere vivente, un uomo, per i castighi dei suoi peccati? Nun 40“Esaminiamo la nostra condotta e scrutiamola, ritorniamo al Signore. Nun 41Innalziamo i nostri cuori al di sopra delle mani, verso Dio nei cieli. Nun 42Noi abbiamo peccato e siamo stati ribelli, e tu non ci hai perdonato. Samec 43Ti sei avvolto nell'ira e ci hai perseguitati, hai ucciso senza pietà. Samec 44Ti sei avvolto in una nube, perché la supplica non giungesse fino a te. Samec 45Ci hai ridotti a spazzatura e rifiuto in mezzo ai popoli. Pe 46Hanno spalancato la bocca contro di noi tutti i nostri nemici. Pe 47Nostra sorte sono terrore e fossa, sterminio e rovina”. Pe 48Rivoli di lacrime scorrono dai miei occhi, per la rovina della figlia del mio popolo. Ain 49Il mio occhio piange senza sosta perché non ha pace, Ain 50finché non guardi e non veda il Signore dal cielo. Ain 51Il mio occhio mi tormenta per tutte le figlie della mia città. Sade 52Mi hanno dato la caccia come a un passero coloro che mi odiano senza ragione. Sade 53Mi hanno chiuso vivo nella fossa e hanno gettato pietre su di me. Sade 54Sono salite le acque fin sopra il mio capo; ho detto: “È finita per me”. Kof 55Ho invocato il tuo nome, o Signore, dalla fossa profonda. Kof 56Tu hai udito il mio grido: “Non chiudere l'orecchio al mio sfogo”. Kof 57Tu eri vicino quando t'invocavo, hai detto: “Non temere!”. Res 58Tu hai difeso, Signore, la mia causa, hai riscattato la mia vita. Res 59Hai visto, o Signore, la mia umiliazione, difendi il mio diritto! Res 60Hai visto tutte le loro vendette, tutte le loro trame contro di me. Sin 61Hai udito, Signore, i loro insulti, tutte le loro trame contro di me. Sin 62I discorsi dei miei oppositori e i loro pensieri sono contro di me tutto il giorno. Sin 63Osserva quando siedono e quando si alzano; io sono la loro beffarda canzone. Tau 64Ripagali, o Signore, secondo l'opera delle loro mani. Tau 65Rendili duri di cuore, sia su di loro la tua maledizione! Tau 66Perseguitali nell'ira, Signore, e distruggili sotto il cielo. =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

TERZA LAMENTAZIONE 3,1-66 Anche questa è una composizione di struttura alfabetica, ma ogni lettera “occupa” ben tre distici, che cominciano con la medesima lettera dell'alfabeto (tre linee con la alef, tre con bet, ecc.). Tutto ciò esalta l'artificiosità, ma accresce anche la forza dello schematismo. Sorprende che quasi scompaia il riferimento esplicito alla caduta di Gerusalemme e che a parlare sia un «uomo», non la madre-sion, come negli altri poemi. Chi e quest'uomo anonimo, che ha provato il dolore e che effonde il suo lamento in termini che evocano la situazione del profeta Geremia o i discorsi di Giobbe o i cosiddetti canti del Servo di Is 50 e 53? Probabilmente non si tratta di un individuo storico determinato (ad es. il re Ioiachin) né di un personaggio che non ha nulla a che fare con il resto del libro; non pare nemmeno plausibile l'ipotesi che questo «uomo» sia da identificare semplicemente con Geremia. Tra le interpretazioni proposte, ci sembra preferibile quella che considera questo «uomo» l'incarnazione dell'innocente ingiustamente perseguitato, tipo o figura simbolica degli Israeliti rimasti fedeli eppure colpiti immeritatamente, alla pari degli altri, dalla catastofe. Il valore “tipico”, e perciò collettivo del personaggio traspare dall'uso del “noi” nei vv. 40-47. Non è da escludere un'intenzione universalizzante di estendere ad “ogni uomo” quanto qui viene detto a proposito di “quest'uomo” (cfr. vv. 1.27.39): l'Israelita diventa l'emergenza simbolica di ogni uomo sofferente (cfr. v. 27). Questo poema è il centro teologico del libro.

1-3. Il maschio vigoroso geber, che parla qui, ha provato il dolore come fosse un colpevole su cui meritatamente si sia abbattuta la implacabile sferza dell'ira divina. La mano di Dio ha guidato quest'uomo nel cammino delle tenebre, simbolo dell'oscurità spirituale (cfr. Is 8,22; 47,5; 59,9) e della sventura (cfr. Am 5,18; Gb 12, 5), invece di essere sostegno e forza protettrice (cfr. Lam 2,3: «la destra»). Le tenebre o i luoghi tenebrosi sono il segno della morte (v. 6). Dio non è nominato se non col pronome «egli» o con il possessivo: «la sua mano», colui che si «volge e rivolge» contro l'uomo appare come un potere anonimo, oscuro, indecifrabile. Dio è cambiato?

4-6. La situazione del sofferente è descritta con le immagini di una terribile malattia che consuma la carne e la pelle e spezza le ossa (cfr. l'eco dei Sal 32,3; 34,21; 51,10 e di Is 38,13). Segue poi l'immagine di una città assediata, circondata da un muro di veleno e di affanno (v. 5; cfr. Sal 17,9; 22,13); infine la visione di una casa nel regno tenebroso della morte (cfr. Sal 88,7; 143,3). Ecco ciò che «egli» fa! Veramente Dio è incomprensibile; sempre più crudele e feroce appare il suo agire anonimo. Sal 88,9 sembra un commento a questi vv.: «Sono prigioniero senza scampo» (cfr. anche Sal 105,18; 107,10-16; 116,16). In filigrana si intravede la condizione miserevole e disperata del popolo, che solo immagini di malattia gravissima e di morte riescono ad esprimere o a far intuire.

7-9. Continua l'immagine di un prigioniero “murato” senza vie d'uscita (cfr. Sal 88,9; Gb 3,23; 19,8), così che perfino la sua preghiera è soffocata (cfr. Sal 77,10). Ci sono soltanto vicoli chiusi, porte e vie sbarrate, sentieri ostruiti. Le «vie» sono anche i progetti, i pensieri, la volontà. È una vita bloccata, chiusa.

10-13. «Egli», cioè Dio, assume il volto inquietante di un orso in agguato o di un leone inseguitore (cfr. Gb 10,16; Os 13,8; Am 5,19; Prv 28,15). Nessuna via è più percorribile perché è «seminata» di spine laceranti; egli si è appostato come un cacciatore, col suo arco, per colpire con saette velenose (cfr. Gb 16,12-13; Sal 91,5). Egli mira ai «fianchi» (v. 13), cioè ai reni, che per l'AT sono l'organo centrale della vita. Dio è dunque diventato non solo crudele e feroce, come una fiera, ma anche un nemico coscientemente ostile, come un cacciatore?

14-15. Al colmo della sventura sta lo scherno e la derisione (v. 14; cfr. Lam 3,63; Sal 22,8; 35,21; Gb 16,10; 30,9-10; Ger 20,7). Le erbe amare e l'assenzio (v. 15; cfr. Ger 9,14 e Gb 9,18) sono l'opposto del buon cibo dell'ospitalità, simbolo della sofferenza (cfr. anche il v. 19). «Tutto il mio popolo» (v. 14 col TM) si fa beffe di questo pover'uomo. Il dolore fisico è ingigantito dall'incomprensione e dal disprezzo della “propria” gente.

16-18. Continuano gli stereotipi-immagini che descrivono la sofferenza umana di fronte a un Dio-nemico. Per il “formulario” del v. 16, cfr. Sal 102,10 e Prv 20,17; la versione greca qui però è differente dall'ebraico. I sassolini sono il cibo che fa spezzare i denti; polvere da cui l'uomo è tratto (Gn 2,7), è ciò contro cui è calpestato e a cui è ridotto l'uomo sofferente, oppresso e umiliato (cfr. Sal 7,6; 72,9; Am 2,7; Mic 7,17), costretto a «lambire la polvere». Lontano dal «benessere» salôm e dalla «felicità» tôbâ, privato del suo «splendore», l'uomo vede dissolversi anche la sua speranza in JHWH (v. 18). La sofferenza sembra togliere senso e scopo alla vita. Il tema della speranza ritorna ancora nei vv. 21.24.26.29: è l'atteggiamento fondamentale che è in gioco. È possibile ancora sperare? Questa è la domanda-tema dei vv. seguenti.

19-24. Il «ricordo» (vv. 19-20) delle proprie sventure è accasciante, disperante, mortale come l'assenzio e il veleno. C'è però un altro ricordo («questo» del v. 21), che fa riprendere a sperare: la misericordia e la compassione durevole del Signore (v. 22). Due ricordi: uno per la disperazione, uno per la speranza. Dio rimane fedele e rinnova ogni giorno la sua bontà, non è ambiguo né incostante. Dunque, per chi sceglie il Signore e ne fa la «sua parte» (v. 24), il suo destino, è possibile ancora sperare. Al di là di ogni apparenza, intatti, Dio non è nemico, non è all'origine delle sofferenze umane: egli è amore fedele hesed, leale. Questi vv. sono il centro teologico del poema.

25-33. Ora il poeta può fare una professione di fede: «buono è il Signore con chi spera in lui e lo cerca» (v. 25). La bontà di Dio si rivela realmente soltanto a chi spera in lui e lo cerca, a chi lo sceglie liberamente e si decide per lui. Senza gli “occhi” della libertà amante, non si riesce a vedere la bontà di Dio! Nei vv. 26-27 seguono due esortazioni in forma di proverbi sapienziali: è bene sperare «in silenzio», cioè tranquillamente; è bene portare il «giogo» della sofferenza, ma anche della legge, «fin dalla» giovinezza o, secondo il TM, «nella» propria giovinezza. Non si tratta di un invito alla rassegnazione passiva, ma a portare con fiduciosa speranza il peso della vita, compresa la fatica della fede e dell'obbedienza alla legge divina, ben sapendo che le promesse di Dio non sono vane. Il v. 28 attribuisce a Dio «egli glielo impone» la solitudine e il silenzio; ma il verbo ntl può significare «pesare (su)», cosicché il v. 28b è da rendere così: «pesa su di lui». Il v. 28 può essere reso anche così: «Sieda solitario e resti in silenzio quando (ki, la disgrazia) pesa su di lui». «Ponga nella polvere la bocca» (v. 29) è un gesto di umiliazione e di obbedienza (cfr. Mic 7,17; Sal 72,9), equivale a «prostrarsi». Nell'ora della sofferenza, la speranza in Dio fiorisce là dove c'è la calma, quieta e silenziosa, l'obbedienza e la non violenza (v. 30: «porga la guancia»), a condizione che si sia convinti che «il Signore non rigetta mai...» (v. 31). Non è proprio del «desiderio» di Dio (letteralmente del «cuore» di Dio, che è la “sede” del “desiderio”) umiliare e affliggere (v. 33); in lui la pietà e la misericordia (v. 32) sono le qualità caratteristiche. Dio è la sempiterna “simpatia” per l'uomo. Eppure si può dire che «egli affligge» (v. 32.33) l'uomo, lo castiga: che cosa significa questo linguaggio?

34-36. In realtà è il peccato (schiacciare i prigionieri, falsare o negare i diritti umani, far torto in tribunale) l'oggetto della “visione” del Signore e della sua ira-giudizio. Il peccato sta «in presenza dell'Altissimo» (v. 35) ed egli non può non vederlo e non rifiutarlo. La sua «ira» (v. 43) significa che egli non è complice, anzi si oppone rabbiosamente al peccato. La domanda retorica intende negare l'indifferenza di Dio di fronte al male. Dio «vede», cioè conosce ed interviene; ma non è Dio la causa dei mali nella storia umana.

37-39. Tre domande sottolineano la signoria divina sulla storia. Tutto ciò che accade nella storia corrisponde a un piano, dunque a una «parola» comandata da Dio e da nessun altro (v. 37; cfr. Am 3,6; Is 45,7). Da lui, infatti, procedono sia le sventure sia il bene (v. 38) (cfr. Sal 33, 9; Is 41,2-3; Sof 1,12). Alla luce di quanto è stato detto prima, riferire a Dio sia il bene sia il male è un modo per dire che nessun altro potere, umano o celeste, ha l'ultima parola. La storia umana non è abbandonata a se stessa né è in balia di potenze malvagie. Nella sua ultima profondità, ciò che Dio fa non può essere male. Il v. 39, di dubbia interpretazione, reca un po' di luce. Esso può essere reso come una domanda con risposta: «Perché si lamenta un vivente? Se è uomo, per i suoi peccati». Così inteso, il verso esclude che l'uomo possa accusare Dio per le sue sventure, che sono la conseguenza dei propri peccati. Ma il v. 39 può essere reso come una domanda: «Perché si lamenta un essere vivente, un uomo, per le conseguenze dei suoi peccati?». In ambedue le versioni è da escludere che hattā'w significhi «castighi dei suoi peccati» invece di «peccati con le loro conseguenze». Sono infatti i peccati stessi dell'uomo a portare con sé la conseguenza della sventura; non è Dio che “castiga”. L'uomo non deve ascrivere che alla sua condotta malvagia il male di cui soffre; non ha motivi per lamentarsi con Dio o accusarlo.

40-47. Coerentemente segue l'invito a un esame di coscienza e alla confessione dei propri peccati per ritornare al Signore (v. 40): il “noi” coinvolge tutto il popolo nel processo di conversione interiore, sincera, del «cuore» e non solo delle «mani» (v. 41). Ecco la confessione: «Abbiamo peccato e siamo stati ribelli» (v. 42). Il perdono divino (v. 42) non può attecchire dove non c'è conversione (cfr. Ger 5,9.29). Non sarebbe né riconosciuto né accolto. Se non c'è stato perdono è perché non c'era conversione a Dio, non per cattiva volontà divina. Al peccato ostinato del popolo corrisponde l'ira divina, la persecuzione e la morte impietosa, la sordità di Dio, l'umiliazione e la vergogna di Israele, disprezzato dai suoi famelici (v. 46) nemici. L'assenza di conversione stravolge il rapporto con Dio, che non è più sperimentato come bontà e misericordia. La conseguenza finale è un mondo ove non c'è che terrore e insidie, desolazione e rovina (v. 47). Il peccato, che è rifiuto di Dio, impedisce a Dio di essere Dio, cioè di fare valere la sua potente bontà; la conversione, invece, accoglie liberamente il perdono e la misericordia divini. Ciò significa che la potenza buona di Dio non è un meccanismo automatico, ma si rivolge sempre e soltanto alla libertà umana.

48-55. Ora il poeta, solidale con la sofferenza e il lamento del suo popolo che si è espresso con il “noi” (vv. 40-47), riprende il singolare “io”, ma non sembra identificarsi con l”io” dell'«uomo» della prima parte. Qui è il poeta che contempla in lacrime la rovina del suo popolo (v. 48), sotto un cielo impenetrabile, avvolto dalla «nube» 'ānān muta e sorda di Dio. I suoi occhi insonnemente aperti, piangenti e senza riposo (v. 49) attendono che il Signore guardi e veda dal cielo (v. 50; cfr. Is 63,15; Dt 26,15; Sal 14,2; 102,20). Gli occhi lacrimanti del poeta attendono di incontrare lo sguardo benevolo di Dio. Vedere quel che stanno soffrendo le «figlie della mia città» (v. 51), cioè i villaggi vicini alla capitale, è un dolore tormentoso. Alcune efficaci immagini poetiche descrivono la sofferenza sperimentata dal poeta. Un odio irragionevole spinge i suoi nemici a dargli la caccia (v. 52), a seppellirlo vivo in un pozzo chiuso da una grossa pietra posta alla sua cima (v. 53). Infine l'immagine delle acque infernali che sprofondano il poeta nell'abisso della morte (v. 54), tanto che egli grida di essere finito, prepara il suo De profundis (cfr. Sal 130,1-2), recitato dalla fossa profonda (v. 55). Dio sarà ancora una nube impenetrabile alla preghiera (v. 44)?

56-62. Quando la preghiera fluisce sincera da un cuore convertito, essa arriva a Dio: «Tu hai udito. Tu eri vicino. Tu hai difeso. Hai visto. Hai detto. Hai riscattato». Si è ristabilita la comunicazione e Dio interviene a favore dell'uomo per salvarlo. Nulla è sfuggito al controllo di Dio, il quale ha visto i torti, gli insulti, le trame, le ostilità operate conto il suo popolo. Dio risponde: «Non temere» (v. 57). Egli difende la causa del suo popolo e riscatta la sua vita (v. 58). È questo un De profundis pervaso dalla certezza che Dio è vicino e salva. Il lamento sfocia quasi nella lode, cioè nel riconoscimento dell'azione buona e liberatrice di Dio.

63-66. Il poeta, come il suo popolo, sono la beffarda canzone dei loro nemici, che cantano sprezzanti la loro vittoria (v. 63). Non è possibile restare indifferenti di fronte al trionfo dei malvagi! Il poeta invoca che siano pagati come si meritano, maledetti e perseguitati da Dio, fino alla loro distruzione. Propriamente questo non è desiderio di vendetta. Infatti l'orante non si arroga il diritto di “ricambiare” lui stesso il male ricevuto, ma fa appello a Dio e lascia a Dio fare giustizia. Si invoca, in fondo, che Dio faccia valere la sua giustizia; ma non si può desiderare davvero la giustizia di Dio senza bramare anche la “sconfitta” dei nemici. La “fine” dei nemici significa la liberazione: i “nemici” infatti sono la rappresentazione simbolica del male da cui si vuole essere liberati. Il doveroso rifiuto di ogni e qualsiasi giustificazione della sofferenza si esprime nella rappresentazione dei nemici da annientare. L'appello a Dio perché distrugga i nemici significa anche il rifiuto a fare di essi, e perciò anche del male-dolore, un “segno” di Dio e a vedere in essi un ostacolo inevitabile e insuperabile di fronte all'amore-misericordia di Dio per noi. Pregare che «Dio distrugga i nemici» è, dal lato positivo, credere che l'amore di Dio per noi non è né impotente né inutile per vincere il male.

(cf. ANTONIO BONORA, Lamentazioni – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

SECONDA LAMENTAZIONE Alef 1Come il Signore ha oscurato nella sua ira la figlia di Sion! Ha scagliato dal cielo in terra la gloria d’Israele. Non si è ricordato dello sgabello dei suoi piedi nel giorno del suo furore. Bet 2Il Signore ha distrutto senza pietà tutti i pascoli di Giacobbe; ha abbattuto nella sua ira le fortezze della figlia di Giuda, ha prostrato a terra, ha profanato il suo regno e i suoi capi. Ghimel 3Con ira ardente egli ha infranto tutta la potenza d’Israele. Ha ritratto la destra davanti al nemico; ha acceso in Giacobbe come una fiamma di fuoco, che divora tutt’intorno. Dalet 4Ha teso il suo arco come un nemico, ha tenuto ferma la destra come un avversario, ha ucciso quanto è delizia dell’occhio. Sulla tenda della figlia di Sion ha rovesciato la sua ira come fuoco. He 5Il Signore è divenuto come un nemico, ha distrutto Israele; ha demolito tutti i suoi palazzi, ha abbattuto le sue fortezze, ha moltiplicato alla figlia di Giuda lamento e cordoglio. Vau 6Ha devastato come un giardino la sua dimora, ha distrutto il luogo della riunione. Il Signore ha fatto dimenticare in Sion la festa e il sabato, ha rigettato nel furore della sua ira re e sacerdoti. Zain 7Il Signore ha rigettato il suo altare, ha aborrito il suo santuario; ha consegnato le mura dei suoi palazzi in mano ai nemici. Essi alzarono grida nel tempio del Signore come in un giorno di festa. Het 8Il Signore ha deciso di demolire le mura della figlia di Sion, ha steso la corda per le misure, non ritrarrà la mano dalla distruzione; ha reso desolati bastione e baluardo, ambedue sono in rovina. Tet 9Sono affondate nella terra le sue porte, egli ne ha rovinato e spezzato le sbarre. Il suo re e i suoi capi sono tra le genti; non c’è più legge e neppure i suoi profeti hanno ricevuto visioni dal Signore. Iod 10Siedono a terra in silenzio gli anziani della figlia di Sion, hanno cosparso di cenere il capo, si sono cinti di sacco; curvano a terra il capo le vergini di Gerusalemme. Caf 11Si sono consunti per le lacrime i miei occhi, le mie viscere sono sconvolte; si riversa per terra la mia bile per la rovina della figlia del mio popolo, mentre viene meno il bambino e il lattante nelle piazze della città. Lamed 12Alle loro madri dicevano: «Dove sono il grano e il vino?». Intanto venivano meno come feriti nelle piazze della città; esalavano il loro respiro in grembo alle loro madri. Mem 13A che cosa ti assimilerò? A che cosa ti paragonerò, figlia di Gerusalemme? A che cosa ti eguaglierò per consolarti, vergine figlia di Sion? Poiché è grande come il mare la tua rovina: chi potrà guarirti? Nun 14I tuoi profeti hanno avuto per te visioni di cose vane e insulse, non hanno svelato la tua colpa per cambiare la tua sorte; ma ti hanno vaticinato lusinghe, vanità e illusioni. Samec 15Contro di te battono le mani quanti passano per la via; fischiano di scherno, scrollano il capo sulla figlia di Gerusalemme: «È questa la città che dicevano bellezza perfetta, gioia di tutta la terra?». Pe 16Spalancano contro di te la bocca tutti i tuoi nemici, fischiano di scherno e digrignano i denti, dicono: «L’abbiamo divorata! Questo è il giorno che aspettavamo, siamo arrivati a vederlo». Ain 17Il Signore ha compiuto quanto aveva decretato, ha adempiuto la sua parola decretata dai giorni antichi, ha distrutto senza pietà, ha fatto gioire su di te il nemico, ha esaltato la potenza dei tuoi avversari. Sade 18«Grida dal tuo cuore al Signore, gemi, figlia di Sion; fa’ scorrere come torrente le tue lacrime, giorno e notte! Non darti pace, non abbia tregua la pupilla del tuo occhio! Kof 19Àlzati, grida nella notte, quando cominciano i turni di sentinella, effondi come acqua il tuo cuore, davanti al volto del Signore; alza verso di lui le mani per la vita dei tuoi bambini, che muoiono di fame all’angolo di ogni strada. Res 20«Guarda, Signore, e considera; chi mai hai trattato così? Le donne divorano i loro frutti, i bimbi che si portano in braccio! Sono trucidati nel santuario del Signore sacerdoti e profeti! Sin 21Giacciono a terra per le strade ragazzi e anziani; le mie vergini e i miei giovani sono caduti di spada. Hai ucciso nel giorno della tua ira, hai trucidato senza pietà. Tau 22Come a un giorno di festa hai convocato i miei terrori da tutte le parti. Nel giorno dell’ira del Signore non vi fu né superstite né fuggiasco. Quelli che io avevo portati in braccio e allevato, li ha sterminati il mio nemico». =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

SECONDA LAMENTAZIONE 2,1-22 Anche questo è un canto alfabetico di 22 strofe, ciascuna di 3 righe, cioè di 6 stichi; ogni strofa inizia con una lettera progressiva dell'alfabeto. Il metro dominante è la ginâ (= elegia): 3+2 accenti. Stranamente la lettera pe precede la ain (diversamente dal c. 1, come nei cc. 3-4). Le prime otto strofe (vv. 1-8) hanno come protagonista agente il Signore; nei vv. 9-10 è descritta la situazione; nei vv. 11-16 il poeta esprime il suo dolore e apostrofa la città; nel v. 17 è ripreso il tema dei vv. 1-8: il Signore ha distrutto la città; nei vv. 18-19 il poeta invita a gridare al Signore; i vv. 20-22 contengono la supplica della città. Dominano, anche in questa elegia, i tratti lirico-drammatici e tragici, la viva partecipazione agli eventi evocati, l'intensa supplica al Signore. E quasi sempre il poeta che parla di Sion o che si rivolge alla città.

1. L'ira del Signore è come una nube, ma non più segno della presenza di Dio (cfr. 1Re 8), bensì segno della distanza tra Dio (= cielo) e il popolo (= terra). Anche lo «sgabello dei suoi piedi» (cfr. 1Cr 28,2; Sal 99,5; 132,7), cioè il tempio o l'arca dell'alleanza, è dimenticato o abbandonato. La «gloria di Israele» è caduta dal cielo, come in Is 14,12 il re di Babel o in Ez 28,17 il re di Tiro: è il segno della catastrofe. Questo è infatti «il giorno del suo furore», il “giorno di JHWH”, evocato da Am 5,18-20 come giorno della sperata salvezza nazionale, ma ora trasformato in momento del giudizio di condanna. L'incertezza del v. 1 sta soprattutto nell'espressione yā'îb resa di solito come verbo denominativo da 'ab (= nube), cioè nel senso di «coprire di nubi». L'espressione è un hapax legomenon. Sembra che l'idea espressa sia questa: nonostante Sion sia il luogo della presenza di Dio, lo sgabello dei suoi piedi, essa sarà distrutta se non obbedirà al Signore. La sua salvezza non è automatica.

2-5. Come un guerriero invincibile, come un nemico o avversario (vv. 4.5), Dio si scaglia «senza pietà» (v. 2) (cfr. Ez 9,5.10) contro il suo popolo. Egli distrugge le dimore e le fortezze (v. 2), tutti i palazzi e le fortezze (v. 5); ha prostrato e profanato il suo regno sacrale e i suoi capi (v. 2), ha ucciso «quanto è delizia dell'occhio» (v. 4), cioè i giovani e le ragazze (cfr. Ez 24,16) o le cose preziose (cfr. 1Re 20,6) oppure, in senso metaforico, il tempio, «ha distrutto Israele» (v. 5), ha infranto «la potenza» (letteralmente: il corno) di Israele (v. 3); invece di stendere la sua destra contro il nemico di Israele (cfr. Sal 118, 16), l'ha tratta indietro (v. 3); la sua ira è diventata un fuoco divoratore (vv. 3.4) e ha usato anche l'arco (v. 4); perfino «la tenda della figlia di Sion» (v. 4), che designa probabilmente il tempio (cfr. Sal 15,1; 87; Is 33,20), è stata bruciata. La «figlia di Sion» (7 volte in Lam) o «la figlia di Giuda» (2 volte in Lam) o la «figlia di Gerusalemme» (2,13.15) o «la figlia del mio popolo» (5 volte in Lam) è avvolta da «lamento e cordoglio» (v. 5). Tutta la rovina di Israele è attribuita direttamente a Dio, dipinto come un guerriero nemico, senza pietà e adirato. Il Signore è l'agente distruttore; è il rovescio della guerra santa. L'«ira» di Dio è un tema ossessivamente ricorrente nel c. 2 (vv. 1.2.3.4.6.21.22) e fa di lui un nemico e avversario (vv. 4.5). La “compassione” di Dio è scomparsa (vv. 2.17.21).

6-8. Il Signore ha distrutto i luoghi sacri (santuario e tempio, sua dimora e luogo di riunione), le cose sacre (l'altare), il popolo (re e sacerdoti), le istituzioni sacre (feste e sabato), le mura, le fortezze, bastioni e baluardi. Tutta la rovina è opera diretta di Dio, che ha consegnato Sion in balia del nemico (v. 7), agendo con la sua mano (v. 8; cfr. v. 3) che egli non ritirerà. Tutto fu un atto deliberato, progettato da Dio che «ha deciso di demolire» (v. 8), non fu un caso. I nemici gridarono nel «tempio», luogo dell'incontro con Dio, celebrando una festa macabra scandita dal grido di guerra (v. 7). Il culto non solo è finito, ma è pervertito; il popolo ha perduto tutti i punti di riferimento sia civili sia religiosi. Come quando si costruisce si prendono le misure, così, quando ha distrutto, Dio «ha steso la corda per le misure» (v. 8): ciò significa che la rovina è stata un progetto ben calcolato. Traspare dunque una precisa volontà divina di porre fine a tutte le sicurezze del suo popolo con una perfetta demolizione.

9-10. Lo stile è descrittivo della situazione del popolo: re, capi, profeti, anziani, vergini. In particolare, il re e i capi sono in esilio; i sacerdoti non insegnano più la torah, la legge; i profeti non ricevono visioni e tacciono. Il silenzio di Dio è la condanna più terribile per una città che non ha più né porte né sbarre ed è diventata come un campo aperto a tutte le scorrerie. Anziani e vergini compiono riti di lutto e di lamento: siedono a terra, si cospargono il capo di cenere, si cingono di sacco, curvano a terra il capo, stanno in silenzio (ciò fa parte del rito di lamentazione). La coppia “anziani-vergini” è forse un merismo per indicare l'intera popolazione di Gerusalemme. Dominante è il movimento verso i basso, simbolizzato dalla terra: «affondate nella terra (v. 9) – siedono a terra (v. 10) – curvano a terra il capo (v. 10)». La «terra» è simbolo di umiliazione e di mortalità (così forse la «cenere», v. 10).

11-16. L'autore continua a contemplare la rovina grande come il mare (v. 13), paragonabile a una ferita inguaribile (v. 11), a uno sfinimento (v. 11: «vien meno il bambino e il lattante»; v. 12: «venivano meno come feriti») mortale (v. 12: «esalavano il loro respiro»), incomparabile e inconsolabile (v. 13). La reazione del poeta è forte e totale: occhi, viscere e bile (v. 11) sono sconvolti e consunti. Essa corrisponde a quella dei nemici, di cui si nominano le parti del corpo che reagiscono: mani e capo (v. 15), bocca e denti (v. 16). Allo scoramento e disperazione del poeta rispondono i nemici che fischiano per deridere, scrollano il capo per schernire (v. 15), «spalancano la bocca» (cioè: si burlano) e «digrignano i denti» (v. 16) con rabbioso disprezzo; essi «battono le mani» (v. 15) in segno di vittoria e di gioia (cfr. 2Re 11,12; Sal 47,2). Gerusalemme, che tutti dicevano «bellezza perfetta, gioia di tutta la terra» (v. 15), è stata «divorata» (v. 16): è arrivato «il giorno» (v. 16) della sua fine. Ma tale fine non era inevitabile, Sion ha peccato, ha commesso «iniquità» (v. 14); e i profeti l'hanno ingannata con «visioni di cose vane e insulse» (v. 14). Invece di svelare il peccato, invitare alla conversione «per cambiare la tua sorte» (cfr. Dt 30,3; Ez 16,53; Os 6,11; Am 9,14), essi non hanno proclamato che «lusinghe, vacuità e illusioni» (v. 14). L'accusa è rivolta contro i falsi profeti, con espressioni che ricordano Geremia (cfr. 5,31; 23,13-32; 27-28; 29,8-9). Mentre i vv. 1-8 hanno presentato la rovina di Israele come atto di Dio e mentre i nemici rivendicano superbamente a sé la vittoria su Gerusalemme (v. 16: «l'abbiamo divorata»), il poeta scopre la causa della rovina nella «iniquità» (v. 14) del popolo che ha seguito le seduzioni dei falsi profeti.

17. Ciò che è accaduto rientra in un piano divino: «Il Signore ha compiuto quanto aveva decretato»; non si tratta dunque di un evento incomprensibile o assurdo. Dio ha realizzato quanto aveva minacciato, fin «dai giorni antichi», attraverso i profeti, ultimamente per bocca di Geremia. «Distruggere» è uno dei verbi ricorrenti nelle minacce di Geremia: 1,10; 24,6; 31,28; 42,10; 45,4. Dio non poteva più far giungere ed esercitare efficacemente la sua «pietà». Ma i nemici non possono ritenersi potenze antidivine, perché è stato JHWH a dare loro la potenza e la gioia della vittoria. Tutti i fili della storia sono dunque nelle mani di Dio. Se le cose stanno cosi, c'è una possibilità di «cambiare la sorte» (v. 14), di veder sorgere un nuovo giorno, perché JHWH non è il destino cieco, la necessità, il fato. E possibile pregare JHWH, iniziare a convertirsi e cambiare la qualità della vita.

18-19. La supplica deve sgorgare «dal cuore» (v. 18), con sincerità, «giorno e notte» (v. 18), senza tregua e senza riposo («non darti pace»). La supplica è fatta di «grida» e «lacrime», non contiene una petizione esplicita; è un grido nella notte (v. 19), effusione del cuore davanti al Signore, come acqua di un torrente (v. 18), mani alzate verso di lui (v. 19). I «bambini» (v. 19), per la cui vita si prega, sono i figli della Sion personificata, cioè i cittadini di Gerusalemme, ma sono anche i bambini che muoiono di fame e che il poeta porta impressi nella sua mente e nel suo cuore come il segno più drammatico della catastrofe.

20-22. Le parole della supplica della madre-Sion non chiedono a Dio che di fare attenzione: «Guarda e considera» (v. 20). Quando accade una sventura, Dio guarda dall'altra parte, i suoi occhi non sono rivolti verso di noi. Ma se lo sguardo buono di Dio è rivolto verso di noi, allora la sventura finisce. Il poeta dà sfogo ancora al lamento descrittivo. L'estrema gravità della situazione appare dai casi di cannibalismo di madri che divorano i loro piccoli (cfr. 2Re 6,28-29) e dalla violenza omicida e profanatrice che ha trucidato, proprio nel santuario, sacerdoti e profeti (v. 20). Il popolo è finito: il merismo duplice “ragazzi e vecchi – vergini e giovani” indica la totalità della popolazione, che è caduta a terra, ad opera della spada, uccisa e trucidata (v. 21). La violenza e la morte non hanno avuto limiti, non hanno risparmiato nessuno. Quello è stato il «giorno del Signore», giorno di ira e senza compassione. E stato un giorno di una festa macabra e crudele, di un sacrificio orrendo (cfr. Ger 46,10; Sof 1,7), al quale Dio ha invitato i «terrori» personificati, attori mostruosi di una liturgia mortale. In quel «giorno dell'ira del Signore» nessuno scampò alla strage. La madre-Sion conclude la sua supplica nominando, alla fine, l'agente umano della strage: «li ha sterminati il mio nemico» (v. 22). Ma quest'espressione finale è ambigua: nemico è anche il Signore (cfr. vv. 4.5)?

EXCURSUS Lo scenario del poema è fosco e terrificante. Domina il tema dell'ira divina, l'assenza di pietà, l'inimicizia di Dio e degli uomini contro Gerusalemme, la festa selvaggia dei distruttori, la fine di tutte le istituzioni sacre e civili, la violenza e la morte. E un canto tenebroso, la gravità del peccato e del giudizio non può essere presentata con maggiore efficacia. Il popolo, con le sue iniquità, ha sottoscritto un giudizio mortale su di sé, ha bloccato la pietà divina, si è esposto ad ogni violenza e distruzione, si è nutrito di illusioni e vane speranze. Ma se Dio «ha distrutto Israele» (v. 5), non è ancora lui solo che può salvarlo? Se Israele ritrova dal suo cuore (v. 18) un nuovo movimento di ritorno al Signore, di conversione, sperimenterà la liberazione. Allora comprenderà finalmente che il Signore non gli è nemico! Se anche il male, la morte e la rovina, sono attribuiti direttamente a Dio, è precisamente sia per escludere che altre potenze abbiano un dominio assoluto sulla nostra vita, sia per affermare che anche nella sventura è possibile appellarsi all'azione e alla presenza di Dio. C'è una speranza di salvezza nelle nostre sventure proprio perché esse non sono fuori dei disegni divini.

(cf. ANTONIO BONORA, Lamentazioni – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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PRIMA LAMENTAZIONE Alef 1Come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo! È divenuta come una vedova, la grande fra le nazioni; la signora tra le province è sottoposta a lavori forzati. Bet 2Piange amaramente nella notte, le sue lacrime sulle sue guance. Nessuno la consola, fra tutti i suoi amanti. Tutti i suoi amici l’hanno tradita, le sono divenuti nemici. Ghimel 3Giuda è deportato in miseria e in dura schiavitù. Abita in mezzo alle nazioni, e non trova riposo; tutti i suoi persecutori l’hanno raggiunto fra le angosce. Dalet 4Le strade di Sion sono in lutto, nessuno si reca più alle sue feste; tutte le sue porte sono deserte, i suoi sacerdoti sospirano, le sue vergini sono afflitte ed essa è nell’amarezza. He 5I suoi avversari sono suoi padroni, i suoi nemici prosperano, perché il Signore l’ha afflitta per i suoi misfatti senza numero; i suoi bambini sono andati in esilio, sospinti dal nemico. Vau 6Dalla figlia di Sion è scomparso ogni splendore. I suoi capi sono diventati come cervi che non trovano pascolo; camminano senza forze davanti agli inseguitori. Zain 7Gerusalemme ricorda i giorni della sua miseria e del suo vagare, tutti i suoi beni preziosi dal tempo antico, quando il suo popolo cadeva per mano del nemico e nessuno le porgeva aiuto. I suoi nemici la guardavano e ridevano della sua rovina. Het 8Gerusalemme ha peccato gravemente ed è divenuta un abominio. Quanti la onoravano la disprezzano, perché hanno visto la sua nudità. Anch’essa sospira e si volge per nasconderla. Tet 9La sua sozzura è nei lembi della sua veste, non pensava alla sua fine; è caduta in modo inatteso e nessuno la consola. «Guarda, Signore, la mia miseria, perché il nemico trionfa». Iod 10L’avversario ha steso la mano su tutte le sue cose più preziose; ha visto penetrare nel suo santuario i pagani, mentre tu, Signore, avevi loro proibito di entrare nella tua assemblea. Caf 11Tutto il suo popolo sospira in cerca di pane; danno gli oggetti più preziosi in cambio di cibo, per sostenersi in vita. «Osserva, Signore, e considera come sono disprezzata! Lamed 12Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio dolore, al dolore che ora mi tormenta, e con cui il Signore mi ha afflitta nel giorno della sua ira ardente. Mem 13Dall’alto egli ha scagliato un fuoco, nelle mie ossa lo ha fatto penetrare. Ha teso una rete ai miei piedi, mi ha fatto tornare indietro. Mi ha reso desolata, affranta da languore per sempre. Nun 14S’è aggravato il giogo delle mie colpe, dalla sua mano sono annodate. Sono cresciute fin sul mio collo e hanno fiaccato la mia forza. Il Signore mi ha messo nelle loro mani, non posso alzarmi. Samec 15Il Signore in mezzo a me ha ripudiato tutti i miei prodi, ha chiamato a raccolta contro di me per fiaccare i miei giovani; il Signore ha pigiato nel torchio la vergine figlia di Giuda. Ain 16Per questo piango, e dal mio occhio scorrono lacrime, perché lontano da me è chi consola, chi potrebbe ridarmi la vita; i miei figli sono desolati, perché il nemico ha prevalso». Pe 17Sion protende le mani, nessuno la consola. Contro Giacobbe il Signore ha mandato da tutte le parti i suoi nemici. Gerusalemme è divenuta per loro un abominio. Sade 18«Giusto è il Signore, poiché mi sono ribellata alla sua parola. Ascoltate, vi prego, popoli tutti, e osservate il mio dolore! Le mie vergini e i miei giovani sono andati in schiavitù. Kof 19Ho chiamato i miei amanti, ma mi hanno tradita; i miei sacerdoti e i miei anziani sono spirati in città, mentre cercavano cibo per sostenersi in vita. Res 20Guarda, Signore, quanto sono in angoscia; le mie viscere si agitano, dentro di me è sconvolto il mio cuore, poiché sono stata veramente ribelle. Di fuori la spada mi priva dei figli, dentro c’è la morte. Sin 21Senti come gemo, e nessuno mi consola. Tutti i miei nemici hanno saputo della mia sventura, hanno gioito, perché tu l’hai fatto. Manda il giorno che hai decretato ed essi siano simili a me! Tau 22Giunga davanti a te tutta la loro malvagità, trattali come hai trattato me per tutti i miei peccati. Sono molti i miei gemiti e il mio cuore si consuma». =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

LAMENTAZIONI

Nel libretto delle Lamentazioni tutto ci riporta al momento desolato e buio che seguì immediatamente la distruzione di Gerusalemme e la deportazione di molti Israeliti nel 587 a.C. Non sappiamo chi scrisse le Lamentazioni, sebbene nella traduzione greca dei Settanta (verso il 200 a.C.) il libro ricevette il titolo Lamentazioni di Geremia. Ma l'attribuzione a Geremia sembra dover essere esclusa. Alcuni studiosi propongono l'ipotesi che diversi autori abbiano messo mano a questi poemi; altri invece sono inclini ad attribuire il libro ai cantori del tempio di Gerusalemme rimasti nella città santa dopo la catastrofe. Nella tradizione giudaica, questo libro biblico fa parte di un gruppo di cinque libri chiamati Megillôt (Rut, Cantico, Qoelet, Lamentazioni, Ester) usati nelle cinque feste più importanti dell'anno.

Le Lamentazioni sono lette nella festa chiamata “nove del mese di Ab”, che commemora la rovina di Gerusalemme nel 70 d.C., ma anche la precedente catastrofe del 587 a.C. I cristiani leggono questo testo durante la Settimana santa, legata alla memoria della passione e morte di Gesù.

Le Lamentazioni sono la preghiera della comunità credente di fronte alla prova della disfatta, della perdita della casa. Immaginiamo una famiglia che vede distruggere la propria abitazione; essa rimpiange le ore liete colà trascorse, rievoca le stanze in cui è vissuta, ricorda tutte le cose care. Una folla di sentimenti, ricordi, impressioni, nostalgia accendono l'immaginazione e stringono il cuore. Ebbene, il nostro libro è un canto triste e nostalgico di chi ha perduto la “casa”.

Che senso ha una tale perdita? Si può tentare una riflessione teorica sul dolore e sul suo legame con il peccato. Le Lamentazioni invece sono una composizione poetica. La forma letteraria mostra un evidente artificio: i cinque capitoli contengono ciascuno tanti versetti quante sono le lettere dell'alfabeto ebraico (cioè 22), anche se la numerazione delle nostre Bibbie e un po' diversa, perché risale solo al 1500 d.C. Inoltre, eccetto i capitoli 3 e 5, ogni versetto inizia con una lettera differente, in ordine progressivo, dell'alfabeto ebraico. L'espediente è artificioso, ma efficace: esso vuol dire che ogni poema è compreso tra l'alef e il tau (noi diremmo: tra la A e la Z). Ciò indica la sofferenze umane, dalla A alla Z, entro questi poemi.

Si è cercato di scoprire, nell'espediente dell'acrostico, un residuo di credenze nel potere magico delle lettere oppure un semplice mezzo per aiutare la memoria. Ma sappiamo che la Bibbia condanna sempre ogni forma di magia; d'altra parte, non ci pare che l'acrostico sia un vero aiuto per la memoria, semmai è un ostacolo perché esige che si ricordi un poema molto sofisticato. Penso che soltanto chi legge può apprezzare l'abilità della composizione con acrostico.

Non si tratta, dunque, né di storia né di teoria, ma di preghiera in forma poetica. Il genere letterario è quello del lamento che ritroviamo anche in altre parti della Bibbia, in particolare nei salmi.

PRIMA LAMENTAZIONE 1,1-22 La prima Lamentazione (c. 1) è un canto alfabetico, dove ogni strofa inizia progressivamente con una lettera dell'alfabeto del testo ebraico; dunque, risultano 22 strofette, ognuna costituita da tre stichi, ad eccezione della settima che è formata da 4 stichi.

  • Nella prima metà del canto (vv. 1-11), il discorso in terza persona riguarda Gerusalemme, personificata come una «signora» che «è diventata come una vedova» (v. 1);
  • nella seconda parte (vv. 12-22), ad eccezione del v. 17, la città stessa prende la parola e parla in prima persona come «vergine figlia di Giuda» (v. 15), come madre i cui «figli sono desolati» (v. 16).

Il passaggio dalla terza alla prima persona è un espediente poetico che consente di intensificare l'uso di un linguaggio personale, ricco di emotività e di lirismo, ma anche di coinvolgere più direttamente il lettore uditore – probabilmente in occasione di una lettura liturgica – inserendolo nel “noi” della città personificata, cioè del popolo di Israele. Inoltre, con il discorso in prima persona, il “fatto” – cioè la distruzione di Gerusalemme e l'esilio (587 a.C.) – diventa un “vissuto”, si trastorma in esperienza personale di angoscia e di desolazione, manifestando così tutto il suo significato; dall'evento esterno, obiettivo, narrato alla terza persona, si passa alla reazione psicologica interna, soggettiva. Nella prima parte, il poeta contempla il dolore e la sventura; nella seconda parte, egli lascia parlare la “città” sofferente e sconsolata.

1-11. Descrizione poetica, con immagini impressionanti di desolazione, della rovina di Gerusalemme. L'inizio con «Ah!» (v. 1) è tradizionale per un evento funebre (cfr. 2,1; 4,1; Ger 48,17; Is 14,4). Sion è una signora vedova, sottoposta a tributo, piangente, sola e tradita, afflitta, in lutto: «caduta in modo inatteso e ora nessuno la consola» (v. 9). «Amanti» ed «amici» (v. 2) sono i vicini Moabiti, Ammoniti ed Edomiti, alleati di Giuda che però l'hanno abbandonata, tradita. Il popolo di Giuda nel 587 a.C. è «deportato» (v. 3), andato schiavo e misero in esilio a Babilonia. A Gerusalemme, la distruzione del tempio ha fatto cessare le feste e i pellegrinaggi, cosicché sacerdoti e vergini non fanno che affliggersi (v. 4). Il poeta poi vede in questa afflizione la mano del Signore, riflettendo così la mentalità deuteronomica (cfr. Dt 28), e il trionfo dei nemici, la cui crudeltà è giunta fino al punto da condurre in schiavitù anche i bambini (v. 5). È finito e scomparso lo splendore di Sion (v. 6), che resta soltanto un ricordo del passato felice (v. 7). Ma tra i ricordi c'è il peccato («ha peccato gravemente», v. 8), che l'ha resa impura come un panno «immondo», toccato o usato da una donna durante la mestruazione (cfr. Lv 15,19-27). Dall'onore al disprezzo e al riso schernitore; da un vestito splendente alla «nudità» (v. 8), simbolo di miseria. E nessuno la «consola», cioè può cambiare la sua condizione vergognosa (v. 9). Non c'è altra via d'uscita che gridare al Signore: «Guarda» (v. 9); ma lo “sguardo” di Dio non è come quello dei nemici («guardavano e ridevano della sua rovina», v. 7). Lo “sguardo” di Dio è invocato come sguardo che salva, benevolo e misericordioso (cfr. v. 11): se Dio non «guarda», allora non c'è speranza di salvezza. La «mano» (v. 10) del nemico, simbolo della sua potenza, si è stesa violentemente su Sion, e, nel 587 a.C., i pagani babilonesi hanno profanato il tempio, derubandolo di tutte le cose più preziose (cfr. 2Re 25,13-17). Il popolo affamato è giunto a dare «gli oggetti più preziosi in cambio di cibo» (v. 11). La miseria è totale e per di più c'è il disprezzo dei conquistatori (v. 11). Finora si è detto che JHWH ha afflitto Sion (v. 5), perché essa «ha peccato gravemente» (v. 8) e «i suoi misfatti sono senza numero» (v. 5).

12-22. Ora parla Sion in prima persona. Essa interpreta il senso della rovina e del dolore incomparabile (v. 12) che l'ha colpita nel dies irae del Signore, che è sempre visto come passato (cfr. 2,1.21.22). Perché è avvenuto un disastro simile e perché tanto dolore? Occorre «considerare e osservare» (v. 12); non si tratta soltanto di una sconfitta politica, di un evento casuale. Sion, cioè la gente di Giuda, andava infatti dicendo: «Il Signore mi ha punito» (v. 12), «ha scagliato un fuoco dall'alto» e «ha teso una rete ai miei piedi» (v. 13), «mi ha fatto cadere all'indietro», mi ha annientata (= «desolata»), e colpita da una malattia inguaribile (= «affranta da languore per sempre») (v. 13).

La risposta al “perché?”, nel v. 14, è complicata dalle difficoltà poste dal TM, di ardua comprensione. Una prima affermazione: «I miei peccati pesano gravemente su di me» (v. 14a) è spiegata con l'immagine del giogo: «il loro giogo è sul mio collo» (v. 14c); la conseguenza è che «non posso rialzarmi» (v. 14f). Ma il fardello dei peccati è tenuto in mano dal Signore attraverso fili misteriosi (v. 14b), con i quali però non mi libera, lasciandomi nelle mani dei miei peccati (v. 14e), cosicché «ha fiaccato la mia forza» (v. 14d). C'è quindi una colpa che pesa su Sion ed è la causa della sua rovina; ma sia la colpa sia il male/dolore conseguente sono nelle mani di Dio.

Stabilita la sovranità di Dio sugli eventi, il poeta non teme di attribuire a Dio quanto è accaduto: il Signore «ha ripudiato» (v. 15a), «ha chiamato», «ha pigiato» (v. 15), «ha inviato» (v. 17). Il «nemico» (v. 16), cioè i Babilonesi, e «i nemici» (v. 17), cioè i popoli vicini a Israele, sono soggetti storici, ma dipendono da Dio e rientrano nei suoi piani; non sono però semplici “strumenti” di Dio che agiscono in nome di Dio. Nelle loro azioni tuttavia traspare non solo il piano degli uomini, ma anche la distorsione del piano di Dio per il rifiuto umano.

L'intero popolo di Israele è coinvolto nella rovina: non solo i sacerdoti e le vergini (1, 4), i bambini (1,5), i capi (1,6), ma anche i prodi e i giovani (1, 15), le vergini e i giovani (1, 18), i sacerdoti e gli anziani (1, 19). E l'intero «popolo» (1,7.11) che è colpito; esso è personificato in una donna, «la vergine figlia di Giuda» (1, 15), «vedova» (1,1). E «nessuno la consola» (1,2.9.16.17.21): solo Dio può salvare. Israele deve testimoniare davanti a «tutti i popoli» (v. 18), che «il Signore è giusto» (v. 18); tutti devono «osservare il dolore» (v. 18) di Sion e capire che essa si è «ribellata alla parola del Signore» (v. 18), fidando nei suoi amanti (cfr. 1,2), le potenze straniere (v. 19).

Sion ora confessa: «sono stata veramente ribelle» (v. 20). Se Dio è giusto e buono, se egli non è “estraneo” alla storia di angoscia e sconvolgimenti, di guerra e morte (v. 20), allora si può pregarlo: «Guarda, Signore» (v. 20). Se Dio «ha fatto tutto ciò» (v. 21), allora non c'è il fato, la necessità, il destino; dunque, si può invocare Dio: «Senti come sospiro» (v. 21). Dio guarda e sente! (cfr. 1,9.11). Davanti a lui sta ogni cosa: «Ti sia presente» (v. 22). La preghiera esprime la convinzione che mentre i nemici «sono felici» (v. 5) e «ridono della sua rovina» (v. 7), «ne hanno gioito» (v. 21), Dio non ha gioito. I nemici «guardavano» (v. 7), «hanno visto» (v. 8; cfr. v. 12); anzi tutti i popoli possono «osservare» (v. 18); ma la preghiera invoca lo sguardo di Dio che consola (vv. 9.11.20).

C'è un «giorno decretato» (v. 21), che non è il dies irae (cfr. v. 12), ma è il futuro salvifico atteso: «Manda il giorno». E un giorno già promesso; per questo può essere invocato. In quel giorno il Dio giusto farà giustizia; non ci sarà più il vincitore e il vinto: «essi (i nemici) siano simili a me» (v. 21). La malvagità loro (v. 22), che ora trionfa, sia trattata duramente, «come hai trattato me» (v. 22). Se è vero che Giuda ha peccato, non si può dire che i Babilonesi siano stati dei giusti giudici. Essi hanno prevalso e trionfato, ma da malvagi (1,22). Non possono quindi essere considerati strumenti del giusto giudizio di Dio. Come la rovina di Giuda mette in luce le sue «prevaricazioni» (1,22), così il fallimento dei suoi nemici metterà in chiaro «la loro malvagità». Non si tratta perciò di un desiderio di vendetta, ma della supplica al Dio giusto perché faccia valere la sua giustizia. Il poema si chiude con una nota di intensa tristezza (1, 22).

EXCURSUS Il “no” di Israele al suo Dio ha condotto il popolo alla rovina, alla solitudine. Israele infatti è stato tradito da tutti i suoi “amanti”, gli stati vicini, con i quali sperava di attuare una politica di alleanze. Il giudizio di Dio è manifestato dalla conquista distruttiva dei Babilonesi. È un giudizio di condanna della condotta di Israele, ma in pari tempo lascia trasparire l'idea che solo Dio potrà “consolare” e quindi salvare il suo popolo, a condizione che esso si converta. Il “castigo” non è un atto vendicativo di Dio, ma è solo il “volto” che l'uomo peccatore percepisce in relazione ai propri peccati. L'appello alla misericordia di Dio continua a risuonare in questo poema, perché la fedeltà di Dio non può venire meno. La bontà divina si scontra con il peccato umano e allora il conflitto tra la volontà buona di Dio e il male è percepito e tradotto, in termini umani, nelle categorie del “castigo” o dell''ira”. Ciò non significa tuttavia che Dio sia all'origine del male che colpisce l'uomo.

(cf. ANTONIO BONORA, Lamentazioni – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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APPENDICE

Gerusalemme è distrutta 1Quando divenne re, Sedecìa aveva ventun’anni; regnò undici anni a Gerusalemme. Sua madre era di Libna e si chiamava Camutàl, figlia di Geremia. 2Fece ciò che è male agli occhi del Signore, come aveva fatto Ioiakìm. 3Ma, a causa dell’ira del Signore, a Gerusalemme e in Giuda le cose arrivarono a tal punto che il Signore li scacciò dalla sua presenza. Sedecìa si ribellò al re di Babilonia. 4Nell’anno nono del suo regno, nel decimo mese, il dieci del mese, Nabucodònosor, re di Babilonia, con tutto il suo esercito arrivò a Gerusalemme. Si accamparono contro di essa e vi costruirono intorno opere d’assedio. 5La città rimase assediata fino all’undicesimo anno del re Sedecìa. 6Al quarto mese, il nove del mese, quando la fame dominava nella città e non c’era più pane per il popolo della terra, 7fu aperta una breccia nella città. Allora tutti i soldati fuggirono, uscendo dalla città di notte per la via della porta fra le due mura, presso il giardino del re e, mentre i Caldei erano intorno alla città, presero la via dell’Araba. 8I soldati dei Caldei inseguirono il re e raggiunsero Sedecìa nelle steppe di Gerico, mentre tutto il suo esercito si diresse lontano da lui. 9Presero il re e lo condussero a Ribla, nel paese di Camat, presso il re di Babilonia, che pronunciò la sentenza su di lui. 10Il re di Babilonia fece ammazzare i figli di Sedecìa sotto i suoi occhi e fece ammazzare anche tutti i capi di Giuda a Ribla. 11Poi cavò gli occhi a Sedecìa, lo fece mettere in catene e lo condusse a Babilonia, dove lo tenne in carcere fino alla sua morte. 12Il decimo giorno del quinto mese – era l’anno diciannovesimo del re Nabucodònosor, re di Babilonia – Nabuzaradàn, capo delle guardie, che prestava servizio alla presenza del re di Babilonia, entrò a Gerusalemme. 13Egli incendiò il tempio del Signore e la reggia e tutte le case di Gerusalemme; diede alle fiamme anche tutte le case dei nobili. 14Tutto l’esercito dei Caldei, che era con il capo delle guardie, demolì tutte le mura intorno a Gerusalemme. 15Nabuzaradàn, capo delle guardie, deportò il resto del popolo rimasto in città, i disertori che erano passati al re di Babilonia e quanti erano rimasti degli artigiani. 16Nabuzaradàn, capo delle guardie, lasciò parte dei poveri della terra come vignaioli e come agricoltori. 17I Caldei fecero a pezzi le colonne di bronzo che erano nel tempio del Signore, i carrelli e il Mare di bronzo che erano nel tempio del Signore e ne portarono tutto il bronzo a Babilonia. 18Essi presero anche i recipienti, le palette, i coltelli, i vasi per l’aspersione, le coppe e tutti gli oggetti di bronzo che servivano al culto. 19Il capo delle guardie prese anche i bicchieri, i bracieri, i vasi per l’aspersione, i recipienti, i candelabri, le coppe e i calici, quanto era d’oro e d’argento. 20Quanto alle due colonne, all’unico Mare, ai dodici buoi di bronzo che erano sotto di esso e ai carrelli, che aveva fatto il re Salomone per il tempio del Signore, non si poteva calcolare quale fosse il peso del bronzo di tutti questi oggetti. 21Delle colonne poi l’una era alta diciotto cubiti e ci voleva un filo di dodici cubiti per misurarne la circonferenza; il suo spessore era di quattro dita, essendo vuota nell’interno. 22Su di essa c’era un capitello di bronzo e l’altezza di un capitello era di cinque cubiti; tutto intorno al capitello c’erano un reticolo e melagrane, e il tutto era di bronzo. Così pure era l’altra colonna. 23Le melagrane erano novantasei; tutte le melagrane intorno al reticolo ammontavano a cento. 24Il capo delle guardie fece prigioniero Seraià, sacerdote capo, e Sofonia, sacerdote del secondo ordine, insieme ai tre custodi della soglia. 25Dalla città egli fece prigionieri un cortigiano, che era a capo dei soldati, sette uomini fra gli intimi del re, i quali furono trovati nella città, lo scriba del comandante dell’esercito, che arruolava il popolo della terra, e sessanta uomini del popolo della terra, trovati nella città. 26Nabuzaradàn, capo delle guardie, li prese e li condusse al re di Babilonia, a Ribla. 27Il re di Babilonia li colpì e li fece morire a Ribla, nel paese di Camat. Così fu deportato Giuda dalla sua terra. 28Questa è la gente che Nabucodònosor deportò: nell’anno settimo del suo regno tremilaventitré Giudei; 29nell’anno diciottesimo di Nabucodònosor furono deportati da Gerusalemme ottocentotrentadue persone; 30nell’anno ventitreesimo di Nabucodònosor, Nabuzaradàn, capo delle guardie, deportò settecentoquarantacinque Giudei. In tutto furono deportate quattromilaseicento persone.

Ioiachin riabilitato 31Ora, nell’anno trentasettesimo della deportazione di Ioiachìn, re di Giuda, nel dodicesimo mese, il venticinque del mese, Evil-Merodàc, re di Babilonia, nell’anno in cui divenne re, fece grazia a Ioiachìn, re di Giuda, e lo liberò dalla prigione. 32Gli parlò con benevolenza e pose il suo trono al di sopra del trono dei re che si trovavano con lui a Babilonia. 33Gli cambiò le vesti da prigioniero e Ioiachìn prese sempre cibo alla presenza di lui per tutti i giorni della sua vita. 34Dal re di Babilonia gli venne fornito il sostentamento abituale ogni giorno, fino a quando morì, per tutto il tempo della sua vita.

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Approfondimenti

APPENDICE Appendice storica che riesprime in forma di compendio le vicende che condussero alla distruzione di Gerusalemme, che evidentemente è considerata il punto di gravitazione di tutte le profezie geremiane. Così, ripresa a conclusione del libro, l'amara vicenda della città e del regno serve a mostrare la veridicità della missione del profeta e la forza irresistibile del giudizio divino contro chi si ostina nel peccato.

Gerusalemme è distrutta 52,1-30 Il contenuto corrisponde, con qualche aggiunta, a quanto raccontato in 2Re 24,18-25,30. Anche lo stile narrativo è uguale. Se non si tratta di una rielaborazione di tale testo, bisogna dire che la fonte è la medesima. Il brano quindi non rientra nel materiale proprio dei racconti su Geremia, il quale in effetti in queste pagine non viene nominato. Da notare che le date (cfr. vv. 4ss.) sono fornite accuratamente ma, nonostante l'evento si sia impresso sicuramente nella memoria, c'è qualche discordanza con la recensione di 2Re. Il decimo mese (dicembre 589) inizia l'assedio che si protrae fino al luglio del 587 quando la città è data alle fiamme da Nabuzaradan e buona parte del popolo deportata. La descrizione dello smantellamento degli oggetti più vistosi del tempio non è senza problemi. I buoi di bronzo, secondo 2Re 16,17, erano già stati alienati da Acaz più di un secolo prima e il rifacimento non sembra verosimile, tenuto conto del costo e delle condizioni economiche del regno. Le notizie circa il numero dei Giudei deportati (vv. 28ss.) in varie riprese (anni 597, 587, 582) non hanno riscontro nei testi paralleli di 2Re. Potrebbero derivare da documenti d'archivio babilonesi, dato che il testo segue la cronologia babilonese e si esprime con la secchezza burocratica della cancelleria regia. Il numero esiguo dei deportati del 587 può forse spiegarsi con il fatto che qui si parla solo di maschi adulti e probabilmente soltanto degli abitanti di Gerusalemme. Per le deportazioni del 598, 2Re fornisce cifre sensibilmente superiori.

Ioiachin riabilitato 52,31-34 Il libro si chiude con una luce di speranza: Ioiachin viene graziato ed ammesso alla vita di corte e ciò è visto come preludio al rientro dei deportati in patria.

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1Così dice il Signore: «Ecco, susciterò contro Babilonia e contro gli abitanti della Caldea un vento distruttore; 2io invierò in Babilonia quelli che la vaglieranno come pula e devasteranno la sua regione, poiché le piomberanno addosso da tutte le parti nel giorno della tribolazione. 3Non deponga l’arciere l’arco e non si spogli della corazza. Non risparmiate i suoi giovani, sterminate tutto il suo esercito». 4Cadano trafitti nel paese dei Caldei e feriti nelle sue piazze, 5bperché la loro terra è piena di delitti davanti al Santo d’Israele. 5aMa Israele e Giuda non sono vedove del loro Dio, il Signore degli eserciti. 6Fuggite da Babilonia, ognuno salvi la sua vita; non vogliate perire per la sua iniquità, poiché questo è il tempo della vendetta del Signore: egli la ripaga per quanto ha meritato. 7Babilonia era una coppa d’oro in mano al Signore, con la quale egli inebriava tutta la terra; del suo vino hanno bevuto le nazioni e sono divenute pazze. 8All’improvviso Babilonia è caduta, è stata infranta; alzate lamenti su di essa, prendete balsamo per la sua ferita, forse potrà essere guarita. 9«Abbiamo curato Babilonia, ma non è guarita. Lasciatela e andiamo ciascuno al proprio paese; poiché la sua punizione giunge fino al cielo e si alza fino alle nubi. 10Il Signore ha fatto trionfare la nostra giusta causa, venite, raccontiamo in Sion l’opera del Signore, nostro Dio». 11Aguzzate le frecce, riempite le faretre! Il Signore suscita lo spirito del re di Media, perché il suo piano riguardo a Babilonia è di distruggerla; perché questa è la vendetta del Signore, la vendetta per il suo tempio. 12Alzate un vessillo contro il muro di Babilonia, rafforzate la guardia, collocate sentinelle, preparate gli agguati, poiché il Signore si era proposto un piano e ormai compie quanto aveva detto contro gli abitanti di Babilonia. 13Tu che abiti lungo acque abbondanti, ricca di tesori, è giunta la tua fine, il momento di essere recisa. 14Il Signore degli eserciti lo ha giurato per se stesso: «Ti ho gremito di uomini come cavallette, che intoneranno su di te il canto di vittoria». 15Il Signore ha formato la terra con la sua potenza, ha fissato il mondo con la sua sapienza, con la sua intelligenza ha dispiegato i cieli. 16Al rombo della sua voce rumoreggiano le acque nel cielo. Fa salire le nubi dall’estremità della terra, produce le folgori per la pioggia, dalle sue riserve libera il vento. 17Resta inebetito ogni uomo, senza comprendere; resta confuso ogni orafo per i suoi idoli, poiché è menzogna ciò che ha fuso e non ha soffio vitale. 18Sono oggetti inutili, opere ridicole; al tempo del loro castigo periranno. 19Non è così l’eredità di Giacobbe, perché egli ha formato ogni cosa. Israele è la tribù della sua eredità, Signore degli eserciti è il suo nome. 20«Un martello sei stata per me, uno strumento di guerra; con te martellavo le nazioni, con te annientavo i regni, 21con te martellavo cavallo e cavaliere, con te martellavo carro e cocchiere, 22con te martellavo uomo e donna, con te martellavo vecchio e ragazzo, con te martellavo giovane e fanciulla, 23con te martellavo pastore e gregge, con te martellavo l’aratore e il suo paio di buoi, con te martellavo prìncipi e governatori. 24Ma ora ripagherò Babilonia e tutti gli abitanti della Caldea di tutto il male che hanno fatto a Sion, sotto i vostri occhi. Oracolo del Signore. 25Eccomi a te, monte della distruzione, che distruggi tutta la terra. Oracolo del Signore. Stenderò la mano contro di te, ti rotolerò giù dalle rocce e farò di te una montagna bruciata; 26da te non si prenderà più né pietra d’angolo né pietra da fondamenta, perché diventerai un luogo desolato per sempre». Oracolo del Signore. 27Alzate un vessillo nel paese, suonate il corno fra le nazioni, convocandole per la guerra contro di lei; reclutate contro di lei i regni di Araràt, di Minnì e di Aschenàz. Nominate contro di lei un comandante, fate avanzare i cavalli come cavallette spinose. 28Preparate alla guerra contro di lei le nazioni, il re della Media, i suoi prìncipi, tutti i suoi governatori e tutta la terra del suo dominio. 29Trema la terra e freme, perché si avverano contro Babilonia i progetti del Signore di ridurre la terra di Babilonia in luogo desolato, senza abitanti. 30Hanno cessato di combattere i prodi di Babilonia, si sono ritirati nelle fortezze; il loro valore è venuto meno, sono diventati come donne. Sono stati incendiati i suoi edifici, sono spezzate le sue sbarre. 31Corriere rincorre corriere, messaggero rincorre messaggero, per annunciare al re di Babilonia che la sua città è presa da ogni parte. 32I guadi sono occupati, le fortezze bruciano, i guerrieri sono sconvolti dal terrore. 33Poiché dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: «La figlia di Babilonia è come un’aia al tempo in cui viene spianata; ancora un poco e verrà per essa il tempo della mietitura». 34«Mi ha divorata, mi ha consumata Nabucodònosor re di Babilonia, mi ha ridotta come un vaso vuoto, mi ha inghiottita come fa il drago, ha riempito il suo ventre, dai miei luoghi deliziosi mi ha scacciata». 35«Il mio strazio e la mia sventura ricadano su Babilonia!», dice la popolazione di Sion. «Il mio sangue sugli abitanti della Caldea!», dice Gerusalemme. 36Perciò così dice il Signore: «Ecco, io difendo la tua causa, compio la tua vendetta; prosciugherò il suo mare, disseccherò le sue sorgenti. 37Babilonia diventerà un cumulo di rovine, un rifugio di sciacalli, un oggetto di stupore e di scherno, senza più abitanti. 38Essi ruggiscono insieme come leoncelli, ringhiano come cuccioli di una leonessa. 39Con veleno preparerò loro una bevanda, li inebrierò perché si stordiscano. Si addormenteranno in un sonno perenne e non si svegliaranno mai più. Oracolo del Signore. 40Li farò scendere al macello come agnelli, come montoni insieme con i capri». 41Come è stata presa e occupata Sesac, l’orgoglio di tutta la terra? Come è diventata un orrore Babilonia fra le nazioni? 42Il mare dilaga su Babilonia, essa è stata sommersa dalla massa delle onde. 43Sono diventate una desolazione le sue città, una terra riarsa, una steppa. Nessuno abita più in esse non vi passa più nessun essere umano. 44«Io punirò Bel a Babilonia, gli estrarrò dalla gola quanto ha inghiottito. Non andranno più a lui le nazioni. Persino le mura di Babilonia sono crollate. 45Esci fuori, popolo mio, ognuno salvi la sua vita dall’ira ardente del Signore. 46Non si avvilisca il vostro cuore e non temete per la notizia diffusa nel paese; un anno giunge una notizia e l’anno dopo un’altra. La violenza è nel paese, un tiranno contro un tiranno. 47Per questo ecco, verranno giorni nei quali punirò gli idoli di Babilonia. Allora tutto il suo paese sentirà vergogna e tutti i suoi cadaveri cadranno in mezzo ad essa. 48Esulteranno su Babilonia cielo e terra e quanto contengono, perché da settentrione verranno contro di essa i devastatori. Oracolo del Signore. 49Anche Babilonia deve cadere per gli uccisi d’Israele, come per Babilonia caddero gli uccisi di tutta la terra. 50Voi scampati dalla spada partite, non fermatevi; da lontano ricordatevi del Signore e vi torni in mente Gerusalemme. 51“Sentiamo vergogna perché abbiamo udito l’insulto; la confusione ha coperto i nostri volti, perché stranieri sono entrati nel santuario del tempio del Signore”. 52Perciò ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali punirò i suoi idoli e in tutta la sua regione gemeranno i feriti. 53Anche se Babilonia si innalzasse fino al cielo, anche se rendesse inaccessibile la sua cittadella potente, verranno da parte mia devastatori contro di essa». Oracolo del Signore. 54Udite! Un grido da Babilonia, una rovina immensa dalla terra dei Caldei. 55È il Signore che devasta Babilonia e fa tacere il suo grande rumore. Mugghiano le sue onde come acque possenti, risuona il frastuono della sua voce, 56perché piomba su Babilonia il devastatore, sono catturati i suoi prodi, si sono infranti i loro archi. Il Signore è il Dio delle giuste ricompense, egli rende ciò che è dovuto. 57«Io ubriacherò i suoi capi e i suoi saggi, i suoi prìncipi, i suoi governatori e i suoi guerrieri. Si addormenteranno in un sonno perenne e non si sveglieranno mai più». Oracolo del re, il cui nome è Signore degli eserciti. 58Così dice il Signore degli eserciti: «Le larghe mura di Babilonia saranno rase al suolo, le sue alte porte saranno date alle fiamme. Si affannano dunque invano i popoli, le nazioni si affaticano per il fuoco». 59Ordine che il profeta Geremia diede a Seraià, figlio di Neria, figlio di Macsia, quando egli andò con Sedecìa, re di Giuda, a Babilonia nell’anno quarto del suo regno. Seraià era capo degli alloggiamenti. 60Geremia scrisse su un rotolo tutte le sventure che dovevano piombare su Babilonia. Tutte queste cose sono state scritte contro Babilonia. 61Geremia quindi disse a Seraià: «Quando giungerai a Babilonia, avrai cura di leggere in pubblico tutte queste parole 62e dirai: “Signore, tu hai dichiarato di distruggere questo luogo, perché non ci sia più chi lo abiti, né uomo né animale, ma sia piuttosto una desolazione per sempre”. 63Ora, quando avrai finito di leggere questo rotolo, vi legherai una pietra e lo getterai in mezzo all’Eufrate 64dicendo: “Così affonderà Babilonia e non risorgerà più dalla sventura che io le farò piombare addosso”». Fin qui le parole di Geremia.

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Approfondimenti

Contro Babilonia 50,1-51,64

51,1-9. All'annuncio della distruzione che incombe su Babilonia e sui Caldei, con l'invito a proseguire nell'opera di sterminio, si alternano in questo brano pensieri di commiserazione (v. 6) ed esortazioni a curarne le ferite (v. 8), pur constatando l'inguaribilità della situazione per i troppi peccati (v. 9).

10-19. A parte il v. 10, fuori contesto, si riprende il tema dell'assalto finale alla città: l'ha deciso il Creatore dell'universo (v. 15-16). Evidenti le reminescenze di composizioni precedenti (cfr. 10,12-16) e salmiche (cfr. Sal 135,7). Il riferimento al re (v. 11) può essere un'aggiunta di precisazione, ma è certo che sotto Ciro, re della Media e della Persia, le tribù mede hanno contribuito in maniera determinante alla conquista dell'impero babilonese. In ogni caso, tutto avviene perché Dio chiama e investe (v. 11).

20-26. Una composizione fortemente ritmata, veramente martellante: Dio si è servito di Babilonia come di un martello (vv. 20-23); ora è la volta di Babilonia di essere martellata fino all'ultima pietra (vv. 24-26).

27-33. Ancora una descrizione della presa e distruzione di Babilonia in due tempi: preparativi dell'attacco; risultato di esso. Sono chiamati in causa i popoli dell'Asia Minore, probabilmente dell'Armenia (Ararat, Aschenaz, Minni) per condurre a termine l'opera di demolizione con i Medi.

34-40. Nello stile dei salmi imprecatori, Dio stesso qui si assume l'incarico di attuare la distruzione e lo fa con durezza. Il procedimento di trasferire in Dio i propri sentimenti consente una presentazione più espressiva del suo coinvolgimento nella sorte del suo popolo, della cura che ha per esso e della futura liberazione come dono della sua fedeltà all'alleanza. Si inizia con una descrizione dello scempio fatto da Nabucodonosor e dal suo esercito a Gerusalemme (v. 34), segue l'assicurazione della rivalsa che il «sangue» (v. 35) chiede a gran voce: un dialogo vivace tra Dio e la sua città a spese di Babilonia.

41-45. Quasi con stupore il profeta constata quanto dura è stata la sorte della città: una terribile mareggiata (v. 42) l'ha sommersa. Babilonia (Sesac sembra essere crittogramma per Babel: cfr. 25,26) è scomparsa.

46-58. L'accumulo di oracoli contro Babilonia, in confronto ai pochi per le altre nazioni, testimonia l'enorme risonanza che la caduta ha destato in tutti, ma anche la carica di rancore che la città aveva saputo suscitare.

59-64. Azione simbolica che Geremia compie, stando all'annotazione cronologica (v. 59), nel 593, in occasione di un viaggio di Sedecia in Babilonia con alti funzionari, probabilmente in qualità di vassallo per rassicurare circa la sua lealtà. Il brano è posto a conclusione degli oracoli contro le nazioni a dimostrazione che il profeta ha previsto la rovina di Babilonia e l'ha resa ineluttabile con il gesto compiuto.

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Contro Babilonia 1Parola che il Signore pronunciò contro Babilonia, contro la terra dei Caldei, per mezzo del profeta Geremia. 2«Proclamatelo fra i popoli e fatelo sapere, non nascondetelo, dite: “Babilonia è presa, Bel è coperto di confusione, è infranto Marduc, sono svergognati i suoi idoli, sono infranti i suoi feticci”. 3Poiché dal settentrione sale contro di essa un popolo che ridurrà la sua terra a un deserto: non vi abiterà più nessuno. Uomini e animali fuggono, se ne vanno. 4In quei giorni e in quel tempo – oracolo del Signore – verranno i figli d’Israele insieme con i figli di Giuda; cammineranno piangendo e cercheranno il Signore, loro Dio. 5Domanderanno di Sion, verso cui sono fissi i loro volti: “Venite, uniamoci al Signore con un’alleanza eterna, che non sia mai dimenticata”. 6Gregge di pecore sperdute era il mio popolo, i loro pastori le avevano sviate, le avevano fatte smarrire per i monti; esse andavano di monte in colle, avevano dimenticato il loro ovile. 7Quanti le trovavano, le divoravano, e i loro nemici dicevano: “Non ne siamo colpevoli, perché essi hanno peccato contro il Signore, sede di giustizia e speranza dei loro padri”. 8Fuggite da Babilonia, dalla regione dei Caldei, uscite e siate come capri in testa al gregge. 9Poiché ecco, io suscito e mando contro Babilonia una massa di grandi nazioni dalla terra del settentrione; le si schiereranno contro, ed essa sarà presa. Le loro frecce sono come quelle di un abile arciere, nessuna ritorna a vuoto. 10La Caldea diventerà preda di saccheggiatori, tutti se ne sazieranno». Oracolo del Signore. 11Gioite pure e tripudiate, predatori della mia eredità! Saltate pure come giovenchi su un prato e nitrite come stalloni! 12Vostra madre è piena di confusione, è coperta di vergogna colei che vi ha partorito. Ecco, è l’ultima delle nazioni, un deserto, un luogo riarso e una steppa. 13A causa dell’ira del Signore non sarà più abitata, sarà tutta una desolazione. Chiunque passerà vicino a Babilonia rimarrà stupito e fischierà di scherno davanti a tutte le sue piaghe. 14Disponetevi intorno a Babilonia, voi tutti che tendete l’arco; tirate senza risparmiare le frecce, perché ha peccato contro il Signore. 15Da ogni parte alzate il grido di guerra contro di lei. Essa tende la mano, crollano le sue torri, rovinano le sue mura: questa è la vendetta del Signore. Vendicatevi di lei, trattatela come essa ha trattato gli altri! 16Sterminate in Babilonia chi semina e chi impugna la falce per mietere. Di fronte alla spada micidiale ciascuno ritorni al suo popolo e ciascuno fugga verso la sua terra. 17Una pecora smarrita è Israele, i leoni le hanno dato la caccia; per primo l’ha divorata il re d’Assiria, poi Nabucodònosor, re di Babilonia, ne ha stritolato le ossa. 18Perciò, dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: «Ecco, io punirò il re di Babilonia e la sua terra, come già ho punito il re d’Assiria, 19e ricondurrò Israele nel suo pascolo. Pascolerà sul Carmelo e sul Basan; sulle montagne di Èfraim e di Gàlaad si sazierà. 20In quei giorni e in quel tempo – oracolo del Signore – si cercherà l’iniquità d’Israele, ma essa non sarà più; si cercheranno i peccati di Giuda, ma non si troveranno, perché io perdonerò al resto che lascerò. 21Avanza nella terra di Meratàim, avanza contro di essa e contro gli abitanti di Pekod. Devasta, annientali – oracolo del Signore –, fa’ quanto ti ho comandato!». 22Rumore di guerra nella regione, e grande disastro. 23Come è stato rotto e fatto in pezzi il martello di tutta la terra? Come è diventata un orrore Babilonia fra le nazioni? 24Ti ho teso un laccio e sei stata catturata, Babilonia, senza avvedertene. Sei stata sorpresa e afferrata, perché hai fatto guerra al Signore. 25Il Signore ha aperto il suo arsenale e ne ha tratto le armi del suo sdegno, perché il Signore, Dio degli eserciti, ha un’opera da compiere nella terra dei Caldei. 26Venite dall’estremo limite della terra, aprite i suoi granai; fatene dei mucchi come covoni, sterminatela, non ne rimanga neppure un resto. 27Uccidete tutti i suoi tori, scendano al macello. Guai a loro, perché è giunto il loro giorno, il tempo del loro castigo! 28Voce di profughi e di scampati dalla terra di Babilonia, per annunciare in Sion la vendetta del Signore, nostro Dio, la vendetta per il suo tempio. 29Convocate contro Babilonia gli arcieri, quanti tendono l’arco. Accampatevi intorno ad essa: nessuno scampi. Ripagatela secondo le sue opere, fate a lei quanto essa ha fatto, perché è stata arrogante con il Signore, con il Santo d’Israele. 30«Perciò cadranno i suoi giovani nelle sue piazze e tutti i suoi guerrieri periranno in quel giorno. Oracolo del Signore. 31Eccomi a te, o arrogante – oracolo del Signore degli eserciti –, poiché è giunto il tuo giorno, il tempo del tuo castigo. 32Vacillerà l’arrogante e cadrà, nessuno la rialzerà. Io darò alle fiamme le sue città, esse divoreranno tutti i suoi dintorni». 33Così dice il Signore degli eserciti: «Sono oppressi insieme i figli d’Israele e i figli di Giuda; tutti quelli che li hanno deportati li trattengono e rifiutano di lasciarli andare. 34Ma il loro vendicatore è forte, Signore degli eserciti è il suo nome. Egli sosterrà efficacemente la loro causa, renderà tranquilla la terra e sconvolgerà gli abitanti di Babilonia. 35Spada sui Caldei – oracolo del Signore – e sugli abitanti di Babilonia, sui suoi capi e sui suoi sapienti! 36Spada sui suoi indovini: che impazziscano! Spada sui suoi prodi: che atterriscano! 37Spada sui suoi cavalli e sui suoi carri, su tutta la gentaglia che è in essa: diventino come donnicciole! Spada sui suoi tesori: siano saccheggiati! 38Spada sulle sue acque: si prosciughino! Perché essa è una terra di idoli; vanno pazzi per questi spauracchi. 39Perciò l’abiteranno animali selvatici e sciacalli, vi si stabiliranno gli struzzi; non sarà mai più abitata né popolata di generazione in generazione. 40Come quando Dio sconvolse Sòdoma, Gomorra e le città vicine – oracolo del Signore –, non vi abiterà alcuna persona né vi dimorerà essere umano. 41Ecco, un popolo viene dal settentrione, una grande nazione, e molti re si muovono dalle estremità della terra. 42Impugnano archi e lance; sono crudeli, senza pietà. Il loro clamore è quello di un mare agitato e montano cavalli, pronti come un sol uomo alla battaglia contro di te, figlia di Babilonia. 43Appena il re di Babilonia ne ha udito la fama, gli sono cadute le braccia; si è impadronita di lui l’angoscia, come gli spasimi di partoriente. 44Ecco, come un leone sale dalla boscaglia del Giordano verso i prati sempre verdi, così in un baleno io li scaccerò di là e porrò su di esso il mio eletto. Perché chi è come me? Chi può citarmi in giudizio? Chi è dunque il pastore che può resistere davanti a me?» 45Per questo ascoltate il progetto che il Signore ha fatto contro Babilonia e le decisioni che ha preso contro il paese dei Caldei. Certo, trascineranno via anche i più piccoli del gregge e sarà desolato il loro pascolo. 46Per il fragore della presa di Babilonia si scuoterà la terra, ne risuonerà l’eco fra le nazioni.

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Approfondimenti

Contro Babilonia 50,1-51,64 La raccolta di oracoli contro le nazioni si chiude con una serie di vaticini contro Babilonia: scagliati con forza, e se ne capisce la ragione. Nonostante che Geremia abbia sempre appoggiato la sottomissione ai Caldei e ne sia stato ricompensato, lo scempio da essi perpetrato contro il popolo e la terra non poteva non gridare vendetta. Per cui si comprende come avrebbe potuto reagire alla previsione di una rovina umiliante del popolo nemico. Tuttavia, negli oracoli dei cc. 50-51 l'atmosfera che fa da sfondo non è tanto quella di un preannuncio di rovina a scadenza non precisata, quanto piuttosto l'attesa ansiosa di una catastrofe imminente. Per intenderci, è la tensione fremente verso una liberazione considerata ormai vicina, la stessa che troviamo nel Deuteroisaia, quella che caratterizzò la situazione mediorientale nella seconda metà del VI sec. a.C. al diffondersi delle notizie sulle vittorie di Ciro. E allora probabile che a un profeta di tale epoca e non a Geremia vadano assegnati i componimenti di questi capitoli, in poesia e in prosa. Composizioni, peraltro, talvolta molto vivaci e incisive, non indegne del profeta di Anatot, talaltra fiacche e maldestre. A parte l'alternarsi di brani poetici e in prosa (che normalmente riguardano la sorte di Israele), la presentazione del castigo di Babilonia procede, si direbbe, per accostamenti successivi: dalla descrizione dello sgomento al giungere della notizia, all'ordine dell'attacco finale, all'incalzante enumerazione della rovina che la spada sta portando avanti settore per settore.

50,2-3. Gli oracoli in poesia e i brani in prosa dei cc. 50-51 sono racchiusi nella cornice di 50,2-3 e 51,54-58, in cui si proclama la distruzione della grande nemica Babilonia. Questi brani riflettono la sconfitta di Babilonia a opera di Ciro, avvenuta nel 539 a.C. (sebbene alcuni esegeti ritengano che essi l'anticipino). Il linguaggio dei due brani è convenzionale e influenzato da altri passi del testo di Geremia; perciò non vanno letti necessariamente come una descrizione puntuale degli avvenimenti, ma come una celebrazione della disfatta di Babilonia. Qui emerge soprattutto la spinta emozionale e non tanto la precisione storica.

4-7. Oracolo in prosa che promette come imminente il ritorno degli Israeliti in Palestina, con accenti che sembrano ispirati dai vaticini classici (cfr. soprattutto Os 3,5; Ger 23,31; Ez 34). S'intrecciano in esso i temi: della ricerca di Dio (v. 4; cfr. Os; Am) dopo la conversione (pianto); di Sion punto di riferimento (v. 5; cfr. Is 2,3) e di aspirazione; dell'alleanza definitiva (v. 5), «eterna», che richiama evidentemente l'alleanza nuova di 31,31, scritta nel cuore e quindi non dimenticabile; dei «pastori» (vv. 6-7) cui si rimprovera la negligenza e l'aver allontanato dal Signore le pecore conducendole alla rovina.

8-20. Il brano ha due parti, in poesia (vv. 8-17) e in prosa (vv. 18-20). In poesia è una viva e partecipe descrizione della rovina della grande città cosmopolita (cfr. v. 16) che l'autore osserva, con feroce compiacimento (v. 11), cadere a brandelli (v. 15) e finalmente ridursi a un deserto (v. 12). È la giusta punizione per chi ha fatto tanto male a Israele. Per questo – ed è la parte in prosa – c'è una promessa di ritorno: anzitutto, nella terra di cui si menzionano le regioni tradizionalmente considerate più fertili che la lontananza fa sognare anche più feraci; poi, nell'amicizia di Dio, che fa dono del ritorno dall'esilio e del perdono dei peccati.

21-32. Comando agli eserciti nemici di passare all'attacco. Il ritmo è incalzante, con versi talvolta (cfr. 21c) di rude onomatopea che gioca sul timbro aspro di gutturali e dentali. È in azione la macchina da guerra che Dio stesso, guerriero, conduce (cfr. v. 25), estraendo le sue armi più micidiali per distruggere. È il Santo di Israele e non può tollerare l'alterigia dell'uomo che osa farsi simile a Dio.

33-34. In prosa si riafferma l'attenzione del Signore per il suo popolo deportato. Il richiamo letterario sembra essere al soggiorno forzato in Egitto allorché il faraone rifiutava di lasciar partire Israele. La liberazione è contenuta implicitamente nella promessa di sostenere la causa del popolo di Israele (v. 34) in una specie di dibattimento giudiziario (cfr. in v. 34b il gioco sulla radice ryb «sostenere la causa») in cui JHWH assume il ruolo come di un avvocato, ebr. gō'ēl «vendicatore», che era propriamente il tutore dei diritti familiari nella società ebraica del tempo.

35-40. La spada di JHWH è in azione: nulla le sfugge. Dai capi al popolino, dagli indovini agli idoli spaventapasseri, dai tesori alle acque, tutto è guastato. Il risultato è una landa deserta (vv. 39-40), ricettacolo di animali selvatici.

41-46. In prosa, minaccia contro Babilonia, con allusione al nemico del nord che più volte (cfr. 4,5ss.) è stato preannunciato contro Israele. La descrizione di esso (v. 42) è stereotipa; perciò non si riferisce a un nemico concreto. In realtà, i Persiani furono un popolo estremamente umanitario per l'antichità e anche nei confronti dei Babilonesi si comportarono con moderazione.

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Contro Ammon, Edom, Damasco, gli Arabi ed Elam 1Sugli Ammoniti. Così dice il Signore: «Israele non ha forse figli, non ha forse un erede? Perché Milcom ha ereditato la terra di Gad e il suo popolo ne ha occupato le città? 2Perciò ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali io farò udire fragore di guerra a Rabbà degli Ammoniti; essa diventerà un cumulo di rovine, i suoi villaggi saranno consumati dal fuoco, Israele spoglierà i suoi spogliatori, dice il Signore. 3Urla, Chesbon, arriva il devastatore; gridate, villaggi di Rabbà, cingetevi di sacco, innalzate lamenti e andate raminghi con tagli sulla pelle, perché Milcom andrà in esilio, con i suoi sacerdoti e i suoi capi. 4Perché ti vanti delle tue valli, figlia ribelle? Confidi nei tuoi tesori ed esclami: “Chi verrà contro di me?”. 5Ecco, io manderò su di te il terrore – oracolo del Signore, Dio degli eserciti – da tutti i dintorni. Voi sarete scacciati, ognuno per la sua via, e non vi sarà nessuno che raduni i fuggiaschi. 6Ma dopo cambierò la sorte degli Ammoniti». Oracolo del Signore. 7Su Edom. Così dice il Signore degli eserciti: «Non c’è più sapienza in Teman? È scomparso il consiglio dei saggi? È svanita la loro sapienza? 8Fuggite, voltatevi, nascondetevi in un luogo segreto, abitanti di Dedan, poiché io mando su Esaù la sua rovina, il tempo del suo castigo. 9Se vendemmiatori venissero da te, ti lascerebbero appena qualche grappolo. Se ladri notturni venissero da te, saccheggerebbero quanto basta loro. 10Perché io intendo spogliare Esaù, rivelo i suoi nascondigli ed egli non ha dove nascondersi. La sua stirpe, i suoi fratelli, i suoi vicini sono distrutti ed egli non è più. 11Lascia i tuoi orfani, io li farò vivere, le tue vedove confidino in me! 12Poiché così dice il Signore: Ecco, coloro che non erano obbligati a bere il calice lo devono bere e tu pretendi di rimanere impunito? Non resterai impunito, ma dovrai berlo, 13poiché io ho giurato per me stesso – oracolo del Signore – che Bosra diventerà un orrore, un obbrobrio, un deserto, una maledizione, e tutte le sue città saranno ridotte a rovine perenni». 14Ho udito un messaggio da parte del Signore, un messaggero è stato inviato fra le nazioni: «Adunatevi e marciate contro di lui! Alzatevi per la battaglia». 15«Poiché ecco, ti faccio piccolo fra le nazioni e spregevole fra gli uomini. 16Ti ha indotto in errore la tua arroganza, la superbia del tuo cuore; tu che abiti nelle caverne delle rocce, che ti aggrappi alle cime dei colli, anche se, come l’aquila, ponessi in alto il tuo nido, di lassù ti farò precipitare. Oracolo del Signore. 17Edom sarà una desolazione; quanti vi passeranno vicino resteranno sbigottiti e fischieranno di scherno davanti a tutte le sue ferite. 18Come nello sconvolgimento di Sòdoma e Gomorra e delle città vicine – dice il Signore –, non vi abiterà alcuna persona né vi dimorerà essere umano. 19Ecco, come un leone sale dalla boscaglia del Giordano verso i prati sempre verdi, così in un baleno io lo scaccerò di là e porrò su di esso il mio eletto. Perché chi è come me? Chi può citarmi in giudizio? Chi è dunque il pastore che può resistere davanti a me? 20Per questo, ascoltate il progetto che il Signore ha fatto contro Edom e le decisioni che ha preso contro gli abitanti di Teman. Certo, trascineranno via anche i più piccoli del gregge e sarà desolato il loro pascolo. 21Al fragore della loro caduta tremerà la terra. Un grido! Fino al Mar Rosso ne risuonerà l’eco. 22Ecco, come l’aquila sale e si libra e distende le ali su Bosra. In quel giorno il cuore dei prodi di Edom sarà come il cuore di una donna nei dolori del parto». 23Su Damasco. «Camat e Arpad sono piene di confusione, perché hanno sentito una cattiva notizia; esse sono agitate come il mare, sono in angustia, non possono calmarsi. 24Spossata è Damasco, volta le spalle per fuggire; un tremito l’ha colta, angoscia e dolori l’assalgono come una partoriente. 25Come non potrebbe essere abbandonata la città gloriosa, la città del tripudio? 26Perciò cadranno i suoi giovani nelle sue piazze, tutti i suoi guerrieri periranno in quel giorno. Oracolo del Signore degli eserciti. 27Darò fuoco alle mura di Damasco e divorerà i palazzi di Ben-Adàd». 28Su Kedar e sui regni di Asor, che Nabucodònosor, re di Babilonia, sconfisse. Così dice il Signore: «Su, marciate contro Kedar, saccheggiate i figli dell’oriente. 29Prendete le loro tende e le loro pecore, i loro teli, tutti i loro attrezzi, portate via i loro cammelli; un grido si leverà su di loro: “Terrore all’intorno!”. 30Fuggite, andate lontano, nascondetevi in un luogo segreto o abitanti di Asor – oracolo del Signore –, perché Nabucodònosor, re di Babilonia, ha ideato un disegno contro di voi, ha preparato un piano contro di voi. 31Su, marciate contro la nazione tranquilla, che vive in sicurezza – oracolo del Signore – e non ha né porte né sbarre, e vive isolata. 32I suoi cammelli diverranno preda e la massa delle sue greggi bottino. Disperderò a tutti i venti coloro che si radono le tempie, da ogni parte farò venire la loro rovina. Oracolo del Signore. 33Asor diventerà rifugio di sciacalli, una desolazione per sempre; non vi abiterà alcuna persona né vi dimorerà essere umano». 34Parola che il Signore rivolse al profeta Geremia riguardo a Elam all’inizio del regno di Sedecìa, re di Giuda. 35«Dice il Signore degli eserciti: Ecco, io spezzerò l’arco di Elam, il nerbo della sua potenza. 36Farò venire contro Elam i quattro venti dalle quattro estremità del cielo e li disperderò davanti a questi venti; non ci sarà nazione in cui non giungeranno i profughi di Elam. 37Incuterò terrore negli Elamiti davanti ai loro nemici e davanti a coloro che vogliono la loro vita; manderò su di loro la sventura, la mia ira ardente. Oracolo del Signore. Manderò la spada a inseguirli, finché non li avrò sterminati. 38Porrò il mio trono su Elam e farò scomparire il suo re e i suoi capi. Oracolo del Signore. 39Ma negli ultimi giorni cambierò la sorte di Elam». Oracolo del Signore.

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Approfondimenti

Contro Ammon, Edom, Damasco, gli Arabi ed Elam 49,1-39 Contiene oracoli contro diversi popoli del Vicino Oriente rei in qualche modo di aver vessato Israele e coinvolti di conseguenza nella punizione. Ammoniti, Edomiti, Siriani, Arabi ed Elamiti, ricevono ciascuno la propria razione di minacce e di derisione per le sventure che li attendono. Ad eccezione di brevi spezzoni, gli oracoli sembrano geremiani, pronunciati in vari periodi della sua attività profetica, comunque non agli inizi. Tuttavia qualche rimaneggiamento va riconosciuto, come testimonia ad es. il ripetersi di versetti identici in componimenti diversi (cfr. 48,40s. con 49,2).

1-6. Contro Ammon. Gli Ammoniti, che la tradizione considerava affini agli Israeliti (cfr. Gn 19,30), abitavano la regione al di là del Giordano, grosso modo tra l'Arnon e lo Iabbok, e avevano come capitale Rabbat-Ammon l'attuale Amman). Un territorio che le tribù israelitiche hanno sempre rivendicato e che la tradizione aveva assegnato alla tribù di Gad (cfr. Gs 13, 24-28). In realtà solo saltuariamente tale territorio rimase sotto l'effettiva sovranità di Israele. Ne fu staccato in pratica definitivamente dagli Assiri dopo la caduta del regno settentrionale (722). Per questo Geremia (l'oracolo è quasi sicuramente suo, salvo piccole aggiunte: v. 2 e forse v. 6) inizia con una domanda retorica sul perché la regione di Gad sia ora occupata dagli Ammoniti, quasi dono del loro dio Milcom. È venuto il momento del castigo che devasterà le città della regione (Chesbon in verità apparteneva a Moab: cfr. 48,44) e le valli opime di cui erano così orgogliosi (v. 4). Sarà lutto ovunque.

7-22. Contro Edom. È il popolo più vicino per stirpe agli Israeliti, come anche la tradizione riconosceva facendo addirittura dell'antenato Edom/Esaù il gemello di Giacobbe (cfr. Gn 25,12-28). Come per Moab, anche qui abbiamo una raccolta di oracoli (per altri, un unico lungo oracolo), parte in poesia, parte in prosa, la cui autenticità sembra fuori di dubbio. La rovina di Edom sarà inesorabile nonostante l'apparente inaccessibilità della regione ai grandi eserciti nemici. Dio ha deciso lo sterminio del popolo edomita per la superbia e l'arroganza a motivo della sapienza, per cui era famoso nell'antichità (cfr. Gb 2,11; Bar 3,22; Abd 8) e della supposta sicurezza dei suoi confini. In verità gli oracoli menzionano espressamente tra le ragioni del castigo divino l'arroganza (v. 16), ma senza precisarne il contenuto. È il tema della hybris umana che anche altrove nei profeti (cfr. Is 2,11ss.) viene duramente stigmatizzata. Tempo di composizione sembra il 605, durante la prima spedizione di Nabucodonosor nella regione. Proprio dalla «sapienza» inizia il profeta constatando ironicamente che non è stata capace di prevedere il disastro. «Teman» è una zona del territorio di Edom di incerta ubicazione. Qui probabilmente sta per l'intera regione, a meno che non si voglia vedervi indicato uno dei confini (l'altro sarebbe «Dedan»: v. 8) del territorio edomitico. Edom non può sfuggire alla punizione se hanno dovuto «bere il caliсе», cioè assaporare l'amarezza della punizione (cfr. 13,13; 25,15-18; 48,26; Is 51,17-23; Ez. 23,32-34, есс.) gli innocenti (probabilmente gli Israeliti non colpevoli coinvolti nel castigo di Israele). Non serve a nulla abitare «nelle caverne delle rocce» (v. 16) perché niente può resistere a Dio e a colui che ha designato esecutore del suo castigo: li strapperà di là senza sforzo.

23-27. Contro Damasco. L'epoca di composizione sembra quella dell'oracolo precedente: l'invasione di Nabucodonosor del 605. La composizione si limita a predire succintamente la rovina, partendo dalla paura che invade gli abitanti della regione, quando giunge la notizia, sino alla fuga dalla città.

28-33. Contro le tribù arabe. Questo oracolo è espressamente (v. 28) rapportato a una campagna di Nabucodonosor che potrebbe sempre essere quella del 605. Oggetto di esso è la sorte di «Kedar» e dei regni di «Azor», cioè le regioni a oriente della Palestina e le popolazioni che le abitavano, popoli seminomadi con struttura sociopolitica ancora a base tribale. Su queste tribù tranquille e sicure nella loro regione appartate piomberà inaspettatamente il re di Babilonia e saccheggerà e razzierà deportandone la popolazione. Il motivo non è menzionato; si può supporre l'idolatria, se l'accenno al taglio dei capelli va inteso come segno religioso e non come semplice acconciatura.

34-39. Contro Elam, regione a est della Bassa Mesopotamia. Alleata dei Medi e dei Persiani, nel 539 attaccò Babilonia (cfr. Is 21,2), ma in seguito fu praticamente assorbita nell'impero persiano. La capitale Susa, distrutta da Assurbanipal nel 640 a.C. e ricostruita da Dario I, divenne una delle città più importanti dell'impero, residenza invernale della corte di Persia (cfr. Ne 1,1; Est 1,1). Il vaticinio, quasi sicuramente di Geremia, può essere stato pronunciato allorché si ebbero le prime avvisaglie dei movimenti espansionistici persiani verso ovest. L'introduzione (v. 34) lo colloca nel 597. È oracolo di minaccia, ma si chiude con la prospettiva di salvezza (v. 39).

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Contro Moab 1Su Moab. Così dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: «Guai a Nebo, poiché è devastata! Piena di vergogna e catturata è Kiriatàim, sente vergogna, è abbattuta la roccaforte. 2Non esiste più la fama di Moab, a Chesbon tramano il male contro di essa: “Venite ed eliminiamola dalle nazioni”. Anche tu, Madmen, sarai demolita, la spada ti inseguirà. 3Una voce, un grido da Coronàim: “Devastazione e rovina grande!”. 4Abbattuta è Moab, le grida si fanno sentire fino a Soar. 5Piangendo, salgono la salita di Luchìt, giù per la discesa di Coronàim si odono grida strazianti: 6“Fuggite, salvate la vostra vita! Siate come l’asino selvatico nel deserto”. 7Poiché hai posto la fiducia nelle tue fortezze e nei tuoi tesori, anche tu sarai preso e Camos andrà in esilio, insieme con i suoi sacerdoti e con i suoi capi. 8Il devastatore verrà contro ogni città, nessuna città potrà scampare. Sarà devastata la valle e la pianura desolata, come dice il Signore. 9Erigete un cippo funebre a Moab, perché è tutta in rovina. Le sue città diventeranno un deserto, nessuno le abiterà. 10Maledetto chi compie fiaccamente l’opera del Signore, maledetto chi trattiene la spada dal sangue! 11Moab era tranquillo fin dalla giovinezza, riposava come vino sulla sua feccia, non è stato travasato di botte in botte, né è mai andato in esilio; per questo gli è rimasto il suo sapore, il suo profumo non si è alterato. 12Per questo giorni verranno – oracolo del Signore – nei quali manderò uomini a travasarlo, vuoteranno le sue botti e frantumeranno i suoi otri. 13Moab si vergognerà di Camos come la casa d’Israele si è vergognata di Betel, in cui aveva riposto la sua fiducia. 14Come potete dire: “Noi siamo uomini prodi e uomini valorosi per la battaglia”? 15Il devastatore di Moab sale contro di lui, i suoi giovani migliori scendono al macello. Oracolo del re, il cui nome è Signore degli eserciti. 16È vicina la rovina di Moab, la sua sventura avanza in gran fretta. 17Compiangetelo, voi tutti suoi vicini e tutti voi che conoscete il suo nome; dite: “Come si è spezzata la verga robusta, quello scettro magnifico?”. 18Scendi dalla tua gloria, siedi sull’arido suolo, o popolo che abiti a Dibon; poiché il devastatore di Moab sale contro di te, egli distrugge le tue fortezze. 19Sta sulla strada e osserva, tu che abiti ad Aroèr. Interroga il fuggiasco e lo scampato, domanda: “Che cosa è successo?”. 20Moab prova vergogna, è in rovina; urlate, gridate, annunciate sull’Arnon che Moab è devastato. 21È arrivato il giudizio per la regione dell’altopiano, per Colon, per Iaas e per Mefàat, 22per Dibon, per Nebo e per Bet-Diblatàim, 23per Kiriatàim, per Bet-Gamul e per Bet-Meon, 24per Keriòt e per Bosra, per tutte le città del territorio di Moab, lontane e vicine. 25È infranta la potenza di Moab, è spezzato il suo braccio. Oracolo del Signore. 26Inebriatelo, perché si è sollevato contro il Signore, e Moab si rotolerà nel vomito e anch’esso diventerà oggetto di scherno. 27Non è stato forse Israele per te oggetto di scherno? Fu questi forse sorpreso fra i ladri, dato che quando parli di lui scuoti sempre la testa? 28Abbandonate le città e dimorate nelle rupi, abitanti di Moab, siate come la colomba, che fa il nido sull’orlo di un precipizio. 29Abbiamo udito l’orgoglio di Moab, il grande orgoglioso, la sua superbia, il suo orgoglio, la sua alterigia, l’altezzosità del suo cuore. 30Conosco bene la sua tracotanza – oracolo del Signore –, l’inconsistenza delle sue chiacchiere, le sue opere vane. 31Per questo alzo un lamento su Moab, grido per tutto Moab, gemo per gli uomini di Kir-Cheres. 32Io piango per te come per Iazer, o vigna di Sibma! I tuoi tralci arrivavano al mare, raggiungevano Iazer. Sui tuoi frutti e sulla tua vendemmia è piombato il devastatore. 33Sono scomparse gioia e allegria dai frutteti e dalla regione di Moab. È finito il vino nei tini, non pigia più il pigiatore, il canto di gioia non è più canto di gioia. 34Delle grida di Chesbon e di Elalè si diffonde l’eco fino a Iaas; da Soar si odono grida fino a Coronàim e a Eglat-Selisià, poiché anche le acque di Nimrìm sono un deserto. 35Io farò scomparire in Moab – oracolo del Signore – chi sale sulle alture e chi brucia incenso ai suoi dèi. 36Perciò il mio cuore per Moab geme come i flauti, il mio cuore geme come i flauti per gli uomini di Kir-Cheres, poiché sono venute meno le loro scorte. 37Sì, ogni testa è rasata, ogni barba è tagliata; ci sono incisioni sulle mani e tutti i fianchi sono coperti di sacco. 38Sopra tutte le terrazze di Moab e nelle sue piazze è tutto un lamento, perché io ho spezzato Moab come un vaso senza valore. Oracolo del Signore. 39Come è rovinato! Gridate! Come Moab ha voltato vergognosamente le spalle! Moab è diventato oggetto di scherno e di orrore per tutti i suoi vicini. 40Poiché così dice il Signore: Ecco, come l’aquila si libra e distende le ali su Moab. 41Le città sono prese, le fortezze sono espugnate. In quel giorno il cuore dei prodi di Moab sarà come il cuore di una donna nei dolori del parto. 42Moab è distrutto, ha cessato di essere popolo, perché si è sollevato contro il Signore. 43Terrore, fossa e laccio ti sovrastano, o abitante di Moab. Oracolo del Signore. 44Chi fugge al grido di terrore cadrà nella fossa, chi risale dalla fossa sarà preso nel laccio, perché io manderò sui Moabiti tutto questo nell’anno del loro castigo. Oracolo del Signore. 45All’ombra di Chesbon si fermano spossati i fuggiaschi, ma un fuoco esce da Chesbon, una fiamma dal palazzo di Sicon e divora le tempie di Moab e il cranio di uomini turbolenti. 46Guai a te, Moab, sei perduto, popolo di Camos, poiché i tuoi figli sono condotti in schiavitù, le tue figlie in esilio. 47Ma io cambierò la sorte di Moab negli ultimi giorni». Oracolo del Signore. Fin qui il giudizio su Moab.

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Approfondimenti

Contro Moab 48,1-47 Contro Moab, popolo parente-nemico (cfr. Gn 19,30-38) che è sempre stato in rapporto di tensione con gli Israeliti. Gli oracoli, ora in prosa ora in poesia, non sembrano tutti di mano geremiana: probabilmente un nucleo risalente al profeta ha funto da polo aggregatore per composizioni similari o ha dato l'avvio a variazioni su un unico tema, quello della minaccia di distruzione totale, con insistenza sulle diverse città che formavano il vanto della popolazione, la quale si sentiva sicura perché era insediata in una regione decentrata rispetto ai grandi percorsi e di non facile accesso per la natura del suolo. «Riposava», dice poeticamente il profeta con riferimento all'abbondanza dei vigneti, «come vino sulla sua feccia» (v. 11) che conserva inalterato il sapore genuino. Ma è venuto il tempo della rovina, ad opera di Nabucodonosor in una delle molte campagne condotte nella regione (605 o 597 o 587). Anche qui il disastro politico-militare è interpretato come punizione divina (vv. 7.10-11.21.26-27.30), anche se il male commesso non è tanto l'ostilità contro Israele, ma l'ostinata idolatria, l'arroganza di chi si è «levato contro il Signore». È difficile precisare a quale periodo della vita del profeta potrebbe risalire il nucleo autentico degli oracoli: o in un periodo avanzato del suo ministero o forse dopo Ioiakim.

1-20. Lungo poema, che il v. 13 spezza in due tronconi. La prima parte (vv. 1-12) è una carrellata sulle varie città della regione, da Nebo, nel nord (v 1), via via per tutto il territorio, anche se non di tutte è possibile precisare l'ubicazione. Descrizione della rovina in atto e minaccia per un futuro immediato (vv. 8.12), pianto per lo sfacelo e invito allo scampo (v. 6) si intrecciano fittamente con ritmo incalzante. Su tutto, martellante, l'idea di crollo generale, dal dio nazionale Camos (v. 7) all'ultimo degli abitanti. Chi vuole scampare deve fuggire nel deserto come «asino selvatico» (v. 6) o addirittura prendere il volo (v. 9). Il v. 13 preannuncia per Moab la stessa sorte di Israele, il regno settentrionale, data la menzione di Betel e l'allusione al suo santuario («oggetto della fiducia»). Per la condanna profetica di questo santuario cfr. Os 4,15; Am 3,14; 4,4; 5,5s. Il richiamo alla rovina di Betel (722), senza menzione di quella di Gerusalemme, suggerisce una data per l'oracolo precedente al 587. La seconda parte (vv. 14-20) riprende più pacatamente il tema della devastazione: ormai è cosa fatta e non rimane che piangere.

21-29. Nella sezione si alternano brani in prosa e in poesia a ribadire la condanna di Moab della quale si dà come motivazione l'orgoglio (v. 29), ma anche il disprezzo nei confronti di Israele (vv. 26-27). È come un gagliardo dal braccio spezzato (v. 25); le sue città, di cui si dà un elenco (vv. 21-24), sono destinate alla rovina.

30-39. Il profeta ha un moto di compassione e piange sulla sorte di Moab, vigna devastata dai saccheggiatori. Per l'immagine, cfr. Sal 80,9-19; Ez 17,5-10; 19,10-14 e soprattutto Is 16,7-11 con cui il brano ha larga affinità anche verbale.

40-47. L'ultima serie di oracoli contro Moab è una composizione vivace con immagini e vocabolario nuovi e spesso con ritmo incalzante (cfr. v. 43: una serie di allitterazioni esprime l'impossibilità di fuga). La capitale Chesbon con il palazzo del re (Sicon) sono dati alle fiamme e il popolo è rovinato in esilio. Tutto questo è il frutto dell'avversione contro Israele e il suo Dio (v. 42) che però non manca di misericordia nei confronti di Moab, come non manca nei confronti del popolo eletto (v. 47).

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Contro i Filistei 1Parola del Signore che fu rivolta al profeta Geremia sui Filistei, prima che il faraone occupasse Gaza. 2Così dice il Signore: «Ecco, si sollevano ondate dal settentrione, diventano un torrente che straripa. Allagano la terra e ciò che è in essa, la città e i suoi abitanti. Gli uomini gridano, urlano tutti gli abitanti della terra. 3Allo strepito scalpitante degli zoccoli dei suoi cavalli, al fragore dei suoi carri, al cigolio delle ruote, i padri non si voltano verso i figli, le loro mani sono senza forza, 4perché è arrivato il giorno in cui saranno distrutti tutti i Filistei e saranno abbattute Tiro e Sidone con quanti sono rimasti ad aiutarle; il Signore infatti distrugge i Filistei, il resto dell’isola di Caftor. 5Fino a Gaza si sono rasati per lutto, Àscalon è ridotta al silenzio. Asdod, povero resto degli Anakiti, fino a quando ti farai incisioni? 6Ah! spada del Signore, quando ti concederai riposo? Rientra nel fodero, férmati e càlmati. 7Come potrà riposare, se il Signore le ha ordinato di agire? Contro Àscalon e tutta la costa del mare, là egli l’ha destinata».

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Approfondimenti

Contro i Filistei 47,1-7 I Filistei avevano conservato nei secoli identità razziale, indipendenza politica e animosità nei confronti degli Israeliti. Loro zona di insediamento era la striscia inferiore del litorale marittimo, con epicentro, sembra, in questo periodo, in Gaza. Il v. 1 allude all'occupazione della città ad opera di un faraone: forse Cofra che può aver attaccato Gaza in occasione della guerra contro Tiro di cui i Filistei erano alleati (cfr. v. 4). Saremmo allora nel 570. Ma potrebbe anche trattarsi di Necao e della sua spedizione in aiuto degli Assiri nel 609/608. Il proteta immagina l'esercito invasore che come ondata s'abbatte dal nord e spazza il litorale da Tiro fino all'estremo sud, a Gaza: gli oriundi di Creta (= Caftor), i Filistei, sono travolti e i superstiti non possono che abbandonarsi alle manifestazioni di lutto (v. 5). Ma anche per loro il profeta ha un moto di compassione (cfr. v. 6).

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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ORACOLI CONTRO LE NAZIONI

Contro l'Egitto 1Parola del Signore che fu rivolta al profeta Geremia sulle nazioni. 2Sull’Egitto. Contro l’esercito del faraone Necao, re d’Egitto, che si trovava a Càrchemis, presso il fiume Eufrate, esercito che Nabucodònosor, re di Babilonia, vinse nel quarto anno di Ioiakìm, figlio di Giosia, re di Giuda. 3«Preparate scudo grande e piccolo e avanzate per la battaglia. 4Attaccate i cavalli, montate, o cavalieri. Schieratevi con gli elmi, lucidate le lance, indossate le corazze! 5Che vedo? Sono spaventati, retrocedono! I loro prodi sono sconfitti, fuggono a precipizio senza voltarsi; terrore all’intorno. Oracolo del Signore. 6Il più agile non sfuggirà né il più prode si salverà. A settentrione, sulla riva dell’Eufrate, inciampano e cadono. 7Chi è colui che trabocca come il Nilo, come un fiume dalle acque turbolente? 8È l’Egitto che trabocca come il Nilo, come un fiume dalle acque turbolente. Esso dice: “Salirò, ricoprirò la terra, distruggerò la città e i suoi abitanti”. 9Caricate, cavalli, avanzate, carri! Avanti, o prodi, uomini di Etiopia e di Put, voi che impugnate lo scudo, e voi di Lud che tendete l’arco. 10Ma quel giorno per il Signore, Dio degli eserciti, è giorno di vendetta, per punire i nemici. La sua spada divorerà, si sazierà e si inebrierà del loro sangue; poiché sarà un sacrificio per il Signore, Dio degli eserciti, nella terra del settentrione, presso il fiume Eufrate. 11Sali in Gàlaad a prendere il balsamo, vergine, figlia d’Egitto. Invano moltiplichi i rimedi, ma non c’è guarigione per te. 12Le nazioni hanno saputo del tuo disonore; del tuo grido di dolore è piena la terra, poiché il prode inciampa nel prode, tutti e due cadono insieme». 13Parola che il Signore comunicò al profeta Geremia quando Nabucodònosor, re di Babilonia, giunse per colpire la terra d’Egitto. 14«Annunciatelo in Egitto, fatelo sapere a Migdol, fatelo udire a Menfi e a Tafni; dite: “Àlzati e prepàrati, perché la spada divora intorno a te”. 15Perché mai il tuo potente è travolto? Non resiste perché il Signore l’ha rovesciato. 16Una gran folla vacilla e stramazza, ognuno dice al vicino: “Su, torniamo al nostro popolo, al paese dove siamo nati, lontano dalla spada micidiale!”. 17Chiamate pure fanfarone il faraone, re d’Egitto: si lascia sfuggire il momento opportuno. 18Per la mia vita – oracolo del re il cui nome è Signore degli eserciti –, verrà uno simile al Tabor fra le montagne, come il Carmelo presso il mare. 19Prepàrati il bagaglio per l’esilio, o figlia che abiti l’Egitto, perché Menfi sarà ridotta a un deserto, sarà devastata, senza abitanti. 20Giovenca bellissima è l’Egitto, ma un tafano viene su di lei dal settentrione. 21Anche i suoi mercenari in mezzo ad essa sono come vitelli da ingrasso. Anch’essi infatti hanno voltato le spalle, fuggono insieme, non resistono, poiché è giunto su di loro il giorno della sventura, il tempo del loro castigo. 22La sua voce è come di serpente che fugge, poiché i nemici avanzano con un esercito e vengono contro di lei, armati di scure come tagliaboschi. 23Abbattono la sua selva – oracolo del Signore – e non si possono contare, essi sono più delle locuste, sono senza numero. 24Prova vergogna la figlia d’Egitto, è data in mano a un popolo del settentrione». 25Il Signore degli eserciti, Dio d’Israele, dice: «Ecco, punirò Amon di Tebe, l’Egitto, i suoi dèi e i suoi re, il faraone e coloro che confidano in lui. 26Li consegnerò in mano di quanti vogliono la loro vita, in mano di Nabucodònosor, re di Babilonia, e dei suoi ministri. Ma dopo sarà abitato come in passato. Oracolo del Signore. 27Ma tu non temere, Giacobbe, mio servo, non abbatterti, Israele, perché io libererò te dalla terra lontana, la tua discendenza dalla terra del suo esilio. Giacobbe ritornerà e avrà riposo, vivrà tranquillo e nessuno lo molesterà. 28Tu non temere, Giacobbe, mio servo – oracolo del Signore –, perché io sono con te. Sterminerò tutte le nazioni tra le quali ti ho disperso, ma non sterminerò te; ti castigherò secondo giustizia, non ti lascerò del tutto impunito».

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Approfondimenti

ORACOLI CONTRO LE NAZIONI 46,1-51,64 Come in altre raccolte profetiche (cfr. Am 1,3-2,3; Is 13-21.23; Ez 25-32), anche nel libro di Geremia una sezione contiene oracoli contro le nazioni pagane, sezione che verosimilmente, come testimoniano i LXX, era inizialmente posta dopo il c. 25. In Geremia sono tutti oracoli di minaccia per l'idolatria regnante e per i misfatti contro Israele, gli stessi che altrove nel libro sono presentati come voluti da Dio. Vediamo qui trasparire il gusto amaro della vendetta: è l'involucro umano, storicamente condizionato, di un annuncio che intende proclamare la sovranità di Dio su tutti i popoli, la sua intemerata giustizia e la capacità di far rientrare in un disegno di salvezza anche la malvagità degli uomini. Non tutto il materiale qui raccolto è genuinamente geremiano: tratti posteriori si sono aggiunti a precisazione e ampliamento, ma buona parte degli oracoli risale al profeta di Anatot.

Contro l'Egitto 46,1-28 Sono radunati in questo capitolo vari componimenti riguardanti aspetti diversi della rovina dell'Egitto in svariati momenti, a partire dalla sconfitta di Carchemis nel 605.

2-12. La battaglia presso la città sulla grande ansa dell'Eufrate avvenne tra le armate babilonesi, al comando del giovane Nabucodonosor, e le truppe egiziane venute in aiuto dell'Assiria morente. Sconfitto, il faraone Necao dovette ripiegare in Egitto lasciando ai Babilonesi libero accesso alla Siria e alla Palestina. La descrizione procede per accostamenti contrapposti che le danno un caratteristico movimento di va-e-vieni tra l'inizio e la fine, il progetto e il fallimento. Nei vv. 3-4 si descrivono i preparativi della battaglia subito seguiti dalla proclamazione della sconfitta (v. 5-6); si ritorna alla partenza dall'Egitto con l'elenco dei vari corpi d'armata (vv. 7-9) e infine si piangono le ferite e il disonore (vv. 10-12).

13-24. Questa composizione si riferisce alla spedizione di Nabucodonosor contro l'Egitto nel 568/567 (cfr. 43,10-12). Ha le movenze di una lamentazione, non senza una venatura di ironia per l'umiliazione che accosta una potenza militare come l'Egitto alla situazione tante volte sperimentata da Israele. Il testo, non bene trasmesso, ha bisogno di frequenti correzioni. Come altre volte (cfr. 4,5ss.; 22,20; 48,1-5; 49,2ss.) Geremia chiama in causa diverse città per rendere più viva e concreta la ferale notizia: gli dei d'Egitto sono sconfitti, fuggiti, e il faraone non dà migliore garanzia. Non c'è nulla da fare: è JHWH che ha deciso il castigo e l'attuerà mediante l'esercito babilonese che avanza inesorabile.

25-28. Segue una breve promessa di restaurazione, in prosa (vv. 25-26). La stessa promessa di salvezza, più ampia e articolata, viene rivolta a Israele (vv. 27-28) con un oracolo di nuovo in poesia: il Dio che pensa all'Egitto, non dimentica il suo popolo. E probabile che il brano sia stato successivamente aggiunto alla composizione sull'Egitto: compare infatti quasi identico in 30,10-11.

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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