📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

4. La tensione di quelli che vengono ad ascoltarmi mi dice invece che il mio discorso non è così freddo come sembra a me, e dalla loro gioia arguisco che vi trovano utilità; e perciò faccio del mio meglio per non rifiutare l’esercizio di questo ministero, quando mi accorgo che accettano volentieri ciò che offro loro.

Così è per te: dal momento che così spesso le persone desiderose di essere istruite vengono indirizzate a te, è evidente che il tuo discorso non è sgradito agli altri com’è sgradito a te. Non devi quindi considerarti inutile per il fatto che non ti riesce di spiegare come desideri ciò che sai; a parte il fatto che neppure riesci a capire le cose come vorresti.

Fintanto che siamo in questo mondo, infatti, non vediamo se non «in enigma, come nello specchio» (1Cor 13,12). Neppure l’amore è tanto potente da infrangere il velo opaco della carne per penetrare nel sereno del cielo, da dove prendono luce anche queste cose che passano.

Siccome chi vive di fede si avvicina ogni giorno di più alla visione di una luce che non conosce l’alterno ritmo del giorno e della notte, e che «occhio non vide, né orecchio udì, né entrò in mente umana» (ivi 2,9), il vero motivo che ci fa percepire come noioso il nostro discorso di iniziazione è proprio il desiderio di veder sempre cose nuove e il tedio di dir quelle vecchie.

L’esperienza dice però che ci facciamo ascoltare molto più volentieri, quando facciamo con gioia quel che facciamo: se la trama del nostro discorso è pervasa dalla nostra gioia, essa riesce più spedita e accetta.

Di conseguenza, il problema maggiore non è di saper di dove cominciare o fin dove condurre il discorso su quel che si insegna, né quello di saper se prolungarlo o abbreviarlo senza comprometterne la completezza, e tanto meno di vedere quando abbreviarlo o prolungarlo. La preoccupazione più grande deve essere quella di trovar il modo di catechizzare gioiosamente: e quanto più ci riusciremo, tanto più piacevole sarà il nostro discorso.

L’esigenza è lampante: «Dio ama chi dà con gioia»; e se ciò è vero riguardo all’elemosina, lo è tanto più riguardo ai doni dello Spirito.

Ma l’aver questa gioiosità (3) al momento opportuno dipende dalla misericordia di colui che ci fa obbligo di usarla.

E allora con l’aiuto di Dio parleremo anzitutto di queste tre cose:

  • del metodo da seguire nella esposizione della dottrina;
  • dei doveri e delle direttive da suggerire;
  • del modo infine di procurarsi la necessaria gioiosità.

_________________ Note

(3) Gioiosità è il termine che usiamo per tradurre il termine latino «hilaritas». Preso nel suo contesto, ci pare che il termine voglia dire non semplicemente che l’educatore è allegro (l’allegria potrebbe anche essere dovuta a incoscienza!), ma che la sua gioia, per quanto controllata, ha solidi motivi, che provengono dalla fede alla quale sta introducendo il postulante. Si tratta quindi di una gioia tanto intensa da poter essere comunicata. Il termine italiano gioiosità pare indichi appunto questa capacità di contagio derivante dalla fede. È certo comunque che nessun termine di nessuna lingua esprime di solito esattamente il corrispettivo di un’altra.


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II – Osservazioni preliminari

3. Non vorrei però, tornando al tuo problema personale, che tu ti trovassi in difficoltà per il fatto che il tuo discorso ti appare banale e pesante. Può darsi invece che non appaia tale al suo destinatario; ma siccome non sei soddisfatto di te, pensi che anche gli altri siano insoddisfatti.

Anche a me il mio parlare non piace quasi mai. Vorrei tanto esprimermi meglio, come sento interiormente le cose prima di rivestirle con le parole; e se non riesco ad esprimermi a livello di quel che sento, mi rattristo, perché la parola non corrisponde all’intenzione.

Vorrei che chi mi ascolta capisse tutto quel che capisco io, e mi accorgo di non ottenerlo col mio discorso, specie perché l’intuizione è un lampo passeggero, mentre il parlare è lento e prolisso; e mentre il discorso si snoda, l’intuizione si dissolve.

Tuttavia, mentre moduliamo le sillabe, permangono misteriosamente nella memoria labili impronte da cui ci moviamo per formulare i segni fonetici, pronunciandoli o no, nelle varie lingue: il latino, il greco, l’ebraico... Di per sé, l’impronta della memoria non è né latina, né greca, né ebraica, ma è un prodotto dello spirito, come il corpo si esprime attraverso il viso.

Per fare un esempio, l’ira si esprime in latino con un vocabolo, in greco con un altro, e con altri termini ancora in altre lingue, dato che l’adirarsi non è esclusivo né dei greci né dei latini. Però quando si dice «iratus sum», capiscono solo i latini; mentre se l’ira si dipinge sul volto, tutti si accorgono che uno è adirato.

Resta il fatto che le nostre parole non sono in grado di esprimere e rendere quasi palpabile ciò che la memoria conserva della intuizione originale, come invece il volto esprime i nostri sentimenti: dato che l’intuizione è dentro, nella profondità dello spirito, mentre il volto è fuori, nel corpo. Questa distanza tra l’espressione e l’intuizione diventa evidente, se ci rendiamo conto con quale difficoltà si riesce ad avvicinarsi anche solo alla traccia rimasta nella memoria.(2)

Desiderosi di esser utili quanto più possiamo a chi ci ascolta, e non potendo comunicare con la mente, vorremmo parlargli così come comprendiamo: e non riuscendovi, ci angustiamo e siamo disgustati come se faticassimo per nulla.

Ma proprio questa angustia rende il nostro discorso più fiacco e banale di quanto non fosse prima che il motivo del disgusto si manifestasse.

_________________ Note

(2) Perché non sia indotto allo scoraggiamento, Agostino mette in pace l'educatore sui limiti che fanno parte naturalmente della nostra capacità di capire e di esprimerci.

Quando vogliamo esprimere un'idea, non possiamo evitare alcuni passaggi.

  • C'è anzitutto l'intuizione; e anche questa, per quanto splendida, non è mai perfetta come la realtà del mistero da cui parte, anche perché dura un solo istante e non si radica facilmente.
  • C'è poi l'impronta rimasta nella memoria dopo il lampo della intuizione: e questa impronta è già limitata quanto lo è sempre una immagine, ed è inoltre soggetta ai limiti della memoria di ciascuno.
  • Infine c'è il discorso che tentiamo di formulare per esprimere agli altri quanto abbiamo compreso noi.

La velocità della intuizione, la labilità della memoria, e la inadeguatezza dell'espressione, rendono impossibile a chiunque un discorso perfetto. Agostino ricorderà più avanti che Gesù ha scelto proprio questa situazione di limite per esprimere il mistero di Dio (c. X, n.15)


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I – Occasione e scopo del trattato

1. Caro fratello Deógratias, m’hai chiesto di scriverti qualcosa di utile sul modo di introdurre alla vita di fede i postulanti. (1) Tu eserciti il diaconato a Cartagine, e mi dici che spesso ti vengono presentate persone da iniziare alla vita cristiana, perché hai fama di essere un ottimo catechista, sia per la ricchezza della dottrina che per il fascino della parola. Ma aggiungi che, nel presentar le motivazioni della fede, ti trovi quasi sempre in difficoltà. E ti chiedi: «Qual è il metodo più sicuro? Da dove si comincia e fin dove si porta avanti il discorso? E al termine del discorso si deve porre una esortazione, o basta presentare le norme di comportamento che il postulante dovrà ritener necessarie per vivere autenticamente la vita cristiana?».

Mi confidi con un certo disagio che spesso, dopo un discorso lungo e poco entusiasta, ti vergogni e sei infastidito, ma di te stesso, non di colui che istruisci; e infastidito sei tu, non quelli che ti stanno ad ascoltare. Tutto questo ti ha indotto ad approfittare della mia amicizia e a sollecitarmi di scriverti sull’argomento, nonostante le molte cose che ho da fare e pretendendo che non accusi il peso di un lavoro in più.

2. Per parte mia, mi ritengo obbligato ad accettare l’invito, non solo per l’amicizia che porto a te, ma anche per l’amore e il servizio cui sono impegnato per tutta la chiesa. Se Dio m’ha dato qualche dono, non posso rifiutar di adoperarlo per aiutare con esso anche i miei fratelli. Quanto più desidero che si diffonda il dono della conoscenza di Dio, tanto più, nei limiti delle mie possibilità, devo impegnarmi affinché i miei confratelli, che nel dispensare questo dono si trovano in difficoltà, riescano a farlo con facilità e scioltezza pari alla diligenza e allo zelo che vi pongono.

__________________________ Note

(1) I «postulanti» sono coloro che chiedono di essere introdotti a partecipare alla vita cristiana. Il testo di Agostino parla di «rudes», intendendo con questo termine quegli adulti non battezzati i quali, chiedendo di entrare nella chiesa, hanno bisogno di essere istruiti su che cosa comporti una tale decisione. Quantunque la parola «rudes» richiami il mondo agricolo e indichi un ambiente culturalmente limitato, Agostino la usa nel significato di «scarsa conoscenza del cristianesimo», e la applica sia agli illetterati che ai frequentanti le scuole di retorica e agli intellettuali (cf. c. VIII n. 12). Varrà la pena di tener conto che ai tempi di Agostino buona parte di coloro che componevano l’impero romano erano ancora pagani, e il battesimo veniva dato in prevalenza ad adulti. Ciò tuttavia non rende troppo diversi dagli attuali i problemi che si presentavano ai catechisti di allora. Nel seguito della lettura del presente libro sarà facile costatarlo. __________________________

«DE CATECHIZANDIS RUDIBUS» LETTERA AI CATECHISTI di Sant'Agostino di Ippona con introduzione e note a cura di GIOVANNI GIUSTI Ed. EDB – © 1981 Centro Editoriale Dehoniano Bologna https://www.canoniciregolari-ic.com/s-agostino-catechesi/


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PREGHIERA DI GESÙ FIGLIO DI SIRA (51,1-30)

Inno di ringraziamento 1Ti loderò, Signore, re, e ti canterò, Dio, mio salvatore, loderò il tuo nome, 2perché sei stato mio riparo e mio aiuto, salvando il mio corpo dalla perdizione, dal laccio di una lingua calunniatrice, dalle labbra di quelli che proferiscono menzogna, e di fronte a quanti mi circondavano sei stato il mio aiuto. 3e mi hai liberato, secondo la grandezza della tua misericordia e del tuo nome, dai morsi di chi stava per divorarmi, dalla mano di quelli che insidiavano la mia vita, dalle molte tribolazioni di cui soffrivo, 4dal soffocamento di una fiamma avvolgente e dal fuoco che non avevo acceso, 5dal profondo del seno degl'inferi, dalla lingua impura e dalla parola falsa 6e dal colpo di una lingua ingiusta. La mia anima era vicina alla morte, la mia vita era giù, vicino agl'inferi. 7Mi assalivano da ogni parte e nessuno mi aiutava; mi rivolsi al soccorso degli uomini, e non c'era. 8Allora mi ricordai della tua misericordia, Signore, e dei tuoi benefici da sempre, perché tu liberi quelli che sperano in te e li salvi dalla mano dei nemici. 9Innalzai dalla terra la mia supplica e pregai per la liberazione dalla morte. 10Esclamai: “Signore, padre del mio signore, non mi abbandonare nei giorni della tribolazione, quando sono senz'aiuto, nel tempo dell'arroganza. 11Io loderò incessantemente il tuo nome, canterò inni a te con riconoscenza”. La mia supplica fu esaudita: 12tu infatti mi salvasti dalla rovina e mi strappasti da una cattiva condizione. Per questo ti loderò e ti canterò, e benedirò il nome del Signore.


12a Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre. 12b Rendete grazie al Dio delle lodi, perché il suo amore è per sempre. 12c Rendete grazie al custode d’Israele, perché il suo amore è per sempre. 12d Rendete grazie al creatore dell’universo, perché il suo amore è per sempre. 12e Rendete grazie al redentore d’Israele, perché il suo amore è per sempre. 12f Rendete grazie a colui che raduna i dispersi d’Israele, perché il suo amore è per sempre. 12g Rendete grazie a colui che ricostruisce la sua città e il suo santuario, perché il suo amore è per sempre. 12h Rendete grazie a colui che fa germogliare una forza per la casa di Davide, perché il suo amore è per sempre. 12i Rendete grazie a colui che ha scelto i figli di Sadoc per il sacerdozio, perché il suo amore è per sempre. 12j Rendete grazie allo scudo di Abramo, perché il suo amore è per sempre. 12k Rendete grazie alla roccia d’Israele, perché il suo amore è per sempre. 12l Rendete grazie al potente di Giacobbe, perché il suo amore è per sempre. 12m Rendete grazie a colui che ha scelto Sion, perché il suo amore è per sempre. 12n Rendete grazie al re dei re dei re, perché il suo amore è per sempre. 12o Ha accresciuto la potenza del suo popolo, egli è la lode per tutti i suoi fedeli, per i figli d’Israele, popolo a lui vicino.


La ricerca della sapienza 13Quand'ero ancora giovane, prima di andare errando, ricercai assiduamente la sapienza nella mia preghiera. 14Davanti al tempio ho pregato per essa, e sino alla fine la ricercherò. 15Del suo fiorire, come uva vicina a maturare, il mio cuore si rallegrò. Il mio piede s'incamminò per la via retta, fin da giovane ho seguìto la sua traccia. 16Chinai un poco l'orecchio, l'accolsi e vi trovai per me un insegnamento abbondante. 17Con essa feci progresso; onorerò chi mi ha concesso la sapienza. 18Ho deciso infatti di metterla in pratica, sono stato zelante nel bene e non me ne vergogno. 19La mia anima si è allenata in essa, sono stato diligente nel praticare la legge. Ho steso le mie mani verso l'alto e ho deplorato che venga ignorata. 20A essa ho rivolto la mia anima e l'ho trovata nella purezza. In essa ho acquistato senno fin da principio, per questo non l'abbandonerò. 21Le mie viscere si sono commosse nel ricercarla, per questo ho fatto un acquisto prezioso. 22Il Signore mi ha dato come mia ricompensa una lingua e con essa non cesserò di lodarlo. 23Avvicinatevi a me, voi che siete senza istruzione, prendete dimora nella mia scuola. 24Perché volete privarvi di queste cose, mentre le vostre anime sono tanto assetate? 25Ho aperto la mia bocca e ho parlato: “Acquistatela per voi senza denaro. 26Sottoponete il collo al suo giogo e la vostra anima accolga l'istruzione: essa è vicina a chi la cerca. 27Con i vostri occhi vedete che ho faticato poco e ho trovato per me un grande tesoro. 28Acquistate l'istruzione con grande quantità d'argento e con essa otterrete molto oro. 29L'anima vostra si diletti della misericordia di lui, non vergognatevi di lodarlo. 30Compite la vostra opera per tempo ed egli a suo tempo vi ricompenserà”.

_________________ Note

51,1 L’autore pone questo salmo autobiografico dopo la conclusione del libro. Alcuni lo considerano un’appendice, opera di altra mano. È probabile che lo stile autobiografico sia un espediente letterario e che questo salmo sia più antico del Siracide, e sia stato usato da lui per il suo insegnamento. L’inno ricalca temi caratteristici dei Salmi (vedi Sal 18,5-7; 30,4; 40,3; 88,7; 120,2; 142,5).

51,9-12 In questa parte il testo ebraico differisce alquanto dal greco, inserendo diverse aggiunte. Dopo il v. 12 l’ebraico aggiunge una serie di invocazioni a forma di litania, sullo stile del Sal 136-

51,13-30 Nell’originale ebraico questo componimento ha la forma letteraria dell’acrostico, ossia della composizione “alfabetica” (vedi anche Pr 31,10-31).

51,23 nella mia scuola: in ebraico bet midrash (casa di studio), il luogo dove ci si dedica allo studio della legge.

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Approfondimenti

vv. 1-12. Dopo la “firma”, troviamo ancora la preghiera di «Gesù, figlio di Sirach» (vv. 1-12), ed un componimento autobiografico sulla ricerca della sapienza (vv. 13-30). Secondo autorevoli esegeti, questi testi – per contenuto e stile, oltre che per la ricca attestazione dei codici – sono sicuramente autentici. Comunque sono canonici. Tra i vv. 12 e 13 si trova – solo nel ms. B – una lode litanica, forse non autentica, sconosciuta alla tradizione testuale greca e siriaca. La preghiera (vv. 1-12) è un salmo di ringraziamento individuale, aperto e chiuso dal proposito di confessare pubblicamente le lodi del Signore che salva (vv. 1.12). La lode ha tre motivi principali:

  • a) la gravità del pericolo da cui è stato liberato. Oltre dodici volte la preposizione «da» (ek-apo/min) introduce realtà negative da cui è stato salvato: un'insidia mortale, causata da calunnie di «lingua ingiusta» (v. 6a). È un cerchio mortale, di «perdizione» (vv. 2b.12a);
  • b) l'assenza di ogni aiuto umano (v. 7);
  • c) la sollecitudine di Dio, fedele al suo stile di salvatore misericordioso (v. 8), a venire in aiuto (vv. 3ab) di quanti lo invocano (vv. 10-11).

Il nome di JHWH (vv. 1.12) fa da cornice a un'esperienza di radicale maturazione di fede, simile a quelle raccontate dai salmi: la necessità della liberazione (vv. 2-6), il ricordo del passato (vv. 7-8); l'invocazione dell'aiuto (vv. 9-10); l'impegno per la lode (v. 11), a futura memoria dell'opera salvifica del Signore (v. 12).

vv. 13-30. La ricerca della sapienza (cfr. 6,27; 24,34; 33,18; 39,1) è oggetto di questo poema alfabetico, simile nella forma a Pr 31, 10-31. Il testo ebr. del Cairo (ms. B) non è ben conservato: tuttavia i frammenti trovati a Qumran nel 1956, risalenti alla prima metà del I secolo, confermano l'esistenza dell'acrostico (cfr. altri esempi in Sal 25; 37; 119; oltre i poemi di 22 distici di Sir 1,11-30; 6,18-37). Il gr. è più vicino all'ebr. di Qumran, mentre il ms. B sembra ritradotto dal siriaco. La tesi secondo cui il gr. spiritualizzerebbe il rapporto tra il discepolo e la sapienza, smorzando il linguaggio erotico del testo di Qumran, soprattutto nei vv. 17-21, sembra piuttosto forzata. Il testo di Qumran testimonia che Ben Sira stesso, se non è autore, può avere inserito, in appendice al suo libro, questo poema, ritenendolo consono al suo modo di intendere la ricerca della sapienza: un rapporto intenso, che la preghiera e l'impegno assiduo fanno progredire (v. 17a). II poema si presenta composto di due parti:

  • a) nella prima l'autore descrive (vv. 13-22) gli sforzi per trovare e far conoscere la sapienza: dopo molti viaggi – simbolo anche di smarrimento – e assidue preghiere, s'incammina sulla retta via della sapienza, cresce ascoltandola e mettendola in pratica, comincia a godere della sua compagnia e si dispone a farla conoscere;
  • b) nella seconda parte (vv. 23-30), poi, l'autore invita ad andare alla sua scuola – prima comparsa di bêt midraš (v. 23b) – e a portare a compimento in tempo debito la ricerca della sapienza (v. 30a). Si tratta di dissetare, finalmente, la propria anima, vincendo la pigrizia e la riluttanza alla fatica, ma anche l'attaccamento frenante e cieco al denaro. È un invito a trovare la gioia nella misericordia del Signore e ad abbandonare la vergogna di lodarlo. La ricompensa non si farà attendere. Da notare le immagini collegate con il corpo umano: cuore (vv. 15.20), piede (v. 15), orecchio (v. 16), mani (v. 19), ventre (v. 21), lingua (v. 22), bocca (v. 25), collo (v. 26), occhi (v. 27).

Conclusione. La ricerca-possesso della sapienza esige un coinvolgimento totale. Non è un esercizio intellettuale, ma un'esperienza vitale, unitaria, riconciliante a livello somatico e psichico, religioso e sociale. L'asse del movimento è antropologico-teologico. L'amore di Ben Sira per l'uomo e per Dio lo spinge a insegnare e a scrivere: lavora non solo per sé (24,34), convinto che è possibile, anche in tempi diversi da quelli dei padri, cercare le vie della saggezza quotidiana e della misericordia biblica, come senso del vivere e vera difesa dall'asservimento culturale, religioso e politico a idoli e potenze straniere. La ricompensa di Dio verrà a suo tempo. Sono le parole conclusive di un libro – e di un'esperienza – che continua a seminare speranza e simpatia, pur nell'orizzonte limitato della sua esistenza e del suo sapere. Colui, alla cui scuola abbiamo imparato la fedeltà alla pena di ogni giorno (Mt 6,34), il nuovo Adamo, confermerà le orme tracciate dal manuale di fede e di morale di Ben Sira e porterà anche i lettori moderni oltre l'interessante ma fragile sapienza del qui ed ora, mediante la stoltezza della sua croce e risurrezione (1Cor 1,24-25).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Il sommo sacerdote Simone 1Simone, figlio di Onia, sommo sacerdote, nella sua vita riparò il tempio e nei suoi giorni consolidò il santuario. 2Da lui furono poste le fondamenta del doppio muro, l'elevato contrafforte della cinta del tempio. 3Nei suoi giorni fu scavato il deposito per le acque, un serbatoio grande come il mare. 4Avendo premura d'impedire la caduta del suo popolo, fortificò la città nell'assedio. 5Com'era glorioso quando si affacciava dal tempio, quando usciva dal santuario dietro il velo! 6Come astro mattutino in mezzo alle nubi, come la luna nei giorni in cui è piena, 7come sole sfolgorante sul tempio dell'Altissimo, come arcobaleno splendente fra nubi di gloria, 8come rosa fiorita nei giorni di primavera, come giglio lungo i corsi d'acqua, come germoglio del Libano nei giorni d'estate, 9come fuoco e incenso su un braciere, come vaso d'oro massiccio, ornato con ogni specie di pietre preziose, 10come ulivo che fa germogliare i frutti e come cipresso svettante tra le nuvole. 11Quando indossava i paramenti gloriosi, egli era rivestito di perfetto splendore, quando saliva il santo altare dei sacrifici, riempiva di gloria l'intero santuario. 12Quando riceveva le parti delle vittime dalle mani dei sacerdoti, egli stava presso il braciere dell'altare: intorno a lui c'era la corona di fratelli, simili a fronde di cedri nel Libano, che lo circondavano come fusti di palme; 13tutti i figli di Aronne nella loro gloria, e con le offerte del Signore nelle loro mani, stavano davanti a tutta l'assemblea d'Israele, 14ed egli compiva il rito liturgico sugli altari, preparando l'offerta dell'Altissimo onnipotente. 15Egli stendeva la sua mano sulla coppa e versava sangue di uva, lo spargeva alle basi dell'altare come profumo soave all'Altissimo, re di tutte le cose. 16Allora i figli di Aronne alzavano la voce, suonavano le trombe di metallo lavorato e facevano udire un suono potente come memoriale davanti all'Altissimo. 17Allora tutto il popolo insieme si affrettava e si prostravano con la faccia a terra, per adorare il loro Signore, Dio onnipotente e altissimo. 18E i cantori intonavano canti di lodi, e grandioso risuonava il canto e pieno di dolcezza. 19Il popolo supplicava il Signore altissimo, in preghiera davanti al Misericordioso, finché fosse compiuto il servizio del Signore e fosse terminata la sua liturgia. 20Allora, scendendo, egli alzava le sue mani su tutta l'assemblea dei figli d'Israele, per dare con le sue labbra la benedizione del Signore e per gloriarsi del nome di lui. 21Tutti si prostravano di nuovo per ricevere la benedizione dell'Altissimo.

Invito alla lode 22E ora benedite il Dio dell'universo, che compie in ogni luogo grandi cose, che fa crescere i nostri giorni fin dal seno materno, e agisce con noi secondo la sua misericordia. 23Ci conceda la gioia del cuore e ci sia pace nei nostri giorni in Israele, ora e sempre. 24La sua misericordia resti fedelmente con noi e ci riscatti nei nostri giorni.

Tre popoli detestati 25Contro due popoli la mia anima è irritata, il terzo non è neppure un popolo: 26quanti abitano sul monte di Samaria e i Filistei e il popolo stolto che abita a Sichem.

Conclusione del libro 27Una dottrina d'intelligenza e di scienza ha condensato in questo libro Gesù, figlio di Sira, figlio di Eleàzaro, di Gerusalemme, che ha riversato come pioggia la sapienza dal cuore. 28Beato chi medita queste cose e colui che, fissandole nel suo cuore, diventa saggio; 29se le metterà in pratica, sarà forte in tutto, perché la luce del Signore sarà la sua strada. ⌈A chi gli è fedele egli dà la sapienza. Benedetto il Signore per sempre. Amen, amen.⌉

_________________ Note

50,1 Nell’elogio degli antenati viene inserito anche il sommo sacerdote Simone, che esercitò il ministero tra il 220 e il 195 circa. Viene lodato per le sue grandi opere (vv. 1-4) ma soprattutto per lo splendore che traspare dalla sua figura sacerdotale. Il testo ebraico reca: “Simone, figlio di Iohanan, il sacerdote”.

50,24a Il testo ebraico reca: “La sua misericordia resti fedelmente con Simone”.

50,25-26 Questa inaspettata polemica, espressa con un proverbio numerico, è rivolta contro popoli che erano nemici storici d’Israele.

50,26 Gli abitanti di Sichem sono i Samaritani. Nel testo greco si citano così due volte gli stessi Samaritani; probabilmente c’è un errore di trascrizione. Il testo ebraico, invece di sul monte di Samaria, reca Seir, ossia Edom.

50,27-29 L’autore presenta se stesso (cosa singolare nell’AT), indicando il proprio nome e la propria funzione di maestro.

50,27c Il testo ebraico reca: “Simone, figlio di Gesù, figlio di Eleàzaro, figlio di Sira”.

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Approfondimenti

vv. 1-21. La lode dei padri si conclude con il lungo panegirico del sommo sacerdote Simone II, figlio di Onia II, vissuto tra il 219 e il 196 a.C. È detto “giusto”, perché fu l'ultimo della casa sacerdotale di Zadok a osservare fedelmente la legge. Ben Sira, dopo aver esaltato la gloria di Adamo (49,16b), usa lo stesso termine (ebr. tiperet) per qualificare questo contemporaneo, «grande tra i fratelli e gloria del suo popolo» (50,1a ebr.). Dopo l'introduzione storica, con l'elenco delle benemerenze sociali ed urbanistiche (vv. 1-4), l'elogio si sviluppa in tre momenti:

  • a) l'uscita splendida dal tempio (vv. 5-10);
  • b) lo svolgimento dei riti (vv. 11-15);
  • c) le reazioni di sacerdoti, popolo e cantori (vv. 16-19).

Da ultimo la benedizione nel nome del Signore, che conclude insieme il profilo di Simone e l'elogio dei padri (vv. 20-21).

Ben Sira ha conosciuto i tempi di Simone e il suo impegno nel rinnovare il tempio con fortificazioni e piani rialzati (vv. 1-2). Forse il testo allude ai lavori autorizzati da Antioco III il Grande (223-187), tra il 199, anno della vittoria a Panion contro i Lagidi, ed il 195, anno della morte dello stesso Simone. La notizia viene da Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche XII,3,3). Come Ezechia (48,17), anche Simone si occupa di dotare la città di acqua, per prevenire gli assedi (cfr. 1Mac 1,20-24.29-32). Poi il profilo passa a descrivere l'attività sacerdotale. Di quale funzione si tratta? Abitualmente si pensa al solenne giorno dell'espiazione (cfr. Lv 16), l'unico nel quale il sommo sacerdote va oltre il velo nel Santo dei Santi (v. 5b) e pronuncia il “nome di JHWH” per la benedizione (vv. 20-21). Non manca, però, chi sostiene trattarsi dei sacrifici quotidiani, mattutino e serale, a motivo del parallelo tra i vv. 5-21 ed il loro rituale descritto nel trattato Tamid (VI,3-VII,3). Ma è probabile che i due cerimoniali – quello annuale e quello quotidiano – siano fusi con una certa libertà spirituale e letteraria: al centro (vv. 11-16) prevale l'attenzione ai sacrifici quotidiani, all'inizio e alla fine a quello annuale (vv. 5.20-21). Ben Sira appare in linea con i farisei, non con i sadducei: dà valore anche alla tradizione orale, non solo alla legge scritta. Le dieci metafore per descrivere lo splendore del sommo sacerdote provengono dall'astronomia (vv. 6-7; cfr. Sal 148,3), dal mondo agricolo (vv. 8.10; cfr. 24,13-17) e dalla liturgia (v. 9; cfr. 49,1; Lv 2,1-2). Circa oggetti ed abiti preziosi (vv. 9bc.11), cfr. la descrizione di Aronne (45,8-11). Dopo la deposizione delle parti delle vittime sull'altare (vv. 12-14) ed il rito della libazione con vino (v. 15), i sacerdoti suonano la tromba ed il popolo si prostra e supplica il misericordioso, mentre i cantori e la musica accompagnano la liturgia. I vari riferimenti al popolo ed il ricco vocabolario teologico (l'Altissimo, il re di tutte le cose, Signore Dio onnipotente, misericordioso) rivelano che Ben Sira, da scriba laico, non rievoca solo il gusto per esperienze religiose più o meno estetizzanti, ma manifesta un convincimento di fede verso il sacerdozio, visto come l'istituzione-ponte tra il passato ed il futuro di Israele. Il fascino religioso-storico di Simeone si prolungherà nel tempo. La tradizione giudaica lo esalterà come contemporaneo di Alessandro Magno: questi, durante una sua spedizione in Israele, si sarebbe inchinato alla vista del gran sacerdote ed avrebbe poi spiegato le ragioni del gesto ai suoi nobili e funzionari.

vv. 22-24. La conclusione contiene un invito (v. 22) e un augurio (23-24). È ora di benedire il Dio dell'universo (ebr.: «JHWH, Dio di Israele»), autore di opere grandiose (cfr. Sal 136,4a) in ogni luogo (ebr.: «sulla terra»): è lui che esalta i nostri giorni (ebr.: «Adam», l'uomo) sin dal grembo a motivo della sua «misericordia» (ebr.: «volontà»). La traduzione universalizza i dati di fede di Ben Sira. L'augurio chiede la «gioia del cuore», volgendo lo sguardo dai giorni presenti a quelli futuri (o dell'eternità) e affidandosi alla misericordia divina che riscatta. Segno, questo, di una nuova situazione di dolore? Il testo ebraico, abbastanza diverso, augura che Dio «conceda la sapienza del cuore e la pace» (v. 23) ai lettori. La speranza di Ben Sira è che la misericordia divina rimanga con Simone (in pratica coi suoi discendenti, essendo egli già morto) e dia compimento all'alleanza di Pincas. Si sa che la speranza di una continuità del sacerdozio nella famiglia di Simone si interrompe con l'assassinio di Onia III (cfr. 2Mac 4,34).

vv. 25-26. È un proverbio numerico, contenente un violento attacco a tre popoli nemici:

  • a) gli Edomiti (Seir), rei di avere aiutato i Babilonesi nell'assedio di Gerusalemme nel 586, nemici storici anche dopo;
  • b) i Filistei, abitanti della costa sottomessi da Davide (cfr. 2Sam 5,18-25), rei di paganesimo, insieme con quanti hanno ceduto all'ellenizzazione;
  • c) i Samaritani (Sichem), eretici discendenti del ribelle regno del Nord e fautori di un culto separatista sul monte Garizim, in un santuario che i Giudei distrussero nel 128 a.C.

vv. 27-29. La conclusione contiene i dati dell'autore ed un'esortazione a prendere sul serio il contenuto del libro. In modo non usuale per l'AT, l'autore esce dall'anonimato, contento di avere messo per iscritto (v. 27b: charassein significa incidere pietre o metalli, coniare, fare solchi) la sua istruzione/sapienza, facendola scaturire come pioggia dal cuore (v. 27). Per un diverso riferimento all'autore nei libri sapienziali cfr. Prv 1,1-3; Qo 1,1.12; 12,9-10. Il futuro discepolo sarà felice se assumerà tre atteggiamenti fondamentali:

  • a) fare attenzione e meditare la sapienza scritta del Maestro;
  • b) tenere fisso il cuore e la memoria su di essa;
  • c) metterla in pratica.

In questo modo egli conseguirà la forza necessaria per essere fedele alla propria identità e storia in un contesto culturale e religioso confuso e schiacciante, quale doveva apparire quello ellenistico ai pii Ebrei. La «luce» (ebr. «il timore»: v. 29b; cfr. 1,14a) del Signore farà da strada. Sia egli benedetto!

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Giosia e Geremia 1Il ricordo di Giosia è come una mistura d'incenso, preparata dall'arte del profumiere. In ogni bocca è dolce come il miele, come musica in un banchetto. 2Egli si dedicò alla riforma del popolo e sradicò gli abomini dell'empietà. 3Diresse il suo cuore verso il Signore, in un'epoca d'iniqui riaffermò la pietà.

4Se si eccettuano Davide, Ezechia e Giosia, tutti agirono perversamente; poiché avevano abbandonato la legge dell'Altissimo, i re di Giuda scomparvero. 5Lasciarono infatti il loro potere ad altri, la loro gloria a una nazione straniera. 6I nemici incendiarono l'eletta città del santuario, resero deserte le sue strade, 7secondo la parola di Geremia, che essi però maltrattarono, benché fosse stato consacrato profeta nel seno materno, per estirpare, distruggere e mandare in rovina, ma anche per costruire e piantare.

Ezechiele e i Dodici profeti 8Ezechiele contemplò una visione di gloria, che Dio gli mostrò sul carro dei cherubini. 9Si ricordò dei nemici nell'uragano, beneficò quanti camminavano nella retta via. 10Le ossa dei dodici profeti rifioriscano dalla loro tomba, perché essi hanno consolato Giacobbe, lo hanno riscattato con la loro confidente speranza.

Zorobabele, Giosuè e Neemia 11Come elogiare Zorobabele? Egli è come un sigillo nella mano destra; 12così anche Giosuè figlio di Iosedek: nei loro giorni hanno riedificato la casa, hanno elevato al Signore un tempio santo, destinato a una gloria eterna. 13Anche la memoria di Neemia durerà a lungo; egli rialzò le nostre mura demolite, vi pose porte e sbarre e fece risorgere le nostre case.

Enoc, Giuseppe, Sem, Set, Adamo 14Nessuno sulla terra fu creato eguale a Enoc; difatti egli fu assunto dalla terra. 15Non nacque un altro uomo come Giuseppe, guida dei fratelli, sostegno del popolo; perfino le sue ossa furono onorate⊥. 16Sem e Set furono glorificati fra gli uomini, ma, nella creazione, superiore a ogni vivente è Adamo.

_________________ Note

49,11-13 Questi personaggi vengono lodati come artefici della ricostruzione di Gerusalemme e delle sue mura. Giosuè è il sommo sacerdote che rientrò in Gerusalemme con Zorobabele dopo l’esilio e curò la rinascita spirituale dei rimpatriati (vedi Esd 2,2; Ne 7,7).

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Approfondimenti

vv. 1-10. Ben Sira, saltando i re Manasse e Amon, passa da Ezechia (715-687 a.C.) a Giosia (640-609 a.C.), il cui ricordo è prezioso come profumo riservato al Signore (v. 1ab; cfr. Es 30,34-38 e anche Sir 47,2 per Davide), ma anche come miele e musica (v. 1cd). Le immagini della vita liturgica e sociale avvicinano il re pio e deciso al popolo che finalmente si converte (v. 2a; cfr. 47,15a). Con la riforma religiosa deuteronomica del 621, dopo la scoperta del libro della legge, Giosia supera i meriti di ogni altro re: «Tenne fisso il cuore verso il Signore e rese forte la pietà in tempi di empietà» (così più fedelmente il v. 3). Segue il giudizio sintetico sui re di Giuda: positivo solo per Davide, Ezechia e Giosia; condannati anche Asa e Giosafat, contro l'opinione del Cronista (cfr. 2Cr 14,1-4; 17,3-6). Per aver abbandonato la legge dell'Altissimo, essi hanno consegnato la loro gloria agli stranieri (v. 5), ai Babilonesi, che bruciano la città ed il tempio (v. 6). In ebr. il soggetto è Dio, che li punisce lasciando la loro gloria agli stranieri. Seguono gli ultimi profeti: Geremia (v. 10), Ezechiele (vv. 8-9) e i dodici minori (v. 7). Il primo riceve del male e non è ascoltato: la sua missione è ricordata con le parole dei LXX, versione che doveva già esistere quando il nipote traduceva in greco l'opera di Ben Sira. Il secondo, legato al tempo dell'esilio, è ricordato per la visione di Dio (la «gloria»: v. 8), la tempesta contro i nemici (forse allusione alla profezia contro Gog in Ez 38-39) e il premio per i giusti (v. 9). I dodici profeti sono considerati come un unico libro, collocato dopo i tre grandi. Manca il libro di Daniele, forse non ancora completo. Dei dodici profeti Ben Sira ricorda solo un messaggio globale di consolante speranza (v. 10; cfr. 48,24-25). Per il tema del rifiorire delle ossa, cfr. 46,12.

vv. 11-16. Del dopo-esilio si lodano solo Zorobabele, Giosuè e Neemia (vv. 11-13; cfr. Esd 3,1-6, 22; Ne 2,17-7,3), benemeriti per la ricostruzione della casa del Signore (v. 12), destinata a gloria eterna (riferimento messianico), e quella degli Israeliti, difesa da nuove mura (v. 13). Ignorato lo scriba Esdra. Poi Ben Sira ritorna al punto di partenza, Enoch (v. 14; cfr. 44,16) ed aggiunge Giuseppe (v. 15), Sem, Set e Adamo (v. 16). L'elogio dei padri di Israele si chiude con un respiro universalistico, consono al giudaismo ellenistico, che definisce Adamo «padre del mondo, formato per primo da Dio» (Sap 10,1). La genealogia di Gesù secondo Luca, risalendo oltre Abramo fino ad Adamo, assume questo clima universalistico (Lc 3,38): l'idealizzazione di Adamo – «più su di ogni vivente» – nuova per la letteratura giudaica, sembra preludere allo sviluppo della dottrina messianica del nuovo Adamo (1Cor 15,45-49; Rm 5,14-15).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Elia 1Allora sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola. 2Egli fece venire su di loro la carestia e con zelo li ridusse a pochi. 3Per la parola del Signore chiuse il cielo e così fece scendere per tre volte il fuoco. 4Come ti rendesti glorioso, Elia, con i tuoi prodigi! E chi può vantarsi di esserti uguale? 5Tu hai fatto sorgere un defunto dalla morte e dagl'inferi, per la parola dell'Altissimo; 6tu hai fatto precipitare re nella perdizione, e uomini gloriosi dal loro letto⊥. 7Tu sul Sinai hai ascoltato parole di rimprovero, sull'Oreb sentenze di condanna. 8Hai unto re per la vendetta e profeti come tuoi successori. 9Tu sei stato assunto in un turbine di fuoco, su un carro di cavalli di fuoco; 10tu sei stato designato a rimproverare i tempi futuri, per placare l'ira prima che divampi, per ricondurre il cuore del padre verso il figlio e ristabilire le tribù di Giacobbe. 11Beati coloro che ti hanno visto e si sono addormentati nell'amore, perché è certo che anche noi vivremo⊥.

Eliseo 12Appena Elia fu avvolto dal turbine, Eliseo fu ripieno del suo spirito; nei suoi giorni non tremò davanti a nessun principe e nessuno riuscì a dominarlo. 13Nulla fu troppo grande per lui, e nel sepolcro il suo corpo profetizzò. 14Nella sua vita compì prodigi, e dopo la morte meravigliose furono le sue opere. 15Con tutto ciò il popolo non si convertì e non rinnegò i suoi peccati, finché non fu deportato dal proprio paese e disperso su tutta la terra. Rimase soltanto un piccolissimo popolo e un principe della casa di Davide. 16Alcuni di loro fecero ciò che è gradito a Dio, ma altri moltiplicarono i peccati.

Ezechia e Isaia 17Ezechia fortificò la sua città e portò l'acqua nel suo interno; con il ferro scavò un canale nella roccia e costruì cisterne per l'acqua. 18Nei suoi giorni Sennàcherib fece una spedizione e mandò Rapsache; alzò la sua mano contro Sion e si vantò spavaldamente nella sua superbia. 19Allora si agitarono loro i cuori e le mani, soffrirono come le partorienti. 20Invocarono il Signore misericordioso, tendendo le loro mani verso di lui. Il Santo li ascoltò subito dal cielo⊥ e li liberò per mezzo di Isaia. 21Egli colpì l'accampamento degli Assiri, e il suo angelo li sterminò, 22perché Ezechia aveva fatto quanto è gradito al Signore e aveva seguito con fermezza le vie di Davide, suo padre, come gli aveva indicato il profeta Isaia, grande e degno di fede nella sua visione. 23Nei suoi giorni il sole retrocedette ed egli prolungò la vita del re. 24Con grande ispirazione vide gli ultimi tempi e consolò gli afflitti di Sion. 25Egli manifestò il futuro sino alla fine dei tempi, le cose nascoste prima che accadessero.

_________________ Note

48,1-11 Per il profeta Elia il Siracide manifesta profonda ammirazione. Vengono rievocate alcune vicende che la Bibbia racchiude nei libri dei Re: la caduta del fuoco dal cielo (1Re 18,38; 2Re 1,10-12), la risurrezione del figlio della vedova di Sarepta (1Re 17,17-22) e la sua assunzione al cielo su un carro di fuoco (2Re 2). Non manca un accenno al suo ruolo nella preparazione dell’epoca messianica (v. 10, da confrontare con Ml 3,23-24). Le vicende di Elia sono narrate in 1Re 17-2Re 2.

48,12-16 Di Eliseo si parla in 2Re 2-13.

48,17-25 Del re Ezechia viene celebrata l’opera di fortificazione di Gerusalemme (2Re 20,20), per proteggerla nell’eventualità di un assedio. Si accenna alla spedizione del re assiro Sennàcherib, che inviò il suo coppiere Rapsache (v. 18) contro il regno di Giuda; ma l’angelo del Signore intervenne salvando il popolo (2Re 18-19; Is 36-37). Il profeta Isaia è affiancato a Ezechia nella guida spirituale e materiale del regno. Di lui viene ricordato (v. 23) il miracolo narrato in 2Re 20,8-11 e Is 38,4-8.

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Approfondimenti

vv. 1-15d. Per Ben Sira Elia è come un fuoco (v. 1a), immagine efficace per indicare il suo zelo (v. 2b; cfr. il gioco di parole tra ’îš ’elōhîm ed ’ēš ’elōhîm, uomo di Dio e fuoco di Dio in 2Re 1,10.12). Viene mandato da Dio nel regno del Nord, per puriticarlo (vv. 1-3) e riunificarlo al regno davidico del Sud («ricondurre il cuore dei padri verso i figli»: v. 10c). Elia è visto come operatore di prodigi, più che come profeta (vv. 1.4): fa venire la carestia (v. 2a; cfr. 1Re 18,3; Lc 4,25), chiude i cieli (v. 3a; cfr. 1Re 17,1) e fa scendere il fuoco tre volte (v. 3b; cfr. 1Re 18,38; 2Re 1,10.12). Passando alla seconda persona singolare (vv. 5-11) – come già con Salomone (47,14-20) – Ben Sira fa poi riferimento ad altre opere prodigiose, che rendono Elia ineguagliabile: la risurrezione del figlio della vedova di Zarepta (v. 5; cfr. 1Re 17,17-22), la rovina di re malvagi (v. 6; cfr. 1Re 21,19-24; 2Re 1,16-17), l'esperienza del rimprovero sull'Oreb-Sinai (v. 7; cfr. 1Re 19,8-18), l'unzione di re e profeti (v. 8; cfr. 1Re 19,15-16), la sua fine gloriosa (v. 9; 2Re 2,1.11). Il vertice è nei vv. 10-11: Ben Sira afferma la fede biblica («è scritto») circa il ritorno di Elia nei tempi messianici (v. 10; cfr. Ml 3,24) per ristabilire le tribù di Giacobbe (cfr. Is 49,6). Per il NT questa profezia si compie in Giovanni Battista (Mt 17,10-13; Mc 9,11-13; cfr. anche Lc 1,17). Nel greco del v. 11 si esprime la convinzione che i morti nell'amore rivivranno e avranno la gioia di vedere Elia tornare. Per il tema della pena nell'aldilà, cfr. il greco di 7,17. L'ebraico del v. 11 è mutilo e forse allude ad Eliseo, che vide la scomparsa di Elia (cfr. 2Re 2,10-12); comunque non pare si discosti dalla concezione intramondana di Ben Sira (cfr. 14,11-19; 17,27-28).

Eliseo viene riempito dello spirito di Elia (v. 12), più di chiunque altro («due volte», BC: «due terzi»: cfr. 2Re 2,9-10), ed opera meraviglie (vv. 12cd-14; cfr. 2Re 2-6; 8; 13). Un chiaro parallelismo antitetico sottolinea la sua grandiosità in vita e in morte (v. 14). Ma il popolo del regno del Nord non si convertì e finì in esilio: allusione alla presa di Samaria nel 722 a.C. da parte assira e alla deportazione (v. 15cd; cfr. 2Re 17,5-23; Dt 4,25-27).

vv. 15e-25. Rimane solo il piccolo resto del regno di Giuda al Sud, con un discendente di Davide sul trono (v. 15ef). Estrema sintesi della storia dei re di Giuda (v. 16): Ben Sira ritiene che solo Ezechia (715-687 a.C.) possa rientrare tra i re buoni nello spirito della storia deuteronomica (cfr. 2Re 18,1-8). Ne riconosce anzitutto i meriti socio-politici: ha fortificato Gerusalemme, l'ha resa sicura contro eventuali assedi portando l'acqua dalla fonte del Ghicon fino alla piscina di Siloe con un tunnel, ha fronteggiato Sennacherib nel 701 (vv. 17-18; cfr. 2Re 20,20; 2Cr 32,30). Poi ne ricorda la pietà esemplare, a cui Dio dà ascolto inviandogli il proteta Isaia (vv. 19-20; cfr. 2Re 19,20-34). Ezechia è docile e fermo sulle vie del padre Davide (v. 22b: il nome Ezechia significa «JHWH rende forte, fermo») e viene guarito nella malattia (v. 23; cfr. 2Re 29,6; Is 38,5). L'ultima pennellata è per Isaia, che vede il futuro e consola Israele (vv. 24-25; cfr. Is 24-27 e 40-66). Per Ben Sira Isaia è autore di tutto il libro che porta il suo nome.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Natan e Davide 1Dopo di lui sorse Natan, per profetizzare nei giorni di Davide. 2Come dal sacrificio di comunione si preleva il grasso, così Davide fu scelto tra i figli d'Israele. 3Egli scherzò con leoni come con capretti, con gli orsi come con agnelli. 4Nella sua giovinezza non ha forse ucciso il gigante e cancellato l'ignominia dal popolo, alzando la mano con la pietra nella fionda e abbattendo la tracotanza di Golia? 5Egli aveva invocato il Signore, l'Altissimo, che concesse alla sua destra la forza di eliminare un potente guerriero e innalzare la potenza del suo popolo. 6Così lo esaltarono per i suoi diecimila, lo lodarono nelle benedizioni del Signore offrendogli un diadema di gloria. 7Egli infatti sterminò i nemici all'intorno e annientò i Filistei, suoi avversari; distrusse la loro potenza fino ad oggi. 8In ogni sua opera celebrò il Santo, l'Altissimo, con parole di lode; cantò inni a lui con tutto il suo cuore e amò colui che lo aveva creato. 9Introdusse musici davanti all'altare e con i loro suoni rese dolci le melodie. ⌈Ogni giorno essi eseguono le loro musiche.⌉ 10Conferì splendore alle feste, abbellì i giorni festivi fino alla perfezione, facendo lodare il nome santo del Signore ed echeggiare fin dal mattino il santuario. 11Il Signore perdonò i suoi peccati, innalzò la sua potenza per sempre, gli concesse un'alleanza regale e un trono di gloria in Israele.

Salomone 12Dopo di lui sorse un figlio saggio, che, grazie a lui, abitò in un vasto territorio. 13Salomone regnò nei giorni di pace, per lui Dio concesse tranquillità all'intorno, perché costruisse una casa per il suo nome e preparasse un santuario per sempre. 14Come fosti saggio nella tua giovinezza e fosti colmo d'intelligenza come un fiume! 15La tua fama ricoprì la terra, che tu riempisti di sentenze difficili. 16Il tuo nome giunse lontano, fino alle isole, e fosti amato nella tua pace. 17Per i canti, i proverbi, le sentenze e per i responsi ti ammirarono i popoli. 18Nel nome del Signore Dio, che è chiamato Dio d'Israele, hai accumulato l'oro come stagno, hai ammassato l'argento come piombo. 19Ma hai steso i tuoi fianchi accanto alle donne e ne fosti dominato nel tuo corpo. 20Hai macchiato la tua gloria e hai profanato la tua discendenza, così da attirare l'ira divina sui tuoi figli ed essere colpito per la tua stoltezza. 21Perciò fu diviso in due il tuo dominio e da Èfraim ebbe inizio un regno ribelle. 22Ma il Signore non ha rinnegato la sua misericordia, non ha lasciato cadere nessuna delle sue parole. Non ha fatto perire la posterità del suo eletto e non ha distrutto la stirpe di colui che lo aveva amato. Egli concesse un resto a Giacobbe e a Davide un germoglio nato da lui.

Roboamo e Geroboamo 23Salomone andò a riposare con i suoi padri e dopo di sé lasciò un discendente, stoltezza del popolo e privo di senno, Roboamo, che si alienò il popolo con le sue decisioni, e Geroboamo, figlio di Nabat, che indusse Israele a peccare e aprì a Èfraim la via del peccato. 24Le loro colpe si moltiplicarono tanto da farli esiliare dal proprio paese. 25Essi commisero ogni genere di malvagità, finché non giunse su di loro la vendetta.

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Approfondimenti

vv. 1-11. Dopo il rapido accenno al profeta Natan (v. 1), si passa al profilo di Davide (vv. 2-11). La sua superiore bontà è paragonata – con immagine cultuale – al grasso scremato dalle vittime (v. 2). Si delineano prima i meriti militari (vv. 3-7) e poi quelli cultuali (vv. 8-10). Da ultimo si ricorda in modo sfumato il peccato con la moglie di Uria (cfr. 2Sam 11,12; Sal 51) e si accenna rapidamente all'alleanza regale (v. 11). Ben Sira narra con gusto le vittorie su leoni e orsi a difesa delle pecore (v. 3; cfr. 1Sam 17,34s.) e la sconfitta del gigante Golia grazie alla forza del Signore (vv. 4-5; cfr. 1Sam 17,32-51); e ancora le lodi del popolo (v. 6; cfr. 1Sam 18,7) ed il successo contro i vari nemici, Moabiti e Aramei, Edomiti, Ammoniti e Filistei (v. 7; cfr. 2Sam 8). Al gusto si unisce, poi, l'ammirata devozione nel descrivere la riforma religiosa: Ben Sira sembra indugiare volentieri sul Davide orante e cantore (v. 8) e sul legislatore che ha rilanciato la vita del santuario con musicisti, feste e canti (vv. 9-10). L'aspetto regale è nettamente oscurato dal significato sacerdotale dell'opera Davide (v. 11), pervenuto alla perfezione in questo campo (v. 10b).

vv. 12-25. L'introduzione pone l'accento sulla saggezza di Salomone, a cui i meriti del padre Davide hanno fatto ereditare un vasto regno (v. 12). Il brano si sviluppa in tre parti: l'elogio del re sapiente (vv. 13-18), l'esito negativo del suo peccato, che divide il regno di suo padre (vv, 19-21), e la promessa del «resto» (v. 22), seguita dalla fine degli stolti fatta dai figli di Salomone: Roboamo, re di Giuda (v. 23), e Geroboamo, re di Israele (vv. 24-25). Salomone è ricordato, oltre che per il regno di pace e la costruzione del santuario (v. 13), anche per la ricchezza (v. 18) e soprattutto per la fama di sapiente e compositore di canti (vv. 14-17). Allusioni alle risposte date alla regina di Saba (1Re 10,1-10) e al Cantico dei Cantici (Ct 1,1). Il greco, alludendo al suo nome (Salomone, il «pacifico»), amplifica il favore universale per la sua opera di pace (v. 16, assente in ebraico). Nei vv. 14-20 l'autore fa ricorso alla seconda persona singolare: stesso uso con Elia (48,4-11). La macchia del peccato riguarda le donne straniere, in quanto causa di indebolimento della fede dei padri e di idolatria (vv. 19-20; cfr. Pr 31,3, ma soprattutto Dt 17,17). Il riferimento al resto è in un quadro di messianismo regale, con l'allusione alla radice di Davide (v. 22f; cfr. Is 11,1). Dopo Salomone il male del regno diviso in due crebbe a causa dello stolto Roboamo (gioco di parole tra rabab, vasto – presente in ebr. – e ‘am, popolo, presente in gr.) e dell'innominabile Geroboamo (l'ebr. non vuole ricordarne il nome), che portò Israele sulla via del peccato. Esito di tutto ciò: esilio ed ogni sorta di malvagità, finché non sorse Elia.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Giosuè e Caleb 1Valoroso in guerra fu Giosuè, figlio di Nun, successore di Mosè nell'ufficio profetico; secondo il suo nome, egli fu grande per la salvezza degli eletti di Dio, compiendo la vendetta contro i nemici insorti, per assegnare l'eredità a Israele. 2Com'era glorioso quando alzava le sue braccia e brandiva la spada contro le città! 3Chi prima di lui era stato così saldo? Egli guidava le guerre del Signore. 4Al suo comando non si arrestò forse il sole e un giorno divenne lungo come due? 5Egli invocò l'Altissimo, il Sovrano, mentre i nemici lo premevano da ogni parte; lo esaudì il Signore grande con una grandinata di pietre poderose. 6Egli piombò sulla nazione nemica e nella discesa distrusse gli avversari, perché le nazioni conoscessero tutte le sue armi e che la loro guerra era contro il Signore. Egli infatti marciò dietro al Sovrano 7e nei giorni di Mosè compì un'opera di misericordia: egli e Caleb, figlio di Iefunnè, opponendosi all'assemblea, impedendo che il popolo peccasse e calmando le maligne mormorazioni. 8Solo loro due furono salvati fra i seicentomila fanti, per far entrare il popolo nell'eredità, nella terra in cui scorrono latte e miele. 9Il Signore concesse a Caleb una forza che l'assistette sino alla vecchiaia, perché raggiungesse le alture del paese; così la sua discendenza possedette l'eredità, 10affinché tutti i figli d'Israele sapessero che è bene seguire il Signore.

I giudici 11Ci sono poi i giudici, ciascuno con il suo nome: di coloro il cui cuore non commise infedeltà e di quanti non si allontanarono dal Signore, sia il loro ricordo in benedizione! 12Le loro ossa rifioriscano dalla loro tomba e il loro nome si rinnovi nei figli, perché essi sono già glorificati.

Samuele 13Samuele, amato dal suo Signore, profeta del Signore, istituì la monarchia e unse dei prìncipi sul suo popolo. 14Secondo la legge del Signore governò l'assemblea e il Signore volse lo sguardo benevolo su Giacobbe. 15Per la sua fedeltà si dimostrò profeta e per le sue parole fu riconosciuto veggente degno di fede. 16Egli invocò il Signore, il Sovrano, quando i nemici lo premevano all'intorno, con l'offerta di un agnello da latte. 17Il Signore tuonò dal cielo e con grande fragore fece udire la sua voce; 18sterminò i capi degli abitanti di Tiro e tutti i prìncipi dei Filistei. 19Prima dell'ora del suo sonno eterno attestò davanti al Signore e al suo unto: “Né denari né sandali ho preso da alcuno”, e nessuno poté contraddirlo. 20Ancora dopo che si fu addormentato profetizzò, predicendo al re la sua fine; anche dal sepolcro levò la sua voce per cancellare con una profezia l'iniquità del popolo.

_________________ Note

46,20 Si allude all’episodio narrato in 1Sam 28.

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Approfondimenti

vv. 1-12. Tre rievocazioni compongono il brano: Giosuè (vv. 1-6), Caleb (vv. 7-10) e i giudici (vv. 11-12). L'intento didascalico di mostrare che è bene seguire il Signore (v. 10) fa rileggere in modo edificante la storia della conquista della terra promessa ad opera di Giosuè. La fermata del sole (v. 4) e la grandinata eccezionale (v. 5; cfr. Gs 10,13) evidenziano la mano forte del successore di Mosè (vv. 2.4a), che vinceva perché invocava e seguiva l'Altissimo (vv. 5-6). Giosuè, modello di preghiera nella tribolazione, viene ascoltato dall'altissimo sovrano (v. 5a). Il nome divino ‘elyôn è frequente (14 volte) in questi ultimi capitoli del libro, mentre nel resto si usa JHWH. La rievocazione, a questo punto, fa un passo indietro, ricordando un atto di pietà (v. 7a) di Giosuè e Caleb, avvenuto prima della conquista. I due, dopo avere esplorato il paese di Canaan, cercano di convincere l'assemblea che mormora, che è possibile entrarci, avendo fede nell'aiuto del Signore. Il popolo non cambia parere e, di conseguenza, solo due – contro seicentomila – si salvarono (v. 8; cfr. 10,16; Es 12,37; Nm 11,21). Infine l'elogio complessivo dei giudici: dopo aver escluso chi è caduto nell'idolatria (v. 11) – si allude forse a Gedeone (Gdc 8,27) e Sansone (Gdc 13-16) – Ben Sira auspica che le loro ossa rifioriscano nei figli (v. 12). Non pare si tratti del tema della risurrezione, quanto piuttosto di quello della rinascita, nel tempo di Ben Sira, della fede e delle gesta eroiche di chi introdusse Israele nella sua terra.

vv. 13-20. Dopo le opere di Samuele in vita (vv. 13-16) e la risposta potente del Signore (vv. 17-18), il brano ricorda il testamento in punto di morte e l'attività profetica dal sepolcro (vv. 19-20). Samuele è l'ultimo dei giudici (v. 14a), che non si è mai lasciato corrompere da denaro (v. 19); ha istituito la monarchia (v. 13), consacrando Saul (cfr. 1Sam 10,1) e dopo di lui Davide (v. 20b; cfr. 1Sam 16,13); è stato profeta fedele e verace (vv. 15.20) ed ha svolto funzioni sacerdotali, pregando e offrendo sacrifici (v. 16). L'ebraico lo ricorda esplicitamente, oltre che come nazireo consacrato alla funzione profetica dal grembo materno alla morte, anche come giudice e sacerdote, uomo di senno fino alla fine.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1amato da Dio e dagli uomini: Mosè, il cui ricordo è in benedizione. 2Gli diede gloria pari a quella dei santi e lo rese grande fra i terrori dei nemici. 3Per le sue parole fece cessare i prodigi e lo glorificò davanti ai re; gli diede autorità sul suo popolo e gli mostrò parte della sua gloria. 4Lo santificò nella fedeltà e nella mitezza, lo scelse fra tutti gli uomini. 5Gli fece udire la sua voce, lo fece entrare nella nube oscura e gli diede faccia a faccia i comandamenti, legge di vita e d'intelligenza, perché insegnasse a Giacobbe l'alleanza, i suoi decreti a Israele.

Aronne 6Egli innalzò Aronne, santo come lui, suo fratello, della tribù di Levi. 7Stabilì con lui un'alleanza perenne e lo fece sacerdote per il popolo. Lo onorò con splendidi ornamenti e gli fece indossare una veste di gloria. 8Lo rivestì con il massimo degli onori, lo coronò con paramenti di potenza: calzoni, tunica ed efod. 9Lo avvolse con melagrane e numerosi campanelli d'oro all'intorno, che suonassero al muovere dei suoi passi, diffondendo il tintinnio nel tempio, come memoriale per i figli del suo popolo. 10Lo avvolse con una veste sacra d'oro, violetto e porpora, opera di ricamatore, con il pettorale del giudizio, con i segni della verità 11e con tessuto di scarlatto filato, opera d'artista, con pietre preziose, incise come sigilli, incastonate sull'oro, opera d'intagliatore, quale memoriale, con le parole incise secondo il numero delle tribù d'Israele. 12Sopra il turbante gli pose una corona d'oro con incisa l'iscrizione sacra, insegna d'onore, lavoro vigoroso, ornamento delizioso per gli occhi. 13Prima di lui non si erano viste cose tanto belle, mai uno straniero le ha indossate, ma soltanto i suoi figli e i suoi discendenti per sempre. 14I suoi sacrifici vengono interamente bruciati, due volte al giorno, senza interruzione. 15Mosè riempì le sue mani e lo unse con olio santo. Ciò divenne un'alleanza perenne per lui e per i suoi discendenti, finché dura il cielo: quella di presiedere al culto ed esercitare il sacerdozio e benedire il popolo nel suo nome. 16Lo scelse fra tutti i viventi perché offrisse sacrifici al Signore, incenso e profumo come memoriale, e perché compisse l'espiazione per il popolo. 17Nei suoi comandamenti gli diede il potere di pronunciare giudizi, perché insegnasse a Giacobbe le sue testimonianze e illuminasse Israele nella sua legge. 18Contro di lui insorsero uomini stranieri e furono gelosi di lui nel deserto: erano gli uomini di Datan e di Abiròn e quelli dell'assemblea di Core, furiosi e violenti. 19Il Signore vide e se ne indignò; essi finirono annientati nella furia della sua ira. Egli compì prodigi a loro danno, per distruggerli con il fuoco della sua fiamma. 20E aumentò la gloria di Aronne, gli assegnò un'eredità: gli riservò le primizie dei frutti, gli assicurò anzitutto pane in abbondanza. 21Si nutrono infatti delle vittime offerte al Signore, che egli ha assegnato a lui e ai suoi discendenti. 22Tuttavia non ha eredità nella terra del popolo, non c'è porzione per lui in mezzo al popolo, perché il Signore è la sua parte e la sua eredità.

Fineès 23Fineès, figlio di Eleàzaro, fu il terzo nella gloria, per il suo zelo nel timore del Signore, per la sua fermezza quando il popolo si ribellò, per la bontà coraggiosa della sua anima; egli fece espiazione per Israele. 24Per questo con lui fu stabilita un'alleanza di pace, perché presiedesse al santuario e al popolo; così a lui e alla sua discendenza fu riservata la dignità del sacerdozio per sempre. 25Per l'alleanza fatta con Davide, figlio di Iesse, della tribù di Giuda, l'eredità del re passa solo di figlio in figlio, l'eredità di Aronne invece passa a tutta la sua discendenza. 26Vi infonda Dio sapienza nel cuore, per giudicare il suo popolo con giustizia, perché non svanisca la loro prosperità e la loro gloria duri per sempre.

_________________ Note

45,6-22 La lunga trattazione riservata ad Aronne è motivata dal suo sacerdozio, per il quale il Siracide mostra venerazione e nutre grande speranza in vista del futuro d’Israele. La descrizione delle vesti sacerdotali di Aronne si ispira a Es 28.

45,10 i segni della verità: gli urìm e tummìm, strumenti particolari che si usavano quando si consultava la divinità (Es 28,30).

45,12 l’iscrizione sacra: il nome sacro di Dio.

45,15 L’espressione “riempire le mani” designa l’investitura sacerdotale.

45,18-19 Allusione all’episodio di ribellione, narrato in Nm 16,1-17,15.

45,23-26 Fineès (o Pincas) riveste un ruolo speciale nella trasmissione del sacerdozio, essendo nipote di Aronne (il sacerdozio si trasmetteva in linea ereditaria, v. 25). Di lui si parla in Nm 25,11-13.

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Approfondimenti

vv. 44,23f-45,5. Entra subito in scena Mosè. Il riferimento a Giuseppe (cfr. Eb 11,22) si trova alla fine della sezione (cfr. 49,15), anche se non manca chi vuole vederlo nei tratti iniziali del profilo di Mosè (cfr. 44,23f-45,2). Diversamente che per Abramo, qui Ben Sira sottolinea molto l'iniziativa divina, con una dozzina di verbi che hanno Dio per soggetto. Mosè, da lui amato (cfr. 45,1a; stesso termine solo per Samuele in 47,13), è scelto fra tutti gli Israeliti (questo il senso di «ogni carne»: v. 4b; cfr. v. 16a) e uguagliato alla gloria degli angeli (v. 2a; per i santi = angeli cfr. 42,17), reso forte davanti ai nemici (v. 2b) e glorioso davanti ai re (v. 3b); è intercessore ascoltato per allontanare minacce (v. 3a) e partecipa alla gloria ed alla santità di Dio (vv. 3d.4a), messo in grado di udirne la voce, entrare nella sua nube misteriosa (v. 5ab) e riceverne i comandamenti faccia a faccia (vv. 3c.5c). L'ebraico è un po' più riservato circa l'incontro di Mosè con Dio. Tuttavia il trattamento eccezionale, tenuto conto della pietà e fedeltà di Mosè (vv. 1a.4a), mira a fare di lui l'interprete della legge di vita per il bene di tutto il popolo (v. 5eg; cfr. v. 17cd; ma anche 17,11; 24,23).

vv. 6-22. Il ritratto di Aronne, tre volte più lungo, anticipa temi e lessico dell'elogio del sommo sacerdote Simone (cfr. 50,1-21). Dopo aver introdotto Aronne, fratello di Mosè, collocato in mezzo al popolo e all'alleanza con la funzione specifica di sacerdote (vv. 6-7), Ben Sira si immerge nella descrizione ammirata del suo abbigliamento liturgico, vera delizia degli occhi e dell'udito (vv. 8-12). Passa, poi, a presentare la duplice funzione del sacerdote:

  • a) offrire i sacrifici e compiere l'espiazione (vv. 13-16);
  • b) insegnare e far applicare la legge (v. 17).

Dopo aver ricordato la rivolta politica di Datan e Abiron, discendenti di Ruben (v. 18c; cfr. Nm 16,1.12s.), e la rivendicazione sacerdotale della “banda di Core”, discendente di Levi (v. 18d; cfr. Nm 16,1-11), seguite dal castigo (v. 19; cfr. Nm 16,16-35), Ben Sira conclude descrivendo lo statuto speciale della discendenza di Aronne, la cui eredità è il Signore stesso (vv. 20-22). La grande attenzione data al sacerdozio rivela una sensibilità e una necessità: da un lato la nota ammirazione di Ben Sira per il culto (cfr. 7,29-31 e 34,18-35,10), dall'altro la convinzione che Israele ormai non ha altre istituzioni a cui appoggiarsi (cfr. v. 26).

vv. 23-26. L'eredità di Aronne si trasmette integra alla sua discendenza (v. 25d): il nipote Finees, figlio di Eleazaro, viene qui collocato in grande rilievo. Il libro dei Numeri ricorda la sua risolutezza nell'eseguire l'ordine mosaico di eliminare quanti aderivano al culto di Baal-Peor. Finees uccide l'israelita Zimri e la madianita Cozbi, facendo cessare il flagello divino contro Israele (Nm 25,1-8). Ben Sira non ricorda il gesto omicida, ma la concessione a Finees e alla sua discendenza della guida dei santi (ebraico: santuario) e del popolo con la dignità del sacerdozio per sempre (v. 24; cfr. Nm 25,13). Il “terzo posto” (v. 23a) può avere due spiegazioni:

  • a) quella genealogico-sacerdotale, secondo cui Finees è considerato terzo dopo Aronne ed Eleazaro o dopo Mosè e Aronne;
  • b) quella spirituale, secondo cui egli è terzo per fedeltà dopo Abramo e Mosè (cfr. 44,20; 45,4).

Il brano è chiuso da due riferimenti intrecciati, concernenti il presente: l'alleanza regale con Davide, ormai senza prospettive socio-politiche all'epoca di Ben Sira (v. 25ab) e l'augurio perché i discendenti di Aronne nel sacerdozio siano le vere guide politiche di Israele, assicurandogli un governo giusto (v. 26)

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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