📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

La serenità di coscienza 1Beato l'uomo che non ha peccato con la sua bocca e non è tormentato dal rimorso dei peccati. 2Beato chi non ha nulla da rimproverarsi e chi non ha perduto la sua speranza.

Grettezza e invidia 3A un uomo gretto non va bene la ricchezza, a che cosa servono gli averi a un uomo avaro? 4Chi accumula a forza di privazioni, accumula per altri; con i suoi beni faranno festa gli estranei. 5Chi è cattivo con se stesso con chi sarà buono? Certo non godrà delle sue ricchezze. 6Nessuno è peggiore di chi danneggia se stesso, e questa è la ricompensa della sua malizia: 7anche se fa il bene, lo fa per distrazione, e alla fine sarà manifesta la sua malizia. 8È malvagio l'uomo dall'occhio invidioso, volge lo sguardo altrove e disprezza la vita altrui. 9L'occhio dell'avaro non si accontenta della sua parte, una malvagia ingiustizia gli inaridisce l'anima. 10Un occhio cattivo è invidioso anche del pane ed è proprio questo che manca sulla sua tavola.

Saper godere 11Figlio, per quanto ti è possibile, tràttati bene e presenta al Signore le offerte dovute. 12Ricòrdati che la morte non tarderà e il decreto degli inferi non ti è stato rivelato⊥. 13Prima di morire fa' del bene all'amico, secondo le tue possibilità sii generoso con lui. 14Non privarti di un giorno felice, non ti sfugga nulla di un legittimo desiderio. 15Non lascerai forse a un altro i frutti del tuo lavoro, e le tue fatiche per essere divise fra gli eredi? 16Regala e accetta regali, e divèrtiti,⊥ perché negli inferi non si ricerca l'allegria. 17Ogni corpo invecchia come un abito, ⌈è una legge da sempre: “Devi morire!”.⌉ 18Come foglie verdi su un albero frondoso, alcune cadono e altre germogliano, così sono le generazioni umane: una muore e un'altra nasce.

19Ogni opera corruttibile scompare e chi la compie se ne andrà con essa.⊥ 20Beato l'uomo che si dedica alla sapienza e riflette con la sua intelligenza⊥, 21che medita nel cuore le sue vie e con la mente ne penetra i segreti. 22La insegue come un cacciatore, si apposta sui suoi sentieri. 23Egli spia alle sue finestre e sta ad ascoltare alla sua porta. 24Sosta vicino alla sua casa e fissa il picchetto nelle sue pareti, 25alza la propria tenda presso di lei e si ripara in un rifugio di benessere, 26mette i propri figli sotto la sua protezione e sotto i suoi rami soggiorna; 27da lei è protetto contro il caldo, e nella sua gloria egli abita.

_________________ Note

14,11-19 La saggezza consiglia di compiere il bene e, allo stesso tempo, di godere di quanto offre la vita. Anche il Siracide, come quasi tutti gli autori dell’AT, pensa l’aldilà come dimora indifferenziata per tutti, buoni e cattivi, ricchi e poveri (vedi Gb 3,17 e nota).

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Approfondimenti

Le due parti del c. 14 (vv. 1-19 e 20-27) sono introdotte dall'aggettivo «beato»: la beatitudine di chi non ha peccati sulla coscienza sfocia in quella del saggio, che medita sulla sapienza. La prima parte presenta tre scansioni: la condizione beata di chi non pecca (vv. 1-2), la miopia dell'uomo gretto (3-10), l'uso dei beni e la morte (11-19).

vv. 1-2. Dopo il legame tra volto e cuore (13,25-26), si analizza quello tra bocca e coscienza. Per Ben Sira è beato (makarios) chi non si è rovinato con la lingua e non è tormentato dai rimorsi del peccato; è beato chi non viene rimproverato dalla coscienza e, pertanto, non ha perso la speranza. È una beatitudine legata, mediante la sapienza (v. 20), al timore del Signore: «Beata l'anima di chi teme il Signore» (34,17), poiché «chi teme il Signore non ha paura di nulla (...), egli è la sua speranza» (34,16). In Ben Sira parla lo scriba, prima che il sapiente. Beatitudine e speranza giudaica vanno insieme. Per contrasto sembra che Ben Sira alluda a coloro che, allontanandosi dal Dio di Israele, nostra “speranza”, “sono caduti dalla speranza” (v. 2b), procurandosi una felicità illusoria, insidiata dalla “tristezza del peccato” (v. 1b) e dal rimprovero della coscienza (v. 2a). Beatitudine e storia di Israele si intrecciano: l'autore esulta per la “felicità” di «coloro che videro il profeta Elia e si sono addormentati nell'amore» (cfr. 48,11). Beatitudine e storia quotidiana: Ben Sira torna presto a insegnare la felicità anche con l'esperienza della vita. Nella sua sapienza pratica, definisce beato chi si guarda dai “colpi della lingua” (28,18), chi scopre la prudenza (25,9), chi vive con una moglie assennata (25,8) e buona (26,1), perfino chi è ricco, a condizione che sia «trovato senza macchia» (31,8). A conclusione del libro, Ben Sira garantisce la “beatitudine” di chi mediterà i suoi insegnamenti e, fissandoli bene nel cuore, diventerà saggio della via Parola di uno che crede e di uno che è esperto 14, 3-10. Bozzetto sarcastico dell'uomo gretto, che non sa servirsi delle ricchezze accumulate a forza di privazioni (vv. 3-4); altri si pasceranno dei suoi beni (v. 4b; cfr. v. 15a) mentre egli risparmia perfino il pane sulla sua mensa (v. 10). Chi è cattivo con se stesso è inaffidabile anche quando dovesse, per distrazione, fare del bene agli altri (v. 7a; cfr. Pr 11,17). La finale del brano si concentra sull'occhio di un tale personaggio: è pieno di invidia e disprezzo (v. 8), di avarizia insaziabile (v. 9) e di gelosa malevolenza (v. 10). L'aggettivo mikrologos («gretto»: v. 3a) è un hapax del GrI e dei LXX. L'ebraico usa «cuore piccolo». Il messaggio di Ben Sira è chiaro: bisogna imparare a usare la ricchezza per il proprio e l'altrui bene. Cfr. Pr 13,22; Lc 12,16-21.

vv. 11-19. Un'ammonizione invita a raccogliere l'insegnamento del brano precedente: se possiedi, fai del bene a te stesso, presenta degne offerte al Signore, aiuta l'amico secondo le tue forze (vv. 11.13); non ti privare di giorni felici o della tua parte in un buon desiderio (v. 14). Dal momento che fatiche e sacrifici (c'è un'assonanza: ponous/ kopous) vanno in eredità ad altri (v. 15; cfr v. 4b), la regola del vivere è questa: «Regala e accetta regali, distrai l'anima tua» (v. 16a). Una simile filosofia pratica si nutre di un ricordo e di una convinzione: la morte, certa per tutti, non tarda e nell'aldilà non c'è gioia da cercare (vv. 12.16b.17b). Perciò bisogna «distrarre/ingannare» (v. 16a) la propria anima. Ben Sira, rispetto a Qoelet, rifiuta sia la visione tragica della morte – qui considerata “antidoto dell'avarizia” – sia la spinta edonistica verso la vita (cfr. Qo 3,17-19; 9,9-10). La concezione dello šᵉ’°ôl è quella tradizionale: dimora indifferenziata per buoni e cattivi. La caducità dell'esistenza, legge valida per tutti, è resa con l'immagine dell'abito che si logora (v. 17a). Altrove la stessa immagine, per contrasto, fa risaltare la fortezza del servo che JHWH assiste (cfr. Is 50,9) e la salvezza di Dio che dura sempre (cfr. Is 51,6; Sal 102,27). Prima di mettere una sorta di pietra tombale a chiusura del brano (v. 19; cfr. la diversa visione di Ap 14,13), Ben Sira accosta la vita delle piante a quella degli esseri di carne e di sangue: le foglie che cadono e spuntano sugli alberi sono specchio delle generazioni che muoiono e nascono (v. 18; Cfr. Qo 1,4; Is 64,5; Sal 1,3). L'immagine pare essere in comune con l'Iliade: «Gli uomini vanno e vengono come le foglie anno dopo anno sugli alberi» (VI,146-149). Per l'espressione «carne e sangue» (14,18c; 17,31b), cfr. Mt 16,17; 1Cor 15,50; Gal 1,16.

vv. 20-27. Questo brano va letto insieme con 15,1-10: diciotto versetti sulla ricerca della sapienza e sui benefici per chi l'ottiene. Questa prima parte è legata a quanto precede mediante l'aggettivo «Beato»: Ben Sira collega colui che non ha peccati e che ha conservato la speranza (vv. 1-2) con colui che medita sulla sapienza (v. 20), la insegue come un cacciatore (v. 22), gode della sua intimità e protezione (vv. 25-27). Costui è l'uomo che teme il Signore e possiede saldamente la legge e la sapienza (15,1). Una grande varietà di immagini caratterizza l'intera pericope: le vie della sapienza (v. 21), la caccia (v. 22), la casa con finestre e porte, chiodi e pareti (v. 23-24), la tenda (v. 25), l'albero (v. 26a), il nido (v. 26a dell'ebraico), la madre (v. 26a; 15,2a), il caldo (v. 27a), la sposa (15,3b), il pane e l'acqua (15,3). Il brano si conclude con il verbo «sostare, trovare alloggio» (katalyein: vv. 24.25.27), che la Bibbia greca normalmente non usa nei sapienziali. Ben Sira torna nel ruolo dello scriba. La sapienza riveste i panni della tradizionale ospitalità biblica e offre un alloggio (v. 25: katalyma è hapax) pieno di beni e di sicurezza. La casa della sapienza è come quella dei patriarchi: ha un posto per “passare la notte”. Sulla sua soglia sembrano presentarsi i personaggi itineranti del Pentateuco (Gn 19,2; 24,23.25; Es 4,24) e dei libri storici (Gs 2,1; 3,1; Gdc 19,9.15.20). Ancor di più questo “alloggio” sembra rimandare all”età dell'amorosa convivenza” tra il Signore e il suo popolo (Ez 16,8; cfr. Sir 51,20-21) e mettere in guardia contro l'infedeltà dei figli di Israele che «si affollano nelle case di prostituzione» (Ger 5,7e). Chi cerca la sapienza – conclude Ben Sira – appartiene a quel popolo che il Signore ha liberato e guidato verso la «santa dimora» (katalyma agion: Es 15,13); chi cerca la sapienza avrà la stessa avventura di Elia, che incontra Dio sull'Oreb, davanti alla caverna in cui ha passato la notte (1Re 19,9).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Non essere ingenuo con i ricchi e i potenti 1Chi maneggia la pece si sporca, chi frequenta il superbo diviene simile a lui. 2Non portare un peso troppo grave per te, non associarti a uno più forte e più ricco di te. Perché accostare una brocca alla pentola? Se questa cozza, l'altra si spezza. 3Il ricco commette ingiustizia e per di più grida forte, il povero subisce ingiustizia e per di più deve scusarsi. 4Se gli sei utile, si approfitta di te; se hai bisogno, ti abbandonerà. 5Se possiedi, starà con te, e ti impoverisce senza alcun rimorso. 6Se ha bisogno di te, ti imbroglierà, ti sorriderà e ti farà sperare, ti rivolgerà belle parole e chiederà: “Di che cosa hai bisogno?”. 7Con i suoi banchetti ti farà vergognare, finché non ti avrà spremuto due o tre volte tanto. Alla fine ti deriderà, poi vedendoti ti eviterà e scuoterà il suo capo davanti a te.⊥ 8Sta' attento a non lasciarti imbrogliare e a non farti umiliare per la tua stoltezza.⊥ 9Quando un potente ti chiama, allontànati, ed egli insisterà nel chiamarti. 10Non essere invadente per non essere respinto, non stare appartato per non essere dimenticato. 11Non credere di trattare alla pari con lui e non dare credito alle sue chiacchiere, perché parla molto per metterti alla prova e anche sorridendo indagherà su di te. 12Non ha pietà chi non mantiene la parola, non ti risparmierà maltrattamenti e catene. 13Guàrdati e sta' molto attento, perché cammini sull'orlo del precipizio. 14Quando ascolti queste cose nel sonno, svégliati: per tutta la tua vita ama il Signore e invocalo per la tua salvezza.

Giusti e peccatori, ricchi e poveri 15Ogni vivente ama il suo simile e ogni uomo il suo vicino. 16Ogni essere si accoppia secondo la sua specie, l'uomo si associa a chi gli è simile. 17Che cosa può esserci in comune tra il lupo e l'agnello? Così tra il peccatore e il giusto. 18Quale pace può esservi fra la iena e il cane? Quale intesa tra il ricco e il povero? 19Sono preda dei leoni gli asini selvatici nel deserto, così pascolo dei ricchi sono i poveri. 20Per il superbo l'umiltà è obbrobrio, così per il ricco è obbrobrio il povero. 21Se il ricco vacilla, è sostenuto dagli amici, ma l'umile che cade è respinto dagli amici. 22Il ricco che sbaglia ha molti difensori; se dice sciocchezze, lo scusano. Se sbaglia l'umile, lo si rimprovera; anche se dice cose sagge, non ci si bada. 23Parla il ricco, tutti tacciono e portano alle stelle il suo discorso. Parla il povero e dicono: “Chi è costui?”; se inciampa, l'aiutano a cadere. 24Buona è la ricchezza, se è senza peccato; la povertà è cattiva sulla bocca dell'empio.

25Il cuore di un uomo cambia il suo volto sia in bene sia in male. 26Segno di buon cuore è un volto sereno, ma trovare dei proverbi è un lavoro faticoso.

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Approfondimenti

Il c. 13 richiama l'attenzione sulle differenze economiche e politiche, mettendo in guardia contro l'impossibile fusione tra il ricco e il povero (vv. 1-8 e 15-24), tra chi ha il potere e chi ne subisce la violenza (vv. 9-14). Spesso si usa il termine koinonia: da un lato indica la pericolosa frequentazione dell'uomo superbo o comunque più forte (vv. 1b.2b), dall'altro evidenzia che non è secondo natura un legame tra la creta e il metallo, tra un lupo ed un agnello (vv. 2c.17a). Ben Sira, tuttavia, non condanna la ricchezza in quanto tale, ma dichiara buona quella senza peccato (v. 24) e si appella al ruolo decisivo del cuore umano nella scelta del bene o del male (vv. 25-26).

vv. 1-8. Di fronte alle diversità socio-economiche, Ben Sira ha una lezione da ribadire: il ricco rende gli altri simili a sé nell'arroganza oppure li umilia (vv. 1b.8b). Si comporta come la pece che inevitabilmente sporca (v. 1a) oppure imbroglia e schiaccia (v. 8). Perciò la raccomandazione a non fare lega con uno più forte e più ricco: cosa può aspettarsi una brocca di coccio dallo stare con una pentola di metallo (v. 2)? Con un amaro parallelismo antinomico, Ben Sira sentenzia: il ricco fa l'ingiustizia ed alza la voce, il povero la subisce e deve chiedere scusa (v. 3). Segue la descrizione dei rapporti falsi che un ricco crea: si avvicina a chi può essergli utile e non a chi ha bisogno (vv. 4-5); suo intento è solo imbrogliare e spogliare; trova parole buone e sorrisi di incoraggiamento (v. 6), finché non giunge a spremere due o tre volte l'altro e a umiliarlo (vv. 7-8).

vv. 9-14. Il contrasto si sposta dal piano economico a quello socio-politico: di fronte a colui che ha potere, bisogna scegliere un rapporto di giusta distanza. Né troppo vicino, per non essere allontanato, né troppo lontano per non essere dimenticato (v. 10). Evitare di gareggiare con lui, mettendosi alla pari o cimentandosi con la forza delle sue parole. Sorridente e spietato, è pronto ad esaminare, incatenare e rovinare. Bisogna stare davvero attenti. Bisogna svegliarsi dal sonno, amare il Signore in tutte le circostanze della vita ed invocare da lui la salvezza (v. 14).

vv. 15-24. Anche questa pericope presenta il contrasto ricco-povero. Parte dal fatto che ogni vivente ama il suo simile: per natura (kata genos: v. 16a), dunque, non possono vivere insieme il lupo e l'agnello, la iena e il cane, i leoni e gli asini selvatici. Allo stesso modo non possono stare insieme peccatori e giusti, ricchi e poveri (vv. 17-19). Dalla vicinanza e dal confronto il povero esce sempre perdente. Gli amici e la maggioranza della gente reagiscono a seconda dei beni: un ricco viene soccorso e aiutato, un povero è respinto e rimproverato (vv. 21-22); le parole del ricco, anche prive di senso, sono lodate e portate alle stelle, mentre ai discorsi saggi del povero nessuno bada (vv. 22-23). Il povero è uno sconosciuto. Eppure – conclude Ben Sira – c'è una ricchezza buona, quella senza peccato; così come c'è una povertà cattiva, quella di chi vive empiamente (v. 24). Questa finale dice che lo schema ricco=cattivo e povero=buono non è l'ultima parola della sapienza popolare e religiosa di Ben Sira. Alcuni motivi (creta e metallo, lupo e agnello) riecheggiano Esopo (ca. 600 a.C.) e comunque la letteratura sapienziale del Vicino Oriente antico. Non vi sono esplicite allusioni alle oppressioni sociali della Palestina sotto i greci nel III sec. a.C. Ben Sira mette in guardia, da un lato, i poveri contro gli abusi dei ricchi e di chi ha il potere, ma dall'altro non si accontenta di una lettura solo socio-politica del problema. Va al cuore, alla radice morale e religiosa.

vv. 25-26. E per arrivare al cuore di un uomo, egli parte dal volto: bene e male vi si disegnano (v. 25). Tuttavia un volto gioioso non annulla la fatica per scoprire il senso dei detti sapienziali (v. 26). Il legame volto-cuore, pur così importante, non annulla il mistero dell'uomo, la sua realtà nascosta. Anche Gesù si riferirà al volto, ma consiglierà di “lavarlo”. Farà da schermo contro la tentazione dell'ipocrisia e lascerà che “solo” il Padre «che è nel segreto» (Mt 6, 18), legga il cuore dell'uomo e lo ricompensi.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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A chi bisogna fare il bene 1Se fai il bene, sappi a chi lo fai; così avrai una ricompensa per i tuoi benefici. 2Fa' il bene all'uomo pio e avrai la ricompensa, se non da lui, certo dall'Altissimo. 3Nessun beneficio a chi si ostina nel male e a chi rifiuta di fare l'elemosina⊥. 4Fa' doni all'uomo pio e non dare aiuto al peccatore⊥. 5Fa' il bene al povero e non donare all'empio, rifiutagli il pane e non dargliene, perché egli non ne usi per dominarti; il male che ne avrai sarà doppio per tutti i benefici che gli avrai fatto. 6Perché anche l'Altissimo detesta i peccatori e agli empi darà quello che meritano, li custodisce fino al giorno della vendetta. 7⌈Fa' doni all'uomo buono e non dare aiuto al peccatore.⌉

Veri e falsi amici 8Nella prosperità l'amico non si può riconoscere e nell'avversità il nemico non resterà nascosto. 9Quando uno prospera, i suoi nemici sono nel dolore, ma quando uno è nei guai, anche l'amico se ne va. 10Non fidarti mai del tuo nemico, perché la sua malvagità s'arrugginisce come il rame. 11Anche se si abbassa e cammina curvo, sta' attento e guàrdati da lui; compòrtati con lui come chi pulisce uno specchio e ti accorgerai che la sua ruggine non resiste a lungo. 12Non metterlo al tuo fianco, perché egli non ti scavalchi e prenda il tuo posto; non farlo sedere alla tua destra, perché non ambisca il tuo seggio, e alla fine tu riconosca la verità delle mie parole e senta rimorso per i miei detti. 13Chi avrà pietà di un incantatore morso da un serpente e di quanti si avvicinano alle belve? 14Così càpita a chi frequenta un peccatore e s'immischia nei suoi delitti⊥. 15Per un momento rimarrà con te, ma se vacilli, non resisterà. 16Il nemico ha il dolce sulle labbra, ma in cuore medita di gettarti in una fossa. Il nemico avrà lacrime agli occhi, ma se troverà l'occasione, non si sazierà del tuo sangue. 17Se ti càpita una disgrazia, lo troverai accanto a te, e, fingendo di aiutarti, ti prenderà per il tallone. 18Scuoterà il capo e batterà le mani, poi sparlerà di te voltandoti la faccia.

_________________ Note

12,1-7 Nel consigliare l’aiuto e l’altruismo, lo sguardo del Siracide è limitato alle persone che possono contraccambiare, alle persone pie e buone. L’orizzonte del Siracide verrà ampliato, come è noto, dalla parola di Gesù, che invita a fare il bene a tutti indistintamente e senza pretese di contraccambio (vedi Mt 5,44-45; Lc 6,35; 14,12-14).

12,11 come chi pulisce uno specchio: gli specchi erano fatti di metallo, che andava pulito accuratamente, perché non perdesse lo splendore.

12,18 Scuoterà il capo: gesto di disprezzo (Sal 22,8; 109,25; Mt 27,39); batterà le mani: segno di gioia perversa (Lam 2,15; Ez 25,6; Na 3,19).

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Approfondimenti

Il c. 12 si lascia dividere in due parti: i vv. 1-7 sulla necessità di discernere le persone pie a cui fare il bene; i vv. 8-18 dedicati alla differenza tra amico e nemico e alle conseguenze negative cui va incontro chi si associa ad un peccatore. Il termine nemico (echthros) ricorre con frequenza in questo brano (vv. 8-10.16) e nel libro (6,1.4.9.13; 18,31; 19,8; 23,3; cc. 25.46).

vv. 12,1-7. L'idea chiave del v. la viene sviluppata mediante il contrasto tra il pio e l'empio (eusebēs/asebēs) e la convergenza tra l'agire dell'Altissimo e quello del benefattore (v. 6). La concezione tradizionale della retribuzione è qui molto marcata: il Signore da un lato dà il contraccambio a chi fa del bene agli uomini pii (v. 2), dall'altro odia e punisce l'empio (v. 6). Il saggio deve evitare di aiutare il malvagio, cioè colui che persevera nel male e non fa l'elemosina (v. 3), ma deve anche impedire che altri lo aiuti, dandogli del pane e mettendolo così in condizione di nuocere due volte (v. 5). Tutto il brano dà forte risalto agli insegnamenti e all'agire di Gesù, che sono di segno opposto (cfr. Mt 5,43-47; Lc 6,27; 15,1-2) e che saranno ripresi nell'insegnamento apostolico (cfr. Rm 12,21). Già nel libro dei Proverbi (cfr. 22,14) c'era l'idea che «l'uomo odiato da Dio» cade in quella fossa profonda che è la «bocca delle straniere» (LXX: «la bocca di chi disprezza la legge»). Ben Sira afferma che «l'uomo saggio non detesta la legge» (33,2). Il Signore “odia” l'ipocrita (27, 24) e «non ha bisogno di un peccatore. Il Signore odia ogni abominio» (15,12b.13a). Di conseguenza l'uomo libero e timorato di Dio si impegna a “non fare” e “non amare” ciò che egli “odia” (15,11.13). Ben diversa l'immagine della perfezione del Padre celeste, che Gesù presenta a modello dei suoi discepoli (cfr. Mt 5,48).

vv. 12,8-18. Amici e nemici: Ben Sira non smette di dare lezioni per riconoscerli. La prosperità non basta a rivelare i primi e la sventura non riesce a tenere nascosti i secondi (v. 8-9). Il nemico è come uno specchio metallico che la ruggine riesce temporaneamente a mascherare (v. 10-11): bisogna togliere la patina di ruggine per conoscere le vere intenzioni. Di qui le raccomandazioni a non familiarizzare con il nemico: non dargli fiducia neanche se si presenta umile e incurvato (v. 11), non farlo sedere accanto per timore che rubi il posto (v. 12). Un interrogativo retorico dà uno stacco nel ragionamento: si può avere pietà di un incantatore che si fa mordere dal serpente (v. 13)? Così non c'è compassione per chi si incammina coi peccatori e si lascia coinvolgere nei loro peccati (v. 14-15). Il nemico ricorre alle armi della seduzione: dolcezza, lacrime, sollecitudine, perfino dolore; ma nulla di tutto ciò regge appena la vittima designata cede e cade. Allora si rivela il “cuore” del nemico: non è fedele (v. 15), spinge sull'orlo dell'abisso in cerca di sangue (v. 16), fa lo sgambetto («prendere per il tallone»: v. 17) e ipocritamente cambia faccia (v. 18).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Non fidarsi delle apparenze 1La sapienza dell'umile gli farà tenere alta la testa e lo farà sedere tra i grandi. 2Non lodare un uomo per la sua bellezza e non detestare un uomo per il suo aspetto. 3L'ape è piccola tra gli esseri alati, ma il suo prodotto è il migliore fra le cose dolci. 4Non ti vantare per le vesti che indossi e non insuperbirti nel giorno della gloria, perché stupende sono le opere del Signore, eppure esse sono nascoste agli uomini. 5Molti sovrani sedettero sulla polvere, mentre uno sconosciuto cinse il loro diadema. 6Molti potenti furono grandemente disonorati e uomini illustri furono consegnati al potere altrui.

7Non biasimare prima di avere indagato, prima rifletti e poi condanna. 8Non rispondere prima di aver ascoltato, e non interrompere il discorso di un altro. 9Per una cosa di cui non hai bisogno, non litigare, e non immischiarti nella lite dei peccatori.

Invito alla moderazione 10Figlio, le tue attività non riguardino troppe cose: se le moltiplichi, non sarai esente da colpa; se insegui una cosa, non l'afferrerai, e anche se fuggi, non ti metterai in salvo. 11C'è chi fatica, si affanna e si stanca, eppure resta sempre più indietro. 12C'è chi è debole e ha bisogno di soccorso, chi è privo di forza e ricco di miseria, ma gli occhi del Signore lo guardano con benevolenza, lo sollevano dalla sua povertà 13e gli fanno alzare la testa, sì che molti ne restano stupiti.

Tutto proviene dal Signore 14Bene e male, vita e morte, povertà e ricchezza provengono dal Signore. 15Sapienza, scienza e conoscenza della legge vengono dal Signore; l'amore e la pratica delle opere buone provengono da lui. 16Errore e tenebre sono creati per i peccatori; quanti si vantano del male, il male li accompagna nella vecchiaia. 17Il dono del Signore è assicurato ai suoi fedeli e la sua benevolenza li guida sempre sulla retta via. 18C'è chi diventa ricco perché sempre attento a risparmiare, ed ecco la parte della sua ricompensa: 19mentre dice: “Ho trovato riposo, ora mi ciberò dei miei beni”, non sa quanto tempo ancora trascorrerà: lascerà tutto ad altri e morirà.

Fedeltà al proprio lavoro nell’attesa della ricompensa di Dio 20Persevera nel tuo impegno e dèdicati a esso, invecchia compiendo il tuo lavoro. 21Non ammirare le opere del peccatore, confida nel Signore e sii costante nella tua fatica, perché è facile agli occhi del Signore arricchire un povero all'improvviso. 22La benedizione del Signore è la ricompensa del giusto; all'improvviso fiorirà la sua speranza. 23Non dire: “Di che cosa ho bisogno e di quali beni disporrò d'ora innanzi?“. 24Non dire: “Ho quanto mi occorre; che cosa potrà ormai capitarmi di male?“. 25Nel tempo della prosperità si dimentica la sventura e nel tempo della sventura non si ricorda la prosperità. 26È facile per il Signore nel giorno della morte rendere all'uomo secondo la sua condotta. 27L'infelicità di un'ora fa dimenticare il benessere; alla morte di un uomo si rivelano le sue opere. 28Prima della fine non chiamare nessuno beato; un uomo sarà conosciuto nei suoi figli.

Prudenza con gli estranei e con i malvagi 29Non portare in casa tua qualsiasi persona, perché sono molte le insidie dell'imbroglione. 30⌈Una pernice da richiamo in gabbia, tale il cuore del superbo; come una spia egli attende la tua caduta.⌉ 31Cambiando il bene in male egli tende insidie, troverà difetti anche nelle cose migliori. 32Da una scintilla il fuoco si espande nei carboni⊥, così il peccatore sta in agguato per spargere sangue. 33Guàrdati dal malvagio, perché egli prepara il male: che non disonori per sempre anche te! 34Ospita un estraneo, ti metterà sottosopra ogni cosa e ti renderà estraneo ai tuoi.

_________________ Note

11,10 c-d Il testo ebraico reca: “se non corri non raggiungi / e se non cerchi non trovi”.

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Approfondimenti

Il c. 11 prolunga la riflessione precedente sul rovesciamento sociale, parlando delle apparenze ingannevoli (vv. 1-6) e invitando alla cautela nel parlare (vv. 7-9). Segue una serie di raccomandazioni su come affrontare il lavoro tenendo presenti i doni del Signore e la fine della vita (vv. 10-28). I consigli finali mettono in guardia contro le insidie del malvagio e dell'estraneo (vv. 29-34).

vv. 1-9. Il brano si rifà alla domanda sul vero onore della stirpe umana (entimos/atimos: 10,19), opponendo l'umile nobilitato dalla sapienza (v. 1a; cfr. v. 13a; 4,11) ai molti potenti umiliati (atiman: v. 6a). Il primo sederà tra i grandi (v. 1b), gli altri finiranno sul lastrico, spodestati da sconosciuti (vv. 5-6). Il contrasto è sviluppato nel rapporto tra apparenza e realtà: non lodare e non disprezzare in base a ciò che appare (v. 2; cfr. 1Sam 16, 6-7) o in base alle vesti (v. 4). La natura, maestra di saggezza, offre chiari esempi: l'ape, pur piccola rispetto a tanti altri animali, ha un primato nel produrre dolcezza (v. 3; cfr. anche Dt 1,44; Sal 118,12; Prv 6,6; Is 7,18). L'ape è simbolo del povero che vive con saggezza. L'idea chiave è che il Signore compie opere stupende ma nascoste (v. 4cd; cfr. 1Sam 2,8; Gb 12,17-19). Da tale constatazione, Ben Sira passa ad una raccomandazione: bisogna accertarsi, riflettere ed ascoltare, prima di criticare, condannare e rispondere (vv. 7-8; cfr. 5,11-12; Pr 18,13). Altrimenti si entra in contese che non riguardano o in liti di peccatori (v. 9).

vv. 10-19. Sapendo che «chi si arricchisce in fretta non sarà esente da colpa» (Pr 28,20), Ben Sira raccomanda di restringere l'arco delle attività e di agire con moderazione (v. 10ab). La fuga precipitosa dietro la fortuna è un pericolo spirituale ed espone alla delusione (v. 10cd), dal momento che «le ricchezze accumulate in fretta diminuiscono» (Pr 13,11; cfr. anche Qo 5,9-11). L'attività umana rimane comunque indietro rispetto al desiderio (v. 11) e il Signore può sollevare il misero dalla sporcizia, con grande meraviglia di tutti (vv. 12-13). Segue l'affermazione chiave: tutto proviene dal Signore (cfr. 1,1a). È il senso dei merismi bene-male, vita-morte, povertà-ricchezza (v. 14; cfr. Is 45,7; Gb 1,21) e dell'elenco comprendente sapienza e scienza, conoscenza della legge, amore e rettitudine (v. 15). Sono doni del Signore per appianare la via ai suoi devoti (v. 17); invece, l'inganno, le tenebre e il male cominciano e rimangono coi malvagi (v. 16). L'attenzione ed il risparmio possono pure produrre la ricchezza, ma non per sempre: la morte incombe e il ricco dovrà lasciare tutto agli altri (vv. 18-19).

vv. 20-28. Segue l'invito a rimanere fedele all'impegno. All'idea di alleanza (diathēkē) si collega quella di compito e di attività: non cambiare lasciandoti abbagliare dalle opere del peccatore, ma confida nel Signore che può arricchire i poveri all'improvviso (vv. 20-21). Siamo in presenza della riflessione tradizionale sulla retribuzione: la ricompensa dei pi è nella benedizione del Signore (v. 22). Nei v. 23-25 si raccomanda buona memoria sia a chi sta bene e si sente autosufficiente, sia a chi sta male e cerca affannosamente ciò che gli manca. I vv. 26-28 riprendono il tema della morte, già enunciato nel v. 19: l'ora della fine è importante per vedere il giudizio di Dio, per scoprire le opere di un uomo e, quindi, per proclamarlo beato. Anche nel mondo greco si trova un proverbio simile, attribuito da Erodoto a Solone: «Prima della morte, non chiamare un uomo felice, ma solo fortunato» (Storie,I,32). Un uomo si conosce veramente alla fine.

vv. 29-34. Ben Sira invita alla vigilanza di fronte agli estranei e agli empi, che si presentano come «pernice in gabbia». L'immagine viene da Ger 5,26-27. Dopo il v. 30a, l'ebr. aggiunge sei versetti, con vari altri animali: lupo, orso, cane, gazzella. Nel v. 31 compare uno sviluppo dell'insidia: il superbo cambia il bene in male e trova macchie anche nelle virtù. Il termine mōmos (macchia, difetto), che di per sé indica il biasimo, ricorda i difetti fisici che rendevano i sacerdoti inabili a presentarsi a Dio (cfr. Lv 21,17s.), e gli animali inadatti ad essere offerti (cfr. Lv 22,20s.). Siracide ricorre sei volte a questo vocabolo; conserva il senso fisico, ma fa marcato riferimento anche a quello morale: denuncia la macchia della menzogna (20,24) e quella dell'idolatria di Salomone, che si accosta a donne straniere (47,20). Il NT usa una volta sola questo termine definendo gli empi «tutta sporcizia e vergogna» (cfr. 2Pt 2,13). In 2Cor 6,3 e 8,20 la corrispondente forma verbale è usata per difendere il ministero di Paolo dal biasimo. Il brano, che si prolunga in 12,1-7, lascia intravedere conseguenze della convivenza tra Ebrei ed ellenisti. Prevalgono un clima e una pedagogia della diffidenza per difendere la propria “casa” (cfr. l'inclusione nei vv. 29.34) dal superbo, dal peccatore e dallo straniero. Sono loro a portare il disordine in casa e il disaccordo con la tradizione dei padri. Il cambiamento del senso del bene e del male (v. 31a) e la contaminazione (v. 33b) preoccupano, causando un senso di oppressione e di sospetto. La cultura ellenistica non sconvolge solo abitudini sociali, ma «metterà sottosopra» anche la religiosità degli Ebrei (v. 34a). La chiusura è amara e ironica insieme: apri pure le porte di casa allo straniero e vedrai come ti sconvolgerà e ti renderà straniero ai tuoi! (v. 34). Con lo stesso termine Paolo indicherà coloro che turbano (oi tarassontes) i Galati (Gal 1,7; 5,10), volendo «sovvertire il vangelo».

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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L’arte del governo 1Un governatore saggio educa il suo popolo, il governo dell'uomo di senno è ordinato. 2Quale il governatore del popolo, tali i suoi ministri; quale il capo di una città, tali tutti i suoi abitanti. 3Un re che non ha istruzione rovina il suo popolo, una città prospera per il senno dei capi. 4Il governo del mondo è nelle mani del Signore; egli vi suscita l'uomo adatto al momento giusto. 5Il successo dell'uomo è nelle mani del Signore, ma sulla persona dello scriba egli pone la sua gloria.

Contro la superbia 6Non irritarti con il tuo prossimo per un torto qualsiasi e non fare nulla in preda all'ira. 7Odiosa al Signore e agli uomini è la superbia, l'uno e gli altri hanno in odio l'ingiustizia. 8Il regno passa da un popolo a un altro a causa delle ingiustizie, delle violenze e delle ricchezze. Niente è più empio dell'uomo che ama il denaro, poiché egli si vende anche l'anima. 9Perché mai si insuperbisce chi è terra e cenere? Anche da vivo le sue viscere sono ripugnanti. 10Una lunga malattia si prende gioco del medico;⊥ chi oggi è re, domani morirà. 11Quando l'uomo muore, eredita rettili, belve e vermi.

12Principio della superbia è allontanarsi dal Signore; il superbo distoglie il cuore dal suo creatore. 13Principio della superbia infatti è il peccato; chi ne è posseduto diffonde cose orribili. Perciò il Signore ha castigato duramente i superbi e li ha abbattuti fino ad annientarli. 14Il Signore ha rovesciato i troni dei potenti, al loro posto ha fatto sedere i miti. 15Il Signore ha estirpato le radici delle nazioni, al loro posto ha piantato gli umili. 16Il Signore ha sconvolto le terre delle nazioni e le ha distrutte fino alle fondamenta. 17Le ha cancellate dal consorzio umano e le ha annientate, ha fatto scomparire dalla terra il loro ricordo.⊥ 18Non è fatta per gli uomini la superbia né l'impeto della collera per i nati da donna.

Esortazione all’umiltà 19⌈Quale stirpe è degna d'onore? La stirpe dell'uomo.⌉ Quale stirpe è degna d'onore? Quelli che temono il Signore. ⌈Quale stirpe non è degna d'onore? La stirpe dell'uomo.⌉ Quale stirpe non è degna d'onore? Quelli che trasgrediscono i comandamenti. 20Tra i fratelli viene onorato chi li comanda, ma agli occhi del Signore quelli che lo temono. 21⌈Principio di gradimento è il timore del Signore, principio di rifiuto l'ostinazione e la superbia.⌉ 22Il ricco, il nobile, il povero: loro vanto è il timore del Signore. 23Non è giusto disprezzare un povero che ha senno e non conviene onorare un uomo peccatore. 24Il principe, il giudice e il potente sono onorati, ma nessuno di loro è più grande di chi teme il Signore. 25Uomini liberi serviranno uno schiavo sapiente e chi ha senno non protesterà.

26Non fare il saccente nel compiere il tuo lavoro e non gloriarti nel momento del tuo bisogno. 27Meglio uno che lavora e abbonda di tutto di chi va in giro a vantarsi e manca di cibo. 28Figlio, con modestia pensa al tuo onore e fatti valere secondo il tuo merito. 29Chi giustificherà uno che fa male a se stesso e chi onorerà colui che si disonora? 30Un povero viene onorato per la sua scienza e un ricco viene onorato per la sua ricchezza. 31Chi è onorato nella povertà, quanto più lo sarà nella ricchezza! E chi è disprezzato nella ricchezza, quanto più lo sarà nella povertà!

_________________ Note

10,14 Vedi 1Sam 2,4-8 e Lc 1,52.

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Approfondimenti

Il capitolo 10 alterna riflessioni sull'agire del singolo con affermazioni sulle vicende dei popoli. Il timore di Dio e la sua sovranità sulla storia emergono come punti qualificanti della dignità e della gloria durature dell'uomo. Dai temi dei governanti e della superbia (vv. 1-18), si passa a quelli del vero onore e della vera grandezza dell'uomo (vv. 19-31).

vv. 1-5. Il capitolo precedente si chiudeva sulla saggezza del «capo del popolo» (9,17b); il nuovo c. si apre col tema dell'autorità (cfr. 10,1b): se il giudice ha senno, educa il suo popolo; ministri e abitanti gli assomigliano. L'immagine del giudice in Ben Sira è lontana dall'oggi: più che garante di giustizia, egli è un governatore della città. Un re senza formazione rovina il popolo, mentre i capi saggi lo fanno progredire (cfr. v. 3). Tuttavia, sia il governo del mondo che il successo dell'uomo sono nelle mani di Dio: è lui che suscita l'uomo adatto al momento giusto e mette la sua gloria sul volto dello scriba (vv. 4-5). La sovranità è di Dio: viene tagliata alla radice ogni pretesa di attributi divini al re ed ai suoi ministri. Appartiene a Dio la “gloria” che splende sul loro volto (cfr. v. 5b). Per il lessico della gloria cfr. vv. 23b.26b.27b.28a.29b.30ab.31ab.

vv. 6-11. Il parallelismo (vv. 6b.7a) tra la tracotanza (hybris) e la superbia (hyperēphania) avvia al senso: un buon governatore deve evitarle entrambe, nei rapporti col prossimo e in generale, perché sono ingiuste, segno di un comportamento sgradito a Dio e agli uomini. Quasi come conferma giunge l'affermazione del mutare degli imperi, sotto la spinta di ingiustizie, ambizioni (hybreis) e cupidige: l'amore al denaro fa vendere anche l'anima (v. 8; cfr. Dn 11,10-19). Dopo il giudizio morale un'annotazione antropologica: ma quale superbia si può permettere chi è fatto di terra e cenere (cfr. 17,32; 40,3; Gn 18,27) e già da vivo vomita persino gli intestini (v. 9)? Il pensiero va ad avvenimenti storici noti a Ben Sira: le lotte per la supremazia in Palestina e in particolare la battaglia di Panion nel 199 a.C., che decretò il passaggio dai Tolomei ai Seleucidi di Siria con la vittoria di Antioco III sull'esercito egiziano. Non è escluso che Ben Sira alluda alla morte orribile di Tolomeo IV Filopatore nel 203 a.C.: oggi re, domani è già finito, senza che il medico possa farci nulla (cfr. v. 10). Segue la riflessione sulla condizione mortale dell'uomo. Ben Sira amplifica quanto ha detto in 7,17b: eredità dei mortali sono serpenti, belve e vermi (v. 11). In questo modo, con discrezione e forza, prende posizione contro le pretese divine dei re pagani.

vv. 12-18. Il brano non contiene precetti, ma un piccolo saggio sull'origine della superbia (hyperēphania: vv. 12.13.18; cfr. v. 7). Essa nasce dal peccato, dall'allontamento da Dio creatore e diffonde cose abominevoli. La risposta di Dio non si fa attendere. Le sue piaghe sono incredibili («incredibili»: v. 13c; cfr. Gn 12,17; Es 11,1; Sal 38,12) e capovolgono le situazioni umane: il Signore toglie il trono ai principi e lo dà ai miti (cfr. v. 14), a vantaggio degli umili sradica le nazioni (cfr. v. 15) e ne sconvolge geografia e fondamenta (cfr. v. 16), cancella il ricordo di certi uomini (cfr. v. 17). Nella conclusione Ben Sira estende a tutti gli uomini quanto aveva criticato nei re e nei governanti: superbia ed arroganza non sono fatte per l'uomo (v. 18; cfr. Gn 3,4-6; 11,1-9; Ez 28,1-19; Dn 4,27-30.37; Gb 22,29; Pr 16,18; Mt 23,12; Gc 4,6; 1Pt 5,5). Il brano radica gli insegnamenti sapienziali nella tradizione dell'esodo: l'agire dell'uomo si intreccia con la signoria di Dio su tutti i popoli.

vv. 19-25. L'affermazione chiave del brano è nel v. 19: gli esseri umani meritano onore soltanto quando temono Dio; al contrario sono senza onore quando trasgrediscono i comandamenti. Il parallelismo antitetico dà risalto alla concezione religiosa della dignità umana: l'onore e il disonore non dipendono dalla nascita o dalla ricchezza, bensì dal timore di Dio che si manifesta nell'osservanza della legge. Se un capo è onorato dal suo gruppo, agli occhi di Dio tale onore va a chi lo teme (cfr. v. 20).Sullo sfondo la storia di Giuseppe, che teme Dio, e dei suoi fratelli (cfr. Gn 42,1-47,12). Il GrII aggiunge che il timore di Dio costituisce l'inizio della sua accoglienza: Dio non ha altri motivi. Invece Dio respinge i duri di cuore e gli arroganti. Ben Sira capovolge la scala sociale in nome del timore di Dio. Da un lato afferma che anche per proseliti, stranieri e poveri il timore di Dio costituisce il vero vanto (cfr. v. 22) e che un povero assennato merita l'onore (cfr. vv. 19.23), che non va al peccatore (cfr. v. 23); dall'altro lato la gloria del nobile, del giudice e del potente non uguaglia la grandezza di chi teme Dio (cfr. v. 24). Il ribaltamento sociale è fatto: un uomo intelligente non mormora se un servo sapiente, timorato di Dio, viene servito da uomini liberi (cfr. v. 25). Diversi i motivi di tale ribaltamento in Paolo (Gal 3,28; Col 3,11; Fm 16).

vv. 26-31. Tornano le esortazioni: non fare sfoggio di virtù nel tuo lavoro e non vantare il tuo passato glorioso nel momento della necessità (cfr. v. 26); lavorare e abbondare di tutto val più che vantarsi e mancare di pane (cfr. v. 27; Pr 12,9); verso se stessi bisogna nutrire la stima dettata dalla regola del giusto mezzo, escludendo immodestia (cfr. v. 28) e autolesionismo (cfr. v. 29). Il c. si chiude con un confronto tra scienza e ricchezza, che danno gloria rispettivamente al povero e al ricco (cfr. v. 30): questi deve temere la povertà, quegli sarà ancor più onorato nella ricchezza (cfr. v. 31).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Come comportarsi con le donne 1Non essere geloso della donna che riposa sul tuo seno, per non darle a tuo danno un cattivo insegnamento. 2Non darti interamente a una donna, sì che essa s'imponga sulla tua forza. 3Non dare appuntamento a una donna licenziosa, perché tu non abbia a cadere nei suoi lacci. 4Non frequentare una cantante, per non essere preso dalle sue seduzioni. 5Non fissare il tuo sguardo su una vergine, per non essere coinvolto nella sua punizione. 6Non perderti dietro alle prostitute, per non dissipare il tuo patrimonio. 7Non curiosare nelle vie della città, non aggirarti nei suoi luoghi solitari. 8Distogli l'occhio da una donna avvenente, non fissare una bellezza che non ti appartiene. Per la bellezza di una donna molti si sono rovinati, l'amore per lei brucia come un fuoco. 9Non sederti accanto a una donna sposata, e con lei non frequentare banchetti bevendo vino, perché il tuo cuore non corra dietro a lei e per la passione tu non vada in rovina.

Come comportarsi con gli amici, con i vicini e con chi detiene il potere 10Non abbandonare un vecchio amico, perché quello nuovo non è uguale a lui. Vino nuovo, amico nuovo: quando sarà invecchiato, lo berrai con piacere. 11Non invidiare il successo di un peccatore, perché non sai quale sarà la sua fine. 12Non compiacerti del benessere degli empi, ricòrdati che non rimarranno impuniti fino alla morte. 13Stai lontano dall'uomo che ha il potere di uccidere e non sperimenterai il timore della morte. Se l'avvicini, stai attento a non sbagliare, perché egli non ti tolga la vita; ⌈sappi che cammini in mezzo ai lacci e ti muovi sui bastioni della città.⌉ 14Per quanto puoi, mantieni buoni rapporti con i vicini, ma consìgliati solo con i saggi. 15Conversa con uomini assennati e ogni tuo colloquio sia sulle leggi dell'Altissimo. 16Tuoi commensali siano gli uomini giusti, il tuo vanto sia nel timore del Signore. 17Per la mano degli artigiani l'opera merita lode, ma il capo del popolo è saggio per il parlare⊥. 18Un uomo chiacchierone è temuto nella sua città, chi non sa controllare le parole è detestato.

_________________ Note

9,1-9 La donna è vista soprattutto come un pericolo, come una seduzione. Pur nei molti limiti della sua visione, propria di una società patriarcale, l’autore rivela un profondo senso morale e saggezza.

9,12 non rimarranno impuniti: è la dottrina tradizionale di una retribuzione terrena.

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Approfondimenti

Il c. 18 continua l'analisi delle relazioni a rischio: la prima serie di massime riguarda i rapporti con le donne (v. 1-9), la seconda quelli con varie persone della vita cittadina (vv. 10-18).

vv. 1-9. Spaziando dalla donna amata («del tuo seno»: kolpos, v. 1) alla donna sposata (v. 9), Ben Sira passa in rassegna le relazioni con la donna in generale (v. 2), la cortigiana (v. 3), la cantante (v. 4), la giovane vergine (v. 5), le prostitute (v. 6) e la donna di bell'aspetto (v. 8). Il tema delle donne sarà ripreso in 25,13-26. Dopo gli inviti alla considerazione per la moglie (cfr. 7,19.26), si mette in guardia da una gelosia dannosa, che rischia di insegnare il male temuto (v. 1) e, comunque, di accorciare i giorni (cfr. 30,24; 37,11a). Alla luce di Nm 5,11-31, sembra che Ben Sira voglia prevenire lo “spirito di gelosia” e le sue conseguenze. Si raccomanda di «non dare l'anima» (vv. 2.6) alla donna e alle prostitute, per non perdere la forza e il patrimonio (cfr. il caso di Salomone in 47,19). L'orientamento maschilista è mitigato dall'intento pratico di mettere in guardia dalla discutibile virtù delle donne in esame. Per indicare “lo sguardo fisso” su una vergine o su una bellezza estranea si usa un verbo raro (katamanthanein: vv. 5.8), che nella Bibbia greca significa vedere, esaminare con precisione, provare il retto comportamento. Nel nostro caso, è un vedere riprovato per i suoi scopi. Altrove indica piuttosto l'imparare con l'osservazione (cfr. 38,28: ebr. lmd; Mt 6,28). Ben Sira continua le raccomandazioni, invitando a non «curiosare nelle vie della città» e per i suoi luoghi solitari. Affiorano i sospetti verso l'insidiosa vita cittadina e verso il commercio sessuale (v. 7; cfr. 7,7-12). Non manca l'enunciazione di un principio generale sul potenziale negativo della bellezza (cfr. 9,8cd), che ricorda quanto affermato poco prima a proposito dell'oro (cfr. 8,2cd).

vv. 10-18. Nuova massima sugli amici: conservare i vecchi e lasciar maturare i nuovi come si fa col vino (v. 10; cfr. 6,5-17; 7,18; 37,1-6; ma anche Lc 5,39). Un uomo pio che guarda alla fine non si lascia turbare da peccatori ed empi (vv. 11-12; cfr. 21,1-4.8-10; 40,10.12-16). Il massimo della circospezione è consigliato di fronte agli intrighi di «chi ha il potere di uccidere» (v. 13). Si intravede il diritto di vita o di morte dei re tolemaici e seleucidi verso i sudditi, diritto rivendicato anche dai comandanti militari e dai governatori delle province. Ben Sira ha in mente i pericoli mortali («il timore della morte»: v. 13b), che si corrono negli intrighi di corte (cfr. 2Mac 4,43-50). Bisogna evitare i «lacci» (stesso termine nei vv. 3b.13e), i delatori e le spie, sforzandosi di camminare come sui muri della città, sempre attenti alle frecce (v. 13f). Le situazioni difficili della vita creano l'esigenza di saggi consiglieri: Ben Sira invita a sceglierli tra i giusti (vv. 14-15). Condividere la loro conversazione e la loro mensa porta a sperimentare che il timore del Signore vince il timore della morte (vv. 13b.16b) e costituisce, perciò, il vero vanto. Tutto il brano ribadisce la convinzione che sapienza e legge coincidono (v. 15). L'espressione «per mano di esperti» (v. 17a; cfr. «nelle mani del Signore» in 10,4a.5a) introduce la lode non solo del lavoro manuale ben fatto, ma anche del capo del popolo saggio nel parlare (v. 17); al contrario la città teme e ha in odio l'uomo linguacciuto (v. 18; cfr. 8,3).

Il c. 9 si collega al precedente: la raccomandazione a «non disdegnare i discorsi dei saggi» (8, 8a) sfocia nell'sortazione a che «ogni tuo colloquio sia sulle leggi dell'Altissimo» (9,15b). L'assenza di riferimenti religiosi nel c. 8 è solo apparente: tutto il tessuto umano e sapienziale riporta le situazioni della vita al timore del Signore (cfr. 9,16b). Assistiamo all'incontro tra la charis (8,19) e il kauchēma (9,16), la felicità ed il vanto del vivere con fede in un periodo difficile, pieno di insidie morali e politiche. Il cuore dell'uomo saggio, oculato e pio non si lascia sedurre dall'oro (cfr. 8,2c) né dalla donna bella (cfr. 9,8c), non si lascia turbare dal successo degli empi (cfr. 9,12) né dal potere che uccide (cfr. 9,13). Sapienza quotidiana e identità religiosa si cercano in continuazione: ogni “parlare” di Ben Sira finisce sulla legge dell'Altissimo, orale e scritta, la sola capace di illuminare le questioni psicologiche e morali, culturali e politiche della vita personale e comunitaria.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Atteggiamenti sconsigliati 1Non contendere con un uomo potente, per non cadere nelle sue mani. 2Non litigare con un uomo ricco, perché non ti soverchi con il suo peso: l'oro infatti ha corrotto molti e ha fatto deviare il cuore dei re. 3Non contendere con un uomo chiacchierone e non aggiungere legna al suo fuoco. 4Non scherzare con l'uomo ignorante, perché non siano insultati i tuoi antenati. 5Non rimproverare un uomo che si converte dal peccato⊥: ricòrdati che tutti abbiamo delle colpe.

Il rispetto per gli anziani 6Non disprezzare un uomo quando è vecchio, perché anche tra noi alcuni invecchieranno. 7Non gioire per la morte di qualcuno: ricòrdati che tutti moriremo. 8Non disdegnare i discorsi dei saggi, medita piuttosto le loro massime, perché da loro imparerai la dottrina e potrai metterti a servizio dei grandi. 9Non trascurare i discorsi dei vecchi, perché anch'essi hanno imparato dai loro padri; da loro imparerai il discernimento e come rispondere nel momento del bisogno.

Regole di prudenza 10Non attizzare le braci del peccatore, per non bruciare nel fuoco della sua fiamma. 11Non recedere dalla presenza del violento, perché egli non tenda un agguato contro di te. 12Non fare prestiti a un uomo più forte di te e se gli hai prestato qualcosa, considerala perduta. 13Non garantire oltre le tue possibilità e se hai garantito, preòccupati di soddisfare. 14Non muovere causa a un giudice, perché lo giudicheranno tenendo conto del suo prestigio. 15Con un temerario non metterti in viaggio, perché non ti sia di peso; egli camminerà infatti secondo il suo capriccio e con lui andrai in rovina per la sua stoltezza. 16Non litigare con un uomo irascibile e non passare con lui per un luogo solitario, perché ai suoi occhi il sangue è come un nulla, dove non c'è possibilità di aiuto ti assalirà. 17Non consigliarti con un uomo stolto, perché non saprà mantenere il segreto. 18Davanti a uno straniero non fare nulla di nascosto, perché non sai che cosa ne seguirà. 19A un uomo qualsiasi non aprire il tuo cuore, perché potrebbe non esserti riconoscente.

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Approfondimenti

Il c.8 , privo di riferimenti religiosi espliciti, elenca alcune relazioni che mettono a rischio la “felicità” (v. 19b) della persona. Dopo la presentazione di dodici tipi di persone da cui guardarsi (vv. 1-4.10-18) e di cinque tipi da cui imparare (vv. 5-9), Ben Sira, concludendo, esorta a non manifestare il proprio cuore a chiunque. Bisogna discernere, per non incappare nei guai (v. 19).

vv. 1-4. Non bisogna entrare in contrasto con l'uomo potente (v. 1) e con quello dalla lingua lunga (v. 3); non si deve andare in giudizio con il ricco (v. 2) e scherzare con chi è privo di istruzione. I rischi: finire in potere del primo, essere schiacciato in tribunale dal denaro del ricco, aggiungere legna al fuoco del chiacchierone, coinvolgere i propri antenati nell'insulto dell'insipiente. Nel v. 2 una massima generale sull'oro: sullo sfondo si intravede la crescita del potere del denaro nella Palestina del III sec. a.C 8,5-9. Sono di scena i peccatori che si convertono (v. 5), i vecchi (vv. 6.9), il morto (v. 7) e i saggi (v. 8). L'uomo che abbandona la via del peccato, l'uomo invecchiato e perfino il morto hanno una funzione positiva nell'universo sapienziale di Ben Sira: ricordano che tutti siamo colpevoli (v. 5b), che la vecchiaia può cogliere anche noi (v. 6b), che tutti moriremo (v. 7b). Questo ricordo deve frenare la tendenza all'insulto, al disprezzo e all'irrisione. Ben Sira invita a fare attenzione ai discorsi (diegêma) dei saggi e degli anziani: il termine raro indica il narrare storico-religioso (vv. 8-9). Bisogna rivolgersi ai custodi del patrimonio orale di Israele: la trasmissione di massime e insegnamenti garantisce il successo nel servizio dei grandi (v. 8d) e nelle diverse circostanze della vita (v. 9d). L'anello della trasmissione (v. 9b) non deve interrompersi: deve risalire ai padri dei padri e scendere ai figli dei figli (cfr. Dt 4,9; 11,19; Sal 44,2; 78,3).

vv. 10-19. Seguono altri otto tipi di persone da cui guardarsi: il peccatore che può coinvolgere nel suo fuoco (v. 10), l'arrogante che tende insidie (v. 11), l'uomo più forte che chiede prestiti e non restituisce (v. 12; cfr. 29,1-7), il giudice che fa pendere le cause dalla sua parte (v. 14), l'avventuriero che porta su strade di rovina (v. 15), l'irascibile che non teme di aggredire mortalmente l'indifeso (v. 16), lo stolto che non mantiene i segreti (v. 17), lo straniero carico di incognite (v. 18). Circa la cauzione da fare secondo le proprie possibilità (v. 13), cfr. 29,20. Infine Ben Sira raccomanda di discernere oculatamente la persona a cui manifestare il proprio cuore, per non correre il rischio di perdere la propria felicità (v. 19). Il termine greco charis, che indica anche la “riconoscenza” (12,1), il “diritto”' (19,25b) e la “grazia” nel parlare (21,16), sembra avere qui il senso ampio, psicologico e materiale, di benessere, di felicità.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Consigli vari sulla vita morale e sociale 1Non fare il male, perché il male non ti prenda. 2Stai lontano dall'iniquità ed essa si allontanerà da te. 3Figlio, non seminare nei solchi dell'ingiustizia per non raccoglierne sette volte tanto. 4Non domandare al Signore il potere né al re un posto di onore. 5Non farti giusto davanti al Signore⊥ né saggio davanti al re. 6Non cercare di divenire giudice se ti manca la forza di estirpare l'ingiustizia, perché temeresti di fronte al potente e getteresti una macchia sulla tua retta condotta. 7Non fare soprusi contro l'assemblea della città e non degradarti in mezzo al popolo. 8Non ti impigliare due volte nel peccato, perché neppure di uno resterai impunito. 9Non dire: “Egli guarderà all'abbondanza dei miei doni, e quando farò l'offerta al Dio altissimo, egli l'accetterà”. 10Non essere incostante nella tua preghiera e non trascurare di fare elemosina. 11Non deridere un uomo dall'animo amareggiato, perché c'è chi umilia e innalza. 12Non seminare menzogne contro tuo fratello e non fare qualcosa di simile all'amico. 13Non ricorrere mai alla menzogna: è un'abitudine che non porta alcun bene. 14Non parlare troppo nell'assemblea degli anziani e non ripetere le parole della tua preghiera. 15Non disprezzare il lavoro faticoso, in particolare l'agricoltura che Dio ha istituito. 16Non unirti alla moltitudine dei peccatori, ricòrdati che la collera divina non tarderà. 17Umìliati profondamente, perché castigo dell'empio sono fuoco e vermi.

Come comportarsi con gli amici e in famiglia 18Non cambiare un amico per interesse né un vero fratello per l'oro di Ofir. 19Non disdegnare una sposa saggia e buona,⊥ poiché la sua amabilità vale più dell'oro. 20Non maltrattare un servo che lavora fedelmente né l'operaio che si impegna totalmente. 21Ama il servo intelligente e non rifiutargli la libertà⊥. 22Hai bestiame? Abbine cura; se ti è utile, resti in tuo possesso. 23Hai figli? Educali e fa' loro piegare il collo fin dalla giovinezza. 24Hai figlie? Vigila sul loro corpo e non mostrare loro un volto troppo indulgente. 25Fa' sposare tua figlia e avrai compiuto un grande affare, ma dàlla a un uomo assennato. 26Hai una moglie secondo il tuo cuore? Non ripudiarla, ma se non le vuoi bene, non fidarti. 27Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticare le doglie di tua madre. 28Ricorda che essi ti hanno generato: che cosa darai loro in cambio di quanto ti hanno dato?

Come comportarsi con i sacerdoti 29Con tutta l'anima temi il Signore e abbi riverenza per i suoi sacerdoti. 30Ama con tutta la forza chi ti ha creato e non trascurare i suoi ministri. 31Temi il Signore e onora il sacerdote, dàgli la sua parte, come ti è stato comandato: primizie, sacrifici di riparazione, offerta delle spalle, vittima di santificazione e primizie delle cose sante.

Come comportarsi con i poveri, gli afflitti e i malati 32Anche al povero tendi la tua mano, perché sia perfetta la tua benedizione. 33La tua generosità si estenda a ogni vivente, ma anche al morto non negare la tua pietà. 34Non evitare coloro che piangono e con gli afflitti móstrati afflitto. 35Non esitare a visitare un malato, perché per questo sarai amato. 36In tutte le tue opere ricòrdati della tua fine e non cadrai mai nel peccato.

_________________ Note

7,18 Ofir: era una regione celebre per l’oro raffinato che in essa si trovava.

7,21 Vedi Es 21,2-6; Dt 15,12-15.

7,26 Non ripudiarla: il divorzio, nella società ebraica, veniva deciso solo dal marito (Dt 22,13-21; 24,1-4).

7,31 La legge regolava, oltre alle primizie (Nm 18,11-18), anche la parte dei sacrifici che veniva destinata ai sacerdoti: vedi Lv 2,1-16; 5,1-13; Dt 18,3-4. Vedi anche Dt 14,28-29.

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Approfondimenti

Il c. 7 presenta una raccolta di massime eterogenee, per lo più introdotte dalla negazione «Non». In una prima serie, Ben Sira sconsiglia alcuni atteggiamenti collegati con arrivismo, la menzogna, la presunzione religiosa e la superbia (vv. 1-17); seguono istruzioni sul modo di comportarsi coi diversi componenti della famiglia (vv. 18-28) e con i ministri del Signore (vv. 29-31). Dopo un appello alla generosità verso i poveri, i malati e gli afflitti, il c. si chiude con il pensiero della fine, che tiene lontani dal peccato (vv. 32-36).

vv. 1-17. Ben Sira ammonisce di evitare il male (vv. 1-3) e di non chiedere posti di potere e di onore (vv. 4-6), di rispettare l'assemblea del popolo (v. 1) e di non peccare nella presunzione del perdono divino (vv. 8-9). Altri consigli riguardano la preghiera (vv. 10a.14b) e l'elemosina (v. 10b), la derisione (v. 11) e la menzogna (vv. 12-13), l'assemblea degli anziani (v. 14a), il lavoro faticoso (v. 15) e i peccatori (v. 16). L'invito all'umiltà e l'allusione al castigo dell'empio chiudono il brano (v. 17).

vv. 1-7. Un'affermazione chiave (v. 1) apre la prima serie di massime. Il male e l'ingiustizia si ritorcono contro chi li fa, moltiplicandosi «sette volte tanto» (cfr. 20,12b; 35,13b; 40,8; Gn 4,15.24; Mt 18,22). Segue la condanna dell'ambizione, con l'invito a non cercare posti di potere e di prestigio. Sullo stondo si intravedono le corti seleucide e tolemaiche, in cui il potere politico dei funzionari degenera in abusi già al tempo di Ben Sira (v. 4; cfr. 2Mac 3,4-13). Nei vv. 6-7 alcuni vedono un preciso personaggio storico: il sommo sacerdote Onia III, successore di Simone II, responsabile di avere adottato una politica protolemaica. Ma sembra eccessivo. Dal contesto è chiaro che il saggio deve tenere in gran conto «l'assemblea della città» (v. 7a; cfr. 1,30d; 4,7; Pr 5,14) e «degli anziani» (v. 14a).

vv. 8-17. Condannata la ricaduta nel peccato, Ben Sira assume toni cari ai profeti contro chi crede di essere religiosamente a posto, moltiplicando le offerte nel culto senza occuparsi della giustizia (cfr. 34,23-24; Pr 15,18; Is 1,10-16; Am 5,21-24). Dio non si lascia corrompere: guarda al pentimento, umilia e innalza (v. 11b). A lui bisogna rivolgere preghiere non impazienti, ma fiduciose e accompagnate dall'elemosina (vv. 10.14b); della sua collera bisogna sempre ricordarsi, per evitare l'assemblea dei peccatori (v. 16) e imparare ad umiliarsi. In nessun modo il saggio deve ricorrere alla menzogna (vv. 12-13) o cedere alle ciarle (v. 14a; cfr. 35,9b). Il castigo dell'empio è «fuoco e vermi» (v. 17b). All'ebr. «vermi» il traduttore gr. aggiunge il «fuoco»: forse c'è uno sviluppo di idee circa la concezione della retribuzione anche nell'aldilà, sviluppo maturato dopo la morte di Ben Sira. In 23,16f (il fuoco divora l'uomo impudico) e 39,29 (fuoco, grandine, fame e morte son creati per il castigo) viene documentata la concezione tradizionale del castigo su questa terra.

vv. 18-28. La nuova serie di massime mette a fuoco, nella logica sapienziale tradizionale, i rapporti con l'amico e il fratello (v. 18), la sposa (vv. 19.26), gli schiavi e i mercenari (vv. 20-21), il bestiame (v. 22), i figli e le figlie (vv. 23-25), il padre e la madre (vv. 27-28). I consigli sono diretti all'uomo: marito e padre, figlio e padrone. I temi tornano anche altrove: genitori (cfr. 3,1-16), amici (cfr. 6,5-17; 22,19-26), moglie (cfr. 26,13-18), figli (cfr. 30,1-13), figlie (cfr. 26,10-12; 42,9-14). Moglie e figli, servi e bestiame sono considerati come possesso dell'uomo, che ne giudica l'utilità (v. 22) e la bontà (v. 19), stabilendo uno stile di rigore (vv. 23-24) o di fiducia (v. 26) nei rapporti. Ben Sira mitiga il dato autoritario tradizionale, consigliando di non assumere l'interesse (diaphoros) come criterio ultimo di valutazione (v. 18; cfr. 27,1) e di non abusare con arbitrio della condizione di padrone. Un saggio amministratore dei propri beni accetta non solo l'invito a «non maltrattare» uno schiavo laborioso e verace (v. 20), ma anche l'esortazione ad «amare un servo saggio» (v. 21), concedendogli la liberazione prevista dalla legge (cfr. Es 21,2). Sugli schiavi cfr. anche 10,25; 23,10; 33,25-33. Il mercenario annuale e lo schiavo pigro, sul raccolto e su un gran lavoro, non sono consiglieri affidabili (cfr. 37,11hi). Rivolgendosi alla sfera familiare, Ben Sira consiglia benevolenza verso la sposa saggia, rigore verso i figli sin dalla giovinezza, vigilanza verso le figlie e oculatezza nello scegliere loro mariti assennati, ricordo grato verso i genitori impagabili per il dono della vita. Circa il «fidarsi» del v. 26b, cfr. nota a 6,7.

vv. 29-31. Dalla gloria dei genitori Ben Sira passa al timore di Dio e alle raccomandazioni verso i suoi ministri. Le espressioni «con tutto il cuore» (v. 27a), «con tutta l'anima» (v. 29a) e «con tutta la forza» (v. 30a), riferite la prima al padre e le altre al Signore e creatore, fungono da legame letterario (cfr. Dt 6,5; Mt 22,37), insieme con l'imperativo di onorare il padre e il sacerdote (doxazein: v. 27a.31a). Il rapporto con Dio è presentato come timore nei confronti della sua potenza (lo stesso verbo nei vv. 6c e 29a) e amore verso il creatore: tutto confluisce nel “timore del Signore”' (v. 31a), pienezza e radice della sapienza (1,16.20). Nei confronti dei sacerdoti e del culto il laico Ben Sira dimostra ammirazione convinta (cfr. 45,6-26; 47,8-10; 49,12; 50,1-21). Qui raccomanda di riverire i sacerdoti e di non abbandonarli. Il timore del Signore si manifesta nel dare onore al sacerdote, consegnandogli le offerte prescritte: primizie (cfr. Nm 18,11-18), sacrifici espiatori (cfr. Lv 5,6), parti delle vittime (cfr. Nm 6,19; Es 29,27), oblazioni (cfr. Lv 2,1-16).

vv. 32-36. L'attenzione si allarga a tutti i poveri: il merismo del v. 33 (ogni vivente e il morto) indica che le opere di misericordia non devono escludere nessuno. È un insegnamento che risale ai profeti e al Deuteronomio, per poi giungere al NT e al giudaismo rabbinico. La charis verso il morto (v. 33b) indica forse l'impegno per una decente sepoltura dei poveri (cfr. Tb 1,16-19), ma lascia intravedere anche la tradizione, prima osteggiata e poi tollerata, dei banchetti dopo la sepoltura e delle vivande ai morti (30,18; cfr. Dt 26,14; Ez 24,17; Tb 4,17). Segue l'invito a condividere il pianto e l'afflizione (cfr. Gb 30,25; Rm 12,15) e a visitare gli ammalati (Gb 2,11-13; Mt 25,39.44) sia per obbedire alla legge (Lv 19,18) che per riceverne in premio amore. In chiusura di c. un'esortazione generale a ricordarsi, in tutte le azioni, del fine ultimo della vita, per evitare il peccato. Dall'ebr. al gr. sembra esserci un allargamento di significato. Aperto dalla considerazione che il male va evitato perché si moltiplica a danno di chi lo fa, il c. approda all'idea che il peccato si può (e si deve) evitare pensando agli «ultimi giorni», al fine ultimo dell'uomo (v. 36). E la regola d'oro per evitare il peccato.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1e da amico non diventare nemico. La cattiva fama attira a sé vergogna e disprezzo: così accade al peccatore che è bugiardo.

Il dominio delle passioni 2Non ti abbandonare alla tua passione, perché il tuo vigore non venga abbattuto come un toro; 3divorerà le tue foglie e tu perderai i tuoi frutti, e ti ridurrà come un legno secco. 4Una passione malvagia rovina chi la possiede e lo fa oggetto di scherno per i nemici⊥.

La vera e la falsa amicizia 5Una bocca amabile moltiplica gli amici, una lingua affabile le buone relazioni. 6Siano molti quelli che vivono in pace con te, ma tuo consigliere uno su mille. 7Se vuoi farti un amico, mettilo alla prova e non fidarti subito di lui. 8C'è infatti chi è amico quando gli fa comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura. 9C'è anche l'amico che si cambia in nemico e scoprirà i vostri litigi a tuo disonore. 10C'è l'amico compagno di tavola, ma non resiste nel giorno della tua sventura. 11Nella tua fortuna sarà un altro te stesso e parlerà liberamente con i tuoi servi. 12Ma se sarai umiliato, si ergerà contro di te e si nasconderà dalla tua presenza. 13Tieniti lontano dai tuoi nemici e guàrdati anche dai tuoi amici. 14Un amico fedele è rifugio sicuro: chi lo trova, trova un tesoro. 15Per un amico fedele non c'è prezzo, non c'è misura per il suo valore. 16Un amico fedele è medicina che dà vita: lo troveranno quelli che temono il Signore. 17Chi teme il Signore sa scegliere gli amici: come è lui, tali saranno i suoi amici.

La ricerca della sapienza 18Figlio, sin dalla giovinezza ricerca l'istruzione e fino alla vecchiaia troverai la sapienza. 19Accòstati ad essa come uno che ara e che semina, e resta in attesa dei suoi buoni frutti; faticherai un po' per coltivarla, ma presto mangerai dei suoi prodotti. 20Quanto è difficile per lo stolto la sapienza! L'insensato non vi si applica; 21per lui peserà come una pietra di prova e non tarderà a gettarla via. 22La sapienza infatti è come dice il suo nome e non si manifesta a molti⊥. 23Ascolta, figlio, e accetta il mio pensiero, e non rifiutare il mio consiglio. 24Introduci i tuoi piedi nei suoi ceppi, il tuo collo nella sua catena. 25Piega la tua spalla e portala, non infastidirti dei suoi legami. 26Avvicìnati ad essa con tutta l'anima e con tutta la tua forza osserva le sue vie. 27Segui le sue orme, ricercala e ti si manifesterà, e quando l'hai raggiunta, non lasciarla. 28Alla fine in essa troverai riposo ed essa si cambierà per te in gioia. 29I suoi ceppi saranno per te una protezione potente e le sue catene una veste di gloria. 30Un ornamento d'oro ha su di sé e i suoi legami sono fili di porpora. 31Te ne rivestirai come di una splendida veste, te ne cingerai come di una corona magnifica.

32Figlio, se lo vuoi, diventerai saggio, se ci metti l'anima, sarai esperto in tutto. 33Se ti è caro ascoltare, imparerai, se porgerai l'orecchio, sarai saggio. 34Frequenta le riunioni degli anziani, e se qualcuno è saggio, unisciti a lui. 35Ascolta volentieri ogni discorso su Dio e le massime sagge non ti sfuggano. 36Se vedi una persona saggia, va' di buon mattino da lei, il tuo piede logori i gradini della sua porta. 37Rifletti sui precetti del Signore, medita sempre sui suoi comandamenti; egli renderà saldo il tuo cuore, e la sapienza che desideri ti sarà data.

_________________ Note

6,5-17 Il tema dell’amicizia verrà ripreso in 7,18; 11,29-12,18; 22,19-26; 37,1-6.

6,18-37 Nella sezione 6,18-14,19 compare l’insegnamento sapienziale tradizionale, come era stato presentato anche nel libro dei Proverbi. La sapienza si rivolge all’ascoltatore come un padre si rivolge al figlio o un maestro al discepolo (vedi già 2,1-11).

6,21 pietra di prova: veniva sollevata per dimostrare la propria forza.

6,36 6,36 il tuo piede logori i gradini della sua porta: per ottenere la sapienza non basta desiderarla; occorre frequentare i saggi, intrattenersi con loro.

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Approfondimenti

vv. 2-4. I tre vv. mettono in guardia contro la passione violenta. L'ebr. nepeš sembra riferirsi alla concupiscenza (v. 2a; cfr. 18,30-19,3); il gr. psyché pone l'accento sull'orgoglio. Comunque è una «passione malvagia» che porta alla rovina: si finisce a pezzi come un toro, senza foglie e senza frutti come un albero secco. Nell'AT l'albero simboleggia, tra l'altro, la potenza crescente ma caduca di una nazione (cfr. Dn 4,7-14 e Ez 31,3-14). Ben Sira ricorre al binomio albero/frutti in chiave pedagogico-religiosa (cfr. 27,6a). Il detto sapienziale di Gesù sugli alberi e sui frutti buoni o cattivi è inserito nella polemica antifarisaica (cfr. Mt 12,33-35). Vedi anche la maledizione del fico senza frutti, simbolo della sterile incredulità giudaica riprovata da Dio (cfr. Mc 11,12s.).

vv. 5-17. Ben Sira dedica tredici vv. alla vera e alla falsa amicizia. Dopo l'introduzione (vv. 5-6) invita ad essere cauti nella scelta degli amici (vv. 7-13); seguono tre annotazioni sull'amico fedele ed una conclusione sul legame amicizia-timore di Dio (vv. 14-17). Nessun libro biblico tratta dell'amicizia in modo così esteso come Sir (cfr. 7,18; 11,29-12,18; 22,19-26; 37,1-6).

vv. 5-6. Partendo da un'annotazione del libro dei Proverbi (cfr. Pr 15,1), Ben Sira sviluppa il tema dell'amabilità con cui la parola dell'uomo moltiplica amici, cortesie e conoscenze (plēthynein nel v. 5ab; polloi nel v. 6a). Nello stesso tempo Ben Sira raccomanda la qualità: uno su mille sia tuo consigliere. Il maestro apprezza la quantità, ma la circonda di sospetto (cfr. 16, 1).

vv. 7-13. Come la sapienza educatrice mette alla prova il figlio/discepolo (4,17e), così Ben Sira suggerisce di fare con l'amico, prima di fidarsi di lui (v. 7; cfr. 4,17e). Chi si fida subito, con troppa facilità, dimostra di essere leggero di animo e si espone a danneggiare se stesso col peccato (cfr. 19,4). La fiducia è un tema molto importante. Si comprendono così la grande attenzione suggerita nel cercare l'amico fedele e l'elenco dei difetti dei “falsi amici” (vv. 8-12): si avvicinano per interesse, ma la sventura li allontana; i banchetti e la fortuna li rendono presenti e familiari, ma l'umiliazione li rivela codardi e nemici. Riassuntivo e lapidario il v. 13: stare a distanza dai nemici, stare in guardia con gli amici.

vv. 14-17. Il tema della fiducia ponderata, in contrasto con quella frettolosa, sfocia in quello dell'amico fedele, medicina vitale (v. 16a), vero tesoro per il quale saltano le bilance: non c'è prezzo né peso corrispondente. Simili amici non possono essere ceduti in cambio (cfr. 7,18) di alcunché. Chi li trova? Coloro che temono il Signore. Essi, infatti, sono costanti nell'amicizia, cioè la “rendono stabile” (v. 17a). La stabilità rimanda alla somiglianza: sono amici fedeli coloro che sono simili e condividono i valori e l'osservanza della legge. L'uso del verbo “rendere stabile e retto” (euthynein: 6 volte nel Siracide e 7 nel resto dei LXX) collega tra loro temi come l'amicizia, il timore di Dio nella prova e la preghiera (cfr. 2,2.6; 37,15; 38,10; 49,9).

6,18-14,19. Dopo un nuovo invito ad accogliere la disciplina sin da giovane per diventare sapiente (cfr. 6,18-37), Ben Sira allarga ed approfondisce il suo insegnamento. Il suo “manuale” di vita fa da guida nei rapporti con Dio e col prossimo (cfr. 7,1-17), nella vita familiare, religiosa e sociale (cfr. 7,18-36), nelle situazioni rischiose che richiedono la prudenza della tradizione (cfr. 8,1-19). Sostenuto dalla sua esperienza e dall'amore alla verità, egli dà consigli per trattare con le donne e con gli uomini (cfr. 9,1-18), con i governanti e con le diverse categorie di persone (cfr. 10,1-31). Ben Sira educa alla fiducia in Dio (cfr. 11,1-34), a fare beneficenza (cfr. 12,1-18), a come comportarsi con i ricchi e con i poveri (cfr. 13,1-26), a fare buon uso della ricchezza (cfr. 14,1-19).

6,18-37. Il brano di 6,18-37 è un canto alfabetico che celebra la sapienza: il termine sophia apre e chiude la pericope (v. 18.37). Il tema è frequente (cfr. 4,11-19; 14,20-15,10) e troverà pieno sviluppo in 51,13-30. Per esortare alla sapienza (4,18-19), Ben Sira si serve qui di immagini prese dal lavoro dei campi (v. 19) e dalle competizioni sportive (v. 21.25), dalla vita carceraria (v. 24.29) e dal modo di vestire (vv. 30-31). Nei 22 distici si riscontrano l'introduzione (v. 18-22), una parte centrale (v. 23-31) e la conclusione (v. 32-37). Il vocativo «Figlio» scandisce ogni inizio di sezione (vv. 18.23.32).

vv. 18-22. Nell'introduzione, all'invito iniziale ad abbracciare la disciplina fin da giovane per arrivare alla vecchiaia ricco di sapienza (v. 18; cfr. 25,3-6), fanno seguito tre versetti (vv. 19-21) introdotti dalla congiunzione «come» (gr. hōs). Si tratta di due paragoni e di un'interiezione: il giovane deve accostarsi alla sapienza ed attendere i suoi frutti proprio “come” fa colui che ara e semina (v. 19). Ma “come” è aspra la sapienza per chi non ha disciplina e si scoraggia di fronte alla difficoltà (v. 20)! La sapienza, in verità, è “come” una grossa pietra, usata nelle gare, di cui si cerca di liberarsi quanto prima (v. 21). Il nome stesso – afferma Ben Sira (v. 22) – indica la natura. Forse si allude all'ebraico mûsăr, che significa sia «disciplina, legame», sia «nascosto, lontano».

vv. 23-31. Ben Sira rifa l'invito: i verbi abbracciare (epidedbomai: v. 18a) ed accogliere (ekdechomai: v. 23a) si richiamano nella forma e nel contenuto. Ma questa volta l'autore offre non la disciplina in generale, ma i suoi stessi consigli di padre e di educatore. Sullo sfondo c'è sempre il libro dei Proverbi (cfr. 4,10; 19,20). Parla della fatica nella ricerca (24-27), ma anche del riposo nel possesso della sapienza (vv. 28-31). Non mancano sfumature autobiografiche. Le varie parti del corpo (piedi, collo, spalle, testa), qui citate, alludono prima alla disciplina e poi al successo. Bisogna entrare nei ceppi e nei collari, nelle catene e sotto il peso della ricerca, per poi essere rivestiti della veste di gloria e della splendida corona della sapienza. L'ornamento d'oro e di porpora è simbolo di dignità regale e sacerdotale (50,11; cfr. Es 39,1-31), oltre che di virtù morali (cfr. Gb 19,9; 1Pt 5,5). Le immagini del peso e del giogo rimandano a Mt 11, 29-30.

vv. 32-37. Sono qui riassunte le condizioni per diventare saggi: volontà (v. 32a) e desiderio appassionato (v. 32b), amore e disponibilità all'ascolto (v. 33ab). Le condizioni, disposte in parallelo, evidenziano anche uno sviluppo. Il culmine è nell'amore per l'ascolto, in un atteggiamento di docile accoglienza della tradizione. Convinto che «l'uomo si associa a chi gli è simile» (13,16b), Ben Sira invita il “figlio” a cercare la compagnia degli anziani, depositari di saggezza umana e religiosa. Lo esorta a stare in mezzo a loro (v. 34; cfr. 7,14a), ad ascoltare volentieri discorsi ispirati da Dio (v. 35) e a cominciare le giornate sulla soglia della casa dei saggi (v. 36). In questo sviluppo del tema tradizionale della saggezza dei capelli bianchi (v. 18) l'elemento profano si intreccia con quello religioso. Non c'è separazione. Il versetto conclusivo lo ribadisce, quando lega l'osservanza della legge con il conseguimento della sapienza. A chi riflette sui comandamenti del Signore e li prende a cuore, egli fa dono di un cuore stabile (cfr. v. 20b: il cuore instabile) e colmo (v. 37d).

Cominciato con i toni foschi della “passione” che porta alla rovina – si tratti dell'orgoglio o della concupiscenza, poco interessa, perché entrambi segni di distruttiva chiusura su di sé – questo c. passa attraverso due “passioni” che possono rendere grande l'uomo: l'amicizia e il desiderio della sapienza. Entrambe trovano soddisfazione e stabilità nel rapporto con il Signore. Il timore di lui (v. 17) e la riflessione sui suoi precetti (v. 37) liberano l'uomo da passioni rovinose. Nello stesso tempo lo rendono capace di amicizie sicure e fedeli e lo fanno crescere nella sapienza autentica. Traspare dal c. tutta la fierezza umana, culturale e religiosa di un Ebreo, che non scende a compromessi con il mondo ellenistico. Ma si intravede anche la critica verso chi si è lasciato sedurre o non si lascia guidare docilmente dalla sapienza tradizionale.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Non sfidare la pazienza e la bontà di Dio 1Non confidare nelle tue ricchezze e non dire: “Basto a me stesso”. 2Non seguire il tuo istinto e la tua forza, assecondando le passioni del tuo cuore. 3Non dire: “Chi mi dominerà?“⊥, perché il Signore senza dubbio farà giustizia. 4Non dire: “Ho peccato, e che cosa mi è successo?”, perché il Signore è paziente. 5Non essere troppo sicuro del perdono tanto da aggiungere peccato a peccato. 6Non dire: “La sua compassione è grande; mi perdonerà i molti peccati”, perché presso di lui c'è misericordia e ira, e il suo sdegno si riverserà sui peccatori. 7Non aspettare a convertirti al Signore e non rimandare di giorno in giorno, perché improvvisa scoppierà l'ira del Signore e al tempo del castigo sarai annientato. 8Non confidare in ricchezze ingiuste: non ti gioveranno nel giorno della sventura.

Prudenza nel parlare 9Non ventilare il grano a ogni vento e non camminare su qualsiasi sentiero: così fa il peccatore che è bugiardo. 10Sii costante nelle tue convinzioni⊥, ⌈e una sola sia la tua parola.⌉ 11Sii pronto nell'ascoltare e lento nel dare una risposta. 12Se conosci una cosa, rispondi al tuo prossimo; altrimenti metti la mano sulla tua bocca⊥. 13Nel parlare ci può essere gloria o disonore: la lingua dell'uomo è la sua rovina. 14Non procurarti la fama di maldicente e non tendere insidie con la lingua, poiché la vergogna è per il ladro e una condanna severa per l'uomo bugiardo⊥. 15Non sbagliare, né molto né poco, 6,1 e da amico non diventare nemico. La cattiva fama attira a sé vergogna e disprezzo: così accade al peccatore che è bugiardo. _________________ Note

**5,9 -6,1 ** Il tema della parola e del suo buon uso è frequente nel Siracide (vedi anche 14,1; 19,4-17; 20,1-8.18-31; 23,7-15; 27,11-29; 28,8-26; 37,16-18).

5,12 metti la mano sulla tua bocca: taci (vedi anche Gb 40,4).

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Approfondimenti

vv. 1-8. Il brano – dieci esortazioni negative in dieci distici – è delimitato dall'invito a «non confidare nelle ricchezze» (vv. 1.8). Nell'inclusione si registra anche uno sviluppo del tema: Ben Sira mette in guardia non contro la ricchezza tout court (v. 1), ma contro quella “ingiusta” acquisita con l'inganno e la menzogna (v. 8). Per quattro volte si invita a «non dire» cose contrarie alla verità sull'uomo e su Dio: no all'autosufficienza del «Questo mi basta» (v. 1b; cfr. 11,24) e all'arroganza del «Chi mi dominerà?» (v. 3a); no all'autoinganno di chi non vede le conseguenze negative del suo peccato (v. 4a) e alla presunzione di chi ritiene che la grande misericordia divina certamente «perdonerà i molti peccati» (v. 6a). Dopo l'avvertimento a non lasciarsi trascinare dal proprio impulso (v. 2) e a non accumulare peccato su peccato, Ben Sira sollecita l'immediata conversione al Signore. È questo il cuore del messaggio: «Non aspettare... non rimandare di giorno in giorno» (v. 7), perché l'ira del Signore è improvvisa (v. 7c). Nel c. precedente convertirsi dal rispetto umano si presenta anzitutto come “allontanamento dai peccati” (4,26); qui, per convertirsi, il ricco deve soprattutto «convertirsi al Signore» (v. 7a). Deve, cioè, demolire l'idolo della ricchezza, che crea una situazione falsa, e riconsiderare le conseguenze personali, sociali e religiose del suo peccato. Le ricchezze «di menzogna» (v. 8a ebr.) sono «ingiuste» (in gr.) due volte: sono frutto di inganno ai danni degli altri e ingannano colui che le possiede, inducendolo ad una fiducia che poi sarà delusa. Ben Sira smaschera, così, un «falso» antropologico e teologico e pone fine all'illusione di coloro che credono di trovare un'uscita di sicurezza – nel giorno della sventura – proprio nelle ricchezze (cfr. Lc 9,25). A ragione si parla dei vv. 1-8 come di un “compendio di teodicea”.

vv. 5,9-6,1. L'osservazione della vita di relazione continua: dopo l'invito al discernimento sicuro e stabile (vv. 9-10), Ben Sira raccomanda al discepolo l'ascolto e il silenzio (vv. 11-13), per non finire come il calunniatore e il ladro (v. 14), il nemico e il peccatore (6,1). Lessico e temi sono comuni alla letteratura sapienziale e frequenti nel Sir (cfr. 19,4-17; 20,1-8.18-31; 23,7-15; 27,11-29; 28,8-26; 37,16-18). Originale sembra, invece, la duplice metafora del «ventilare il grano a qualsiasi vento» per indicare la doppiezza e l'incostanza (v. 9a; cfr. Rt 3,2; Ger 15,7).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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