Vi piacciono i taralli fatti con la farina di grilli? E le larve fritte al peperoncino?
Le vedo le vostre facce schifate e le smorfie di disgusto, vedo anche i vostri pensieri, il “no, no, no, io quella roba là mai, per carità” che vi scorre in testa. Prima che andiate a vomitare però, voglio dirvi 3 cose:
Li ho assaggiati, sia i taralli con la farina di grilli che le larve fritte, e non sono per niente male, anzi, sono abbastanza buoni.
Non c'è questa grande differenza tra il mangiare grilli e gamberetti. E ci sono cose ben più disgustose che vengono considerate prelibatezze, tipo le lumache.
Ma poi, a voi che vi frega di quello che mangio io?
Abbiamo postato uno short su YouTube per il 25 aprile. Cosa c'entra col nostro canale? Noi facciamo esperimenti divertenti, mica ci occupiamo di queste cose...
L'ho fatto perché sono stanco di non occuparmi di queste cose, perché non voglio restare a guardare mentre certa gente prende una ricorrenza che unisce tutti quanti e la trasforma in uno strumento di propaganda, la svilisce nel suo significato, la fa diventare un argomento per creare nemici, quando invece esiste per ricordarci che i nemici erano altri e – a quel tempo – finalmente sconfitti.
Ma voi non vi occupate di politica...
è vero, e infatti questa non è politica.
Celebrare il 25 aprile non significa avere un colore, vuol dire averne tre, quelli di una bandiera che ormai conta solo durante le partite di calcio, e soprattutto non avrene uno, quel nero del momento più oscuro della nostra storia.
Vuol dire omaggiare la patria, ma non quella a cui pensano certe persone, fatta di nemici a ogni angolo, di confini chiusi, di donne a casa e uomini zitti a lavorare. Vuol dire omaggiare la patria che è la propria casa, rappresentata da uno stato che ti accoglie, ti protegge, ti fa sentire al sicuro e ti garantisce la libertà. Uno stato dove possiamo dire ciò che pensiamo ed essere come vogliamo senza la paura di prendersi una manganellata perché siamo dal lato opposto di chi governa, perché la nostra pelle è della sfumatura sbagliata, o perché ci piacciono gli uomini invece che le donne o le donne invece che gli uomini.
Celebrare il 25 aprile è ricordarsi cosa può succedere se lasciamo che ci creino nemici dove non ci sono, se ci facciamo instillare la paura del diverso per controllarci meglio, se non ci preoccupiamo perché tanto riguarda loro e non me. Se pensiamo che il benessere venga prima della libertà e accettiamo che l'ignoranza sia il giusto prezzo da pagare perché nessuno venga a pestare i piedi nel nostro orticello.
Celebrare il 25 aprile vuol dire riconoscere che dopotutto un papa morto non è un affare così importante per uno stato laico e che la possibilità di blaterare sui social, in TV e sui giornali senza che qualcuno venga a prenderci e farci sparire ce l'hanno garantita proprio le persone che ottant'anni fa il 25 aprile l'hanno reso possibile. E, per quanto possa dar fastidio, celebrare il 25 aprile vuol dire anche assicurare la possibilità di esprimersi a chi il 25 aprile vorrebbe cancellarlo.
No, non si tratta di politica. Si tratta di essere persone civili.
— Sto cercando di ridurre il consumo di carne.
— Però al Mac ci vai, eh?
— Non compro banane, frutti esotici o verdura fuori stagione.
— Ma l'avocado toast con tuo figlio però te lo mangi...
— A casa non bevo acqua in bottiglia da anni.
— Eh però ti ho visto ieri che la compravi al distributore automatico!
— Da un paio di mesi vado al lavoro in treno e cerco di usare l'auto il meno possibile.
— Sì, vabbè, parli tanto però hai ancora la macchina diesel, visto che sei tanto “sostenibile” perché non te ne fai una elettrica?
— Se posso, viaggio in treno piuttosto che in aereo.
— E allora com’è che quest’estate sei volato in Danimarca?
— Non trovo giusto comprare sempre l’ultima versione dei nuovi gadget elettronici in uscita.
— Ma l’iPhone nuovo te lo sei preso però!
— Mi piacerebbe che il prato fuori dall’ufficio avesse un pezzetto che non viene falciato, per mantenere la biodiversità…
— Hahaha, che cazzata!
Sento queste risposte di continuo, e ne ho piene le palle.
Sono stanco di persone che stanno appollaiate come camaleonti sul proprio rametto, occupandosi solo di quello, ma che, come camaleonti, sono pronte a far schizzare in avanti la loro lingua appiccicosa per criticare chiunque provi a curarsi di qualcosa che va appena al di là del proprio ramoscello.
Ho deciso di aprire questo blog perché volevo uno spazio dove poter scrivere i miei pensieri in libertà, senza costrizioni, senza dover pensare alle visualizzazioni, ai follower, all'orario di pubblicazione, alla fidelizzazione dei lettori... Insomma, volevo un posto dove badare solo a quello che scrivevo e non alla confezione.
Prevengo la domanda: non ho scritto un diario solo mio perché comunque vorrei che qualcuno i miei pensieri li leggesse, e li commentasse, mi dicesse quali sono i suoi pensieri, mi dicesse se in qualche modo si ritrova in quello che scrivo o se pensa che siano tutte cazzate...
Durante i mesi caldi, sui prati vicino a Ladispoli, dove abito, si vedono spesso lunghe file di formiche che si muovono da una tana nel terreno a un'altra, distante anche parecchi metri. Ho anche caricato un paio di video sul mio canale YouTube, se volete vederli ve li linko qui e qui.
Si tratta di Messor capitatus, formiche diffuse nel Centro-Sud d'Italia e dette anche formiconi neri a causa delle loro notevoli dimensioni, che possono raggiungere anche i 12-16 mm nelle operaie major.
Si nutrono si granaglie, da qui il nome Messor, mietitrici, e hanno diverse caste di operaie, con dimensioni e compiti diversi.
Può un libro cambiare il mondo? Un romanzo, intendo, perché se parliamo di saggi o di articoli scientifici la risposta è sicuramente sì, basta pensare ai Principia di Newton, al Capitale di Marx, o alla serie di scritti pubblicati da Albert Einstein nel suo annus mirabilis .
Quello che mi domando qui è se la letteratura ha il potere di cambiare le cose.
Le persone che scrivono, e ora ci sarebbe da chiedersi quando si può definire qualcuno “scrittore,” io la mia risposta ce l'ho, ma è meglio non divagare... Dicevo che le persone che scrivono sono convinte che la letteratura abbia questo potere, e sicuramente anche molte di quelle che leggono hanno uno o più libri che hanno cambiato loro la vita.
Mi chiedo però se, al di là dell'esperienza personale di chi si trova a leggere le parole giuste al momento giusto, proprio quando gli serviva uno stimolo per intraprendere un percorso, fare una scelta o, semplicemente, acquisire consapevolezza di certe cose, è possibile traslare questi effetti su una scala sociale anziché personale.
in altre parole:
un romanzo può essere così potente, convincente e diffuso da avere un effetto permanente sulla società?