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Siamo tutti consapevoli che, negli ultimi dieci anni, ha conquistato il mercato con una prepotenza senza precedenti il prodotto più venduto della storia contemporanea: lo smartphone. Il fenomeno è così eccezionale che tutti, o quasi, ne possiedono almeno uno.

Lo ripeto per sottolineare il concetto: oggi, al mondo, è quasi impossibile trovare qualcuno che non lo possegga. Avere uno Smartphone è divenuto usuale, tanto da contaminare ogni aspetto della nostra esistenza, è ormai socialmente accettato che sia parte integrante della nostra persona. La nostra esistenza è conservata e garantita da uno strumento che è più desiderato e sopravvalutato che realmente necessario.

L’effetto più insidioso del suo continuo utilizzo è la dipendenza che genera, espressa da una compulsione a consultarlo in continuazione, un bisogno costante di averlo accanto. Dal punto di vista psicologico, questo comportamento è paragonabile a quello di un tossicodipendente in crisi d’astinenza.

A livello sociale, molti ritengono che la tecnologia smart sia riuscita ad avvicinare le persone, permettendo loro di comunicare senza doversi vedere e stare davvero insieme. Possiamo non sentirci soli anche quando lo siamo. Questo strumento, paradossalmente, ha spesso allontanato proprio le persone che un tempo erano più vicine. E’ una tecnologia che ci ha resi soli tra altre persone sole. L’atto di chattare ha preso il posto del dialogo, la condivisione virtuale ha sostituito la bevuta in compagnia, l’immagine di un profilo social ha rimpiazzato il guardarsi negli occhi. Sono esempi estremi, che non sempre rappresentano la realtà di tutti, ma la logica del discorso è difficile da smentire.

Sul piano commerciale, le grandi multinazionali – Apple, Xiaomi, Samsung... – hanno puntato sul prodotto più facile da vendere per alimentare la loro brama di potere e denaro, aggiudicandosi il podio mondiale eterno fra i potenti. Chi conosce le dinamiche di una grande impresa, o aspirante tale, sa bene che non c’è spazio per filantropia o buon senso. Ogni impresa desidera possedere uno strumento che sia facilmente commerciabile e diffondibile, e le grandi aziende tecnologiche hanno trovato la loro gallina dalle uova d’oro. Lo smartphone è stato venduto a chiunque: ricchi, poveri, giovani, anziani, americani, asiatici, africani, europei... È indiscutibilmente uno dei prodotti più acquistati al mondo, eppure per le proprie potenzialità lo utilizziamo spesso in modo superficiale.

Tutto ciò che puoi fare con il tuo Telefono Intelligente, lo potevi fare anche prima in maniera meno immediata. Per scattare una foto si usava una macchina fotografica. Per inviare un messaggio, si ricorreva agli SMS. Per leggere le email, si apriva il computer. Per giocare, esistevano decine di piattaforme diverse. Per ascoltare musica, c’erano lo stereo, il giradischi, il mangiacassette, la radio, il lettore mp3. Il significato delle parole si cercava sul dizionario. Il giornale lo si comprava in edicola. Per trovare un numero di telefono, si sfogliavano le Pagine Bianche o le Pagine Gialle. La TV via cavo offriva programmi adatti a ogni età e gusto: cartoni, documentari, serie, film per tutti.

Ciò che ritengo sia il grande cambiamento è la nostra condizione: più la tecnologia diventa smart, più noi possiamo permetterci di essere superficiali. Abbiamo l’estremo bisogno di qualcosa che non dovrebbe essere indispensabile, ma che lo è già diventato. Se racchiudiamo in un solo accessorio tutto ciò che ci rappresenta, dagli interessi alle passioni e passatempi, allora sarà impossibile separarsene. Non sapremmo più vivere senza.

Lo smartphone è diventato indispensabile solo perché abbiamo delegato ad esso tutto ciò era già essenziale prima della sua esistenza. Ad esempio, si potrà accedere alla propria Tessera Sanitaria tramite app, così da non doverla più portare con sé. Ma mentre la tessera sanitaria è davvero indispensabile, lo smartphone non lo è. Ora sì: la tessera sparirà, lo smartphone diventerà irrinunciabile. È diventato un bene di prima necessità e questo lo rende esponenzialmente commerciabile: ogni individuo, di qualsiasi età, ceto, stato o cultura, potrà possederne uno. Potrebbe essere un complotto andato a buon termine, voluto dalle dalle multinazionali e dagli oligarchi per consolidare il loro dominio globale.

Per dimostrare la mia pesante ed accusatoria teoria del “complotto del telefono intelligente”, vi invito a ragionare sulle abitudini dell’ultimissima generazione. Da bambino, mi distraevo con la televisione, ma era una televisione molto diversa. Oggi, canali come Boing o Cartoon Network trasmettono pubblicità tempestate di riferimenti agli smartphone, creando un prematuro sentimento di necessità, per indottrinare fin da giovane età i consumatori del domani. Questo complotto, indiretto e puramente psicologico, garantisce alle multinazionali il podio economico e, per raggiungere i propri obiettivi egoistici, continueranno ad approfittare di ogni strumento disponibile. L'indipendenza dei bambini da accessori superflui è minacciata dalle logiche di mercato.

Non siamo sempre consapevoli di questi subdoli meccanismi economici e psicologici, né possiamo dimostrarli su larga scala, ma possiamo quanto meno renderci conto dei grandi cambiamenti e dei pericolosi risultati nella nostra quotidianità.

Anche chi ha grandi difficoltà economiche si sente in dovere di possedere uno smartphone. Siamo indotti psicologicamente a volerlo.

“Loro ce l’hanno e io no” “Senza di quello, sarò tagliato fuori” “Se non ce l’ho, non mi farò mai degli amici” “Senza, valgo meno di niente” ... “Ora che ce l’ho, posso mostrarlo agli altri” “Ora posso fare tutto quello che voglio” ...

senza sapere o considerare che potevo farlo anche prima, sebbene meno comodamente. L’invidia e l’insicurezza, nelle logiche di mercato, sono gli strumenti più efficaci verso di noi, l’ultimo gradino della società. Prima di essere persone, siamo consumatori, numeri in un database che non si ferma mai e che ci controlla, un insieme di algoritmi al servizio degli oligarchi. Hanno bisogno di influenzare le nostre scelte, decisioni, passioni e necessità, altrimenti smetteremmo di essere tali. E così ci sentiamo in dovere di avere un accessorio da centinaia, se non migliaia, di euro che, per le sue potenzialità e dato come lo usiamo, è spesso inutile o si avvicina ad esserlo... Perchè? Perché non sempre siamo padroni delle nostre scelte.

Il Mondo è cambiato o siamo solo noi ad essere cambiati? Siamo noi a tentare in ogni modo di essere diversi da ciò che eravamo una volta?

In questo capitolo affronterò l’argomento dell’Antropocene da un punto di vista diverso rispetto a quello scientifico trattato in precedenza, concentrandomi su un aspetto umano e intellettuale. Da un punto di vista teorico, il Mondo per noi è sempre rimasto uguale e continuerà a sembrarlo, con un limitato margine di cambiamento per la durata delle nostre vite, quelle dei nostri nipoti e dei nostri pronipoti. Avremo sempre lo stesso cielo, le stesse stelle stelle, la stessa Terra. Nonostante le vicende storiche, sociali e culturali degli ultimi secoli, secondo il concetto fenomenico, il Mondo dovrebbe essere rimasto identico. Siamo noi che abbiamo un bisogno tipicamente umano di voler percepire ogni epoca come diversa, a volerci sentire differenti, modificando il contesto naturale per adeguarlo a noi.

I genitori dei nostri genitori possono sostenere con forza e sicurezza di aver vissuto dei tempi realmente diversi sotto molti aspetti, come dimostra la difficoltà che spesso incontrano nell’approcciarsi a tecnologie recenti come smartphone e computer. E’ stata la rivoluzione comportamentale portata da queste tecnologie che ha contribuito a renderci molto diversi. Prima di questa rivoluzione, i tempi sembravano scorrere più lentamente e somigliarsi di più tra loro. La nostra contemporaneità, invece, è bizzarra, complessa, e a tratti alienante.

Per noi è facile e scontato convivere con queste grandi comodità, siamo genericamente più sedentari, ci dedichiamo quotidianamente ad attività tanto urgenti quanto superflue, che però sentiamo il bisogno di soddisfare. Chi dei lettori, me compreso, non ha delle missioni giornaliere da svolgere?

Investiamo una parte importante del nostro tempo ed energie su azioni di poco conto, sottraendone a ciò che meriterebbe davvero la nostra attenzione. In passato, chiunque si dedicasse ad una disciplina la viveva come una vocazione, non era distratto quotidianamente da attività dettate da un’applicazione. La nostra mente è stata condizionata per ritenere priorità cose che hanno davvero poco rilievo, ciò ci rende costantemente distraibili. Anche i nostri genitori, a differenza dei nonni, sono stati facilmente convertiti alla “fede delle tecnologie inutili”. Con amarezza, sostengo che spesso ne sono dipendenti quanto i giovani.

Tutto questo mi porta a una riflessione: Anche se dal punto di vista naturale e fenomenico il mondo non è cambiato, è bastato un accessorio, per quanto eccezionale, a stravolgere le nostre abitudini in pochissimo tempo. Viviamo in uno sputo di tempo, velocissimo e pericoloso, come il colpo di un proiettile. Tecnologia, scienza e progresso non hanno cambiato il mondo in sé, ma la nostra percezione del mondo. Abbiamo ancora bisogno delle stesse cose, ma oggi facciamo fatica a riconoscerle. Bisognerebbe rivedere il valore delle nostre azioni quotidiane, dei nostri pensieri.

Le strane priorità e abitudini che ora ci appartengono tendono ad allontanarci da un sentimento naturale e primordiale. La natura, oggi, è solo una risorsa da sfruttare, ci avviciniamo ad essa per deturparla, sfruttarla, e poi trasformarla in scarti e rifiuti. Ogni elemento naturale viene piegato alle nostre comodità per servirci a senso unico, per soddisfare i nostri vizi e desideri, colmare le nostre comodità, incrementando un sistema che ai tempi dei nostri nonni sarebbe stato inconcepibile. Cent’anni fa, l’essere umano era rispettoso della natura, la sua sopravvivenza dipendeva da essa. Oggi, con l’avanzata dell’industria globale, ci illudiamo di esserne padroni, ci consideriamo l’apice del sistema che abbiamo creato, la priorità assoluta, e pieghiamo al nostro volere tutto ciò che ci circonda. Abitudinariamente incrementiamo un’esistenza innaturale, disumana. E lo facciamo senza sacrificare nulla: né tempo, né risorse, né denaro. Siamo convinti di aver raggiunto la vetta, e che le conseguenze delle nostre egoistiche azioni non ci raggiungeranno mai. Ignoriamo che rappresentiamo un grave problema verso il Mondo e di conseguenza verso noi stessi.

Siamo diventati una specie egocentrica, abbiamo la presunzione che tutto ciò che può essere fatto debba essere fatto: ne abbiamo il diritto, anche se potrebbe essere dannosa e rischiosa. Così, involontariamente, distruggiamo ecosistemi e adattiamo la natura alle nostre esigenze, con effetti spesso irreversibili, Dall’alto della nostra intelligenza siamo diventati la specie animale più autodistruttiva, continuando imperterriti ed indifferenti a comportarci in modo deleterio, ignorando i segnali del disastro. Dall’alto della nostra intelligenza, dovremmo riconoscere le conseguenze delle nostre azioni.

Con questo capitolo la mia prima intenzione è esporre e divulgare teorie e concetti estrapolati da ricerche in internet, riferiti ad uno degli argomenti più importanti e più sottostimati della nostra contemporaneità. Mi riferisco a scienziati, geologi e ricercatori con i quali condivido visioni e teorie, che mi hanno portato a formulare un pensiero personale, cercando di non cadere nei semplicismi e nelle ovvietà. Promuovo l’idea che queste persone mettano il cuore e l’anima nei i propri studi, combattendo una battaglia che riguarda ognuno di noi, a prescindere dal nostro interesse personale verso gli argomenti trattati. Questi saggi studiosi e sapienti dottori, dovrebbero essere ascoltati di più dalle grandi masse, e le loro informazioni andrebbero diffuse nella maniera più efficiente possibile. Molte delle osservazioni che ho annotato fino ad ora avrebbero una soluzione pratica ed effettiva, capace di cambiare il mondo, o almeno di provarci. L'alternativa a “almeno ci provo” è “lasciarlo così com'è”, lasciarlo quindi alla deriva, consapevoli del probabile risultato finale. Sarebbe una scelta coerente per chi decide di disimpegnarsi sulla questione Natura, ignorando però quanto essa sia fondamentale per la preservazione della nostra esistenza. In queste pagine espongo il mio modo di agire, fino ad ora prevalentemente teorico. Esprimo un punto di vista nato dalla mia percezione delle cose e dal tentativo di cambiare ciò che mi circonda. Come ho scritto negli altri capitoli, sono fermamente convinto che chiunque voglia cambiare il mondo abbia il diritto di nascita di farlo. A volte, se si ha a cuore il nostro futuro e quello delle prossime generazioni, si ha il dovere di provarci.

Il termine “Antropocene” suscita in me un grande timore. Un timore che nasce dalla sua stessa definizione di catastrofe, possibilmente raggiungibile nel corso dei prossimi, e non molto numerosi, decenni. Questo è il risultato da cui dobbiamo sottrarci in ogni modo. Si tratta di un destino che si manifesta percettibilmente giorno dopo giorno: per ora è evitabile, ma presto potrebbe non esserlo più. Con Antropocene si intende l'epoca geologica contemporanea, caratterizzata dall'influenza negativa dell'essere umano sul pianeta. L'effetto della nostra esagerata presenza è la causa di un cambiamento strutturale del clima planetario, che incide sui processi sottili di equilibrio terrestri, condizionati da un'evoluzione durata milioni di anni. L’Antropocene è la prova inconfutabile che l’uomo è nocivo per se stesso e per il resto degli ecosistemi mondiali.

Il nostro pianeta ha raggiunto un equilibrio grazie a fattori ambientali come i ghiacciai, gli oceani e l'atmosfera. Quest'ultima, la più vulnerabile, è anche quella più danneggiata dalle nostre azioni. L’atmosfera è quel sistema che, se gravemente compromesso, compromette di conseguenza ogni altro tipo di sistema esistente. E’ il primo fattore ambientale che ha permesso alla Terra di ospitare la vita così come la conosciamo. Lo studio del clima ci ha rivelato che, da migliaia di anni, la Terra alterna periodi glaciali a periodi interglaciali. Noi siamo collocati verso la fine di un periodo interglaciale, un periodo caldo.

Cos’è che ha caratterizzato l’Antropocene? Gli ultimi 200 anni di Rivoluzione Industriale hanno permesso all’essere umano di evolversi tecnologicamente in una modalità senza precedenti. E’ stato l’inizio di una crescita e di un progresso scientifico senza eguali, migliorando da quasi ogni punto di vista la qualità e la facilità delle nostre vite, attribuendo all'essere umano un nuovo modo di vivere e definire la quotidianità. Allo stesso tempo, la Rivoluzione Industriale ha dato inizio a un'altra grande novità per il pianeta: la combustione di petrolio, carbone e gas, con il conseguente incremento dell'Effetto Serra, che ha progressivamente aumentato il riscaldamento globale fino ai nostri giorni. E’ stato anche l’esordio di uno smisurato prelevamento di risorse (legno, minerali, pesci, animali...) restituite al pianeta sotto forma di scarto, un prodotto di avanzo che non solo incrementa i rifiuti nell'ambiente, ma immette nell'atmosfera quantità spropositate di CO2.

Fino agli anni Settanta, si contavano nel mondo circa 3,5 miliardi di persone e, dal punto di vista di sprechi e rifiuti, si rispettava ancora un certo equilibrio naturale. Con la crescita indomabile della popolazione e la dipendenza vitale dal petrolio, ci avviciniamo sempre più al punto di non ritorno, al processo irreversibile che potrebbe caratterizzare il mondo di domani. Sappiamo che il clima mondiale è aumentato di circa un grado, soprattutto negli ultimi trent'anni. Si prevede che nei prossimi cento anni la temperatura possa salire di altri 5°C. Con un solo grado di differenza, il 50% dei ghiacciai delle Alpi è già scomparso, insieme alla sorgente del Po e a molti altri fiumi essenziali per il nostro sostentamento. In nessun altro periodo caldo interglaciale si è mai registrato un aumento di un grado. I 5°C che si raggiungerebbero rappresentano la peggiore prospettiva possibile e il più grande fallimento dell'umanità nei confronti di questo pianeta. Questi sono i sintomi di una malattia climatica di origine umana. Se nel 2100 si verificasse un aumento di 5°C, le conseguenze più catastrofiche sarebbero destinate soprattutto a noi esseri umani. La Natura, nonostante le estinzioni di massa, il disequilibrio ambientale e la distruzione di tantissimi ecosistemi unici, avrà sempre la forza di adattarsi. La Natura è resiliente.

Noi pensiamo di essere i padroni del mondo, ma non avendo la stessa forza di adattamento, saremo la specie a subire le ripercussioni più gravi,al limite dell'apocalisse. La CO2 di origine fossile immessa nell'atmosfera si è aggiunta a dismisura nell'equilibrio mondiale. In 800.000 anni, la percentuale di anidride carbonica nell'ambiente non aveva mai raggiunto livelli così alti come oggi. L'Effetto Serra è la causa principale dello scioglimento dei ghiacciai e, di conseguenza, dell'innalzamento dei mari. Questo processo sarà accompagnato da una desertificazione veloce e graduale. I numerosi test nucleari avvenuti tra gli anni Cinquanta e Sessanta hanno rappresentato un altro fattore disastroso che ha inciso profondamente sull’equilibrio climatico e ambientale, facendo da catalizzatore e accelerando ulteriormente il degrado del nostro pianeta. Ogni anno, muoiono genericamente 9 milioni di persone solo a causa dell’inquinamento.

Si dovrebbe lasciare in eredità alle generazioni future un pianeta ancora vivibile, che non sia ostile alla nostra presenza, cambiando radicalmente direzione. Come inizio, si potrebbe garantire la fine dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Dovremmo eliminare la nostra esigenza di deforestazione e promuovere invece la riforestazione. Sarebbe fondamentale limitare il più possibile la cementificazione, che rende la terra sotto i nostri piedi sterile e vulnerabile agli agenti atmosferici. Bisognerebbe ridurre tempestivamente la nostra dipendenza dal petrolio e dal carbone. Dovremmo riutilizzare e riciclare risorse e rifiuti di ogni tipo, eliminando quanto più possibile lo spreco. Si potrebbe adattare ogni nostro bisogno alle energie rinnovabili ovunque esse siano accessibili, convertendo più edifici possibili all’autonomia energetica. Tutto questo non sarebbe impossibile, se esistesse una volontà mondiale, animata dal desiderio di affrontare e superare ogni ostacolo, anche quelli apparentemente insormontabili, come le resistenze di politici e multinazionali ancora legati a profitti retrogradi e involutivi.

E’ necessario rendersi conto che questo è l‘unico pianeta che abbiamo, tutto ciò che riguarda la nostra sopravvivenza dipende esclusivamente da esso. Preservare la Natura equivale a preservare noi stessi. Come ho già sostenuto, tutto ciò che siamo è ciò che la Natura ci ha permesso di essere, dovremmo provare a saldare questo debito con l’ambiente che ci circonda. Sentiamoci partecipi ed attivi quando ci rivolgiamo alla Natura.

Non dimentichiamo che l’uomo e l’ambiente non sono due cose distinte e separate. L’essere umano deve essere al servizio della Natura tanto quanto la Natura è sempre stata al nostro.

La musica fra tutte le arti, è quella per natura più distinguibile come concetto e come esistenza. La sua forma è quasi completamente intelligibile, e proprio per questo, si presta con facilità a un’interpretazione personale, diversa per ogni ascoltatore. Originariamente, la musica viveva di dinamiche e regole nate solo ed unicamente per creare emozioni sempre nuove. La sua unica forma era quella dei sentimenti che riusciva a raccontare. I numerosi capolavori della musica classica, ad esempio, riescono ad esaltare, con la propria radicata ed antica struttura, concetti e sensazioni universali, immagini senza tempo, che spesso rimandano a ciò che è ovvio in un’opera visiva. Si vanta di poter raccontare situazioni con una potenza espressiva unica, e lo fa senza forma né colore.

“Le Quattro Stagioni” di Vivaldi ne sono l’esempio perfetto. L’orecchio, come gli occhi di un pittore, va educato a ciò che non comprende ancora, a ciò che si vuole imparare ad apprezzare.. Il gusto musicale, per evolversi senza pregiudizi, deve essere allenato, e questo vale per qualunque genere. L’allenamento all’ascolto è l’unico modo per comprendere a pieno la potenza comunicativa di un’opera sinfonica.

Tutte le sfumature impercettibili ma indispensabili, che i maestri di ogni epoca hanno saputo comporre, possono rivelare nuove sensazioni anche dopo una miriade di ascolti. È con questi dettagli che la complessità della musica classica riesce ad arricchire il nostro stato d’animo e a regalare all’ascoltatore un'ampia gamma di interpretazioni uniche. Oggi, però, tutto è facile, veloce, semplificato.

La bella musica viene spesso scartata a priori, percepita come vecchia o noiosa, mentre il nostro disabituato orecchio si limita ad ascoltare la ripetitività e la più totale convenzionalità della canzone commerciale. Questo impoverisce il nostro spettro emotivo, le emozioni ricercate da un ascoltatore. Solo chi è davvero aperto mentalmente può apprezzare ciò che è bello, anche quando è fuori moda.

La musica classica odierna è troppo spesso sottovalutata. Chi non si ritiene amante del genere, non si rende conto di quanto i propri gusti sono stati inevitabilmente influenzati da essa. Compositori contemporanei come Ennio Morricone, John Williams o Nino Rota, con la loro potenza espressiva, hanno riscritto le pagine della nostra storia e del nostro immaginario. Il loro immenso talento ed il loro indispensabile contributo artistico, sono paragonabili per complessità alla regia dei più grandi capolavori del cinema, cooperando pari passo con la produzione ed il successo di grandi classici intramontabili come quelli di Sergio Leone, Francis Ford Coppola e George Lucas. Gli Spaghetti Western, Il Padrino, Guerre Stellari, Indiana Jones, Harry Potter... sono degli esempi di capolavori impensabili senza le loro geniali e meticolose colonne sonore. Eppure, la colonna sonora è spesso data per scontata da molti che si professano amanti della musica contemporanea.

La musica è per lo più arte fine a se stessa, si deve apprezzare ciò che merita di essere apprezzato, non per quanto è popolare o commerciabile. Il processo inverso, che invece apprezzo poco, riguarda chi la musica la conosce a pieno, chi detiene una conoscenza profonda di essa e dei suoi vertici espressivi, che spesso coincidono con il jazz, la musica classica o le musiche etniche non convenzionali, generi di solito più gettonati dalle istituzioni musicali come il conservatorio.

Questo avviene quando l’intenditore, per snobismo o ricerca del complesso, tende a svalutare il rock e il blues, considerandoli generi poveri di contenuti, dalla composizione semplicistica o banale. È vero, il rock si fonda spesso su tre o quattro accordi, sugli stessi intervalli, le stesse frasi, gli stessi cliché musicali... usati e riusati per più di 40 o 50 anni. Queste caratteristiche lo rendono di sicuro un genere ripetitivo per una svariata parte di repertorio, ma non tutto il rock è banale. Ci sono artisti geniali, che hanno dedicato impegno sia al pathos musicale che al messaggio. Veri poeti e cantastorie come Bob Dylan, John Lennon, Neil Young, Bruce Springsteen, e tra gli italiani, De Andrè, Guccini, De Gregori.

Tuttavia, molte band, anche di alto livello tecnico, cadono nella banalità dei testi, privando la musica di una parte fondamentale del suo messaggio. Questo può allontanare l’interesse di chi invece vive la Musica nella sua massima esaltazione, gli intenditori dotati degli strumenti necessari per comprendere ogni tipo di genere. Immagino che ci sia un motivo preciso per il quale molti mostri sacri del rock, tralascino il messaggio e lo compensino con una espressività del tutto inedita caratterizzata da una energica allegria musicale. La musica rock ha avuto il suo esordio descrivendo l’energia, la festa, l’eccesso, il lato dionisiaco dell’essere umano. Il debutto di Elvis, ad esempio, ha avuto un obiettivo chiaro: riportare la gioia nel mondo, dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Il genere è nato per far ballare, divertire, unire il mondo, senza doversi giustificare con messaggi aulici e particolarmente impegnativi. La stessa tv a colori, nata un paio di decenni dopo, ha saputo colorare la vita delle persone, rinforzando questo senso di pace e divertimento, e ha permesso di vivere insieme ai propri giovani idoli dell’epoca, dimostrando che tutto poteva essere possibile.

La prima Woodstock è diventata un gigantesco movimento di persone contrarie alla guerra in Vietnam, alla violenza ed alle armi che hanno da sempre caratterizzato gli Stati Uniti, contrarie all’abuso di potere da parte delle autorità. Predicavano una vita colma di valori ed ideali di fratellanza e armonia, più di quanto sia mai capitato nella storia. Il rock, nella sua apparenza disimpegnata, in realtà ha sempre voluto portare rivoluzione, rottura, cambiamento. La musica dev’essere quindi considerata un’arte a tutto tondo, perché racchiude in se stessa ciò che ogni altra arte può esprimere al proprio meglio.

Nella musica abbiamo il messaggio, il contesto, l’immagine mentale indotta, l’interpretazione personale, l’esaltazione delle emozioni e l’accrescimento spirituale nell’ascoltarla e soprattutto nel comprenderla. Kandinsky lo sapeva bene: proprio dalla musica nacque l’arte astratta. Voleva che la pittura potesse ispirare quanto un’orchestra sinfonica. Allo stesso modo Musorgskij, con “Quadri di un’esposizione”, trasformò dipinti in suoni.

Hanno saputo dimostrare come la musica e la pittura possono incontrarsi e collimare perfettamente nonostante le differenze. In ogni epoca la musica, come tutte le arti, si è evoluta insieme al pensiero umano, come fosse lo specchio dei nostri tempi. Negli ultimi decenni è cambiata ad una velocità innaturale, la canzone dell’anno prima è già superata, e le hit estive non durano più dell’estate stessa.

Ciò ha comportato tristemente ad una involuzione artistica e la musica ha cessato di avere la pretesa più importante e la sua più grande qualità: l’ eternità. Per chi la fa, la musica resta una disciplina libera e dinamica, che permette di esprimere al meglio il proprio stato d’animo, senza filtri. La magnifica contraddizione esiste al momento in cui si vuole essere davvero liberi: bisogna conoscere bene le regole che la governano. Come Harry Houdini che, per liberarsi, doveva conoscere il funzionamento di ogni serratura, ogni catena. Sono proprio le catene di Houdini ad averlo reso libero, è stata la conoscenza di ciò che lo blocca a fare di lui un maestro della fuga.

La musica ha una funzione anche terapeutica, permette di entrare in uno stato di vuoto mentale e concentrazione totale. E’ valvola di sfogo, introspezione e via di fuga. Permette di sognare e di proiettarsi in tempi lontani e futuri, tempi che magari esistono solo nella nostra testa.

Al giorno d’oggi, la diffusione delle Multinazionali è agevolata dalla crescente Globalizzazione: trampolino di lancio per imprenditori avidi, fanatici ed arrivisti, mossi unicamente dal desiderio di guadagno ed espansione. Questi facoltosi potenti hanno sacrificato valori morali ed ideali, appartenenti al loro passato come semplici persone, per raggiungere la vetta. La tutela dell’ambiente e la libertà, persino quella dei propri dipendenti, sono spesso volutamente ignorate, in nome del successo e dell’ascesa sociale. Le unicità culturali dei diversi paesi, che andrebbero preservate e non contaminate, sono minacciate da un’espansione imprenditoriale egoistica e colonizzatrice. Il pensiero occidentale è la chiave per esportare tantissime aziende nel resto del Mondo, servendosi del malsano pretesto di voler condividere valori e benessere, spesso imposti e contrastanti con la cultura autoctona, definita erroneamente arretrata dagli approfittatori. Questa scusa per lo più ipocrita, è il doppio fondo di una volontà studiata per ampliare le fasce di mercato dei Grandi Commercianti che, una volta saturato il proprio mercato nei nostri paesi, sono partiti a conformare il resto del Mondo verso una sola cultura, verosimilmente la nostra. Il rischio più grave è l’omologazione culturale globale, che potrebbe cancellare le peculiarità delle società più lontane da noi.

Il simbolo più evidente di questo meccanismo è il McDonald's: presente in ogni angolo del mondo, offre ovunque lo stesso sapore standardizzato e scadente. I suoi prezzi accessibili lo rendono attraente per tutti, anche per le fasce sociali più povere, vendendo cibo spazzatura al limite della tossicità. La qualità è di solito così scadente che potrebbe essere meno nocivo mangiare una volta a settimana, piuttosto che mangiare tutti i giorni in questo colosso industriale. In molti paesi del cosiddetto Terzo e Quarto Mondo, le persone che lavorano per queste multinazionali sono sottopagate, erano povere prima e continuano ad esserlo adesso. La stragrande maggioranza di loro, è costretta ad alimentarsi con la nostra spazzatura, propinata dalla stessa Multinazionale da cui dipendono. Il buon senso e la giustizia vengono sistematicamente ignorati, a favore delle logiche di mercato.

La globalizzazione ha davvero migliorato le nostre vite?... o piuttosto, quelle di chiunque non abbracci la cultura occidentale capitalista e consumistica? Da questo aspetto sicuramente no. Il successo di servizi come McDonald's si basa su velocità, accessibilità e comodità, e sono gli stessi motivi per cui siamo totalmente catturati dai sevizi di Amazon. Sono così efficienti e sbalorditivamente veloci che non si riesce a farne a meno.

Dovremmo però essere tutti più consapevoli degli effetti disastrosi che le multinazionali hanno sull’economia e sull’ambiente, basta consultare il proprio “dispensatore di cultura”, ma continuiamo a scegliere la comodità a discapito della nostra etica. Il motivo per cui pochissime menti andrebbero contro questi meccanismi spettacolarmente attraenti, è racchiuso in una giustificazione tanto banale quanto pericolosa: “Tanto lo fanno tutti”. L’idea generale è che se qualcosa è condiviso da tutti, allora non può essere sbagliato. E’ un processo mentale così facile ed elementare che rende facile uniformarsi e che ci solleva, almeno in apparenza, dalla responsabilità morale.

Siamo stati volutamente cresciuti secondo falsi valori e falsi ideali per renderci dei consumatori perfetti. Il nostro interesse è quasi unicamente seguire la folla, tralasciando il punto di partenza ed il punto di arrivo e soprattutto, se la destinazione possa essere catastrofica o no. Di conseguenza siamo tutti coinvolti, anche inconsapevolmente, nel sostenere un sistema corrotto e egoista. Viviamo in una realtà che non ha mai avuto a cuore i bisogni del consumatore, si concentra piuttosto a rendere il consumatore stesso bisognoso ed assuefatto. Stiamo parlando di un sistema mondiale nato e studiato per essere incontrastabile, capace di sopravvivere a qualsiasi crisi o epoca futura. Siamo tutti responsabili equivale al fatto che nessuno lo sia, ma la più grande responsabilità resta nelle mani degli oligarchi del capitalismo, che ci hanno indottrinati con le loro strategie persuasive, come la costante pubblicità, alimentando le logiche di mercato. Basta prestare attenzione ad una qualsiasi pubblicità.

Una lontana soluzione potrebbe presentarsi solo se, a livello globale, trovassimo un motivo comune per far risuonare le nostre voci all’unisono e partecipare attivamente ad una lotta ideologica totale. Ognuno di noi, orientale o occidentale che sia, avrebbe le sue ragioni per combattere. Unirsi in un collettivo e vasto schieramento di opposizione è un modo per fare la differenza.

Una soluzione individuale e riduttiva come tale, si cela fra le decisioni che prendiamo ogni giorno: la scelta quotidiana di non alimentare consapevolmente un sistema che riteniamo ingiusto.

Ognuno di noi potrebbe rispondere a questa domanda in modo diverso. E, anche dopo aver ascoltato le opinioni di una miriade di persone, ci sarà sempre qualcuno che, per originalità o fantasia, sarà capace di stupirci ancora. Potrebbe sembrare una questione filosofica, scientifica o religiosa, ma la domanda che vi sto ponendo si riferisce solo a voi stessi e al vostro modo di approcciarvi alla vita, come partecipazione attiva all’esperienza umana. La soluzione mi porta a un immaginario talmente ampio e antico che ho difficoltà a inquadrarlo nella mia mente. Eppure, guardando all’evoluzione, la risposta è semplice: 11 siamo il risultato delle nostre origini. La nostra crescita come specie è dipesa da un solo, imprescindibile elemento: la Natura. Un tempo, l’essere umano era molto più animale di quanto lo sia oggi, senza screditare le menti geniali e poliedriche che hanno abbattuto le barriere del tempo plasmando le nostre vite. Con “animale” intendo ciò che ci legava indissolubilmente alla Natura. Vivevamo in una situazione in cui la nostra sopravvivenza dipendeva dalla conoscenza e dal rispetto del pianeta: conoscere le peculiarità dei raccolti, le fasi lunari, il periodo di semina, era indispensabile per sopravvivere.

Era un’epoca “x”, un tempo non definito, più o meno lontano, ma certamente distante dalla nostra attuale dipendenza dalle tecnologie. Da qualche decennio, la trasmissione orale delle storie, la fatica di tramandare leggende e tradizioni, è stata soppiantata dalla tecnologia, cambiando completamente il nostro approccio alla conoscenza. Mi riferisco a un tempo in cui le grandi storie erano narrate soprattutto per ricordo o per sentito dire, rendendo l’origine di qualsiasi tradizione vicina e lontana, dinamica e costantemente mutabile. I nostri avi, non così diversi da noi, sapevano affascinarsi e stupirsi con grande facilità. La loro vita era semplice ma dura. La nostra è confusa e complessa, a volte troppo facile, esagerata in ogni aspetto. Questo ci ammala psicologicamente e fisicamente. Oggi le grandi storie sono diventate facilmente reperibili, le troviamo ovunque, subito, e per questo abbiamo perso la capacità di stupirci e gioire ogni volta che ne abbiamo l’occasione.

Viviamo nell’epoca dell’Abbondanza – è una condizione che ci ha reso umani molto diversi; le nostre superficiali e viziate priorità hanno seppellito molti preziosi aspetti di un passato ormai dimenticato. In appena un secolo,ci siamo snaturalizzati a dismisura. Abbiamo cessato di essere legati alla Natura, cercando di diventare qualcos’altro di molto più subdolo e complesso, perdendo così la necessità di vivere in sintonia e in rispetto con l'ambiente circostante: abbiamo perso l’essenza stessa di ciò che ci rende umani, rendendoci irrimediabilmente infelici. Non sappiamo più cosa può renderci veramente felici.

La più grande rivoluzione comportamentale della nostra contemporaneità è definita dalle tecnologie smart. Questo nuovo aspetto invasivo e contaminante è diventato lo spartiacque di due epoche: il prima e il dopo. Ma per chi, come me, è nato già nel “dopo”, è difficile immaginare quanto saremmo potuti essere semplici, e semplicemente felici, senza il bisogno dell’abbondanza a caratterizzare la nostra quotidianità. L’odierno “essere umano” ha barattato le meraviglie della Natura con una malsana comodità e una consapevole ignoranza. Cosa ci rende esseri umani adesso? Un tempo, procurarsi qualcosa di così semplice e indispensabile come il cibo, richiedeva fatica, intelligenza, attenzione. Ma il sistema attuale ha abbattuto ogni difficoltà, donandoci il piacere dell’Abbondanza: qualsiasi cosa desideriamo è a portata di scaffale, pronta e confezionata, e noi possiamo ignorare se sia una verdura di stagione o un animale che stiamo portando all’estinzione solo per distribuirlo nei nostri generici punti di rifornimento.

Le tecnologie smart, oltre a non essere quasi mai usate per denunciare un meccanismo malsano e autodistruttivo, incentivano il consumo e lo spreco, un sistema pensato per arricchire pochi, a spese di tutti e di tutto. Il rispetto dedicato alla Natura, unico fattore indispensabile per permetterci il nostro alto tenore di vita, è gravemente trascurato. Il nostro modo di ricambiare questa entità planetaria, che ci ha donato tutto ciò di cui abbiamo avuto bisogno, è la devastazione: la maggior parte della flora e fauna vengono trasferite nei supermercati, nati dalla nostra totale pigrizia e indifferenza. Il semplice e scontato supermercato, a cui tutti siamo abituati, è eticamente e moralmente sbagliato e disumano: crea una voluta ignoranza e un disequilibrio tra la società e le persone che la compongono. La consapevolezza data dalle nostre tecnologie smart, i nostri “distributori di conoscenza”, non ammette ignoranza e non giustifica il nostro comportamento egocentrico come specie animale. Siamo tutti consapevoli, me compreso. Con ogni nostra scelta quotidiana che incrementa il nostro inattaccabile sistema autodistruttivo, scegliamo di voltare le spalle alle nostre origini.

Alla domanda “Cosa ci rende esseri umani?”, rispondo con convinzione: siamo ciò che la Natura ci ha permesso di essere, e nutro un grande sentimento di debito da saldare con il Mondo. Un debito che si paga solo in un modo: proteggendo il Pianeta, sarà lui a provvedere alla preservazione delle nostre vite nei secoli e oltre. Preservare la Terra significa riconoscerci per ciò che siamo, abitanti e ospiti, trascurando la nostra malsana necessità di sentirci padroni.

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Ciò che ci ha resi così diversi da come eravamo, e forse da come avremmo dovuto essere, è legato soprattutto alla tecnologia, che in brevissimo tempo ha mutato radicalmente le nostre abitudini e priorità. La nostra disumanizzazione è sicuramente iniziata prima della diffusione della tecnologia smart, ma con essa ha raggiunto l’apice economico e sociale.

I vertici del sistema hanno orchestrato una rapida trasformazione che ha avuto gravi ripercussioni sulla nostra vita, alimentando un infinito processo costantemente mutevole. La vita sociale si è spostata sugli schermi di computer e telefoni: interessi, passatempi e amicizie vengono consumati in un mondo filtrato. Questa esagerata necessità di adoperare continuamente la tecnologia ci ha resi dipendenti, schiavi di connessioni che però sono solo surrogati: non puoi sentirti solo finché fai parte di un gruppo WhatsApp. Oltre alla manipolazione comportamentale, lo scopo del sistema è il costante bombardamento pubblicitario, che crea bisogni utili solo all’apparenza, per renderci dei perfetti consumatori. La pubblicità è ovunque, ci dice cosa fare, cosa desiderare, come mostrarci, chi essere; più siamo uguali agli altri, più siamo accettati. È così che nasce la competizione universale, una corsa senza senso verso un ideale esagerato. Il tuo ruolo determinerà la tua rispettabilità come persona.

Per un uomo, il successo passa dall’auto costosa, dal telefono di ultima generazione, una carriera brillante, magari come imprenditore o avvocato, e da una compagna che ricalchi gli attuali canoni di bellezza. Una donna sa che, oltre a dover rispecchiare alcune precedenti caratteristiche, il suo valore è legato al suo corpo, la perfezione estetica è un dovere: solo la ragazza perfetta potrà avere la misera illusione di avere il mondo al proprio servizio. Seno troppo piccolo? O forse il sedere non è abbastanza rotondo? Da rifare. E quando la giovinezza inizia a svanire, resta solo la necessaria illusione di poterla comprare, chirurgicamente, per dimostrare a se stessa che non invecchia tanto velocemente quanto invecchia il mondo.

Tutti noi siamo corrotti da questi stimoli inutili, voluti per farci sentire sempre in difetto e renderci la vita impossibile, imprigionando i più deboli in un turbinio di imperfezioni. Queste imperfezioni vengono suggerite dal mondo umano stesso: siamo programmati per essere dei consumatori al servizio di chi ne trae profitto, come le grandi multinazionali che governano le pubblicità. Il miglior consumatore sarà sempre quello che sente l’estremo bisogno di avere ciò che ancora non ha, anche se potrebbe non servirgli a niente. I nostri smartphone non sono solo telefoni, ma hanno agito da catalizzatori al servizio di questi processi.

Vi rendo partecipi di una riflessione personale: Le persone che hanno vissuto i primi venti o trent’anni della loro vita nel “prima”, senza tutto questo, oggi sono comunque immerse nel sistema. Noi, che ci siamo nati dentro, quando saremo adulti, quando avremo cinquant’anni, sessanta, settanta... quando il mondo potrebbe essere completamente convertito alla fede delle tecnologie inutili: sapremo rinunciare alle più tossiche e invadenti? E se non ci riuscissimo? cosa resterebbe di noi e della nostra umanità?

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Nella società odierna, il computer è diventato uno strumento indispensabile per la propria integrazione nel sistema, sia nella vita professionale che nella sfera personale: un’evoluzione più che giustificata per il pigro essere umano, da sempre incline alla comodità. Il nostro fidato Pc ha reso la vita più semplice, piú rapida, più autonoma. Anche la tecnologia smart è ormai considerata un bene di prima necessità.

Il nostro “telefono intelligente” ha amplificato le precedenti comodità, aggiungendo ben poco di inedito alle nostre vite, permettendoci di fare le stesse identiche cose di prima, ma in modo più veloce e seducente – eppure tutti abbiamo estremamente bisogno di possederne uno, due, tre... e poi la smart TV, lo smartwatch, gli occhiali smart. Siamo completamente assuefatti da questi strumenti, che ci rendono sempre piú pigri e rischiano di farci regredire in un sistema senza precedenti.

Eppure, le cose davvero importanti restano sempre le stesse: l’aria pulita, l’acqua incontaminata, la salvaguardia degli animali, la protezione dei ghiacciai. A livello sociale, abbiamo bisogno di sanità e istruzione di qualità, di una politica equa, dalla parte dei cittadini. Ma tutta questa comodità rischia di alterare le nostre priorità, facendoci dimenticare gli obiettivi comuni, smorzando il desiderio di reagire, di lottare, di ribellarci. Un adolescente oggi ha bisogno di like, di visualizzazioni, di follower: ecco i nuovi valori. Questo processo, indotto su vasta scala, è un lavaggio del cervello orchestrato da pochi oligarchi che traggono profitto dal nostro disinteresse.

Il modo migliore per vendere un prodotto è quello di creare un bisogno collettivo, anche se solo apparente. Ci sentiamo obbligati ad avere ciò che tutti gli altri hanno. Ma alle multinazionali non interessa davvero rendere le nostre vite più comode, più veloci e più facili. Vogliono solo vendere, e più diffuso è il prodotto, più ci guadagnano: in questa epoca il più venduto al mondo è proprio lo smartphone. E così abbiamo telefoni dotati di enormi prestazioni, totalmente sprecate per l’uso reale che ne facciamo. Anche il più povero sente il bisogno di investire centinaia di euro in uno strumento che spesso non comprende e non sfrutta appieno, ma quale interesse reale dovrebbe avere un consumatore verso uno strumento di cui ignora le vere potenzialità? Servirebbe un’indifferenza collettiva, invece siamo spinti a possedere almeno uno.

Il mondo si è così abituato all’esistenza di questo accessorio che, se smettessimo tutti di usarlo per qualche tempo, il sistema collasserebbe. Chiunque si senta obbligato ad avere uno smartphone costoso e di marca è vittima di un sistema che ci ha cresciuti come perfetti consumatori.

Se compriamo tutto ciò che la pubblicità ci propone, siamo davvero liberi? O siamo talmente condizionati da credere di esserlo, mentre scegliamo ciò che è già stato scelto per noi? Non siamo più esseri umani: siamo consumatori, acquirenti potenziali. Io, almeno, vorrei sentirmi libero di dissociarmi da un sistema che non approvo, da una società che sfrutterebbe chiunque al posto mio.

Ciao Mondo! Che bello poterti parlare di nuovo! Ti chiederei spensieratamente “come stai”, ma con disagio la reputerei una domanda tristemente incline alla retorica. L’ultima volta che ci siamo confrontati, le cose erano parecchio diverse... Dal punto di vista che riguarda la tua preziosa salute (da cui dipende, senza mezzi termini, anche la nostra) l’acqua era di certo più pulita, l’aria più respirabile, gli animali liberi di vivere le loro vite, ignari di tutto ciò che comporta condividerle con l’umanità. Mi correggo: con l’ultimo stadio raggiunto dall’umanità. Qualche scambio di parole addietro, mi avresti detto senza 3 pensarci due volte di essere felice. L’unico grande motivo che avrebbe potuto renderti ineguagliabilmente spensierato ed appagato, sarebbe stato vedere noi esseri umani (nonostante la nostra natura animale, in perenne evoluzione e mutamento) capaci di non compromettere in modo irreversibile ciò che di più importante custodisci nella tua infinita composizione: i sistemi che ti appartengono, che ti rendono unico e speciale.
È quasi inutile affermare che una volta eravamo molto diversi. Eravamo facilmente affascinabili, e lo stupore ci arrivava sempre da te: un paesaggio, un temporale, una stella, ci lasciava senza fiato. Ci definivano i nostri grandi sentimenti universali, quelli rivolti a ciò che era ignoto, ingestibile, indomabile: la paura dell’ignoto e il bisogno di conoscenza. Ora tutto è diventato più piatto, ovattato, il sentimento stesso non ha più lo stesso valore. La nostra esistenza, un tempo legata a un bisogno di semplicità oltre che di curiosità, ci permetteva di gioire di una quotidianità lenta e sana. Attributi che, a parer mio, rendevano le persone di ogni epoca, più felici di quanto sappiamo esserlo oggi. Non eravamo ancora contaminati da mille fattori esterni inutili, che oggi ci bombardano, ci distraggono, ci rincoglioniscono.
Una cosa che rendeva unica la nostra esistenza passata era che, involontariamente, non avendo i mezzi e la tecnologia per compiere disastri ambientali come quelli odierni, non avevamo nemmeno la responsabilità che oggi invece ci accomuna tutti. Non avevamo strumenti per essere tanto pericolosi quanto lo siamo adesso. Oggi, farti del male è diventata un’abitudine di poca importanza. Che dire... ci legava una parte animale, primordiale, atavica, priva della complessità che oggi ci caratterizza. Eppure, anche allora la vita sapeva essere cruda, spietata, incoerente, profondamente parziale come concetto di giustizia. Il bianco doveva essere bianco, il nero a sua volta doveva rimanere nero. L’emancipazione dei deboli, la lealtà, la moralità, la coerenza... erano concetti limitati a un bisogno personale, non collettivo. Non erano diritti accettati e riconosciuti da un sistema volto alla tutela degli ultimi scalini della nostra infinita piramide sociale. Pochi condividevano quei valori e chi predicava la sua giustizia, se la trovava contro: dalla parte del carnefice, del potente, del socialmente riconosciuto. C’era molta parzialità e prepotenza, i torti erano all’ordine del giorno, e al sistema interessava poco.
Oggi, noi occidentali del “primo mondo”, possiamo ritenerci fortunati. Da questo punto di vista, devo ammettere che siamo migliorati parecchio, almeno nella porzione di mondo che impropriamente mi permetto di chiamare “casa”. Nel resto del pianeta... chi lo sa? Sarò sincero, Mondo: i tempi di cui parlo vorrei tanto ricordarmeli. Desidererei sapere, conoscere esattamente ciò di cui sto discutendo o bagolando, ma quando sono nato io, poche decine di anni fa, era circa tutto così come è adesso. Forse il contesto umano era appena diverso, ma già predisposto a modellare il presente che conosciamo oggi. Viviamo in una situazione complessa: non ci capiamo, e nessuno capisce nessuno. La quotidianità è diventata subdola, fittizia, apparente, superficiale.
Tutti pensiamo di essere liberi di agire secondo decisioni personali, con delle volute esigenze personali, ma è solo una bugia travestita da libero arbitrio, che ci incatena senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Viviamo in una prigione senza sbarre, da cui è impossibile evadere. Tutto ciò che un tempo era raro e indispensabile oggi è considerato ovvio, scontato: nessuno si stupisce più di niente. Prendendo degli esempi banali, fare due o tre pasti variegati al giorno, o fare i propri bisogni su di un bagno caldo e accogliente, sono diventati normalità quotidiane, giustamente o meno. Ci sarebbero esempi più pertinenti, meno banali, ma lascio a te decidere se pensarli. Qui a casa mia, la qualità della vita è davvero migliorata, ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Siamo viziati, annoiati, abbiamo tutto. Facciamo appena in tempo a desiderare qualcosa, lo ordiniamo e arriva a casa in pochissimo tempo: dopo una settimana ci siamo già dimenticati il motivo per cui lo abbiamo voluto. Ogni nuovo oggetto è un anestetico che attutisce temporaneamente i nostri problemi, una distrazione che ci allontana da ogni pensiero, soprattutto quelli più utili e costruttivi. Ciò che oggi dovrebbe essere considerato davvero indispensabile, è diventato trascurabile. Come preservare te, Mondo, invece ti stiamo lentamente rovinando e compromettendo irreversibilmente. Uno dei motivi è che per le grandi masse, non sei più abbastanza seducente o interessante quanto le solite, misere cagate di cui ci circondiamo. Sicuramente non sei per noi seducente ed interessante come un tempo. La nostra condizione attuale ha avuto grandi ripercussioni nei tuoi confronti, questa è l’altra faccia della medaglia che ti ho menzionato prima.
Il prezzo più alto, purtroppo, l’hai pagato tu, Mondo. Hai dovuto rinunciare ad ecosistemi, specie animali da noi portate all’estinzione, ci hai permesso di avvelenarti l’aria, forare l’ozono, farti sciogliere i ghiacciai, prosciugarti i fiumi e desertificare le foreste. Fossi in te, sarei furibondo.


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Ciao amico mio! Grazie per non avermelo chiesto direttamente, mi sarei sentito infastidito se l’umanità avesse ignorato ciò che è stato fatto. Apprezzo che ci sia ancora qualcuno disposto a rivolgermi la parola. Ormai, tutti sono distratti da mille impegni ritenuti più importanti di me, nessuno si preoccupa più nemmeno per l’altro, vicino o lontano che sia. Capisco appieno il tuo disagio verso l’epoca in cui vivi, per le mille incoerenze ed ingiustizie che caratterizzano la tua vita e quella di chiunque altro voglia rendersene conto. La presa di coscienza fa male, lo so. Anch’io, spesso, mi imbestialisco: è assurdo che nel 2025 abbiate ancora una costellazione di problemi facilmente risolvibili, se solo lo voleste. Ma non dovresti avvelenarti il fegato per questo, prova a esistere nel miglior modo possibile, perché l’unico vero motivo per cui valga la pena esistere, è l’esistenza stessa, la tua, quella di qualsiasi altro essere vivente e non vivente.
Molti mi considerano impassibile, distaccato, ma non è mai stato così. La mia tristezza per ciò che è stato rovinato è grande, ma ciò che mi rattrista ancora di più è sapere che l’essere umano pagherà un prezzo ben più alto del mio per via della sua scarsa resilienza, dote che almeno io posso vantare. Chi patirà di più le conseguenze sarà l'umanità stessa. Le mie visibili reazioni sono governate dal caos e dalla casualità, non sono volontà punitive. Io non voglio scatenare sulla vita preziosa, calamità naturali come tsunami, uragani o incendi di massa... sono solo le conseguenze di ciò che avete fatto. Quando imparerete a rispettare ciò che vi circonda, oltre ai vostri interessi, sarò in grado di preservare tutta la vita presente sul pianeta, compresa la vostra, come ho sempre fatto e come vorrei continuare a fare.
Vorrei che vi ricordaste che, se siete voi umani in cima alla catena alimentare e a dominare la piramide sociale e biologica, è perché io vi ho fornito gli strumenti per farlo, riponendo in voi una immensa fiducia. Siete ciò che siete perché io ve l’ho permesso, dovreste riconoscerlo. Non pretendo grandi riconoscimenti, non mi sono mai interessati, ma esigerei che la vostra presenza non fosse sempre così dannosa. Esigerei che costruiste qualcosa di buono per tutti, invece di distruggere ciò che io ho già creato. Avete tutti gli strumenti per farlo. Dovreste ricambiare con un rispetto tale da permettermi di non condannarvi mai all’estinzione. Vi ho accolti e vi ho protetti, ma ora mi voltate ingenuamente le spalle come un figlio ribelle ed irriconoscente. La peggiore cosa che potreste farmi, per il momento, è dimenticarvi di me.
Io non dimentico nulla, mai. Vi penso e mi preoccupate profondamente. Il futuro, di ogni cosa che riguarda tutti noi, è nelle vostre mani.