GRIDO muto (podcast)

La mia vita con l'Artrite: la Società mi ignora. Questo podcast è il mio grido, la mia denuncia. https://noblogo.org/grido-muto-podcast/

Hai mai fatto la domanda sbagliata? ❓🤔🚫 Per chi soffre di #artrite e #fibromialgia, può essere pesante.

Link per l'ascolto del podcast al posto della trascrizione:

Nel mese di marzo del 2025 compirò 48 anni. E' inutile che ci giriamo intorno, ormai sono 50.

Ma non sono un cinquantenne come gli altri: a volte non mi sento come se ne avessi 50, ma come se ne avessi 100.

Nel giorno in cui sto registrando questo episodio è domenica, ma non sono rimasto a letto un po' di più come fanno in tanti. Beati loro! Non posso. Come sempre, alle 6:00 sono già ad occhi aperti, oppure anche prima delle 6:00. Spesso un'emicrania fortissima mi sveglia nel cuore della notte, oppure è qualche suono a farlo, oppure il prurito. Comincio a grattarmi ovunque e, in più, mi è molto difficile mantenere la stessa posizione per più di mezz'ora. Anche se si potrebbe pensare che dopo notti così tribolate dovrei essere quasi grato di potermi alzare, in realtà è esattamente l'opposto. Faccio comunque tanta fatica ad alzarmi. Intanto, bisogna fermare la sveglia, che è sempre un po' un'impresa, perché le mie mani non riescono più a stringere bene le cose; e appena svegli è anche peggio. Ci provo, ma la sveglia si sposta sul comodino, scivola di qua e di là senza che io riesca a fermarla. I comandi, purtroppo, sono pensati per persone sane.

Scendere dal letto poi è molto difficile, almeno per i primi 20 minuti. La testa gira, il corpo sembra fatto di legno. Provo a muovermi un po', ma le fibre e i nodi al mio interno tirano e mi fanno male. Non appena ci provo, sento dai rumori interni al mio corpo che inizio a scricchiolare come un pavimento antico o un pacchetto di patatine. Rotolo nel letto fino a trovarmi a pancia sotto e poi, piano piano, mi lascio cadere e appoggio un piede, piantando i pugni sul materasso; invece, facendo leva sul muro, alla fine riesco a mettermi seduto e metà dell'opera è fatta. Alzandomi e aggrappandomi un po' dappertutto, arrivo in cucina, dove di solito, prima che riesca a reggere un cucchiaio, me ne cadono almeno due. Le tazze, per ora, sono salve; ho imparato ad afferrarle con due mani. E poi, a quel punto, ormai il corpo comincia a rispondere un po’. E allora riesco anche a lavarmi i denti, avendo un controllo sufficiente sullo spazzolino. A volte decido di vestirmi prima di mangiare, che sembra un controsenso, ma mi aiuta a far passare il tempo e riprendere un po' il controllo sulle mani. Così, il cucchiaio non trema più e riesco a mangiare più in fretta. Cerco di muovere le mani, anche accarezzando il gatto. Nel tempo che ci metto ad uscire di casa, il mio corpo è al livello massimo di efficienza, che non è certo quello di una persona normale, ma devo farmelo bastare. Le cose continuano a cadermi di mano tutto il giorno: chiavi dell'auto, chiavi di casa, zaino, cappello, eccetera.

Ad ogni passo, i piedi mi fanno malissimo, specie se scalzi. Per capirci, addio a scogli e distese di ciottoli, ghiaia e sassolini. Mi è difficile concentrarmi davvero su qualcosa e a volte la mia vista è così tanto offuscata che non riesco più a leggere e neanche a guardare il cellulare come fanno tutti. Ci sono giorni interi in cui una pesante cappa di dolore, di malumore e tristezza mi ricopre, mi cade addosso e in un attimo posso cambiare completamente carattere: da solare come sono di solito, mi dispero, piango, divento subito nervoso per tutto, perché in quei giorni, come oggi, non c'è niente che sia facile da fare. Ogni cosa sembra ed è difficilissima. In quei giorni vorrei e potrei solo restare sdraiato ad occhi chiusi, aspettando il giorno successivo, e questi episodi sono sempre più frequenti. Ormai possiamo dire quasi continui. Se tutto questo a te non capita, ritieniti fortunato, dico davvero. Ma come ho fatto a ridurmi così? La risposta è semplice, e si potrebbe riassumere nel nome di tre stramaledette malattie che mi affliggono, da chissà quando, e che a questo punto della vita stanno cominciando a rendermi le cose veramente impossibili. E, tra l'altro, tutto è destinato a peggiorare. Ma questa risposta, in realtà, non ti direbbe niente. Non direbbe niente perché il nome di una patologia non spiega di per sé che cosa c'è dietro, non spiega che cosa ti porta via. Una parola così, da sola, senza che tu sappia chi sono e cosa mi è stato strappato dalle mani, non sarebbe abbastanza. Non farebbe capire quanto è stata dura e quanto mi è ancora difficile vivere in un mondo che non tiene delle mie necessità. È per questo che voglio raccontarti la mia storia, perché tu possa capire per bene che cosa ho perso.

Non sono sempre stato così.

Il ricordo più antico che ho risale al 1980, o giù di lì. Come tantissimi italiani, allora guardavamo la televisione dopo cena. Era una di quelle col tubo catodico che, solo a pensarci ora, mi si accappona la pelle. Ma allora era normale. Era normale cambiare canali senza telecomando, era normale vedere i programmi con tanti disturbi ed era normale anche guardare la TV tutti insieme. Me la ricordo benissimo, quella televisione. Era una Telfunken grigia e cicciona di quelle senza telecomando. Mi ricordo che ero così piccino da guardarla dal basso e a me sembrava altissima, mentre in realtà era appoggiata su un normale mobile della nostra cucina. Quindi quanto potrà mai essere stata alta?

Una sera, mentre la mia mamma mi diceva di allontanarmi, ché ero troppo vicino, vidi qualcosa di magico sullo schermo: un uomo baffuto, secondo lo stile dell'epoca, in un completo colorato e scintillante, che afferrando un microfono con tutta la foga di cui era capace, stava gridando al mondo qualcosa, qualcosa di importante evidentemente, seguendo le note di una melodia che mi aveva colpito molto. Ora non mi ricordo chi fosse, forse era a Sanremo, forse no, ma quello che è importante è che dentro di me mi immaginai subito con lo stesso abito, sicuro di me come quel cantante già adulto e con tanto di baffi, mentre cantava sul palco e tutti mi osservavano.

Pensai: “È questo che sarò, ma prima devo diventare grande.”

In quegli anni ci spostavamo spesso da Livorno per andare a trovare i miei nonni materni, che vivevano a Pontremoli, in un paesino remoto tra le valli, come tanti altri in Italia. A me quei viaggi di poche ore sembravano lunghissimi, ma erano un'occasione per scoprire il mondo al di fuori della città. Ce n'era tanto di mondo e speravo che prima o poi ne avrei visto di più. Più avanti, questo mio desiderio si sarebbe avverato, ma all'epoca non potevo saperlo. Mentre i miei due fratelli di solito sedevano nei posti lontani dal finestrino leggendo, io ero troppo piccolo per poterlo fare, e allora preferivo restare al finestrino, ad immaginarmi cavalieri o automobili che inseguivano il treno, ma soprattutto guardando in un luogo non ben definito oltre il finestrino potevo dare alla mamma e al babbo l'illusione di restarmene lì, buono buono, a guardare fuori, mentre la mia piccola mente era piena delle melodie che avevo sentito durante la settimana. Già a 4 o 5 anni, a furia di viaggi in treno, riuscivo a ricordarle perfettamente; il mio cervello era in grado, per capirci, di farle rivivere all'infinito. In quegli anni non c'erano lettori musicali personali, ma neanche mi servivano. Potevo schiacciare “play” nella mia mente e riascoltare il brano che volevo quante volte volevo. Ricordavo per filo e segno le melodie, i ritmi corretti e quasi sempre anche le parole, o almeno quelle che potevano fare parte del lessico di un bambino di 4 o 5 anni, e quelle che non riconoscevo me le inventavo. Anni dopo avrei scoperto che stavo ricordando anche le tonalità. Le volte che i miei parenti mi notavano che canticchiavo tra me continuamente, me lo facevano notare e io mi vergognavo come un ladro e smettevo subito.

In quegli anni sentivo in televisione o alla radio le canzoni di Umberto Tozzi, dei Ricchi e Poveri, di Mia Martini e, ovviamente, per me che ero piccolino, c'erano anche le canzoni dei cartoni animati. Era il periodo dei robottoni giapponesi. Hai presente? Goldrake, Mazinga Z e tutti gli altri? Ma il mio preferito restava Daitarn 3. Non tanto per la storia in sé, ma perché per me aveva la sigla migliore di tutte, quella che mi piaceva cantare e rivivere nella mia mente tante e tante volte.

Adoravo anche giocare con gli strumenti musicali dei miei fratelli, che erano più grandi di me e andavano già a scuola: flauti, pianole e la mitica diamonica, una specie di tastiera alimentata a sputazzi, cosa di cui però non mi curavao, non mi importava. L'importante era entrare in quel fantastico mondo di suoni e capire le combinazioni che si potevano fare con le note. Alcune erano belle e altre un po' meno. Altre, invece, erano proprio brutte.

Non lo sapevo allora, ma stavo iniziando a fare musica, a capirla e a muovere i primi passi in un mare in cui mi sarei immerso con gioia qualche anno più tardi e che avrebbe dato un senso alle mie giornate.

Come la maggior parte dei bambini, non me ne rendevo conto, ma in quegli anni stavo davvero bene. E quando mi chiedevano come stavo, rispondevo sempre “bene”!

Anche ai giorni nostri rispondo ancora bene, soltanto che...so di mentire quando lo dico. Lo dico solo per fare prima, per evitare tutto quello che accadrebbe dopo.

Questo è uno degli aspetti di cui voglio parlarti in questo podcast, perché è sempre nei miei pensieri. Sto parlando del rapporto delle persone comuni con le malattie degli altri. Forse tutti noi ormai usiamo le parole con troppa leggerezza e l'abitudine finisce per condizionarci anche nel pensiero.

“Come stai?” È sempre la domanda sbagliata da fare a me.

E' sbagliata perché non bisognerebbe mai chiedere a qualcuno come sta se poi non si ha davvero voglia di ascoltare la risposta. E la mia risposta, come quella di tante altre persone che soffrono, non è mai semplice; è complicata, tanto che solo dopo molti anni sono riuscito ad accettare quello che mi sta succedendo e a trovare le parole per descriverlo. Quello che hai ascoltato nella prima parte di questo episodio è soltanto la punta dell'iceberg.
Quando inizio a rispondere alla domanda sbagliata, vedo che la maggior parte delle persone le ho già perse dopo pochi secondi, cioè non mi calcolano proprio più. Non sto dicendo che siano tutti cattivi, per carità, ma credo che non siano abituati ad avere a che fare con persone che soffrono. E d'altra parte, chi è che vorrebbe mai affrontare il tema? E quindi dopo più di 10 parole capisco che non hanno più le energie per ascoltarmi. Non è che io non capisca; ognuno ha la sua durissima battaglia personale da portare avanti e non è certo una gara a chi sta peggio. Però bisogna davvero fare uno sforzo per capire che per una persona che soffre tanto è molto faticoso dover spiegare come sta e rivivere costantemente il trauma. A momenti potrebbe sembrare quasi una violenza ricevere questa domanda e capire che non si è ascoltati. E una delle cose che mi manda più in bestia è quando questa domanda me la fanno di continuo, magari dopo pochi giorni che ho già spiegato tutto. Le mie patologie non cambiano e, se cambiano, è in peggio.

Francamente, io mi sono stancato di dire sempre che va tutto bene, perché non è così. Dicendo che va tutto bene, anche se è per fare prima, continuo io per primo a dare un'idea sbagliata, e cioè che tutto sommato non va così male. Ma è falso. E spesso capita che, dopo aver cercato di spiegare come sto, l'atteggiamento di chi ha fatto la domanda non cambia, cioè continua a propormi attività, uscite a cena, nuovi compiti sul lavoro, come se io non avessi detto niente. E allora perché chiederlo? Bisogna cominciare a ragionare in un altro modo. Bisogna che sia più facile coesistere in un mondo che condividiamo tutti, sani e malati.

Chiudo questo episodio, quindi, con un buon proposito per tutti: da oggi prendiamo l'abitudine di chiedere a qualcuno come sta solo se abbiamo voglia di ascoltare davvero la risposta; altrimenti, meglio non chiederlo. Si può sempre dire “Mi fa piacere vederti” senza aspettarci che chi soffre e ha una malattia cronica possa comunque fare quello che ci aspettavamo, che si tratti di lavoro o uscite domenicali. Sii sincero. Hai mai pensato a cosa puoi scatenare con una semplice domanda? E ti è mai capitato, invece, di rispondere che stai bene, ma solo perché non hai la forza di spiegarti? Fammelo sapere! Puoi seguire questo podcast ai link che trovi in alto in questa pagina, per ascoltare il podcast vero e proprio, o venire a trovarmi sul canale Youtube “Grido Muto”. Ma anche su Mastodon, ovviamente! (@GRIDOmuto@noblogo.org)

Per ora ti lascio e ci sentiamo martedì prossimo con un altro pezzo della mia storia. Stammi bene e a presto!

Questo podcast è esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia; non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute, ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

#artritepsoriasica #malatoinvisibile #invisibili #malattiecroniche #gridomuto

Il mio Grido Muto 🗣️🤐: la storia 📖 di chi vive con fibromialgia 🤕 e artrite 🦴.

Ascolta su Castopod.it: – https://castopod.it/@gridomuto/episodes/il-mio-grido-muto-la-storia-di-chi-vive-con-fibromialgia-e-artrite-b7pw4

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Da bambino sognavo di fare la rockstar, ma tre malattie invisibili hanno cambiato tutto. Oggi voglio far sentire il mio grido che finora è rimasto muto, ma che deve essere ascoltato. È la storia di chi ha perso tanto, ma ogni giorno trova nuovi modi per farcela in una società che non ha posto per i malati invisibili.

Rilassati per un istante, concentrati e prova ad immaginare di non poter più fare nessuna delle cose che ami. Immagina di vivere ogni giorno con un senso di malessere che non se ne va mai, ma anzi può solo peggiorare, e alla fine somiglia molto a uno stato di depressione.

Questa che ti ho descritto è solo una piccola parte della mia realtà. Sono sicuro che ti sarà capitato di sentir dire “finché c'è la salute” oppure, durante un brindisi, “salute”, o ancora, “l'importante è la salute”. La salute è così presente nel nostro modo di esprimerci perché è la cosa più preziosa che abbiamo. Ma cosa succede nella nostra società a chi la perde? Come ci relazioniamo con le persone che soffrono? Cerchiamo di supportarle e di capirle, ovviamente, anche perché di solito basta aspettare e le malattie spariscono. Ma e se la malattia non finisse mai? Cosa succederebbe allora?

Sono convinto che il livello di civiltà di una società si valuti da come vengono trattati i suoi membri più deboli. E chi è più debole di chi non potrà stare bene mai più?

La società italiana è davvero capace di consentire una vita adeguata a chi soffre di malattie croniche? Quanta consapevolezza c'è sulle patologie croniche che affliggono me e milioni di altre persone e sull'impatto di queste patologie sulla psiche e sulla vita degli ammalati? Io credo che troppe poche persone ne siano consapevoli e te lo dimostrerò nel corso di questo podcast. Questa che stai ascoltando è la mia storia, la storia di una persona normale, un uomo come tanti, un musicista con un sogno che gli è stato portato via da tre malattie incurabili e che ogni giorno, nonostante tutto, continua a trovare nuovi espedienti per andare avanti in questa società strana che ci vuole sempre perfetti, performanti, senza difetti. Per chi non si allinea a tutto questo, non c'è spazio. Non sono mica l'unico a cui è successo, intendiamoci, ma forse questo è ancora peggio, no?

Moltissime altre persone, purtroppo, si trovano nella mia condizione e tutte loro hanno perso qualcosa di grosso: chi la famiglia, chi una relazione, chi il lavoro e, di conseguenza, la possibilità di vivere e sostentarsi adeguatamente e, in più, ma lo vedremo, anche la possibilità di tentare di alleviare il proprio dolore. Il grande problema che avevo, e che hanno tutte le persone come me, è quello di far capire agli altri come ci sentiamo, perché da questo dipende tutto. Ma riuscirci è una vera e propria missione impossibile. Spesso è difficilissimo anche solo capirlo per noi stessi e cercare di tradurlo in parole che gli altri possano comprendere con facilità. In questo podcast scoprirai perché e cosa intendo.

Ecco allora che la propria condizione si trasforma in un'esperienza in cui nessuno è in grado di capirti, e questo ti infonde un senso di solitudine terribile. La cosa peggiore del mondo è soffrire da soli. In questo podcast, allora, ho voluto cercare di trovare le parole adatte per spiegare come vivo e cosa sento, le difficoltà di tutti i giorni. Se tu che stai ascoltando stai soffrendo come me, finalmente ti sentirai capito. Questo è uno dei grandi obiettivi di questo podcast: farti sapere che io ti capisco, che a me puoi dire tutto perché ciò che vivi tu, lo vivo anch'io.

Se pensavi di essere l'unico o l'unica a vivere in questa condizione che non si può spiegare, sappi che a me non devi spiegare niente. Se sei un medico o un infermiere, potrai comprendere meglio come ci sentiamo noi pazienti. E se sei sano, questa storia ti riguarda comunque, perché la sofferenza, prima o poi, riguarda tutti, anche se io ti auguro che tu e i tuoi familiari non sappiate mai cosa significa. Mi chiamo Simone e quello che stai ascoltando è il mio grido che finora non sapeva come uscire ed è rimasto muto e inascoltato. Non deve esserlo mai più. Conto su di te per diffondere il mio messaggio. Insieme possiamo realizzare il mio nuovo sogno: quello di stimolare un ragionamento, di favorire un cambiamento necessario nella società e nei pensieri delle persone che non conoscono questi problemi, per creare un mondo in cui nessuno si senta più solo e abbandonato di fronte alla malattia. Ma tutto questo dipende anche da te. Continua a seguire questo podcast, iscriviti al canale e condividilo il più possibile, perché non si sa mai dove potrebbe arrivare e chi potrebbe aiutare a non sentirsi più solo. Ascoltami con attenzione, perché per capire quello che le malattie mi hanno portato via devi prima capire chi sono. Solo così saprai quanto è grande ciò che ho perso e quanto era importante per me.

Perdere ciò che ami di più, ciò che ti definisce come individuo, è una enorme ingiustizia, enorme. E sono abbastanza sicuro che se anche tu sei ammalato capisci bene cosa intendo. Anche tu, immagino, sentirai lo stesso peso. Aiutiamoci a vicenda a portarlo. Io ti aspetto ogni martedì con un nuovo episodio del podcast in cui conoscerai meglio chi sono, quello che ero e che non sono più, e le mie riflessioni su cosa significhi essere un malato invisibile oggi in Italia. Nel frattempo, stammi bene.

Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia. Non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute, ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.