norise

NEL PERDURARE LA LUCE

(a cura di Luca Rossi)

le ore arroventate: erano

estati lunghe a morire

le corse pazze le ginocchia

sbucciate nel perdurare la luce:

ancora un mordere

la sanguigna polpa del giorno – ricordi? –

Poesia del ricordo, forse di una nostalgia che non è mai trascorsa e mai passerà; una luce simbolo di una memoria che ha lasciato un segno doloroso (le lesioni provocate ogni qual volta si cadeva) ma tangibile, reale, sperimentato talvolta nell'incertezza stessa del momento, anche nell'incoscienza di una corsa dal fine rischioso (come la vita del resto).

Tutto è luce (come potrebbe non esserlo la giovinezza che vede con gli occhi trasparenti del giorno verso l'estate che non cessa di esistere?

E quelle ore che sanno di calore estremo che scotta la pelle se non si riescono a dominare le proprie passioni?).

“Ricordi?”, dice il poeta all'amico che gli fu accanto a quel tempo: immagine riflessa in uno specchio della propria persona, del proprio essere, in un soliloquio dove anche i compagni di allora più non esistono, se non nel vago di una mente che cerca solo il ricordo.

Ma tutto è luce, grido di liberazione di presente che si fa passato per volervi rimanere.

E intorno il vuoto dell'esistenza, forte, penetrante, palpabile, di cui ci si accorge solo quando si vede la notte che sta per venire; il mistero delle cose che non abbiamo mai capito, dei momenti che non siamo riusciti a imprigionare, ma che ritroviamo ogni qual volta uno spiraglio generato da uno spettro di luce attraversa il tempo e fa breccia nel cuore, terra dove abbiamo sepolto per sempre i ricordi, sommato il presente al passato.

Marzo 2003

TRA ONIRICI LAMPI

(a cura di Luca Rossi)

tra onirici lampi

ride la tua immagine d'aria

intagliata nell'ombra del cuore

[da Fuoco dipinto – 2002, edizione dell'Autore]

C'è un luogo che la poesia propone come rifugio quando la notte porta con sé, attraverso i sogni, le luci abbaglianti di una vita vissuta a cavallo tra il ricordo e l'attimo presente: è un luogo ideale il cuore quando diviene riparo per conservare un'immagine, per trattenere un volto… un desiderio.

L'aria di cui è fatta la materia del ricordo ride, quasi a burlarsi di ciò che crediamo realtà, e vi passa attraverso come per ossigenare gli anfratti che la malattia del vivere riserva a chi è dimentico del tempo e che i lampi illuminano partendo dalle regioni remote di quegli anni che non esistono più.

C'è una zona d'ombra creata dalla luce del lampo dove nulla è visibile a chi sta fuori dai confini del cuore.

Il cuore come una casa, dove solo parte della luce vi penetra, per lasciare delle zone in penombra in cui riposare i ricordi, lontani dal domandare continuo del giorno, che bussa con insistenza alle finestre per richiamarci ad una realtà che talvolta non vogliamo.

La luce dei ricordi è luce che non proviene da alcuna stella, ma da un sogno.

Un sogno che scaturisce da una notte che neppure il sole riesce a illuminare, quando la mente pensa a tutte quelle cose che ancora sarebbero state.

NELLA VALIGIA (NOTE DI VIAGGIO)

(a cura di Luca Rossi)

(il chi-siamo-dove-andiamo:

dove la mente

s'inlabirinta)

l'io

vestito di nebbia

promesso alla morte –

(nella valigia pronta la perdita

originaria la vita a

metà)

risucchiato come da un tunnel…

attraversato

da flutti di luce

destinazione: il Sé

[da Fuoco dipinto – 2002, edizione dell'Autore]

E' proprio un lungo viaggio quello che viene descritto nella poesia; un viaggio che dura tutta una vita.

Un viaggio la cui destinazione ci viene rivelata solamente al termine dei versi: ultima stazione di un percorso obbligato che chi scrive sembra avere intrapreso da tempo.

Un interrogativo espresso in forma indiretta apre quest'opera, chiedendoci chi siamo e il motivo del nostro andare.

Ma è difficile credere che possa essere la ragione a guidare questo percorso che si rivelerà esplorazione, perché in una sorta di labirinto si perdono la nostra mente e i nostri pensieri.

Metaforicamente chi scrive ci dice che è la mente stessa il mezzo sul quale “dovremo salire” per potere viaggiare, come un treno che dobbiamo prendere, e ci saliremo già vestiti con il nostro Io ricoperto da una nebbia che non ci permette di guardare oltre, perché oltre c'è solo la morte quale limite di tutto ciò che siamo e a cui ognuno di noi, fin dall'inizio, è stato promesso.

La nostra valigia è pronta delle cose che perderemo, tra cui la vita stessa, ma che verranno meno solamente a metà, perché il resto sarà tutto da venire, risucchiato in quel tunnel che ora andremo ad attraversare, pieno di una luce chiarificatrice, che segna l'altra metà della vita, quella che rimane appunto, e l'altra metà del viaggio.

Solo giungendo a destinazione scopriremo la verità che ci avvolge.

Mentre scenderemo da questa specie di treno e ci guarderemo intorno, vedremo che sul marciapiede della stazione ci sarà solo il tempo ad attenderci, mentre lasceremo la nostra valigia nel deposito bagagli piena delle cose che sono oramai passate e che qualcuno sicuramente un giorno aprirà: coloro che ancora attendono di iniziare questo lungo viaggio.

Destinazione: il Sé.

Commento alla poesia “Maya”, di Felice Serino

Luca Rossi.

Marzo 2007-03-10

Mi riferisco a Maya. Stupende l'apertura e la chiusura che tendono a concentrare il significato dei versi in un indefinibile “status” dell'uomo. La figura geometrica, poliedrica, prismatica, antica, definisce il mondo riflesso che solamente l'asceta è in grado di distinguere. Siamo della terra, ma solo ora: non lo eravamo prima della nostra nascita, non lo saremo più dopo la nostra morte. Ma abbiamo vissuto l'azzurro, nel suo senso simbolico e “nell'azzurro”, nel suo senso materiale, come luogo di sogni e realtà. Di decadente esiste il corpo, effimero, ma non lo spirito racchiuso in esso: sottile fiamma.

Interessante aggettivo che apre a una visione pluridimensionale di significati.

Ognuno cercherà al proprio interno quello che più gli si addice quando dovrà ricercare il contrario di “sottile”.

Forse pochi lo troveranno, ma non sui dizionari.

Lo sapranno i Santi, lo diranno i Martiri. Lo diranno le vittime della guerra, della violenza senza senso, la gente che muore di fame, coloro che avevano una possibilità ed è stata loro negata.

Il poeta si fa interprete dell'asceta. Diviene per un momento esso stesso spirito comune di questi, per poi distaccarsene e ridiventare uomo comune. Per un momento entrambi racchiusi in quel prisma dove la luce si espande in ogni direzione fino a dove l'occhio riesce a distinguere orizzonti di esteriorità cosmica per poi penetrare e scaldarsi a lato di quell'anima che arde, dignità esistenziale dell'uomo vero.

*

Maya

il di qua dice l'asceta

non è che proiezione

nel prisma azzurro del giorno

sentenzia

che perfezione

è la carne che si fa spirito

non si terrà conto

del corpo che si nutre

che è già della terra

si è dunque

del cielo o anelito

d'infinito ancor prima

del primo respiro?

– certa è la fiamma che dentro

ci arde – sottile –

*

Considerazioni sulla poesia “Maya”

“Perfezione è la carne che si fa spirito” è qualcosa che 'parla' (e bene) solo in poesia, in quanto la carne è carne e lo spirito è spirito, e nessuno dei due può diventare l'altro. Possibile invece vivere più che si può di cose spirituali e “abbandonare” (a tratti) la carne. Cioè, essere così leggeri (elevati) di (in) spirito che l'anima fuoriesce dal corpo lasciandolo come un fantoccio fino al suo ritorno in esso, ovvero quando si è esaurita quell'energia soprannaturale.Il centro della poesia, che è la centralità in cui essa ruota, secondo me detta i dettami della riflessione (non a caso si trova in quel posto): “non si terrà conto / del corpo che si nutre / che è già della terra”. Cibarsi di ciò che offre la natura, tingersi della terra, della sabbia, dell'erba rotolandoci sopra per poi un giorno lasciarci le nostre spoglie [non come il cestino del computer nel quale puoi ripescare le cose vecchie, ma come un programma nel quale non puoi più accedere (solo Dio può farlo)]. Il corpo è la scatola, è la custodia temporanea del regalo che c'è dentro: il nostro spirito che a sua volta si rifà regalo al mittente.

Quella “fiamma che dentro ci arde sottile” e sale verso l'Alto, l'Altissimo.

Andrea Crostelli

Visione

imbevuto del sangue della passione un cielo

di angeli folgora l'attesa vertiginosa

nella cattedrale del Sole dove ruotano

i mondi

è palpito bianco la colomba sacrificale

*

Lirica intensa, pregna di suggestione e pathos. In pochissimi versi ben ponderati ed equilibrati hai saputo farci rivivere con vigore e sapienza poetica l'attimo magico e sacrale dell'eucarestia.

Complimenti vivissimi e un grande benvenuto tra noi!

Antonino Magrì

***

Quel sorriso

a R.

oltre lei forse fra le stelle

dura quel sorriso che nell'aria

ti appare ora sospeso come fumo

lucido incanto il tuo

sperdutamente altrove –

l'ha disperso il vento

Pur nella sua semplicità, questa lirica è dolcissima e struggente. In essa si racchiude la consapevolezza dell' oltre, la serenità della fede e la malinconia del distacco terreno. La chiusa è veramente poetica; ma devo ammettere che ogni singolo verso racchiude piena densità di immagini e sapiente musicalità. Tu sai dimostrare che nella poesia non è la lunghezza che conta, ma, anzi, è la capacità di condensare un pensiero in pochi artistici versi.

Complimenti, sei un poeta vero!

Antonino Magrì

https://www.artevizzari.italianoforum.it/

***

E' in te nell'aria

è in te nell'aria

sottile la senti la mancanza

di vita piena

come applaudire con una mano sola

ma è regale regalo

questo rapido frullo

d'ali

atto d'amore

non affidarlo nelle mani del vento

sii àncora

gettata nel cielo

*

Felice, sono veramente incantato, la tua poesia è magica e, tecnicamente, risponde a tutti i canoni della poesia libera, dalla metafora all'allitterazione, dall'onomatopea a quello che oggi è il più raro: la musicalità del verso. Ha una forza lirica straordinaria che esplode dirompente nella splendida chiusa:

sii àncora

gettata nel cielo

Antonino Magrì

AION

1.

chi ti ha fatto sapere ch'eri nudo?

l'entrare della morte nel morso

della mela

(si erano creduti il Sole

scordando di essere riflessi)

1.a

il serpente mi diede dell'albero e…

eva la porta

di sangue

per dove passa la storia

2.

nell'incrocio dei legni

la conciliazione degli

opposti (lo scheletro del mondo)

2.a

è il Figlio che pende

dai chiodi

la risposta a giobbe

3.

ancora l'assordare dei martelli ancora

un giuda che fa il cappio abbraccia un albero di morte

-sulle labbra il fuoco del bacio

Felice Serino

Da La difficile luce, 2005

*

Critica di Luca Rossi. Luglio 2002

L' identità, la conoscenza della morte, il riscatto tramite il dolore altrui, la scoperta di Dio, il ricordo: ecco gli elementi principali, i titoli attraverso i quali si snoda il componimento di Serino.

La presa di coscienza del peccato apre la prima strofa, dove la mela (simbolo del divieto divino, del non andare oltre, del sapere che la libertà offerta avrebbe potuto avere un limite per la salvezza stessa dell'essere) ora è stata consumata e ha riempito l'uomo di ogni tempo compreso quello del terzo millennio, della stessa onnipotenza di Adamo.

E' forse cambiata la storia? No; Qohelet, il sapientissimo, ci dice che non c'è nulla di diverso sotto il sole che ancora oggi non accada.

L'uomo che è, già è stato.

L'umiltà è l'arma attraverso la quale riprendere coscienza del ricordo del Padre, della memoria della morte e dell'immagine di quella polvere che alla fine, se racchiusa nelle mani di Dio, per essere trasfigurata, riplasmata, tornerà ad essere semplicemente terra che alimenterà nuovamente le radici di quell'albero sul quale è maturata la mela, se non ci si lascerà trapassare da un Sole da cui piovono raggi di luce, che sono verità di un universo che non si espande secondo le leggi della fisica, ma dell'amore; di quell'amore che viene tentato dal serpente che scese dall'albero per allontanare da noi l' idea della fine, la lontananza della morte attraverso l'inganno di una bellezza che ognuno vorrebbe possedere a qualsiasi costo.

Eva apre la via ad una libertà secondo la quale il valore dell'estetica e della provocazione nasconde il suo doppio senso, la perversione di volere fagocitare ogni cosa perché ogni cosa debba essere nostra, debba necessariamente appartenerci, coinvolgendoci in un delirio che oscura la vista per distogliere lo sguardo da ciò che risiede oltre le nebbie.

Da qui passa la storia che il poeta descrive, passa l'azione dell'uomo che cade prigioniero per non avere saputo riconoscere all'angolo delle vie quegli angeli perduti e mai redenti, che offrono immagini fantasmagoriche di un finto benessere e di una strada che non sembra avere alcuna via d'uscita.

Ma il poeta, dopo avere dichiarato con forza che l'idea della morte eterna è propria di chi sa di non svegliarsi dalla notte che ci investe, suggerisce attraverso le ultime righe un percorso che potrebbe essere il più giusto: quello della conciliazione con Dio, del sapere del dolore di chi si fece trafiggere perché l'uomo capisse che da solo non si sarebbe mai potuto salvare e del riconoscersi ancora una volta in fuga da quell'Eden che ogni epoca ripropone, perché la benevolenza di Dio è sempre presente, sempre attuale, sempre nuova.

Un Eden che mette in evidenza le regioni sconfinate del bene e dell'amore da cui, chi è ancora in grado di ascoltare, dopo i fragori del giorno, sente il battere del martello sul chiodo che penetra la carne ed il legno.

Davanti a noi sta la morte di sempre.

Più in là una morte che detiene invece un senso più ampio: l'uomo che prende coscienza dell'Eterno.

E la poesia di Serino vuole essere un monito, forse l'ultimo, di un uomo che ancora ascolta e ci induce a riflettere su quanto la storia ha avuto da dirci.

.

FLASH SCATURITO DALLA LETTURA DEI VERSI DI POESIA

DI FELICE SERINO

POESIA

ti avviti

con lucido delirio

nella folla

di parole

(tra sprazzi di

di coscienza e sogno

insegui

gibigiane echi:

ecco sfrondarti

forbici di luce:

la pagina è tuo lenzuolo

quando in amplessi

cerebrali

muori rinasci)

la tua anima di carta

ricrea armonie

in seno a spirali

più alte

***

Le parole che si ammassano e si spingono tra la folla per mettersi in luce e voler rispondere a tutti.

Le parole che s'incasellano velocemente sul foglio come automatismi di una stampante a un tuo semplice cenno d'avvio.

O le parole che viaggiano lente su di un carretto guidato da un mulo che conduce te, padrone che dormi, a completare il percorso del tuo sogno fisico/verbale.

Tranquillo, c'è sempre chi conosce la strada!

Le parole infine ridotte all'essenziale e in quell'essenziale moltiplicate per 144.000 modi di interpretarle che le rendono costantemente vive.

Parole parole parole, magia della lingua che comunica con il suo bacio-poesia.

L'eccitazione spirituale che si fa carne.

E' il “delirio” “in seno a spirali più alte”.

Una molla nel cervello che si genuflette al mistero per poi sobbalzare gioiosa e fuoriuscire da questo come canto di lode che si esterna.

Andrea Crostelli

COMMENTO ALLA POESIA DI FELICE SERINO

ANGELO DELLA POESIA

librarsi della tua ala azzurra nel mio sangue

io-non-io: in me ti trascendi e sei

d'ineffabili alfabeti s'imbeve il nascere delle mie aurore

Da La difficile luce, 2005

*

E' una poesia ermetica sublime, da analizzare e scoprire; io la interpreto così:

librarsi della tua ala azzurra nel mio sangue

è il momento in cui l'ispirazione, come musica celestiale, fa sentire al poeta la sua voce e gli rimescola il sangue

io-non-io:

il poeta non è più se stesso, entra in trance trascinato dall'irresistibile richiamo dell'ispirazione

in me ti trascendi e sei

è il momento in cui l'ispirazione “si serve” del poeta ed elevandosi al di sopra di esso, diventa presenza reale, è, esiste; il poeta diventa strumento della musa

d'ineffabili alfabeti s'imbeve il nascere delle mie aurore

il momento in cui avviene il “parto” delle poesie (il nascere delle mie aurore) è una sensazione di liberazione tanto profonda e sublime, così ricca di vita e di gioia da non potersi descrivere a parole

(d'ineffabili alfabeti s'imbeve).

Antonino Magrì

.

NEL ROVESCIAMENTO

(a cura di Luca Rossi)

(non vedi al di là del tuo naso scientifico):

è come leggessi sull'acqua

lettere storte: poiché noi siamo

nel rovesciamento afferma

la weil – e negazione

ci appare la grazia

[da Fuoco dipinto – 2002, edizione dell'Autore]

*

Riscattare la propria condizione esistenziale è il fondamento di questa poesia.

Il nostro Io interiore e quello esteriore sono legati da un qualche cosa che li determina, che li unisce per essere insieme un tutt'uno, a costruire un significato.

Vediamo da un lato, mentre perdiamo visione dell'insieme dall'altro (non vedi al di là del tuo naso scientifico), perché i parametri di giudizio sono quelli di sempre, basati su una visione del cosmo troppo mediata dalla ragione e poco dai sentimenti; dalla rigida regola di catalogare il tutto per dare una risposta a ciò che avviene e poco dalla capacità di comprendere l'impossibilità di penetrare i progetti della natura che sfuggono a ogni capacità di previsione.

La realtà può essere quella che vediamo riflessa in uno specchio d'acqua, ma può anche essere quella che lo specchio d'acqua riflette quando la stessa viene mossa e confonde l'immagine.

Eppure è sempre la medesima realtà vista in due modi differenti.

Poiché noi siamo l'una e l'altra: lettere ordinate, ben composte, ma anche lettere storte che descrivono un racconto di vita diverso.

Leggiamo nell'acqua un volto, leggiamo un pezzo di cielo che la sovrasta, leggiamo un desiderio precluso (quello di Narciso che non seppe vedere il proprio rovesciamento) e ci appare distinto un progetto dove la luce colpisce, dove la luce rende tutto più chiaro.

La grazia fa da tramite per vedere le due realtà in cui vivere; tempo speso perché la vita resti quella di sempre scombinata nei suoi opposti.

Dicembre 2000

LA VITA NELLE MANI DEL VENTO

palpebre d'aria

chiuse sulla disfatta del giorno

(depistate tracce

rotte smarrite

a insanguinare il vento:

ruotare del tempo

nella sua vuota occhiaia)

anse d'ombre

annegano il grido

dell'anima giocata a testa e croce

Felice Serino

Da Fuoco dipinto, 2002

*

Commento critico di Luca Rossi

Settembre 2000

Occorre tirare le somme e vedere la realtà per quella che è o per quella che è stata. La nostra anima, il nostro passato, non li possiamo cambiare.

Li abbiamo giocati al gioco del destino, apparso sempre così mutevole, come il vento che ora soffia in una direzione e subito dopo nella direzione opposta.

Un vento che corre lontano prima che il giorno finisce.

E ora che si fa sera si devono fare le proprie considerazioni, come palpebre che si chiudono alla disfatta del giorno.

Ma il giorno – la vita – è stato pieno di tante cose, di tanti avvenimenti, di un destino falsato, di una scelta che non si è trasformata in realtà (rotte smarrite, dice il poeta), che ha cambiato le sorti della

stessa e ha macchiato quel vento che porta oltre.

Restano le ombre, con le loro pieghe, con i loro risvolti che si accompagnano al grido di quella che è ora la realtà dell'anima che vuole tornare a essere se stessa, vita nelle mani del vento.