Ci vorrebbe un bugiardino, proprio come quello delle medicine. Ci vorrebbe per i #socialnetwork. Non eviterebbe gli effetti collaterali, che di norma sono molti più dei benefici, ma almeno qualcosa si potrebbe evitare. O no? Quando discutiamo di un mezzo usato da miliardi di persone nello stesso giorno non ci sono formule o avvertimenti che tengano. E' un paradosso. E' impossibile.

La parola che più posso, con i miei limiti, avvicinare a quel foglietto è “netiquette.” Ammetto che era da qualche tempo che non ne leggevo così diffusamente: è certo che sia data per scontata, ormai, come molte cose da molte persone. E' implicita, ma dandola per ovvia, tante persone fanno finta che non esista più. Premettendo che io per primo sono colpevole (e da qui in avanti questa affermazione non va dimenticata), c'è da domandarsi come mai adesso, su #Mastodon, si accetti con entusiasmo. Anzi, che sia premessa per ogni interazione di questa piattaforma, che venga ricordata tanto frequentemente, che sia “esposta.”

Mettiamo che il presupposto sia la saturazione che deriva dalla tossicità (definiamola così per brevità) di cui sono intasati i social. Malattia che è prodotta unicamente dai fruitori. Chi fornisce le piattaforme ne trae guadagno, nel caso non sia “Mastodon”: quindi ha un ritorno dalle interazioni, da tutte le interazioni, senza discernere di che tipo siano. Lasciamo perdere le moderazioni ed i manifesti anti qualcosa. La realtà fattuale è quella di un far west più o meno senza regole. Tutto è fagocitato dai numeri che si traducono in soldi: quindi, adattarsi o crepare.

Però sembra che di regole chiare, non fraintendibili, ci fosse bisogno come l'acqua in un deserto. Il che può presupporre un'analisi di coscienza approfondita. O solo del buonismo. La seconda ipotesi mi sento di volerla scartare a priori: tanto vale restare su “Twitter” o “Facebook” e raccontare un monte di fregnacce. Mica esiste un controllo dei pensieri. La prima è molto migliore. Implica il raggiungimento di un livello di saturazione elevato, un rifuggire dall'ipocrisia che tutti abbiamo usato (e usiamo) con troppa disinvoltura. Non appaia un pensiero paternalistico: se si ha un Blog si scrive, prima che ad ogni altro, a se stessi.

Non è una cosa semplice ribaltare anni ed anni di incazzature, strali, offese e risposte violente: quando ci vuole ci vuole, non si dice così? Non è affatto facile rivedere il proprio modus operandi mettendo tanti e tanti paletti. Non è solo immediato, è anche faticoso. Quello che non si vuole da un social: l'arduo compito di mettersi d'impegno. Se dovessi andare dietro all'ego, al carattere, alle mie (e di tantissimi) brutte abitudini, alla mia ipocrisia su “Mastodon” non ci sarei dovuto arrivare. Invece, contravvenendo a tutto questo, mi sento fiducioso. Assai. Potrei dire che sudo, che mi mordo la lingua, che lascio metà delle risposte nella mia mente, ed è tutto vero. Ma è altrettanto vero che il tempo che ho va speso bene, meglio, anzi parecchio (per citare uno dei Maestri.) E siccome non mi pagano, meglio averne un ritorno in termini di pacificazione. Il che non significa essere buonisti o passare per fessi, ma rimettersi in gioco. Palla al centro e pedalare.

(Sempre e solo con l'avallo di Alessandra.)

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