Transit

opinioni

(164)

(LGD)

Nel suo film del 2007 “La giusta distanza”, Carlo Mazzacurati narra la vicenda di un giovane apprendista giornalista, che non riesce, in merito ad un fatto di cronaca, a mantenere la “giusta distanza” dai fatti, come gli ha suggerito il suo mentore. Ovvero non riesce ad approfondire abbastanza quel che accade per averne una visione imparziale, il più possibile corretta e scevra da opinioni ed idee personali: quello che, nella teoria, ogni giornalista dovrebbe tendere a fare nel suo mestiere.

In Italia può essere portato ad esempio di come questo modo di operare sia, nei fatti, ignorato del tutto o quasi. Da parte di molte testate giornalistiche e di TG d'ogni canale è è un muoversi nelle direzioni più disparate: dapprima per rimanere “sul pezzo” e, passata la fase di picco a livello di notizia, per estendere all'infinito una serie di tematiche, perlopiù allarmiste e con un alto tasso di sensazionalismo, fino a coprire intere giornate di trasmissione.

E' anche un po' il limite, per esempio, dei canali “All News”, dove per ventiquattro ore al giorno si trasmette ogni sorta di dettaglio, di accadimento, di vocio per coprire la giornata intera. Reiterando all'infinito le stesse cose (non può accadere qualcosa di clamoroso ogni ora), si finisce con il “caricare” la notizia fino allo spasimo, spesso inserendo note di colore che rendono la narrazione volutamente altisonante, pervasiva, angosciante. Una estremizzazione indotta per mantenere attento lo spettatore.

(LGD2)

Chiaramente è una maniera d'operare affatto corretta e per quanto giornalisti ed opinionisti lo neghino, appare abbastanza chiaro che è un mare in cui a loro piace nuotare. Possiamo comprendere che sia più semplice fare così che mantenere quella distanza di cui sopra: si rischia, magari, la noia o una maniera troppo blanda di porgere le notizie e molte persone amano, inconsciamente o meno, il clamore e la chiacchiera, a discapito di coloro che, invece, vorrebbero leggere o sentire semplicemente ciò che è successo, senza fronzoli.

D'altro canto ognuno può essere un amplificatore dei fatti: basta un account su “Facebook” o su “X” dove riprendere e commentare ogni cosa venga detta, magari distorcendo ulteriormente le cose, caricandole con opinioni personali (cui si ha diritto) e facendo rimbalzare tutto ovunque. Una sorta di cerchio infinito in cui la sconfitta è l'informazione di qualità, quella cui dovrebbero sempre ambire tutti. Sarebbe un freno per un mondo già sovraccarico di input, dove siamo “bombardati” senza sosta, senza tregua di cose che ci sentiamo obbligati a seguire.

Un corto circuito permanente d'attenzione e di sovraccarico mediatico. E come ogni cosa portata all'eccesso, è un danno. Cui, temo, non si possa più porre rimedio, se non con la volontà personale di distaccarsi da questa narrazione sbilanciata, reinserendo nel proprio modo di informarsi una quanto mai necessaria dose di distacco e di ragionamento. Cose difficili da fare, faticose, ma non impossibili.

#Blog #Opinioni #Media #News #Informazione

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(163)

(X)

“X” non è più un #socialmedia. Ci sono voluti molti mesi dopo la fine di “Twitter” e l’acquisizione da parte di #Musk. Per arrivarci è stato necessario sopportare una campagna elettorale americana (di cui ci si potrebbe tranquillamente fregare) e la rielezione di uno come #Trump. Vedere il “paron del vapore” scodinzolare affettuoso con il nuovo Presidente, in compagnia di tutti gli altri miliardari della ex “Silicon Valley”, è stato il terzo ed ultimo atto della parabola discendente di questa piattaforma. Durante i mesi che hanno preceduto le urne, Musk ha donato soldi e fango a piene mani: tutto pur di compiacere un anziano “tycoon”, pregiudicato, scapestrato, ignorante e razzista. Non deve essere parso vero al fabbricante d’auto quando un tale soggetto, eletto da milioni di fenomeni uguali a lui, lo ha chiamato addirittura a far parte del governo. Sembra un film di quelli per la TV, sciatto e con una sceneggiatura ridicola.

(X1)

Eppure è così. Trump vuole ridare il diritto di parola, che nessuno ha mai tolto, all’America e un megafono come il social di Musk è lì, pronto e praticamente gratis. Via i controlli sulle fake news, via le restrizioni al linguaggio volgare, sessista e offensivo, via le moderazioni sulle vagonate di scemenze che scrive la gente: avanti con la libertà totale di insulto, con i contenuti pornografici e con un algoritmo talmente invasivo da diventare il vero gestore del tutto.

Quando “#Twitter” cambiò nome e dirigenza, molti se ne andarono perché non vedevano più quel social che avevano imparato ad usare (e amare?), quello vero, quello iniziale. Ancora più utenti resistettero, eroici, alle prime avvisaglie di disfacimento, arrivate con la personalità strabordante e cafona di Musk. Ma dopo il Novembre del 2024 tantissime persone hanno veramente raggiunto il limite di sopportazione ed hanno abbandonato la nave, che da allora batte decisamente la bandiera del “Non c’è nessun controllo.”

Dapprima gente famosa, poi moltissimi giornali, tanti attivisti e tante ONG hanno chiuso i loro account, seguiti dai profili della gente “comune”, stanca di continuare ad essere offesa, di non trovare più i post degli amici e di non uscire mai e poi mai sulla TL. Ormai conti, se l’algoritmo decide che sei utile allo sforzo propagandistico del vate o se, al contrario, sei talmente offensivo e razzista da veicolare un traffico importante. Il resto non serve a nulla: ci si illude per qualche giorno, magari con riscontri che appaiono gratificanti, per poi tornare a scrivere quasi solo per se stessi.

(X2)

Portiamo noi come esempio. Abbiamo perso più di trecento follower nel giro di tre mesi, ed eravamo a quota 7000: ogni giorno continua una lenta emorragia, che a volte si ferma e la rotta si inverte, ma non dura mai. I post sono visti al massimo 500 volte: le interazioni sono praticamente nulle e i commenti raramente raggiungono la decina. Questi sono gli aridi numeri, che, comunque, sono relativi. Non siamo su “X” per la fama e la gloria (magari i soldi…), ma per veicolare la nostra opinione su cose che riteniamo importanti. Anche per cazzeggiare, ovvio: è lo scopo esiziale di un social.

La cosa che fa propendere per la chiusura è che non si riesce ad interagire più. A parte fare decine di post al giorno per uscire, prerogativa di quegli sfigati degli influencer o di chi non ha altri impegni, dovresti commentare ogni tre secondi da qualche parte per avere un minimo di contraddittorio. Ma non era questo lo scopo dei social? Non era discutere, confrontarsi, anche incazzarsi? Se una formula matematica si mette contro questa cosa, il social non è più quello per cui è stato pensato: è solo un enorme frullatore di cose, alcune validissime, la maggior parte pessime, in cui si gira a vuoto senza alcun approdo. Ci ripetiamo: alcuni continuano bellamente a fare “numeri” enormi, ma sono sempre gli stessi e la maggior parte è schierata decisamente con Musk e il suo enorme conflitto di interessi.

Il tempo scorre sempre e solo in avanti (l'abbiamo già detto) e perderne troppo in rete è abbastanza stupido. Poi, per amor del cielo, ognuno è libero di fare e dire ciò che gli pare, ma davvero ha ancora senso stare su “X”? Non apriamo il capitolo delle alternative, perché resta nel campo delle scelte personali e proporre un social più di un altro è veramente assurdo. Però è arrivato il momento, anche per noi (Ale è silente da molti mesi, ma l’account è il suo), di dire “Stop.”

“X” è diventato politica e quella che a noi non piace, quella di una nazione che vediamo allo sbando, sempre più arrogante, cinica, spietata, esattamente come i suoi rappresentanti. E’ il covo di una informazione fatta di dichiarazioni rocambolesche, di gesti plateali, di offese continue a chi non si allinea, di razzismo evidente, di violenza verbale e non, di sdoganamento dell’inutile a sfavore della profondità.

Basterebbe questo a rendere la nostra decisione dovuta. Aggiungiamo anche che il fatto di non leggere mai le persone che abbiamo a cuore (ve lo ricordate, sì, l’algoritmo?), quelle a cui ci siamo affezionati e che stimiamo, rende tutto più frustrante. Ecco, è per loro che siamo rimasti finora: per quelle risposte, per le loro domande, per le nostre domande, per il sostenerci nei nostri ideali e nelle tante utopie. Mancheranno, tanto, ma proprio per la coerenza che dovrebbe sempre muovere le azioni di tutti, dobbiamo andarcene.

Le vie del web sono infinite. Magari percorrendone una meno battuta ci si ritroverà.

[Alessandra & Daniele]

#SocialMedia #X #Blog #Personal #Opinioni #Opinion

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(161)

(R)

Abbiamo fatto talmente tanti propositi, buoni o meno, che ormai è inutile continuare. Come disse il più geniale dei quattro “La vita è quella cosa che accade mentre sei intento a fare altro”. E questa frase va bene per tutti, dal primo all'ultimo. Che, poi, le persone non si devono numerare, non si dovrebbe fare una classifica in cui qualcuno vale più di un altro. Una persona ha valore in sé, non per il suo status, per la sua “classe”, per i soldi che ha o che non ha, per il suo essere considerato qualcuno. Che, poi, “... è proprio obbligatorio essere qualcuno?”, citando un personaggio di fantasia, ma che la sapeva lunga. Essendomi giocato tutte le citazioni fino al 2025 è meglio procedere.

Tolti i propositi, restano i bilanci. Sono anche più insidiosi, perché incitano ad una riflessione, sempre ammesso che vi siano stati degli obiettivi da raggiungere. Un modo per disfarsi di eventuali calcoli a somma zero della propria esistenza fino al 31 Dicembre 2024, è quello di provare a capire come sia andato il nostro paese, quello che – perlomeno – siamo riusciti a guardare, sentire, commentare fino ad oggi. E’ più semplice e permette un bel po’ di ipocrisia e di sproloqui di parte.

Che dire, se non che quest’anno, per l’Italia, patria molto parca di soddisfazioni (eliminiamo dal contesto lo sport, per piacere), ma fonte pressoché inesauribile di ansie e di disfunzioni a tutti i livelli, è stato pessimo? Per par condicio devo scrivere che quelli prima della Meloni erano praticamente la stessa cosa: non c’entra – non del tutto – l’attuale governo, che pure ha fatto e sta facendo sfracelli e non è un complimento. Loro accampano la scusa di aver ereditato i disastri dagli anni passati, quelli prima da quelli prima e via così fino a Romolo e Remo. Poi basta, che c’erano altri di cui non ricordiamo un nome uno.

Probabilmente è il fatto che l’età avanza, gli occhi sono sempre più malandati e la pigrizia non ha diete da fare, ma le cose, là fuori, sembrano più scure, più sfrangiate, più vaghe seppur in tempi di sapienza da “Wikipedia”. C’è quel vago sentore di marcio che accompagna molti accadimenti politici, che ben si somma con la pochezza e la sciatteria di una “classe dirigente” imborghesita male, malissimo. Rialzano la testa anche coloro che non ne avrebbero diritto, depositari di vecchie glorie rattoppate, di miasmi patriottici mal gestiti e peggio compresi.

(R2)

Il tutto sdoganato da un impoverimento culturale che fa sì che la misura più profonda del sapere sia quella di un pozzanghera. Acqua sporca di rimando, da citazione googlata, da ansia da prestazione per un like, per mille o diecimila approvazioni, per concedere all’illusione di contare quasi tutto ciò che abbiamo, soprattutto il tempo, una delle poche cose che vale moltissimo, ma che viene sperperato come se – davvero- non ci fosse un domani. Come l’acqua, che davvero non c’è, o come i disastri del clima che, invece, abbondano e continueranno a moltiplicarsi.

Ma perché sia tutto perfetto, un quadro deliziosamente completo fin nei dettagli, ammazziamo centinaia di migliaia di nostri simili (simili in tutto, ma proprio tutto) con metodi tradizionali e collaudati, o con nuove invenzioni apocalittiche. Tanto siamo troppi e la denatalità è un problema: come sbattere su un muro a trecento all’ora, ma lamentandosi del colore dei mattoni. Il tutto, sia detto, allegramente, che certezze ce ne sono: il calcio, la pausa caffè e gli altri, tutti coglioni.

Mentre ci mangiano gli stipendi, facendoli decrescere per distinguerci dagli altri (orgoglio italiano), ci mandano a curare anche un taglietto fatto con la carta dal professorone a casa sua, e provvediamo ad arredargliela con la parcella. Lo stesso che poi, in uno slancio di benevolenza falsa come i suoi denti, si mischia al popolino nelle corsie di ospedali sempre più modello “quarto mondo”, regni del rischio non calcolato, delle pareti piene di muffa e dei nomi di santi sempre più ridicoli nella loro inutilità.

Ma la barca va, magari fino in Albania, navigando di bolina e sconfiggendo la fastidiosa ritrosia di alcuni italiani a buttare i soldi dalla finestra, che almeno avvertissero, così ci mettiamo sotto. E’ essenziale rifornire l’ego delle masse votanti, dandogli molto circenses e poco panem: a stomaco vuoto si è accondiscendenti, educati e servili come da manuale. Perciò liberi di manifestare, ma a favore: quelli che non si allineano li mettiamo in quelle galere dove muoiono centinaia di persone all’anno, come in un film fatto male, ma molto realistico.

E senza sembrare troppo cattivi, l’assoluzione di uno che potrebbe fare poco, in qualsiasi campo, ma fa il ministro, non è altro che la riprova che il gattopardo non è un animale in via di estinzione: si riproduce in cattività con molta frequenza e tutti i morti nei nostri mari non lo riguardano. Si nutre del razzismo, della bassa intelligenza e della stupidità. Tutte cose che abbondano, in Italia.

Il 2024 è anno bisesto, quindi funesto: lo dicono tutti, perciò è vero, ci hanno fatto i meme. Accogliamo il 2025 che sarà meglio. Ma perché è difficile fare peggio o solamente perché su “X” ancora non hanno fatto l’oroscopo? Stiamo tranquilli. Sedati, rincoglioniti, italiani.

“Recitando un rosario di ambizioni meschine di millenarie paure di inesauribili astuzie Coltivando tranquilla l'orribile varietà delle proprie superbie la maggioranza sta come una malattia come una sfortuna come un'anestesia come un'abitudine.”

(“Smisurata preghiera”, di Fabrizio de Andrè e Ivano Fossati, 1996).

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Alla fine del mondo.

The Cure – “Songs of a Lost World”, Universal

(Cure)

Ho sempre il timore che, quando un disco mi piace, sia perché nel momento in cui l’ascolto è ciò che (inconsciamente?) il mio “io musicale” vuole in quel periodo della vita, che sia un giorno solo o un anno. Perciò, forse, il mio giudizio è falsato: la stessa opera, a distanza di tempo potrebbe farmi un effetto molto diverso, peggiore, magari. Naturalmente ci sono dischi che resistono allo scorrere della vita e sono di certo quelli che personalmente non posso smettere di ascoltare: hanno acquisito una valenza che supera tutto ciò che gli accade intorno.

Non so se “Songs of a Lost World” dei “Cure” possa ambire a quell’empireo, pittosto ristretto, in verità. Probabilmente è anche dovuto al fatto che i “Cure” non sono mai stati uno dei miei gruppi preferiti, nemmeno all’apice della loro carriera, quando erano di certo una delle band più importanti della scena dark-wave e Robert Smith godeva di una popolarità immensa. Ed anche per questo mi domando se sia una mia mancanza di approfondimento o semplice affermazione di gusti diversi. O, anche più probabile, distrazione.

Un tempo che potremmo pensare ad appannaggio di Peter Gabriel o dei Pink Floyd per uscire con nuova musica (seppur già proposta, in parte, dal vivo): sedici anni e viene dopo un disco, “4:13 dream” che per i più è claudicante, almeno. E si invecchia, nel mentre. Come se accadesse sempre ad altri, magari perché i musicisti si sentono una categoria a parte, ma non è così. Essere umani è eguale per tutti. Ed allora questo diventa un disco sulla difficoltà del vivere, sul dolore (la perdita del fratello, per Smith), sulle inevitabili somme che si devono tirare, su ciò che ci circonda e che peggiora ogni giorno.

(Cure2)

Questo è un disco dove la musica prevale, in una sorta di messaggio che travalica le sensazioni date dalle parole. Ogni canzone, e sono quasi tutte lunghissime, c’è una “intro” che precede i versi ed è una scelta che qualche critico ha bollato come un ritorno, ma senza entusiasmo, agli anni ‘80. Invece funziona, eccome. Dona ai brani un’aura quasi epica, anche per il drumming potente e per la chitarra di Reeves Gabrels (recuperate i “Tin Machine” ogni tanto), nella band dal 2012, tagliente, sferzante.

Il secondo singolo, “A fragile Thing”, è esemplificativa di questo mood, con un basso potente, tocchi di chitarra che ricordano un vento gelido, il cantato chiaro, limpido. Invece “Alone”, più lugubre, più ieratica è la prova che questa è un’opra dolente, che sfocia in “I Can Never Say Goodbye” dove la perdita del fratello è un temporale acustico, una litania dolorosa. Ma forse “Endsong”, la canzone finale del disco (oltre i dieci minuti), è quella che può far risaltare di più il valore di queste canzoni. E’ un brano potente, marziale, tribale, dove Gabrels può lasciare spazio alla sua elegiaca musica, un contrappunto alle parole quasi definitive “...it’s all gone/ no hope/ no dreams/ no more” e quel “...nothing” finale che non solo chiude il disco, ma sembra far calare il sipario su una esistenza intera.

E’ un grande disco, questo: lo si intuisce subito, dal primo ascolto. E come tutti i dischi di spessore cresce nel tempo, per ora brevissimo, dopo la sua uscita. Essendo una riflessione in musica, ognuno ne può far parte, per ciò che desidera, perché i temi sono universali. Gli artisti hanno il dono di farci partecipi tutti in egual maniera, ma non a tutti riesce con convinzione. Stavolta sì, anche per uno come me che non è un “fan”. Quelli che lo sono possono gioire.

#Musica #Music #Opinioni #CamarilloBrillo #Blog

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Memorie controvoglia

(“L'unica via d'uscita è dentro”, Alice, Rizzoli Lizard, 2024.)

(Alice)

L’ ultimo libro scritto da un musicista che ho tentato di leggere è stato quello di Bono. Magari sarà un grande cantante, ma scrive come un quindicenne allupato: francamente è stato impossibile arrivare in fondo, come a dire che non è detto che se sei una rockstar tu sappia scrivere qualcosa di più lungo del testo di una canzone. Le biografie, o quello che sono (in realtà, spesso, i ricordi sono la parte minore), vanno maneggiate con cura, meglio se assistiti da qualcuno che scrive per mestiere. Almeno, forse, ci risparmiamo punti esclamativi a vanvera.

Il sottotitolo del libro di Carla Bissi è “Un’autobiografia controvoglia”, a rimarcare un tratto distintivo e continuo che si trova in queste pagine: il desiderio di non sottostare alle “logiche” del mercato discografico, la voglia di trovare una via personale per la serenità, lo studio della meditazione e della ricerca spirituale. Da appassionato della sua musica, da ammiratore di un percorso musicale profondo e fuori dagli schemi usuali, all’annuncio di questa pubblicazione sono diventato curioso, desideroso di scoprire qualcosa di più su un’artista così meritevole ed altrettanto riservata.

E’ chiaro che ci si bea anche dei pettegolezzi, a volte: a maggior ragione se una persona è così schiva, ma anche intelligente e di certo non mi sono illuso di trovarne. In effetti la scrittura è lineare, semplice, mai appesantita da uno sfoggio intellettuale che a volte gli artisti amano. Sempre un bene, anche se, a volte, non avrei disdegnato qualche vocabolo un attimo più ricercato (e basta con i punti esclamativi, e due.)

(Alice2)

Non essendo una biografia in senso stretto, ma più una raccolta di momenti, perlopiù musicali, la narrazione non riserva grandissime sorprese, né tantomeno vi sono fatti (a parte nei primi capitoli, dedicati alla giovinezza) eclatanti. E’ bello trovare, comunque, molte cose legate alla ricerca musicale e spirituale della Bissi, sempre con la presenza, evocata moltissime volte, di Franco Battiato.

Francesco Messina, oltre a curare la grafica e l’apparato iconografico (poche, però, le foto non viste già), si ritaglia qualche spazio più tecnico, dove si parla dei musicisti e delle tecniche di registrazione, o del modo di approcciarsi al percorso musicale della sua compagna. Nota di “demerito” per entrambi: scrivere pochissimo dei grandiosi musicisti con cui hanno realizzato tournè ed album: peccato davvero. Quasi nessuno in Italia può vantare collaborazioni così importanti (e neanche una riga su Mick Karn, questo sì imperdonabile.)

Non scriverò di una delusione, perciò, ma nemmeno di un’opera che soddisfa appieno le mie aspettative: forse è qui il guaio, aspettarsi ciò che si desidera. Poteva volare ben più alto, questo volume. Avrebbe potuto essere davvero essenziale per far scoprire un’artista che ha avuto poche eguali nel panorama della musica italiana: poteva essere più approfondito, davvero.

Resta un’opera forse davvero controvoglia e quando si fanno le cose senza una convinzione perlomeno doverosa, probabilmente questo è il risultato. Mi consolo con le vaghissime promesse di un live e di un nuovo disco di Francesco Messina. Si spera fatti con voglia, a questo punto.

#Musica #Music #UnoMusica #Opinioni #Libri #Books

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(156)

(Europee)

“La differenza tra una democrazia e una dittatura è che in una democrazia prima voti e poi prendi gli ordini; in una dittatura non devi perdere tempo a votare.” (Charles Bukowski)

E chi se ne fotte, se a votare non ci andate? E chi se ne sbatte se c'è una scusa per fare una cosa e mille per non farla? Ma chi se ne frega delle guerre nel mondo o di chi non ha né pranzo né cena? L' evoluzione ci ha dotati del “libero arbitrio”, anche se nessuno, soprattutto a scuola, non ci spiega che cosa sia e quanto è importante.

Nessuno mi paga (ad una certa età si mercenari su tante cose, sappiatelo) per convincere nemmeno un ubriacone a bere di più. Che le #ElezioniEuropee siano la scusa perfetta per tornare a togliere la polvere dall'ombelico che guardiamo ogni giorno e che si chiama #Italia è certo. E non mi pagano nemmeno per ascoltare tutti i difetti della #UE, tutte le notizie che ci vogliono fare guerra a destra ed a manca o quelle sull'immobilità nei confronti della #Palestina (tanto a leccare i piedi ad #Israele siamo maestri.)

So, come sanno tutti, Tutti sappiamo tutto (a parte tacere). So che io farò come sempre e me ne vado a fare due passi fino al seggio. Per mettere una, due o tre “X” non ci vuole un genio. Perciò ce la posso fare. Poi caffettino in qualche bar carino, che le anime belle che scrivono sui Blog fanno così. Quei segni andranno a favore di chi mi pare. Come ho già scritto (non siete stati attenti, nel passato, lo so) senza più alcuna bandiera, né tessera, né -tantomeno- qualcuno che mi fa sentire in colpa per questo o quel difettino che si ha in politica.

Se vi sembra l'enunciazione dell' “Edonismo Reaganiano” che fu (l'età di cui sopra fa scherzi) e della rinuncia per pigrizia, vi sbagliate, ma pure de brutto. E' una cosa molto più semplice. E' continuare nell'illusione di pensare un po' per i fatti miei. Stessi fatti che mi tengo, con manicale ossessione, per me e i miei cari. Quelli sono importanti. Altri molto meno, a questo livello, non umanamente.

Quella mezz'oretta, Sabato, la dedico a chi farà lo stesso. Agli altri auguro un fine settimana di sole e caldo, al mare o in montagna. Vorrei raccomandare, quando vi troverete intruppati sulla battigia o su qualche sentiero ormai circondato di immondizia, di ridere nei confronti di chi ancora crede in certe cose. Fatelo con gusto. Però io in coda non starò e sorriderò lo stesso. In faccia a un sacco di gente.

#ElezioniEuropee2024 #Opinioni #Blog

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(155)

(IS)

C'è da avere una certa tenerezza nei confronti di chi, con inutile (e falso), stupore, ad ogni fatto di cronaca -brutto, bello, inventato- si lagna degli odiatori sui #socialmedia. Un po' come quelli che si definiscono tifosi, per i quali una squadra è “ragione di vita”: così importante da renderli dei perfetti imbecilli, in un campo dove anche gli imbecilli veri sono realmente degli idioti.

Che, poi, bisognerebbe essere più sottili. Un conto sono quelli che sanno tutto e dispensano pillolone di saggezza che farebbero vergognare chiunque fosse almeno vicino alla soglia minima per poterlo definire intelligente. Un altro sono coloro che continuano a vivere Internet come la loro vera esistenza: uno schifo senza vie d'uscita. E ci sono altri, tanti profili di disagiati che cercano solo un pollice o un cuore in più per svoltare le loro meste giornate.

Il pulpito da cui scrivo è oscurato da tutta una serie di evidenti falli sulla riga: la battuta è quella di uno che ha sbagliato come e molto più di altri. Come nei filmetti degli anni '50, dove tutti erano poveracci, ma bellissimi, la mia redenzione passa attraverso la porta della consapevolezza. Indotta, per quieto vivere, ma sincera perchè il tempo perso è davvero troppo. Se tutto resta, sulla rete, siamo comunque spacciati. Tutti.

Perciò combattere l'odio con e la stupidità con la banalità non è 'sto gran servizio. Si perpetra un'idea di se stessi bianco latte, ma piena di magagne egualmente. Si potrà essere adulati per tre o quattro ore, ma la sostanza non verrà spostata di un commento uno. La guerra è stata persa molto tempo fa, milioni di cazzate or sono. Vale la pena sottolineare che “ambiente tossico” sembra l'unica definizione azzeccata di “X”, “Facebook” e altre menate.

(Mask)

Il declino di tutto questo si compie adesso, e continuerà fino all'esaurimento non dell'idiozia -che si rinnova in automatico-, ma del mezzo in sè. Non sarà domani, ne dopodomani e nemmeno tra cento anni. Arriverà e basta. La gente se ne ricorderà come una cloaca pensata apposta per fare soldi e creare malessere, dove continuiamo a sguazzare. Insieme a quegli illusi che pensano di essere quelli che non si sporcano.

#Blog #Haters #Internet #Rete #Opinioni

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(153)

(ODR)

Saltando di slancio ogni considerazione teologica, quasi un miliardo di euro per insegnare #religione nelle disastrate, cadenti scuole italiane è l'esemplificazione dell'asservimento di uno Stato. Nettamente. Più di un milione di studenti ha scelto altro, e, per correttezza, va detto che in quegli 859 milioni ci sono anche quelli destinati a loro. Però, se fossero tutti per altro, sarebbe meglio.

Quest'anno, inoltre, ci sarà il concorso per assumere i nuovi docenti della materia. Mentre migliaia di persone -nuovi insegnanti-, che regolarmente hanno passato altri concorsi, tra cui uno nel 2020, si vedono scavalcare da quelli che ci sono riusciti nel 2023, si va avanti: i “Patti Lateranensi” non sono mai stati così vivaci. Niente di meno da #Valditara, un ministro che si sta dimostrando, se fosse possibile, peggio di pochi altri nel suo incarico.

Però, almeno, le nostre radici cristiane vengono salvaguardate, Dobbiamo gioire. Quando la materia più importante sarebbe l'educazione civica, così carente a qualsiasi livello (ad iniziare dalla politica), ci si balocca con favole e moltiplicazioni senza calcolatrice. Mi chiedo, quindi, una cosa. Ma le nostre non sono anche radici che affondano nella storia Romana? Ed allora, perdio, si reintroduca il latino. Così nelle “bio”, sui social, si scriveranno meno cazzate. Sarebbero soldi spesi bene, altrochè. (D.)

#Italia #Scuosla #Istruzione #Opinioni #Laicità

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(152)

(Suviana)

Proviamo a scegliere un registro. Immacolato, oppure già usato, con la possibilità di metterci tutto quello che vogliamo. Immaginiamo di scrivere qualcosa su #Suviana e sulle #mortisullavoro.

Registro del dolore. Difficile da maneggiare. Solo chi deve provare certe cose, certe assenze, certi vuoti può scrivere. Solo chi sa, può usarlo.

Registro dell'empatia. Più accessibile, più semplice. Forse le parole più che la penna, però.

Registro della retorica. Ce ne sono tanti, in giro. Quello dei giornali, quello delle televisioni, quello della politica, quello a buon prezzo. Scontato. Cioè costa poco e vale poco.

Registro sindacale. Bisogna ordinarlo, perchè ce ne sono tanti, ma mai disponibili al momento. Sempre un attimo dopo a quando servirebbero.

Registro delle indignazioni. In Italia se ne fanno, ma venduti quasi per niente. Messi in ombra da quelli artigianali: tutti se ne fanno uno.

Registro degli stupori. E', di solito, venduto insieme ad un pero (albero del), da cui cascano quelli che ci salgono. Ogni volta che accadono certe cose.

Registro delle banalità. Viene fornito con mille pagine già scritte. Quelle da scrivere ammettono anche errori ortografici.

Registro economico. Piuttosto corposo. Contiene cifre molto basse (lavoratori) nella parte sinistra, molto alte (“imprenditori”) nella parte destra. Si usa carta ruvida, perchè sia fastidioso.

Registro delle stupidaggini. Viene fornito insieme al quaderno delle cretinate. Lo passano le mutue.

Registro degli scioperi. “Sì, ma io ho da fare.” “Non posso, Chi mi sostituisce?” “E' uno strumento spuntato.” Utile per le scuse. Degli altri.

(Suviana2)

Registro dei nomi e dei numeri. L' unico che viene sicuramente usato, anche se inutilmente. In media ci si possono scrivere, ogni giorno, tre nomi e tre numeri, per ogni giorno dell'anno. Anche la Domenica, che i lavoratori dovrebbero riposare (direttiva che arriva da molto in alto.) Aggiornato con solerzia e con altrettanta rapidità nascosto, specialmente a chi dovrebbe guardarlo. Non è consigliato farsene trovare addosso: c'è il reale rischio di passare per disfattisti.

#Italia #Lavoro #Opinioni

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Tutte le opinioni qui riportate sono da considerarsi personali. Per eventuali problemi riscontrati con i testi, si prega di scrivere a: corubomatt@gmail.com

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Qualche giorno fa, se stavate su “X”, qualcuno avrà saputo di che umore eravate. No, non i vostri “follower”; meglio, non solo. All' “UVM” nel Vermont è stato, già da tempo, messo a punto e migliorato un sistema di indagine denominato “Edonometro”. Detta in soldoni un modello virtuale che analizza l'umore che facciamo trasparire quando inviamo ai nostri amici, o al mondo intero (se vogliamo), un post. Non importa l'argomento o se sia una risposta ad un un altro “cinguettio”: l'edonometro analizza giornalmente cinquanta milioni di tweet e traccia una mappa dei sentimenti espressi sui #SocialMedia. Quindi, almeno in parte, dell'umore di una massa imponente di persone.

L'utilizzo attivo di tale mezzo è ancora abbastanza lontano. Le variabili linguistiche e la difficoltà di un apparato meccanico nell'interpretare le sfumature letterali rendono l'edonometro uno strumento in evoluzione permanente, ma già abbastanza efficace per poter valutare parecchie situazioni generalizzate: sappiamo, quindi, se le cose sono viste con, per esempio, prudenza, o panico, o se, più semplicemente, la gente è arrabbiata e delusa. Appare chiaro come un tale sistema possa, nel futuro (anche se in parte lo sta già facendo) essere assai utile per uno screening psicologico ad uso della sanità pubblica o, più prosaicamente, per indirizzare messaggi pubblicitari sempre più mirati.

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Ma al di là di tali considerazioni ciò che potrebbe farci riflettere sull'immediato è il cambiamento del “mezzo” #Internet, della rete. Se l'affermazione “Il mezzo è neutro: è l'uso che ne fai che lo rende più o meno utile, più o meno pericoloso, più o meno efficace” l'abbiamo recepita, adesso la possiamo ribaltare. Noi siamo il mezzo. L'utente è il mezzo. Chi fa un post non usa solo i Social media: lui è la piattaforma cui guardare. Il suo umore, le parole che usa, l'atteggiamento che ha nei confronti degli altri sono il mezzo. E' un'evoluzione in senso personalistico di internet: è divenuto la rete “delle cose” e chi lo fa girare, chi lo influenza è il singolo, staccato dal resto.

Ciò che potrà divenire questa nuova concezione della rete lo stiamo già scoprendo. Sarebbe utile arrivare ad una consapevolezza piuttosto profonda, intanto, di come noi tutti siamo stati cambiati da questa evoluzione della comunicazione. Renderci conto che si vuole che i nostri sentimenti siano valutabili, spendibili; che ciò che proviamo e che esprimiamo vada al di là della nostra opinione personale e che io, proprio io, sono una rotella dell'ingranaggio. Ci stiamo dentro, non siamo più fuori pensando che le conseguenze si limitino alla “perdita” di follower o di pochi like ai nostri post.

Oltre la gratificazione personale, ci giochiamo perfino l'umore: se stare su “X” o Facebook ci crea ansia e depressione, anche questo disagio ha un suo scopo. E non lo decidiamo. Noi, ingenuamente, continuiamo regalare anima e mente a coloro che vogliono creare persone modellate su un sistema che mira al profitto: potete pensare, se volete, ai bozzoli di “Matrix”, creati per dare linfa vitale al mondo che tutti credono reale. Invece è fittizio, come lo è la notorietà che ognuno di noi pensa o vuole avere. Quasi a tutti costi.

Quindi un mezzo che ingabbia, quasi senza via d'uscita. E tutti, tutti sanno che la porta che conduce al vero cambiamento non è quella di un PC, ma della vita: occorre definirla “reale”? A quanto pare sì. Ed è quella in cui le idee, i confronti, gli scontri, le chiacchiere, lo stato umorale di altri e tutto ciò che ogni giorno incessantemente vogliamo far sapere (ed è un bene, spesso, sia chiaro) devono tradursi in atti, in fatti. Azioni che migliorino noi stessi e la società, prima che tutto si confonda irrimediabilmente. Là fuori.

Piccola nota personale. Centocinquanta post, se non si scrive per mestiere, possono essere tanti. In effetti l'impegno è discontinuo, ma anche bello. Proprio perchè non obbligato. Grazie soprattutto alla mia amatissima moglie Alessandra, per la pazienza e per avermi fatto capire, a forza di dai, la profonda vacuità di tutto questo, che era e resta un esercizio personale per non addormentarsi.

Le foto sono di Lasse Hoile.

#Rete #Opinioni #Post #Blog

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