Transit

trump

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(AI)

Intro. Più passano i giorni, più gli #USA e #Trump nicchiano, più le cose si ingarbugliano, più appare chiaro che l’attacco di Israele all’Iran ha solo nominalmente lo scopo di distruggere una ipotetica potenza nucleare. E’ tutt’altro. E, sicuramente, non sarà questa guerra a distruggere un regime teocratico sanguinario e opprimente. Anzi, forse riuscirà a renderlo più determinato nella sua opera di annichilimento dei diritti civili ed umani. Tutte cose che a #Netanyahu non interessano. A lui serve la poltrona e serve il sangue dei mussulmani, che si sa che a Occidente plaudono a chi si fa carico, finalmente, di queste cose (chissà le risate di Powell…).

Il recente attacco israeliano all’Iran – definito “Operation Rising Lion” – non può essere interpretato come un’operazione umanitaria finalizzata alla liberazione degli iraniani da un regime inumano, bensì come una mossa strategica di Benjamin Netanyahu per ampliare l’influenza e lo spazio geopolitico di Israele nella regione. Numerosi analisti evidenziano come l’obiettivo di Tel Aviv non sia la democratizzazione dell’Iran, ma piuttosto una forma di espansionismo politico-militare. Il “Financial Times” ha chiarito che, pur annichilendo elementi dell’apparato militare iraniano, l’azione di Israele non compromette il regime in sé, che acquisisce semmai una narrazione di resistenza e legittimità interna. In un articolo comparso su The Guardian, si sottolinea che l’offensiva “crudele ma strategica” può al contrario rafforzare l’unità nazionale iraniana e consolidare la leadership, invece di disgregarla.

Ma è l’analisi geopolitica a offrire chiavi interpretative più nette: secondo l’ISPI, l’operazione fornisce a Netanyahu strumenti politici interni ed esterni per consolidare il consenso e sfruttare la narrativa della sicurezza nazionale. In una analisi dell’Habtoor Research Centre, si legge che Tel Aviv ha orchestrato l’attenzione dei media e dei governi occidentali per ottenere sostegno diplomatico e militare, mentre la minaccia iraniana serve a distogliere l’attenzione dalle criticità domestiche.

“New Yorker” fa notare come l’attacco non sia frutto di un’escalation incontrollata: Netanyahu lo avrebbe voluto da tempo, per perseguire ambizioni ben precise, agendo appena Washington è apparsa debole o distratta. In realtà, mentre la narrazione ufficiale descrive queste operazioni come risposte a minacce imminenti – in particolare al rischio nucleare – molti commentatori ricordano come l’Iran non stesse effettivamente per ottenere la bomba, secondo agenzie internazionali quali AIEA e CIA, dando la misura del pretesto retorico usato da Tel Aviv.

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Il rischio politico interno è lampante: fissando Netanyahu come “uomo della sicurezza”, le operazioni militari all’estero possono distogliere l’elettorato dai dossier interni e blindare la sua leadership qualora emergano scandali o critiche. Lo rivelano commentatori israeliani citati dal Guardian, che affermano come tali attacchi “frutto di un Netanyahu che capitalizza su un regime che sta perdendo legittimità e consenso”. Le prove emerse delineano un quadro nitido: l’operazione contro l’Iran non risponde all’urgente esigenza della popolazione iraniana, ma rappresenta per Netanyahu una straordinaria occasione politica di potenziamento internazionale e consolidamento interno. In gioco non vi è affatto un progetto di liberazione, bensì una manovra di influenza, territorio e consenso.

In conclusione. E se avesse delle fialette con del plutonio arricchito da scuotere, “Bibì” avrebbe finito il quadro.

#Blog #Israele #Iran #War #Medioriente #MiddleEast #Opinions #Geopolitica #Opinioni

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(X)

“X” non è più un #socialmedia. Ci sono voluti molti mesi dopo la fine di “Twitter” e l’acquisizione da parte di #Musk. Per arrivarci è stato necessario sopportare una campagna elettorale americana (di cui ci si potrebbe tranquillamente fregare) e la rielezione di uno come #Trump. Vedere il “paron del vapore” scodinzolare affettuoso con il nuovo Presidente, in compagnia di tutti gli altri miliardari della ex “Silicon Valley”, è stato il terzo ed ultimo atto della parabola discendente di questa piattaforma. Durante i mesi che hanno preceduto le urne, Musk ha donato soldi e fango a piene mani: tutto pur di compiacere un anziano “tycoon”, pregiudicato, scapestrato, ignorante e razzista. Non deve essere parso vero al fabbricante d’auto quando un tale soggetto, eletto da milioni di fenomeni uguali a lui, lo ha chiamato addirittura a far parte del governo. Sembra un film di quelli per la TV, sciatto e con una sceneggiatura ridicola.

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Eppure è così. Trump vuole ridare il diritto di parola, che nessuno ha mai tolto, all’America e un megafono come il social di Musk è lì, pronto e praticamente gratis. Via i controlli sulle fake news, via le restrizioni al linguaggio volgare, sessista e offensivo, via le moderazioni sulle vagonate di scemenze che scrive la gente: avanti con la libertà totale di insulto, con i contenuti pornografici e con un algoritmo talmente invasivo da diventare il vero gestore del tutto.

Quando “#Twitter” cambiò nome e dirigenza, molti se ne andarono perché non vedevano più quel social che avevano imparato ad usare (e amare?), quello vero, quello iniziale. Ancora più utenti resistettero, eroici, alle prime avvisaglie di disfacimento, arrivate con la personalità strabordante e cafona di Musk. Ma dopo il Novembre del 2024 tantissime persone hanno veramente raggiunto il limite di sopportazione ed hanno abbandonato la nave, che da allora batte decisamente la bandiera del “Non c’è nessun controllo.”

Dapprima gente famosa, poi moltissimi giornali, tanti attivisti e tante ONG hanno chiuso i loro account, seguiti dai profili della gente “comune”, stanca di continuare ad essere offesa, di non trovare più i post degli amici e di non uscire mai e poi mai sulla TL. Ormai conti, se l’algoritmo decide che sei utile allo sforzo propagandistico del vate o se, al contrario, sei talmente offensivo e razzista da veicolare un traffico importante. Il resto non serve a nulla: ci si illude per qualche giorno, magari con riscontri che appaiono gratificanti, per poi tornare a scrivere quasi solo per se stessi.

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Portiamo noi come esempio. Abbiamo perso più di trecento follower nel giro di tre mesi, ed eravamo a quota 7000: ogni giorno continua una lenta emorragia, che a volte si ferma e la rotta si inverte, ma non dura mai. I post sono visti al massimo 500 volte: le interazioni sono praticamente nulle e i commenti raramente raggiungono la decina. Questi sono gli aridi numeri, che, comunque, sono relativi. Non siamo su “X” per la fama e la gloria (magari i soldi…), ma per veicolare la nostra opinione su cose che riteniamo importanti. Anche per cazzeggiare, ovvio: è lo scopo esiziale di un social.

La cosa che fa propendere per la chiusura è che non si riesce ad interagire più. A parte fare decine di post al giorno per uscire, prerogativa di quegli sfigati degli influencer o di chi non ha altri impegni, dovresti commentare ogni tre secondi da qualche parte per avere un minimo di contraddittorio. Ma non era questo lo scopo dei social? Non era discutere, confrontarsi, anche incazzarsi? Se una formula matematica si mette contro questa cosa, il social non è più quello per cui è stato pensato: è solo un enorme frullatore di cose, alcune validissime, la maggior parte pessime, in cui si gira a vuoto senza alcun approdo. Ci ripetiamo: alcuni continuano bellamente a fare “numeri” enormi, ma sono sempre gli stessi e la maggior parte è schierata decisamente con Musk e il suo enorme conflitto di interessi.

Il tempo scorre sempre e solo in avanti (l'abbiamo già detto) e perderne troppo in rete è abbastanza stupido. Poi, per amor del cielo, ognuno è libero di fare e dire ciò che gli pare, ma davvero ha ancora senso stare su “X”? Non apriamo il capitolo delle alternative, perché resta nel campo delle scelte personali e proporre un social più di un altro è veramente assurdo. Però è arrivato il momento, anche per noi (Ale è silente da molti mesi, ma l’account è il suo), di dire “Stop.”

“X” è diventato politica e quella che a noi non piace, quella di una nazione che vediamo allo sbando, sempre più arrogante, cinica, spietata, esattamente come i suoi rappresentanti. E’ il covo di una informazione fatta di dichiarazioni rocambolesche, di gesti plateali, di offese continue a chi non si allinea, di razzismo evidente, di violenza verbale e non, di sdoganamento dell’inutile a sfavore della profondità.

Basterebbe questo a rendere la nostra decisione dovuta. Aggiungiamo anche che il fatto di non leggere mai le persone che abbiamo a cuore (ve lo ricordate, sì, l’algoritmo?), quelle a cui ci siamo affezionati e che stimiamo, rende tutto più frustrante. Ecco, è per loro che siamo rimasti finora: per quelle risposte, per le loro domande, per le nostre domande, per il sostenerci nei nostri ideali e nelle tante utopie. Mancheranno, tanto, ma proprio per la coerenza che dovrebbe sempre muovere le azioni di tutti, dobbiamo andarcene.

Le vie del web sono infinite. Magari percorrendone una meno battuta ci si ritroverà.

[Alessandra & Daniele]

#SocialMedia #X #Blog #Personal #Opinioni #Opinion

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Dieci righe 38

Qui, in #FriuliVeneziaGiulia, usiamo dire “Raccontare quella dell'orso”, ad indicare una narrazione lunga e spesso inutile. Sembra proprio il tipo di racconto da adattare ad uno come #Trump. L'uscita del suo prossimo arresto (qui) sembra la solita solfa made in #USA. Abituati, con il consenso di gran parte dell'Occidente “democratico” -virgolette volute- a costruire una narrazione che finisce sempre con un colpo di teatro, con una guerra, un assassinio, una imposizione della loro visione del mondo, gli #StatiUniti monopolizzano sempre e comunque tutto ciò che possono. C'è da sperare che questa cosa sia vera, almeno stavolta. In fondo un idiota del genere sembra proprio adatto ad una commedia tragica. Sarebbe importante che nessuno si facesse male a causa sua, ma quelli sono danni collaterali. Come sempre con loro. (D.)

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Dieci righe 24

C'è sempre chi invoca la leggerezza, sui #SocialNetwork. Ne hanno facoltà, ovviamente. E perchè no, dato che è #Domenica? Per me, che spesso prendo le cose un po' troppo sul serio, anche uno come #Trump è foriero di tenuità. Ricominciando a ciarlare (qui) si comprende come possa mancare, il buffone. E se tutto quello che dice alle persone dotate di intelletto sembra davvero una comica (“...rischiamo una terza guerra mondiale ma io la eviterò”), è anche colui che tira in ballo sempre conflitti e, soprattutto, i complotti. Per i perfettini non bisogna dargli spazio, ma seguendo questa sua uscita ho sentito la levità avvolgermi: la stessa che mi pone al di sopra di quest'uomo inutile. Sorrido. (D.)

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