AD GENTES 13-14

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO II

L'OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA

Art. 2 – La predicazione del Vangelo e la riunione del popolo di Dio

Evangelizzazione e conversione 13 Ovunque Dio apre una porta della parola per parlare del mistero del Cristo (64), ivi a tutti gli uomini (65), con franchezza (66) e con perseveranza deve essere annunziato (67) il Dio vivente e colui che egli ha inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo (68). Solo così i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo (69), crederanno e liberamente si convertiranno al Signore, e sinceramente aderiranno a colui che, essendo «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), risponde a tutte le attese del loro spirito, anzi le supera infinitamente.

Una tale conversione va certo intesa come un inizio: eppure è sufficiente perché l'uomo avverta che, staccato dal peccato, viene introdotto nel mistero dell'amore di Dio, che lo chiama a stringere nel Cristo una relazione personale con lui. Difatti, sotto l'azione della grazia di Dio, il neo-convertito inizia un itinerario spirituale in cui, trovandosi già per la fede in contatto con il mistero della morte e della risurrezione, passa dall'uomo vecchio all'uomo nuovo che in Cristo trova la sua perfezione (70). Questo passaggio, che implica un progressivo cambiamento di mentalità e di costumi, deve manifestarsi nelle sue conseguenze di ordine sociale e svilupparsi progressivamente nel tempo del catecumenato. E poiché il Signore in cui si crede è segno di contraddizione (71), non di rado chi si è convertito va incontro a rotture e a distacchi, ma anche a gioie, che Dio generosamente concede (72).

La Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo in cui rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni sia distolto dalla fede stessa (73).

Secondo una prassi antichissima nella Chiesa, i motivi della conversione vanno bene esaminati, e, se è necessario, purificati.

Catecumenato e iniziazione cristiana 14 Coloro che da Dio, tramite la Chiesa, hanno ricevuto il dono della fede in Cristo (74), siano ammessi nel corso di cerimonie liturgiche al catecumenato. Questo, lungi dall'essere una semplice esposizione di verità dogmatiche e di norme morali, costituisce una vera scuola di formazione, debitamente estesa nel tempo, alla vita cristiana, in cui appunto i discepoli vengono in contatto con Cristo, loro maestro. Perciò i catecumeni siano convenientemente iniziati al mistero della salvezza ed alla pratica della morale evangelica, e mediante dei riti sacri, da celebrare successivamente (75), siano introdotti nella vita religiosa, liturgica e caritativa del popolo di Dio.

In seguito, liberati grazie ai sacramenti dell'iniziazione cristiana dal potere delle tenebre (76), morti e sepolti e risorti insieme con il Cristo (77), ricevono lo Spirito di adozione a figli (78) e celebrano il memoriale della morte e della resurrezione del Signore con tutto il popolo di Dio.

È auspicabile una riforma della liturgia del tempo quaresimale e pasquale, perché sia in grado di preparare l'anima dei catecumeni alla celebrazione del mistero pasquale, durante le cui feste essi per mezzo del battesimo rinascono in Cristo.

Questa iniziazione cristiana nel corso del catecumenato non deve essere soltanto opera dei catechisti o dei sacerdoti, ma di tutta la comunità dei fedeli, soprattutto dei padrini, in modo che i catecumeni avvertano immediatamente di appartenere al popolo di Dio. Essendo la vita della Chiesa apostolica, è necessario che essi imparino a cooperare attivamente all'evangelizzazione ed alla edificazione della Chiesa con la testimonianza della vita e con la professione della fede.

Infine, nel nuovo Codice dovrà essere più esattamente definito lo stato giuridico dei catecumeni. Essi infatti sono già uniti alla Chiesa (79), appartengono già alla famiglia del Cristo (80), e non è raro che conducano già una vita ispirata alla fede, alla speranza ed alla carità. _______________________ NOTE (64) Cf. Col 4,3.

(65) Cf. Mc 16,15.

(66) Cf. At 4,13.29.31; 9,27-28; 13,46; 14,3; 19,8; 26,26; 28,31; 1 Ts 2,2; 2 Cor 3,12; 7,4; Fil 1,20; Ef 3,12; 6,19-20.

(67) Cf. 1 Cor 9,15; Rm 10,14.

(68) Cf. 1 Ts 1,9-10; 1 Cor 1,18-21; Gal 3,1; At 14,15-17; 17,22-31.

(69) Cf. At 16,14.

(70) Cf. Col 3,5-10; Ef 4,20-24.

(71) Cf. Lc 2,34; Mt 10,34-39.

(72) Cf. 1 Ts 1,6.

(73) Cf. CONC. VAT. II, Dich. sulla Libertà Religiosa Dignitatis humanae, nn. 2, 4, 10 [pag. 627ss, 633, 641ss]; Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 21 [pag. 847].

(74) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium,, n. 17: AAS 57 (1965), pp. 20-21 [pag. 153ss].

(75) Cf. CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 64-65: AAS 56 (1964), p. 117 [pag. 55].

(76) Cf. Col 1,13. Su questa libertà dalla schiavitù del demonio e delle tenebre nel Vangelo cf. Mt 12,28; Gv 8,44; 12,31 (cf. 1 Gv 3,8; Ef 2,1-2). Nella Liturgia del Battesimo cf. Rit. Rom.

(77) Cf. Rm 6,4-11; Col 2,12-13; 1 Pt 3,21-22; Mc 16,16.

(78) Cf. 1 Ts 3,5-7; At 8,14-17.

(79) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 14: AAS 57 (1965), p. 19 [pag. 147ss].

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Approfondimenti

Il popolo di Dio ha come primo inderogabile impegno il primo annuncio, la parola della salvezza, l’annuncio di Dio che ci ama fino a mandare il suo Figlio per salvarci e farci vivere la pienezza dell’umanità. Questo annuncio, offerto da una Chiesa caratterizzata dalla gioia che le viene dalla missione, è ciò che si aspetta oggi la gente. Essa ha bisogno di un orientamento, un senso per la vita in un tempo di confusione; essa ha bisogno di trovare ascolto, accoglienza, misericordia e tenerezza. Questo è il primo annuncio che deve essere offerto prima con i gesti che con le prediche.

Bisogna andare al di là della «nuova evangelizzazione», segno caratteristico della missione del tempo di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, per offrire «la Bellezza che salverà il mondo» (Dostoevskij). Il mondo oggi attende un annuncio e insieme una comunità che irradino gioia e attraggano coloro che la incontrano: «La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione» (EG 14).

Questa parola del Papa Benedetto ripresa con insistita frequenza da Francesco, ha “sconvolto” la tradizionale missione ad gentes. Essa sembra squalificare il nostro fare. Non è vero, essa punta all’anima della missione: non sono più le grandi opere che attirano, ma la testimonianza della gioia dei cristiani che mostrano di aver trovato la gioia e la piena umanizzazione nel vangelo del Signore Gesù.

Dall’urgenza del primo annuncio, viene l’impegno della Chiesa missionaria di aprire a tutti i fedeli i tesori della Parola di Dio e di permettere ai fedeli di leggerla, gustarla e trasformarla in vita vissuta.

Senza pretendere dei metodi rigidi, è importante far giungere i fedeli alla lettura spirituale della Parola, quella che si chiama comunemente la lectio divina.

È molto bello vedere i catecumeni e i neofiti desiderare di leggere la Parola, e di rendersi conto che essa è la sorgente da cui sgorga la ricchezza del catechismo, una specie di roadmap per la vita cristiana e per la vita tout court, parola che aiuta a interpretare la propria storia alla luce della storia della salvezza. Compito molto impegnativo per i pastori, imprescindibile tuttavia, quello di aprire e far conoscere la Scrittura, compito che forma insieme i pastori e il popolo di Dio.

La missione ad gentes ci insegna che oggi la Chiesa nella sua azione evangelizzatrice deve cambiare il passo: la proclamazione della Parola deve ormai passare attraverso il dialogo. Chi annuncia il Vangelo non può più continuare a considerarsi il maestro che insegna, ma si dovrà fare amico dell’altro e mettersi a servizio della verità e dell’altro per poter condividere con lui la sua fede e la sua visione della vita.

Anche qui la Chiesa si ritrova davanti una società non più cristiana (la cristianità) con la quale deve fare i conti mettendosi in paziente e cordiale ascolto per aprire con essa il dialogo.

Le nostre comunità nelle città, ma anche fuori di esse, sono ormai comunità poliedriche, composte di elementi non omogenei dove si trovano gomito a gomito cristiani e non cristiani, credenti e non credenti, persone di religioni diverse.

Finito ogni complesso di superiorità, ci sentiamo, come gli altri, cercatori di Dio, che devono fare i conti con l’alterità culturale e religiosa ed evangelizzare in umiltà, senza pretese di assolutezza, ma riconoscendo di essere noi stessi alla ricerca delle tracce di Dio ovunque nella storia e nelle religioni.

Questa che, di primo colpo, potrebbe sembrare una de-missione, è invece una situazione nuova che può rivelarsi un’opportunità che permette alla Chiesa missionaria di ripartire con un passo più evangelico nel rispetto e nell’umile ascolto dell’altro. Questa rivoluzione del dialogo è un dono di Paolo VI con l’enciclica Ecclesiam suam (1964), ha tracciato per il Concilio il cammino della missione: «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (n. 67).

Il dialogo è l’espressione dell’amore della Chiesa per il mondo, non ritenuto più il nemico della Chiesa, ma il partner di una relazione di amicizia che la Chiesa cerca di aprire e intrattenere con tutti nella sincerità della ricerca della verità di Dio.

Da parte dei cristiani legati alla tradizione, si teme che il dialogo comprometta la proclamazione del Vangelo e l’offerta del Battesimo. Noi missionari siamo coscienti che ci sono ambienti in cui l’evangelizzazione non può portare al Battesimo e all'entrata nella Chiesa (cf. Redemptoris missio 10). Non per questo verrà meno la proclamazione del Vangelo, ma, attraverso la testimonianza dei valori evangelici, noi possiamo far maturare la fede e la pratica religiosa dei non cristiani.

Quello che non è lecito è abbandonare questi fratelli che non possono diventare cristiani, perché anch’essi sono fratelli con i quali possiamo vivere quei «valori del regno» che anche Gesù ha promosso nella sua evangelizzazione. E questi sono quei valori che lo Spirito Santo ha seminato nella storia prima dell’arrivo dei missionari ai quali tocca di scoprirli laete et reverenter (con letizia e senso di adorazione, Ad gentes 11), coltivarli e portarli a maturazione.

Come Gesù, anche noi possiamo dire: «Ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare» (Gv 10,16) e affidare allo Spirito di Gesù che ha strade che noi non conosciamo (cf. Gaudium et spes 22) per farle giungere al mistero pasquale.

Certamente il nostro obiettivo inderogabile è far entrare tutti nella comunione con Dio nella Chiesa, anche se qualche volta l’ordine dei tempi si rovescia, secondo il principio scolastico: primum in intentione, ultimum in executione.

da una meditazione di padre Gabriele Ferrari al clero della diocesi di Trento (Tavernerio, 12 novembre 2019)

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