AD GENTES 15

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO II

L'OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA

Art. 3 – La formazione della comunità cristiana

La comunità cristiana 15 Lo Spirito Santo, che mediante il seme della parola e la predicazione del Vangelo chiama tutti gli uomini a Cristo e suscita nei loro cuori l'adesione alla fede, allorché rigenera a nuova vita in seno al fonte battesimale i credenti in Cristo, li raccoglie nell'unico popolo di Dio, che è « stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo di redenti » (81).

Perciò i missionari, come cooperatori di Dio (82), devono dar vita a comunità di fedeli che, seguendo una condotta degna della vocazione alla quale sono state chiamate (83), siano tali da esercitare quella triplice funzione sacerdotale, profetica e regale che Dio ha loro affidata. In questo modo la comunità cristiana diventa segno della presenza divina nel mondo: nel sacrificio eucaristico, infatti, essa passa incessantemente al Padre in unione con il Cristo (84), zelantemente alimentata con la parola di Dio (85) rende testimonianza al Cristo (86) e segue la via della carità, ricca com'è di spirito apostolico (87).

Fin dall'inizio la comunità cristiana deve essere formata in modo che possa provvedere da sola, per quanto è possibile, alle proprie necessità. Un tal gruppo di fedeli, in possesso del patrimonio culturale della nazione cui appartiene, deve mettere profonde radici nel popolo: da esso germoglino famiglie dotate di spirito evangelico (88) e sostenute da scuole appropriate; si costituiscano associazioni e organismi, per mezzo dei quali l'apostolato dei laici sia in grado di permeare di spirito evangelico l'intera società. Risplenda infine la carità tra cattolici appartenenti a diversi riti (89).

Anche lo spirito ecumenico deve essere favorito tra i neofiti, nella chiara convinzione che i fratelli che credono in Cristo sono suoi discepoli, rigenerati nel battesimo e compartecipi di moltissimi tesori del popolo di Dio. Nella misura in cui lo permette la situazione religiosa, va promossa un'azione ecumenica tale che i cattolici, esclusa ogni forma di indifferentismo, di sincretismo e di sconsiderata concorrenza, attraverso una professione di fede – per quanto possibile comune – in Dio ed in Gesù Cristo di fronte ai non credenti, attraverso la cooperazione nel campo tecnico e sociale come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati, secondo le norme del decreto sull'ecumenismo. Collaborino soprattutto per la causa di Cristo, che è il loro comune Signore: sia il suo nome il vincolo che li unisce! Questa collaborazione va stabilita non solo tra persone private, ma anche, secondo il giudizio dell'ordinario del luogo, a livello delle Chiese o comunità ecclesiali, e delle loro opere.

I fedeli, che da tutti i popoli sono riuniti nella Chiesa, «non si distinguono dagli altri uomini né per territorio né per lingua né per istituzioni politiche» (90) perciò debbono vivere per Iddio e per il Cristo secondo le usanze e il comportamento del loro paese: come buoni cittadini essi debbono coltivare un sincero e fattivo amor di patria, evitare ogni forma di razzismo e di nazionalismo esagerato e promuovere l'amore universale tra i popoli.

Grande importanza hanno per il raggiungimento di questi obiettivi, e perciò vanno particolarmente curati, i laici, cioè i fedeli che, incorporati per il battesimo a Cristo, vivono nel mondo. Tocca proprio a loro, penetrati dello Spirito di Cristo, agire come un fermento nelle realtà terrene, animandole dall'interno ed ordinandole in modo che siano sempre secondo il Cristo (91).

Non basta però che il popolo cristiano sia presente ed organizzato nell'ambito di una nazione; non basta che faccia dell'apostolato con l'esempio: esso è costituito ed è presente per annunziare il Cristo con la parola e con l'opera ai propri connazionali non cristiani e per aiutarli ad accoglierlo nella forma più piena.

Inoltre, per la costituzione della Chiesa e lo sviluppo della comunitĂ  cristiana, sono necessari vari tipi di ministero, che, suscitati nell'ambito stesso dei fedeli da una aspirazione divina, tutti debbono diligentemente promuovere e rispettare: tra essi sono da annoverare i compiti dei sacerdoti, dei diaconi e dei catechisti, e l'Azione cattolica. Parimenti i religiosi e le religiose, per stabilire e rafforzare il regno di Cristo nelle anime, come anche per estenderlo ulteriormente, svolgono un compito indispensabile sia con la preghiera, sia con l'attivitĂ  esterna. _______________________ NOTE (81) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 9: AAS 57 (1965), p. 13 [pag. 133ss].

(82) Cf. 1 Cor 3,9.

(83) Cf. Ef 4,1.

(84) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 10, 11, 34: AAS 57 (1965), pp. 10-17, 39-40 [pag. 137ss, 199ss].

(85) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, n. 21: AAS 58 (1966), p. 827 [pag. 543ss].

(86) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 12, 35: AAS 57 (1965), pp. 16, 40-41 [pag. 141ss, 201ss].

(87) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium nn. 23, 36: AAS 57 (1965), pp. 28, 41-42 [pag. 169ss, 203ss].

(88) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 11, 35, 41: AAS 57 (1965), pp. 15-16, 40-41, 47 [pag. 139ss, 201ss, 213ss].

(89) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulle Chiese Cattoliche Orientali, Orientalium Ecclesiarum, n. 4: AAS 57 (1965), pp. 77-78 [pag. 283ss].

(90) Epist. ad Diognetum, 5: PG 2, 1173; cf. Conc. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 38: AAS 57 (1965), p. 43 [pag. 209].

(91) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium n. 32: AAS 57 (1965), p. 38 [pag. 195ss]; Decr. sull’Apostolato dei Laici Apostolicam Actuositatem, nn. 5-7 [pag. 571ss].

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Approfondimenti

Nata come forma della comunità cristiana in grado di comunicare e far crescere la fede nella storia e di realizzare il carattere comunitario della Chiesa, la parrocchia ha cercato di dare forma al Vangelo nel cuore dell’esistenza umana. Essa è la figura più conosciuta della Chiesa per il suo carattere di vicinanza a tutti, di apertura verso tutti, di accoglienza per tutti. Nel cattolicesimo, in particolare in quello italiano, le parrocchie hanno indicato la “vita buona” secondo il Vangelo di Gesù e hanno sorretto il senso di appartenenza alla Chiesa. Con la sua struttura flessibile, la parrocchia è stata in grado, sia pure a volte con fatica, di rispondere alle trasformazioni sociali e alle diverse sensibilità religiose. A livello di parrocchia si coglie la verità di quanto afferma il Concilio Vaticano II, e cioè che «la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena» [CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 40].

Oggi, però, questa figura di parrocchia si trova minacciata da due possibili derive: da una parte la spinta a fare della parrocchia una comunità “autoreferenziale”, in cui ci si accontenta di trovarsi bene insieme, coltivando rapporti ravvicinati e rassicuranti; dall’altra la percezione della parrocchia come “centro di servizi” per l’amministrazione dei sacramenti, che dà per scontata la fede in quanti li richiedono. La consapevolezza del rischio non ci fa pessimisti: la parrocchia nel passato ha saputo affrontare i cambiamenti mantenendo intatta l’istanza centrale di comunicare la fede al popolo. Ciò tuttavia non è sufficiente ad assicurarci che anche nel futuro essa sarà in grado di essere concretamente missionaria.

Perché ciò accada, dobbiamo affrontare alcuni snodi essenziali. Il primo riguarda il carattere della parrocchia come figura di Chiesa radicata in un luogo: come intercettare “a partire dalla parrocchia” i nuovi “luoghi” dell’esperienza umana, così diffusi e dispersi? Altrettanto ci interroga la connotazione della parrocchia come figura di Chiesa vicina alla vita della gente: come accogliere e accompagnare le persone, tessendo trame di solidarietà in nome di un Vangelo di verità e di carità, in un contesto di complessità sociale crescente? E ancora, la parrocchia è figura di Chiesa semplice e umile, porta di accesso al Vangelo per tutti: in una società pluralista, come far sì che la sua “debolezza” aggregativa non determini una fragilità della proposta? E, infine, la parrocchia è figura di Chiesa di popolo, avamposto della Chiesa verso ogni situazione umana, strumento di integrazione, punto di partenza per percorsi più esigenti: ma come sfuggire al pericolo di ridursi a gestire il folklore religioso o il bisogno di sacro? Su questi interrogativi dobbiamo misurarci per riposizionare la parrocchia in un orizzonte più spiccatamente missionario.

da: IL VOLTO MISSIONARIO DELLE PARROCCHIE IN UN MONDO CHE CAMBIA, Nota pastorale della C.E.I. (2004)

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