AD GENTES 19-20

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO III

LE CHIESE PARTICOLARI

Il progresso delle giovani Chiese 19 L'opera di costituzione della Chiesa in un determinato raggruppamento umano raggiunge in certa misura il suo termine, allorché la comunità dei fedeli, inserita ormai profondamente nella vita sociale e in qualche modo modellata sulla cultura locale, gode di una salda stabilità: fornita cioè di una sua schiera, anche se insufficiente, di clero locale, di religiosi e di laici, essa viene arricchendosi di quelle funzioni ed istituzioni che sono necessarie perché il popolo di Dio, sotto la guida di un proprio vescovo, conduca e sviluppi la sua vita.

In queste giovani Chiese appunto la vita del popolo di Dio deve giungere a maturità in tutti i campi della vita cristiana, che deve essere rinnovata secondo le norme di questo Concilio: ed ecco i gruppi di fedeli con crescente consapevolezza si fanno comunità viventi della fede, della liturgia e della carità; i laici, con la loro attività, che è a un tempo civica ed apostolica, si sforzano di instaurare nella città terrena un ordine di giustizia e di carità; l'uso dei mezzi di comunicazione sociale è ispirato a criteri di opportunità e prudenza; le famiglie, praticando la vera vita cristiana, diventano fonte dell'apostolato dei laici e vivaio di vocazioni sacerdotali e religiose. La fede infine è oggetto di insegnamento catechistico appropriato, trova la sua espressione in una liturgia rispondente all'indole del popolo, e viene introdotta, grazie ad un'adeguata legislazione canonica, nelle sane istituzioni umane e nelle consuetudini locali.

I vescovi poi, ciascuno con il proprio presbiterio, approfondendo sempre meglio in se stessi il senso di Cristo e della Chiesa, devono essere in unità di pensieri e di vita con la Chiesa universale. Ed intima resti la comunione delle giovani Chiese con tutta quanta la Chiesa, la cui tradizione esse devono saper collegare in tutti i suoi elementi con la propria cultura, sicché ne risulti, come per uno scambio reciproco di energie, una crescita nella vita del corpo mistico (102). Siano pertanto curati quegli elementi teologici, psicologici ed umani che si rivelano atti ed efficaci per lo sviluppo di questo senso di comunione con la Chiesa universale.

Queste stesse Chiese, che si trovano quasi sempre nelle regioni economicamente depresse del mondo, soffrono per lo più per grave scarsezza di sacerdoti e per mancanza di mezzi materiali. È quindi assolutamente indispensabile che l'azione missionaria continua di tutta la Chiesa fornisca loro quegli aiuti che servano soprattutto allo sviluppo della Chiesa locale e alla maturità della vita cristiana. Questa azione missionaria deve estendere il soccorso anche a quelle Chiese che, pur esistendo da antica data, si trovano, per così dire, in fase di regresso o in uno stato di debolezza.

Tuttavia queste Chiese devono organizzare il lavoro pastorale comune creando opere adatte perché le vocazioni che interessano il clero diocesano o gli istituti religiosi crescano di numero, vengano vagliate con maggiore sicurezza e coltivate con migliore riuscita (103) così, a poco a poco, saranno in grado di provvedere a se stesse e di portare aiuto alle altre.

L'attività missionaria delle Chiese particolari 20 La Chiesa particolare, dovendo riprodurre il più perfettamente possibile la Chiesa universale, abbia la piena coscienza di essere inviata anche a coloro che non credono in Cristo e vivono nel suo stesso territorio, al fine di costituire, con la testimonianza di vita dei singoli fedeli e della comunità tutta, il segno che addita loro il Cristo (104).

È inoltre necessario il ministero della parola, perché il messaggio evangelico giunga a tutti. Il vescovo deve essere essenzialmente il messaggero di fede che porta nuovi discepoli a Cristo. Per rispondere bene a questo nobilissimo compito deve conoscere a fondo sia le condizioni del suo gregge, sia la concezione che di Dio hanno i suoi concittadini, tenendo conto esattamente anche dei mutamenti introdotti dalla cosiddetta urbanizzazione, dal fenomeno della emigrazione e dall'indifferentismo religioso.

I sacerdoti locali attendano con molto zelo all'opera di evangelizzazione nelle giovani Chiese, collaborando attivamente con i missionari di origine straniera, con i quali costituiscono un unico corpo sacerdotale riunito sotto l'autorità del vescovo: ciò non solo per pascere i propri fedeli e per celebrare il culto divino, ma anche per predicare il Vangelo a coloro che stanno fuori. Perciò dimostrino prontezza e, all'occasione, si offrano generosamente al proprio vescovo per iniziare l'attività missionaria nelle zone più lontane ed abbandonate della propria diocesi o anche di altre diocesi.

Dello stesso zelo siano animati i religiosi e le religiose, ed anche i laici verso i propri concittadini, specie quelli più poveri.

Le conferenze episcopali procurino che periodicamente si tengano corsi di aggiornamento biblico, teologico, spirituale e pastorale, allo scopo di consentire al clero, di fronte al variare incessante delle situazioni, di approfondire la conoscenza della teologia e dei metodi pastorali.

Quanto al resto, si osservino religiosamente tutte le disposizioni che questo Concilio ha emanato, specialmente quelle del decreto relativo al ministero ed alla vita sacerdotale.

Una Chiesa particolare, per poter realizzare la propria opera missionaria, ha bisogno di ministri adatti, che vanno preparati tempestivamente in maniera rispondente alle condizioni di ciascuna di esse. E poiché gli uomini tendono sempre più a riunirsi in gruppi, è sommamente conveniente che le conferenze episcopali concordino una comune linea di azione, in ordine al dialogo da stabilire con tali gruppi. Se però in certe regioni esistono dei gruppi di uomini, che sono distolti dall'abbracciare la fede cattolica dall'incapacità di adattarsi a quella forma particolare che la Chiesa ha assunto in mezzo a loro, è senz'altro desiderabile che si provveda ad una tale situazione con misure particolari (105) finché non si arrivi a riunire tutti i cristiani in un'unica comunità. Se poi la santa Sede dispone di missionari preparati a questo scopo, pensino i singoli vescovi a chiamarli nelle proprie diocesi o li accolgano ben volentieri, favorendo efficacemente le loro iniziative.

Perché questo zelo missionario fiorisca nei membri della loro patria, è altresì conveniente che le giovani Chiese partecipino quanto prima effettivamente alla missione universale della Chiesa, inviando anch'esse dei missionari a predicare il Vangelo dappertutto nel mondo, anche se soffrono di scarsezza di clero. La comunione con la Chiesa universale raggiungerà in un certo senso la sua perfezione solo quando anch'esse prenderanno parte attiva allo sforzo missionario diretto verso le altre nazioni.

_______________________ NOTE (102) Cf. GIOVANNI XXIII, Princeps Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 838.

(103) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sul Ministero e la Vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 11 [pag. 803ss]; Decr. sulla Formazione Sacerdotale Optatam totius, n. 2 [pag. 441ss].

(104) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 25: AAS 57 (1965), p. 29 [pag. 191ss].

(105) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sul Ministero e la Vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 10, dove per rendere più facili le opere pastorali particolari per le diverse classi sociali si prevede la costituzione di Prelature personali, in quanto il corretto esercizio dell’apostolato lo avrà richiesto [pag. 801ss].

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Approfondimenti

Il 21 aprile 1957 – giorno di Pasqua – Pio XII promulgava un’enciclica che avrebbe suscitato in tutto il mondo un incredibile movimento missionario. Da allora il titolo del documento, Fidei Donum, il dono della fede, indica un tipo particolare di sacerdote: quello che, rimanendo prete diocesano, sente la vocazione missionaria e parte, inviato dal suo vescovo e dalla sua Chiesa, come “dono di fede” alle terre di missione. I fidei donum non vanno confusi con i missionari religiosi perché restano diocesani e – dopo un periodo più o meno lungo – tornano in patria per “contagiare” le Chiese d’origine con la loro esperienza missionaria.

L’enciclica di Pacelli è decisamente profetica, perché anticipa uno dei “pilastri” del Concilio Vaticano II (1962-65), cioè lo spirito missionario che deve animare tutta la Chiesa e ogni battezzato, anche se l’impianto concettuale e il linguaggio non sono certo conciliari. Il documento indica come terra di missione soprattutto l’Africa, investita dalla ventata di indipendenza che porta, con sanguinose rivolte e guerre, alla fine del colonialismo e alla nascita di molti nuovi Stati.

In realtà sono molto più numerosi i preti partiti per l’America Latina; seguono l’Africa e, in misura marginale, l’Asia e l’Oceania. Il concetto di Pio XII sarà approfondito e sviluppato dal Concilio, da Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II, che nell’enciclica Redemptoris missio del 1990 afferma: «I presbiteri evidenziano in modo singolare il vincolo di comunione tra le Chiese, danno un prezioso apporto alla crescita di comunità ecclesiali bisognose, mentre attingono da esse freschezza e vitalità di fede».

L’ispirazione di fondo del fenomeno è lo scambio di doni, ma ora lo scenario è totalmente mutato. Numerose diocesi faticano a garantire una normale attività evangelizzatrice e pastorale per la carenza di sacerdoti, per l’età sempre più avanzata e per la mancanza di vocazioni, fenomeni ancora più accentuati nelle congregazioni religiose. In cinquant’anni la situazione si è ribaltata: nell'ottobre 2007 i fidei donum italiani nel mondo sono 575, mentre i preti “importati” dal Terzo Mondo sono 1800.

La 57ª assemblea della Cei, svoltasi in Vaticano dal 21 al 25 maggio 2007, ha riletto in una chiave ecclesiale e missionaria più vasta l’entusiasmante storia dei fidei donum.

La prima fase (1957-1968) registra una partenza molto stentata: nel 1968 in Africa operano solo 40 preti.

La seconda fase (1969-1985) è molto vivace: il Concilio rilancia decisamente la missio ad gentes, c’è un forte aumento dei missionari e dei fidei donum (nel 1975 salgono a 108 e nel 1979 a 143). La novità è la partenza dei laici, in special modo coppie di sposi. A metà degli anni Ottanta la maggior presenza: circa 700 unità.

La terza fase (1986-2006) registr un lento e inarrestabile calo: dai 713 del 1996 ai 575 del 2006 (dati CEI).

In cinquant’anni, dal 1957 al 2007, i fidei donum sono stati circa 2000. Un numero limitato, ma un fenomeno sorprendente per i risultati maturati nelle comunità: nessun altro soggetto missionario ha portato la cooperazione tra le Chiese nell’esperienza delle persone, delle parrocchie, delle diocesi. Attorno a questi protagonisti della missione si è creata una vasta rete di rapporti personali, familiari, parrocchiali, ecclesiali, con un’incredibile capillarità di iniziative e una galassia di amici, sostenitori, volontari.

Più dei missionari e delle missionarie degli istituti religiosi, rimasti lontani dalle Chiese di origine nella formazione e nel servizio, i fidei donum conservano costanti rapporti con le comunità che hanno visto crescere la loro vocazione e in cui hanno esercitato il ministero. Confratelli, parrocchie e fedeli imparano a conoscere la missione proprio grazie ai fidei donum. Corrispondenza, viaggi e Internet favoriscono i contatti e lo scambio. Spesso le diocesi valorizzano l’esperienza come espressione del protagonismo missionario e i vescovi conoscono le giovani Chiese visitando i loro preti e accogliendo vescovi e sacerdoti delle diocesi “gemellate”. È, insomma, un “ponte tra le Chiese”.

Ci sono state anche grosse difficoltà. All’inizio un certo stile “colonialistico” dei preti in missione; le remore di vescovi, preti e fedeli dei Paesi ospitanti ad accettare il “dono della fede”; l’eccessivo isolamento e l’incapacità di lavorare in équipes tra preti di continenti e Paesi diversi; la difficoltà di imparare le lingue e i dialetti. Tuttavia, scrive monsignor Moacyr Grechi, vescovo in Amazzonia dal 1972, «tra i fidei donum ho incontrato alcuni tra i migliori preti della mia lunga vita di vescovo e ho apprezzato la loro disponibilità a lavorare nei luoghi più difficili». Ben 25 fidei donum sono stati nominati vescovi e ben più di un centinaio ricoprono o hanno ricoperto compiti delicati e importanti: vicari generali, vicari episcopali per la pastorale, rettori e padri spirituali nei Seminari, parroci delle cattedrali.

da: L’enciclica “Fidei donum” del 1957 UN PONTE TRA LE CHIESE, di Pier Giuseppe Accornero

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