AD GENTES 21-22

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO III

LE CHIESE PARTICOLARI

L'apostolato dei laici 21 La Chiesa non si può considerare realmente fondata, non vive in maniera piena, non è segno perfetto della presenza di Cristo tra gli uomini, se alla gerarchia non si affianca e collabora un laicato autentico. Non può infatti il Vangelo penetrare ben addentro nella mentalità, nel costume, nell'attività di un popolo, se manca la presenza dinamica dei laici. Perciò, fin dal periodo di fondazione di una Chiesa, bisogna dedicare ogni cura alla formazione di un maturo laicato cristiano.

La ragione è che i fedeli laici appartengono insieme al popolo di Dio e alla società civile. Appartengono anzitutto alla propria nazione, perché vi son nati, perché con la educazione han cominciato a partecipare al suo patrimonio culturale, perché alla sua vita si rannodano nella trama multiforme delle relazioni sociali, perché al suo sviluppo cooperano e danno un personale contributo con la loro professione, perché i suoi problemi essi sentono come loro problemi e come tali si sforzano di risolverli. Ma essi appartengono anche a Cristo, in quanto nella Chiesa sono stati rigenerati attraverso la fede e il battesimo, affinché, rinnovati nella vita e nell'opera, siano di Cristo (106), ed in Cristo tutto a Dio sia sottoposto, e finalmente Dio sia tutto in tutti (107).

Principale loro compito, siano essi uomini o donne, è la testimonianza a Cristo, che devono rendere, con la vita e con la parola, nella famiglia, nel gruppo sociale cui appartengono e nell'ambito della professione che esercitano. In essi deve realmente apparire l'uomo nuovo, che è stato creato secondo Dio in giustizia e santità della verità (108). Questa vita nuova debbono esprimerla nell'ambito della società e della cultura della propria patria, e nel rispetto delle tradizioni nazionali. Debbono perciò conoscere questa cultura, purificarla, conservarla e svilupparla in armonia con le nuove condizioni, e infine perfezionarla in Cristo, affinché la fede di Cristo e la vita della Chiesa non siano già elementi estranei alla società in cui vivono, ma comincino a penetrarla ed a trasformarla. I laici si sentano uniti ai loro concittadini da sincero amore, rivelando con il loro comportamento quel vincolo assolutamente nuovo di unità e di solidarietà universale, che attingono dal mistero del Cristo. Diffondano anche la fede di Cristo tra coloro a cui li legano vincoli sociali e professionali: questo obbligo è reso più urgente dal fatto che moltissimi uomini non possono né ascoltare il Vangelo né conoscere Cristo se non per mezzo di laici che siano loro vicini. Anzi, laddove è possibile, i laici siano pronti a cooperare ancora più direttamente con la gerarchia, svolgendo missioni speciali per annunziare il Vangelo e divulgare l'insegnamento cristiano: daranno così vigore alla Chiesa che nasce.

I ministri della Chiesa da parte loro abbiano grande stima dell'attività apostolica dei laici: li educhino a quel senso di responsabilità che li impegna, in quanto membra di Cristo, dinanzi a tutti gli uomini; diano loro una conoscenza approfondita del mistero del Cristo, insegnino loro i metodi di azione pastorale e li aiutino nelle difficoltà, secondo lo spirito della costituzione Lumen gentium e del decreto Apostolicam actuositatem.

Nel pieno rispetto dunque delle funzioni e responsabilità specifiche dei pastori e dei laici, la giovane Chiesa tutta intera renda a Cristo una testimonianza unanime, viva e ferma, divenendo così segno luminoso di quella salvezza che a noi è venuta nel Cristo.

Tradizioni particolari nell'unità ecclesiale 22 Il seme, cioè la parola di Dio, germogliando nel buon terreno irrigato dalla rugiada divina, assorbe la linfa vitale, la trasforma e l'assimila per produrre finalmente un frutto abbondante. Indubbiamente, come si verifica nell'economia dell'incarnazione, le giovani Chiese, che han messo radici in Cristo e son costruite sopra il fondamento degli apostoli, hanno la capacità meravigliosa di assorbire tutte le ricchezze delle nazioni, che appunto a Cristo sono state assegnate in eredità (109). Esse traggono dalle consuetudini e dalle tradizioni, dal sapere e dalla cultura, dalle arti e dalle scienze dei loro popoli tutti gli elementi che valgono a render gloria al Creatore, a mettere in luce la grazia del Salvatore e a ben organizzare la vita cristiana (110).

Per raggiungere questo scopo è necessario che, nell'ambito di ogni vasto territorio socio-culturale, come comunemente si dice, venga promossa una ricerca teologica di tal natura per cui, alla luce della tradizione della Chiesa universale, siano riesaminati fatti e parole oggetto della Rivelazione divina, consegnati nella sacra Scrittura e spiegati dai Padri e dal magistero ecclesiatico. Si comprenderà meglio allora secondo quali criteri la fede, tenendo conto della filosofia e del sapere, può incontrarsi con la ragione, ed in quali modi le consuetudini, la concezione della vita e la struttura sociale possono essere conciliati con il costume espresso nella Rivelazione divina. Ne risulteranno quindi chiari i criteri da seguire per un più accurato adattamento della vita cristiana nel suo complesso. Così facendo sarà esclusa ogni forma di sincretismo e di particolarismo fittizio, la vita cristiana sarà commisurata al genio e al carattere di ciascuna cultura (111), e le tradizioni particolari insieme con le qualità specifiche di ciascuna comunità nazionale, illuminate dalla luce del Vangelo, saranno assorbite nell'unità cattolica. Infine le nuove Chiese particolari, conservando tutta la bellezza delle loro tradizioni, avranno il proprio posto nella comunione ecclesiale, lasciando intatto il primato della cattedra di Pietro, che presiede all'assemblea universale della carità (112).

È dunque desiderabile, per non dire sommamente conveniente, che le conferenze episcopali si riuniscano insieme nell'ambito di ogni vasto territorio socio-culturale, per poter realizzare, in piena armonia tra loro ed in uniformità di decisioni, questo piano di adattamento.

_______________________ NOTE (106) Cf. 1 Cor 15,23.

(107) Cf. 1 Cor 15,28.

(108) Cf. Ef 4,24.

(109) Cf. Sal 2,8.

(110) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 13: AAS 57 (1965), pp. 17-18 [pag. 143ss].

(111) Cf. Disc. di PAOLO VI nella Canon. dei Ss. Mart. dell’Uganda, 18 ott. 1964: AAS 56 (1964), p. 908.

(112) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 13: AAS 57 (1965), p. 18 [pag. 143ss].

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Approfondimenti

Dal momento che la missione della Chiesa continua la missione di Gesù Cristo, la via dell’Incarnazione conduce a cercare quello che i padri chiamano l’adattamento; che è dire, la conversione al Vangelo assumendo generosamente e con attenzione le tradizioni culturali locali. Senza questo non c’è una vera Chiesa particolare; se non sotto le mentite spoglie di una «filiale» imbrigliata nelle fitte maglie della rete di certo colonialismo ecclesiastico. Ad gentes intende liberare la missione dal modulo della tabula rasa, quello che si alimenta alla convinzione che l’unità cattolica coincida con l’uniformità predatrice, insofferente per ogni alterità. Nello schema della tabula rasa c’è la persuasione che la differenza nel vivere il Vangelo sia nemico giurato dell’unità cattolica. Da qui l’imposizione dei propri modi di vivere il Vangelo come condizione cui gli altri devono sottomettersi per entrare nella comunione con il Signore. Insensibili alla discreta presenza della Parola di Dio in storie e culture, contrari a riconoscere il valore di ciascuna tradizione religiosa, le Chiese abituate a quello schema vanno a ingiungere le proprie tradizioni e la propria lingua religiosa come giogo pesante per camminare con Dio (cfr. nn. 11.22). Invece il Vangelo deve giungere a tutti, così che tutti, ciascuno nella sua lingua e secondo il proprio modo di intendere, lo accolgano e lo pratichino «inventando» la loro maniera di vivere il Vangelo e di essere Chiesa, senza dover scimmiottare in modo umiliante un unico modo di essere Chiesa (che sarebbe poi quello che abbiamo in mente noi: superbi, infantili nel presumere che il Vangelo coincida con il nostro modo di viverlo!).

Tornando al principio: «Inviata da Dio alle genti per essere “sacramento universale di salvezza” (LG 48), la Chiesa, per le esigenze più profonde della sua cattolicità e obbedendo al mandato del suo Fondatore, si sforza di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini» (n. 1). Ad gentes divinitus missa. Sì, divinamente inviata: non ci basta ribadire che Dio è il mandante. Ci vien ricordato che il modo dell’invio è divino; il che non ci immette in una altezzosa sacralità, magari stravagante e fuori dal mondo… e contro le genti. Siccome siamo divinamente mandati, siamo caricati (giogo soave) della memoria del “come” Gesù mandò i suoi e anche noi. “Come il Padre mi ha mandato, così io mando voi”: il senso di quel divinamente sta qui, il modo divino dell’invio sta qui. Nell’originaria reciprocità di amore del Padre e del Figlio fiorisce l’invio del Figlio; il soffio eterno dello Spirito, custode vivace dello stare del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre, consacra il Figlio nella missione messianica e ne inventa i cammini folli e scandalosi. Allo stesso modo – questo modo divino – la Chiesa è inviata, “divinamente” appunto: principio della sua missione è il suo “stare con Gesù”, il suo venire e permanere nell’amore del Figlio godendo così dello stesso grembo del Padre, ricevendo lo Spirito per continuare nella memoria del Figlio, come memoria del Figlio e delle sue parole. Lo stare del Padre e del Figlio in noi, il nostro stare nel Figlio dentro il seno del Padre: questo fonda la missione, sempre. Questo ne è la radice, la fonte… Senza questa intimità, la missione muore.

Resisteremo nella divinità di questo invio? Onoreremo la missione “stando in Gesù”, a modo suo? Come provare che “divinamente” siamo mandati? Se stiamo a contemplare l’unzione e la missione di Gesù, dobbiamo riconoscere che l’annuncio della buona notizia ai poveri (cfr. Lc 4,18) attesta che la Chiesa è divinamente inviata: non altro.

da: Itinerario Formativo 2015/2016: «DALL’AD GENTES ALL’EVANGELII NUNTIANDI» Scheda 2 – Ad Gentes Divinitus Missa: Inviata divinamente alle genti, Ufficio per la Pastorale Missionaria dell'Arcidiocesi di Milano

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