BARUC – Capitolo 4

Il dono della sapienza-legge a Israele 3,36-4,4 1Essa è il libro dei decreti di Dio e la legge che sussiste in eterno; tutti coloro che si attengono ad essa avranno la vita, quanti l’abbandonano moriranno. 2Ritorna, Giacobbe, e accoglila, cammina allo splendore della sua luce. 3Non dare a un altro la tua gloria né i tuoi privilegi a una nazione straniera. 4Beati siamo noi, o Israele, perché ciò che piace a Dio è da noi conosciuto.

ORACOLO PROFETICO DI CONSOLAZIONE

Introduzione: restaurazione di Gerusalemme 5Coraggio, popolo mio, tu, memoria d’Israele! 6Siete stati venduti alle nazioni non per essere annientati, ma perché avete fatto adirare Dio siete stati consegnati ai nemici. 7Avete irritato il vostro creatore, sacrificando a dèmoni e non a Dio. 8Avete dimenticato chi vi ha allevati, il Dio eterno, avete afflitto anche colei che vi ha nutriti, Gerusalemme.

Gerusalemme vedova e desolata 9Essa ha visto piombare su di voi l’ira divina e ha esclamato: «Ascoltate, città vicine di Sion, Dio mi ha mandato un grande dolore. 10Ho visto, infatti, la schiavitù in cui l’Eterno ha condotto i miei figli e le mie figlie. 11Io li avevo nutriti con gioia e li ho lasciati andare con pianto e dolore. 12Nessuno goda di me nel vedermi vedova e abbandonata da molti; sono stata lasciata sola per i peccati dei miei figli, perché hanno deviato dalla legge di Dio, 13non hanno riconosciuto i suoi decreti, non hanno seguito i suoi comandamenti, non hanno proceduto per i sentieri della dottrina, secondo la sua giustizia.

Il nemico straniero 14Venite, o città vicine di Sion, ricordatevi la schiavitù in cui l’Eterno ha condotto i miei figli e le mie figlie. 15Ha mandato contro di loro una nazione da lontano, una nazione malvagia di lingua straniera, che non ha avuto rispetto dei vecchi né pietà dei bambini. 16Hanno strappato via i prediletti della vedova e l’hanno lasciata sola, senza figlie».

La solitudine della città 17E io come posso aiutarvi? 18Chi vi ha afflitto con tanti mali saprà liberarvi dalle mani dei vostri nemici. 19Andate, figli miei, andate, io sono rimasta sola. 20Ho deposto l’abito di pace, ho indossato la veste di sacco per la supplica, griderò all’Eterno per tutti i miei giorni.

Il ritorno 21Coraggio, figli miei, gridate a Dio, ed egli vi libererà dall’oppressione e dalle mani dei nemici. 22Io, infatti, ho sperato dall’Eterno la vostra salvezza e una grande gioia mi è venuta dal Santo, per la misericordia che presto vi giungerà dall’Eterno, vostro salvatore. 23Vi ho lasciati andare con dolore e pianto, ma Dio vi ricondurrà a me con letizia e gioia, per sempre. 24Come ora le città vicine di Sion vedono la vostra schiavitù, così ben presto vedranno la salvezza che vi giungerà dal vostro Dio; essa verrà a voi con grande gloria e splendore dell’Eterno. 25Figli, sopportate con pazienza la collera che da Dio è venuta su di voi. Il tuo nemico ti ha perseguitato, ma vedrai ben presto la sua rovina e gli calpesterai la nuca. 26I miei teneri figli hanno camminato per aspri sentieri, sono stati portati via come gregge rapito dal nemico.

La conversione 27Coraggio, figli, gridate a Dio, poiché si ricorderà di voi colui che vi ha afflitti. 28Però, come pensaste di allontanarvi da Dio, così, ritornando, decuplicate lo zelo per ricercarlo; 29perché chi vi ha afflitto con tanti mali vi darà anche, con la vostra salvezza, una gioia perenne.

La maledizione dei nemici 30Coraggio, Gerusalemme! Colui che ti ha dato un nome ti consolerà. 31Sventurati coloro che ti hanno fatto del male, che hanno goduto della tua caduta; 32sventurate le città in cui sono stati schiavi i tuoi figli, sventurata colei che li ha trattenuti. 33Come ha gioito per la tua caduta e si è allietata per la tua rovina, così si affliggerà per la sua solitudine. 34Le toglierò l’esultanza di essere così popolata, la sua insolenza sarà cambiata in dolore. 35Un fuoco cadrà su di essa per lunghi giorni per volere dell’Eterno, e per molto tempo sarà abitata da dèmoni.

La gioia viene da Dio 36Guarda a oriente, Gerusalemme, osserva la gioia che ti viene da Dio. 37Ecco, ritornano i figli che hai visto partire, ritornano insieme riuniti, dal sorgere del sole al suo tramonto, alla parola del Santo, esultanti per la gloria di Dio.

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Approfondimenti

ORACOLO PROFETICO DI CONSOLAZIONE 4,5-5,9 Mentre la seconda parte era di tipo sapienziale, la terza è di stile protetico-lirico, ispirata al modelli del Secondo e Terzo Isaia. I frequenti imperativi richiamano in particolare Is 51,9-52,6. Si articola in tre sezioni:

Il tono cambia: dalla lamentazione alla speranza, dalla tristezza alla gioia. Il centro geografico (e teologico) non è più l'esilio, ma Gerusalemme, punto da cui si contempla il movimento di allontanamento e di ritorno. Lo sguardo si volge ad oriente (4,36), si fa poi universale «da occidente ad oriente» 5,5). Ma soltanto gli Israeliti sono in movimento verso Gerusalemme, non i popoli pagani come in Is 2,2-5; Is 66; Zc 8,20-23.

Al posto della relazione di alleanza subentrano immagini di rapporti familiari: Dio è come un Padre che ha creato, allevato e nutrito i suoi figli (4,7-8), Gerusalemme è una madre feconda di figli (4,10), divenuta vedova desolata (4,12.16) e sola (4,19), ma che ora li vede ritornare esultanti (4,37); Gerusalemme è la sposa dell'Eterno, alla quale egli ha dato un nome (cfr. Sal 46,5; Is 60,14; Is 62,1-9; «dare un nome» è farla la propria città-sposa). Dio è chiamato «l'Eterno» otto volte (4,10.14.20.22[2 volte].24.35; 5,2) oppure «Dio eterno» (4,8).

Importante è la simbolica del vestito: «l'abito di pace» (4,20), «la veste del lutto e dell'afflizione» (5, 1), «il manto della giustizia» (5,2).

Alcuni segnali di struttura sottolineano, con la loro ripetizione, l'unità dell'intero brano: «Coraggio, popolo mio» (4,5; cfr. 4,21.27.30); «Ascoltate, città vicine di Sion» (4,9; cfr. 4,14); «Guarda ad oriente, Gerusalemme» (4,36; cfr. 5,5).

Il tema dominante è il ritorno alla città santa dalla dispersione attraverso la conversione a Dio. Se il popolo si converte al suo Dio, allora l'Israele disperso ritroverà la sua unità intorno al suo centro, Gerusalemme.

Il parallelismo tra questa parte di Baruc e l'apocrifo Salmo 11 di Salomone (metĂ  del sec. I a.C.) e la probabile dipendenza del nostro testo da codesto scritto giudaico fanno concludere che verosimilmente Baruc non ebbe la sua redazione definitiva prima della metĂ  del I sec. a.C.

Introduzione: restaurazione di Gerusalemme 4,5-8 Con riferimento a Dt 32,15-21, si afferma che Israele fu consegnato in mano ai suoi nemici a causa della sua cattiva condotta (cfr. Is 50,1) e per la sua idolatria. I «demoni» (in greco: daimoniois) sono i falsi dei e gli idoli (cfr. Sal 106,37-38; 96,5 LXX: daimonia per «idoli»). Il popolo ha «irritato» il suo creatore, per usare una terminologia cara al Dt e a Ger; ha «dimenticato» l'Eterno, il vero Dio (cfr. Is 40,28), da cui ha avuto la vita (Dt 32, 18); ha «afflitto» la propria madre, Gerusalemme. Tuttavia esso conserva la memoria e il nome di Israele (4,5) e le promesse di Dio. Non è dunque destinato all'annientamento e può sperare nella liberazione.

Gerusalemme vedova e desolata 4,9-13 La metropoli di Gerusalemme, ora privata dei suoi figli e figlie, rimasta vedova (cfr, Lam 1,1), spiega alle «città vicine» (4,9) la sventura che l'ha colpita. Le «città vicine» sono le capitali dei regni vicini (cfr. Ez 16,57; 23,48). La madre addolorata, che ha visto andarsene i figli, riconosce coraggiosamente la causa della loro dispersione: con terminologia deuteronomistica, sono «i peccati dei miei figli» (v. 12), che deviarono dalla legge (cfr. Dt 5,32; 9,12-16; Gs 23,6; 1Re 15,5), non si curarono dei decreti di Dio (cfr. 2Re 17,26), non seguirono i suoi comandamenti (cfr. Dt 8,6; 10,12; 26,17; 28,9; 30,16); non hanno seguito i sentieri o la via della giustizia (cfr. Prv 8,20). La vedova esclama: «Dio mi ha mandato un grande dolore» (4,9), segno dell'ira divina. Che senso ha la metafora dell'ira divina? Dire che Dio è adirato o che Dio invia un dolore significa aiutare il peccatore a porsi davanti a Dio e dire: contro te solo ho peccato! Infatti misura del peccato è il “davanti a Dio” e non la coscienza del peccatore. E per questo che occorre che un altro denunzi il peccato, perché la coscienza è essa stessa inclusa nel peccato e diventa menzogna e malafede. L'ira divina è una metafora per annunciare il peccato.

Il nemico straniero 4,14-16 Come era stato minacciato nelle maledizioni di Dt 28,49-50 e da Geremia (5,15.17; 6,22-23), Dio ha mandato contro Israele un popolo lontano, straniero, crudele e senza pietà per nessuno, nemmeno per i vecchi e i bambini. Ancora è rimarcato che è stato l'Eterno a condurre in schiavitù (4,14). Se Dio non fosse presente, la condizione del suo popolo gli sarebbe estranea; attribuirla a lui è un modo per dire che egli può anche cambiarla.

La solitudine della città 4,17-20 La “madre” Gerusalemme si rivolge ai suoi figli, non invitandoli alla ribellione contro il Signore bensì affermando: «Chi vi ha afflitto... saprà liberarvi» (4,18). Addirittura esclama: «Andate, ...andate» (4,19). Non è possibile evitare ogni male, sfuggire ad ogni sventura. Sarebbe un'illusione pensare di potersi sottrarre a qualsiasi disgrazia. La madre ha deposto «l'abito di pace», cioè dei tempi felici; ha indossato il cilicio della penitenza, della supplica fiduciosa all'Eterno che può cambiare la sua condizione miserevole.

Il ritorno 4,21-26 Ecco la certezza della madre: «Dio vi ricondurrà a me con letizia e gioia, per sempre» (4,23). La salvezza (4,24) non tarderà, anzi verrà «ben presto» (4,22.24.25). Dio è il salvatore: egli libererà (4,21), opererà la salvezza come «Eterno vostro salvatore» (4,22), «vi ricondurrà a me» (4,23). Da Dio verrà allora «letizia e gioia», che durerà per sempre (4,23). Dio farà trionfare la sua «misericordia» (4,22), la sua «grande gloria» e il suo «splendore» (4,24). Il ritorno, insomma, sarà opera di Dio, sua “grazia”; in lui dunque occorre sperare (4,22), gridando a lui (4,21: «gridate a Dio»). Allora apparirà la rovina del nemico (4,25) e la sua reale debolezza, tanto che Israele calcherà il piede sul suo collo, cioè lo dominerà e gli sarà superiore (4,25; cfr. Gs 10,24), vittorioso. I piedi delicati degli Israeliti hanno dovuto camminare per aspri sentieri (4,26), il popolo era stato ridotto a un gregge rapito dal nemico (4,26), ma la «tenera e voluttuosa» (Is 47,1) Babilonia scenderà dal suo trono e siederà sulla polvere.

La conversione 4,27-29 Ora l'esortazione è a convertirsi al Signore, a decuplicare lo zelo per ricercarlo (4,28). Questo è il kerygma centrale: il ritorno attraverso la conversione; «decuplicate»: il numero dieci indica la totalità e perciò anche la continuità della ricerca (cfr. Nm 14,22; Gb 19,3). Dio infatti «si ricorderà di voi», cioè interverrà a vostro favore, potendo liberarvi dalla prova che egli controlla e domina, poiché egli «vi ha provati» (4,27). La salvezza, e la gioia perenne (cfr. Is 35,10; 51,11; 61,7) che ne consegue, saranno dono di Dio. In realtà non sarà Dio a “cambiare” atteggiamento, ma gli Israeliti che si erano allontanati da Dio (4,28) e ora ritornano a lui e lo ricercano.

La maledizione dei nemici 4,30-35 Una promessa di consolazione (come in Sof 3,16) per Gerusalemme: Dio stesso la consolerà (cfr. Is 51,3.12), ossia cambierà la sua condizione perché la città gli appartiene, avendole egli dato un nome (4,30). Ma non può mancare la maledizione per chi ha oppresso, trattenuto e ridotto in schiavitù gli Israeliti, per chi ha goduto e gioito per la rovinosa caduta di Gerusalemme. La principale responsabile è l'innominata Babilonia, che «ha trattenuti» (4,32) i figli di Gerusalemme schiavi. Essa sarà devastata, spopolata, riempita di lutti: il giudizio divino piomberà su di essa come un fuoco (cfr. Is 47,14) e per molto tempo sarà abitata da «demoni» (4,35; cfr. Is 13,19-21 dove si parla di «satiri», ma nella versione greca di «demoni»). Si tratta probabilmente della credenza che i luoghi deserti e disabitati fossero la dimora dei demoni. «Maledire» significa escludere dalla propria vita, quindi negare qualsiasi connivenza e corresponsabilità. Chi ha oppresso, ucciso, devastato deve sentire una condanna inequivocabile. Il duro linguaggio della maledizione è un modo per esprimere la sete di giustizia, il desiderio che nel mondo finisca per sempre il dominio del male.

La gioia viene da Dio 4,36-37_ Il ritorno dei figli dalla diaspora e dall'esilio è «la gioia che ti viene da Dio» (4,36). Non solo tornano dall'oriente (=esilio), ma «dall'oriente all'occidente» (4,37), da ogni luogo della diaspora. Tutti sono guidati dalla parola del Santo (4,37), sono «riuniti» come un solo popolo ed esultanti non per una vittoria propria ma «per la gloria di Dio» che si manifesta potente e invincibile. Le promesse si adempiono: «guarda, osserva, ecco»; non si tratta del futuro, ma del presente.

(cf. ANTONIO BONORA, Baruc – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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