DANIELE – Capitolo 3

L'ADORAZIONE DELLA STATUA D'ORO

La prova dei compagni di Daniele 1Il re Nabucodònosor aveva fatto costruire una statua d’oro, alta sessanta cubiti e larga sei, e l’aveva fatta erigere nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia. 2Quindi il re Nabucodònosor aveva convocato i sàtrapi, i governatori, i prefetti, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province, perché presenziassero all’inaugurazione della statua che il re Nabucodònosor aveva fatto erigere. 3I sàtrapi, i governatori, i prefetti, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province vennero all’inaugurazione della statua che aveva fatto erigere il re Nabucodònosor. Essi si disposero davanti alla statua fatta erigere da Nabucodònosor. 4Un banditore gridò ad alta voce: «Popoli, nazioni e lingue, a voi è rivolto questo proclama: 5Quando voi udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpa, del salterio, della zampogna e di ogni specie di strumenti musicali, vi prostrerete e adorerete la statua d’oro che il re Nabucodònosor ha fatto erigere. 6Chiunque non si prostrerà e non adorerà, in quel medesimo istante sarà gettato in mezzo a una fornace di fuoco ardente». 7Perciò tutti i popoli, nazioni e lingue, non appena ebbero udito il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpa, del salterio e di ogni specie di strumenti musicali, si prostrarono e adorarono la statua d’oro che il re Nabucodònosor aveva fatto erigere. 8Però in quel momento alcuni Caldei si fecero avanti per accusare i Giudei 9e andarono a dire al re Nabucodònosor: «O re, vivi per sempre! 10Tu hai decretato, o re, che chiunque avrà udito il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpa, del salterio, della zampogna e di ogni specie di strumenti musicali, deve prostrarsi e adorare la statua d’oro: 11chiunque non si prostrerà e non l’adorerà, sia gettato in mezzo a una fornace di fuoco ardente. 12Ora, ci sono alcuni Giudei, che hai fatto amministratori della provincia di Babilonia, cioè Sadrac, Mesac e Abdènego, che non ti obbediscono, o re: non servono i tuoi dèi e non adorano la statua d’oro che tu hai fatto erigere». 13Allora Nabucodònosor, sdegnato e adirato, comandò che gli si conducessero Sadrac, Mesac e Abdènego, e questi comparvero alla presenza del re. 14Nabucodònosor disse loro: «È vero, Sadrac, Mesac e Abdènego, che voi non servite i miei dèi e non adorate la statua d’oro che io ho fatto erigere? 15Ora se voi, quando udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpa, del salterio, della zampogna e di ogni specie di strumenti musicali, sarete pronti a prostrarvi e adorare la statua che io ho fatto, bene; altrimenti, in quel medesimo istante, sarete gettati in mezzo a una fornace di fuoco ardente. Quale dio vi potrà liberare dalla mia mano?». 16Ma Sadrac, Mesac e Abdènego risposero al re Nabucodònosor: «Noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito; 17sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace di fuoco ardente e dalla tua mano, o re. 18Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto». 19Allora Nabucodònosor fu pieno d’ira e il suo aspetto si alterò nei confronti di Sadrac, Mesac e Abdènego, e ordinò che si aumentasse il fuoco della fornace sette volte più del solito. 20Poi, ad alcuni uomini fra i più forti del suo esercito, comandò di legare Sadrac, Mesac e Abdènego e gettarli nella fornace di fuoco ardente. 21Furono infatti legati, vestiti come erano, con i mantelli, i calzari, i copricapi e tutti i loro abiti, e gettati in mezzo alla fornace di fuoco ardente. 22Poiché l’ordine del re urgeva e la fornace era ben accesa, la fiamma del fuoco uccise coloro che vi avevano gettato Sadrac, Mesac e Abdènego. 23E questi tre, Sadrac, Mesac e Abdènego, caddero legati nella fornace di fuoco ardente.

Cantico di Azaria e cantico dei tre giovani 24Essi passeggiavano in mezzo alle fiamme, lodavano Dio e benedicevano il Signore. 25Azaria si alzò e fece questa preghiera in mezzo al fuoco e aprendo la bocca disse: 26«Benedetto sei tu, Signore, Dio dei nostri padri; degno di lode e glorioso è il tuo nome per sempre. 27Tu sei giusto in tutto ciò che ci hai fatto; tutte le tue opere sono vere, rette le tue vie e giusti tutti i tuoi giudizi. 28Giusto è stato il tuo giudizio per quanto hai fatto ricadere su di noi e sulla città santa dei nostri padri, Gerusalemme. Con verità e giustizia tu ci hai inflitto tutto questo a causa dei nostri peccati, 29poiché noi abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui, allontanandoci da te, abbiamo mancato in ogni modo. Non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti, 30non li abbiamo osservati, non abbiamo fatto quanto ci avevi ordinato per il nostro bene. 31Ora, quanto hai fatto ricadere su di noi, tutto ciò che ci hai fatto, l’hai fatto con retto giudizio: 32ci hai dato in potere dei nostri nemici, ingiusti, i peggiori fra gli empi, e di un re iniquo, il più malvagio su tutta la terra. 33Ora non osiamo aprire la bocca: disonore e disprezzo sono toccati a quelli che ti servono, a quelli che ti adorano. 34Non ci abbandonare fino in fondo, per amore del tuo nome, non infrangere la tua alleanza; 35non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Abramo, tuo amico, di Isacco, tuo servo, di Israele, tuo santo, 36ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare la loro stirpe come le stelle del cielo, come la sabbia sulla spiaggia del mare. 37Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione, oggi siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati. 38Ora non abbiamo più né principe né profeta né capo né olocausto né sacrificio né oblazione né incenso né luogo per presentarti le primizie e trovare misericordia. 39Potessimo essere accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. 40Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito, perché non c’è delusione per coloro che confidano in te. 41Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto, non coprirci di vergogna. 42Fa’ con noi secondo la tua clemenza, secondo la tua grande misericordia. 43Salvaci con i tuoi prodigi, da’ gloria al tuo nome, Signore. 44Siano invece confusi quanti mostrano il male ai tuoi servi, siano coperti di vergogna, privati della loro potenza e del loro dominio, e sia infranta la loro forza! 45Sappiano che tu sei il Signore, il Dio unico e glorioso su tutta la terra».

46I servi del re, che li avevano gettati dentro, non cessarono di aumentare il fuoco nella fornace, con bitume, stoppa, pece e sarmenti. 47La fiamma si alzava quarantanove cubiti sopra la fornace 48e uscendo bruciò quei Caldei che si trovavano vicino alla fornace. 49Ma l’angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace, allontanò da loro la fiamma del fuoco della fornace 50e rese l’interno della fornace come se vi soffiasse dentro un vento pieno di rugiada. Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, non diede loro alcuna molestia.

51Allora quei tre giovani, a una sola voce, si misero a lodare, a glorificare, a benedire Dio nella fornace dicendo: 52«Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri, degno di lode e di gloria nei secoli. Benedetto il tuo nome glorioso e santo, degno di lode e di gloria nei secoli. 53Benedetto sei tu nel tuo tempio santo, glorioso, degno di lode e di gloria nei secoli. 54Benedetto sei tu sul trono del tuo regno, degno di lode e di gloria nei secoli. 55Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi e siedi sui cherubini, degno di lode e di gloria nei secoli. 56Benedetto sei tu nel firmamento del cielo, degno di lode e di gloria nei secoli. 57Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 58Benedite, angeli del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 59Benedite, cieli, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 60Benedite, acque tutte, che siete sopra i cieli, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 61Benedite, potenze tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 62Benedite, sole e luna, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 63Benedite, stelle del cielo, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 64Benedite, piogge e rugiade, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 65Benedite, o venti tutti, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 66Benedite, fuoco e calore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 67Benedite, freddo e caldo, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 68Benedite, rugiada e brina, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 69Benedite, gelo e freddo, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 70Benedite, ghiacci e nevi, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 71Benedite, notti e giorni, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 72Benedite, luce e tenebre, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 73Benedite, folgori e nubi, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 74Benedica la terra il Signore, lo lodi e lo esalti nei secoli. 75Benedite, monti e colline, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 76Benedite, creature tutte che germinate sulla terra, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 77Benedite, sorgenti, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 78Benedite, mari e fiumi, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 79Benedite, mostri marini e quanto si muove nell’acqua, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 80Benedite, uccelli tutti dell’aria, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 81Benedite, animali tutti, selvaggi e domestici, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 82Benedite, figli dell’uomo, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 83Benedite, figli d’Israele, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 84Benedite, sacerdoti del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 85Benedite, servi del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 86Benedite, spiriti e anime dei giusti, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 87Benedite, santi e umili di cuore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. 88Benedite, Anania, Azaria e Misaele, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli, perché ci ha liberati dagl’inferi, e salvati dalla mano della morte, ci ha liberati dalla fiamma ardente, ci ha liberati dal fuoco. 89Lodate il Signore, perché egli è buono, perché il suo amore è per sempre. 90Benedite, voi tutti che temete il Signore, il Dio degli dèi, lodatelo e celebratelo, perché il suo amore è per sempre».

Liberazione dei giovani 91Allora il re Nabucodònosor rimase stupito e alzatosi in fretta si rivolse ai suoi ministri: «Non abbiamo noi gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?». «Certo, o re», risposero. 92Egli soggiunse: «Ecco, io vedo quattro uomini sciolti, i quali camminano in mezzo al fuoco, senza subirne alcun danno; anzi il quarto è simile nell’aspetto a un figlio di dèi». 93Allora Nabucodònosor si accostò alla bocca della fornace di fuoco ardente e prese a dire: «Sadrac, Mesac, Abdènego, servi del Dio altissimo, uscite, venite fuori». Allora Sadrac, Mesac e Abdènego uscirono dal fuoco. 94Quindi i sàtrapi, i governatori, i prefetti e i ministri del re si radunarono e, guardando quegli uomini, videro che sopra i loro corpi il fuoco non aveva avuto nessun potere, che neppure un capello del loro capo era stato bruciato e i loro mantelli non erano stati toccati e neppure l’odore del fuoco era penetrato in essi. 95Nabucodònosor prese a dire: «Benedetto il Dio di Sadrac, Mesac e Abdènego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui; hanno trasgredito il comando del re e hanno esposto i loro corpi per non servire e per non adorare alcun altro dio all’infuori del loro Dio. 96Perciò io decreto che chiunque, a qualsiasi popolo, nazione o lingua appartenga, proferirà offesa contro il Dio di Sadrac, Mesac e Abdènego, sia fatto a pezzi e la sua casa sia ridotta a letamaio, poiché non c’è nessun altro dio che possa liberare allo stesso modo». 97Da allora il re diede autorità a Sadrac, Mesac e Abdènego nella provincia di Babilonia.

SOGNO PREMONITORE E FOLLIA DI NABUCODONOSOR

Preludio 98Il re Nabucodònosor a tutti i popoli, nazioni e lingue, che abitano in tutta la terra: «Abbondi la vostra pace! 99Mi è parso opportuno rendervi noti i prodigi e le meraviglie che il Dio altissimo ha fatto per me. 100Quanto sono grandi i suoi prodigi e quanto potenti le sue meraviglie! Il suo regno è un regno eterno e il suo dominio di generazione in generazione».

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Approfondimenti

L'ADORAZIONE DELLA STATUA D'ORO 3,1-97 Il presente capitolo ha una natura abbastanza composita. La narrazione in esso contenuta, così come noi la conosciamo nella versione che la Chiesa propone all'uso dei fedeli, risulta dalla fusione di due testi: quello masoretico ™ e quello (più lungo) tramandatoci da Teodozione e dai LXX.

Anche questo capitolo, come il precedente, è caratterizzato dalla tensione tra l'idolatria (che nel contesto del precedente capitolo aveva assunto l'aspetto di divinazione) e la pietà religiosa, con l'aggiunta della tematica del martirio.

Protagonisti sono i tre compagni di Daniele che in questa sezione vengono chiamati non più Sadrach, Mesach e Abdenego (che erano i nomi ricevuti alla corte del re), ma Anania, Azaria e Misaele, ovvero con i loro nomi di origine. Esso può dividersi in tre parti:

  1. Nabucodonosor fa erigere una statua che deve essere oggetto di adorazione da parte dei suoi sudditi. I tre giovani Giudei si rifiutano, vengono denunciati e condannati (vv. 1-23).
  2. Questa parte (vv. 24-90 del testo greco) è assente nel TM ed è composta da un lungo testo poetico (con brevi intermezzi in prosa) nel quale sono riconoscibili un salmo penitenziale (vv. 26-45) e un inno di lode (vv. 52-90).
  3. L'episodio conclusivo del capitolo riferisce la miracolosa liberazione dei tre giovani dalla fornace ed il conseguente riconoscimento pubblico da parte di Nabucodonosor della eccelsa grandezza del Dio dei Giudei.

Quest'ultima sezione del capitolo è ancora comune ai due testi già citati (TM e Teodozione), differisce soltanto la numerazione dei versetti: per il TM sono i versetti 24-30 e per Teodozione (come per i LXX) sono i versetti 91-97.

I tre versetti che rimangono (98-100) hanno una collocazione diversa nel TM e in Teodozione. Secondo la versione di quest'ultimo, tali versetti fanno parte integrante del capitolo seguente, mentre per il TM fanno parte del terzo capitolo. Dal punto di vista della logica della narrazione, comunque, sembra più opportuno considerarli come l'introduzione alla narrazione contenuta nel capitolo seguente.

La prova dei compagni di Daniele 3,1-23 La narrazione si apre, ancora una volta, con la menzione del re Nabucodonosor; tuttavia, mentre i primi due capitoli nel menzionarlo aggiungono anche una indicazione cronologica, qui (stando al TM) si parla della erezione della statua senza specificarne il tempo rispetto agli anni di regno di Nabucodonosor. L'indicazione cronologica si trova invece in Teodozione e nei LXX: «nell'anno decimottavo» (v. 1), ovvero l'anno della conquista di Gerusalemme. I LXX, nel medesimo versetto, aggiungono che il re Nabucodonosor «aveva sottomesso città e regioni, e tutti gli abitanti della terra dall'India all'Etiopia». In questo senso i LXX tendono ad amplificare l'atmosfera di solennità in cui ha luogo l'inaugurazione della statua-idolo, collocando l'episodio nella fase culminante della gloria del sovrano e creando così un'atmosfera di potenza e di glorificazione umana che contrasta con la debolezza dei tre giovani, ma che contrasta soprattutto con la manifestazione successiva della gloria di Dio, davanti alla quale Nabucodonosor dovrà alla fine piegarsi. L'amplificazione dell'atmosfera di solennità nei LXX avrebbe appunto lo scopo di far risaltare maggiormente la manifestazione della gloria di Dio.

Dal punto di vista stilistico la narrazione appare come appesantita dalle molte ripetizioni; con tutta probabilità l'autore intende tutte queste ripetizioni come un espediente letterario teso a sottolineare la particolare solennità dell'evento; tuttavia il lettore ne ricava una impressione di ridondanza e di pesantezza: il v. 3 ripete gli stessi termini istituzionali del v. 2 (satrapi, prefetti, governatori, consiglieri, tesorieri, giudici, questori) e nel medesimo ordine; il v. 7 riprende i termini musicali del v. 5 (corno, flauto, cetra, arpicordo, salterio, zampogna), omettendone però due (cetra e zampogna); i medesimi termini ritornano, nel medesimo ordine del v. 5, ai vv. 10 e 15. Tutti i nomi sono comunque di origine straniera; i nomi che richiamano responsabilità di governo (vv. 2-3) sono di origine persiana o mesopotamica, mentre i nomi degli strumenti musicali (v. 5. 7. 10. 15) sono per lo più di origine greca.

Tutta la narrazione si svolge all'insegna di un contrasto: il rigido monoteismo della fede ebraica si contrappone (vv. 12.17-18) in modo molto netto al politeismo (vv. 12.14) di tutti gli altri «popoli, nazioni e lingue» (vv. 4.7); la statua stessa, che pure rappresenta un unico oggetto di culto, nelle accuse mosse contro i tre compagni di Daniele è associata direttamente al politeismo babilonese: «non servono i tuoi dei e non adorano la statua d'oro» (v. 12). Anche in questo capitolo (come del resto negli altri) il contrasto dei due poli ideologici è funzionale ad un riferimento storico preciso, sebbene comprensibilmente velato: l'empietà e la persecuzione antigiudaica di Nabucodonosor non sono altro che figure o pretesti per indicare l'empietà e la persecuzione ellenizzante di Antioco IV Epifane. Questa identificazione, però, non è ancora l'ultima meta del narratore; egli intende servirsi di questo espediente letterario come di un canale per trasmettere un messaggio consolatorio a tutti quei Giudei che, investiti dalla persecuzione di Antioco, vedono innanzi a sé la necessità di una non facile decisione, dovendo scegliere tra la sofferenza e l'apostasia. Da un lato, il narratore intende chiaramente esaltare l'ideale della fedeltà eroica al proprio credo, anche a prescindere dal soccorso che viene da Dio (v. 18); dall'altro, intende inculcare l'idea che Dio combatte al fianco di coloro che gli rimangono fedeli (vv. 22-23). Quest'ultima idea, però, soltanto accennata nel TM, viene sviluppata soprattutto dalla sezione deuterocanonica che conosciamo grazie al testo greco, al quale si rifà la versione di Daniele da noi conosciuta in lingua italiana con l'inserire i vv. 24-90 (prima sezione deuterocanonica) tra il v. 23 e il v. 24 del testo aramaico. La seconda sezione deuterocanonica comprende i cc. 13 e 14.

Cantico di Azaria e cantico dei tre giovani 3,24-90 – Prima sezione deuterocanonica Come già abbiamo avuto occasione di dire, all'interno di questa sezione si distinguono chiaramente:

  1. un salmo penitenziale (vv. 26-45) che, fra i tre giovani, viene attribuito al solo Azaria (v. 25),
  2. un inno di lode (vv. 52-90) che viene attribuito simultaneamente ai tre, come a «una sola voce» (v. 51).

A questi lunghi brani poetici si aggiungono brevi passi in prosa con la funzione di introdurre il testo poetico (vv. 24-25) o di commentarne le circostanze (vv. 46-50).

24-45. L'introduzione al salmo penitenziale (vv. 24-25) ambienta l'azione inserendola in un'atmosfera di grande serenità e nello stesso tempo di contrasto: i tre giovani, in mezzo alle fiamme, compiono delle azioni che si compirebbero nella più ordinaria delle circostanze; essi passeggiano, lodano e benedicono Dio (v. 24). Qui non è affatto chiara la causa della loro disinvoltura nel martirio in mezzo al fuoco; occorrerà infatti giungere al v. 49 per apprendere che un angelo del Signore aveva allontanato da loro la fiamma della fornace. Per questa ragione i tre giovani possono innalzare a Dio il loro canto che è riconoscimento della santità di Dio (vv. 26-28), è riconoscimento dei peccati del popolo (vv. 29-40), è professione di fedeltà e richiesta di misericordia e di salvezza (vv. 41-45), finché si trasforma in pura lode (vv. 52-90).

Il salmo penitenziale proclamato da Azaria si apre con il riconoscimento della grandezza di Dio; allo stesso modo anche la preghiera penitenziale di Daniele che osserveremo più avanti (9,4s.) prende le mosse dal medesimo riconoscimento. La grandezza di Dio e la sua giustizia appaiono come una spinta per rientrare in se stessi, ovvero come la prima causa del pentimento dell'uomo. Nei primi tre versetti, infatti, dal punto di vista della frequenza terminologica, si riscontra una certa insistenza sui concetti di giustizia, giudizio, verità applicati all'agire di Dio verso il suo popolo dikaios = giusto; erga alēthina = opere veritiere; kriseis sou alētheia = i tuoi giudizi sono verità; krimata aletheias = sentenze di verità; en alētheia kai krisei = nella verità e nel giudizio).

I vv. 29 e 30 insistono sull'iniquità e sull'infedeltà di cui il popolo si è reso colpevole nel passato, non osservando i comandamenti di Dio. I versetti che seguono, a differenza dei precedenti, sembrano concentrarsi piuttosto sulla miseria del presente attraverso un avverbio (nun) che ricorre in questo senso ai v. 31 (solo nei LXX), 33 e 41 (in cui invece assume un'accezione evidentemente positiva: non il peccato ma la fedeltà del presente). L'enfasi di questi versetti è tutta sul presente dell'orante, sulla contemporaneità tra le circostanze storiche e i contenuti del salmo penitenziale di Azaria. Non è difficile, da questo punto di vista, scorgere talune allusioni alle situazioni incresciose generate per i Giudei dalla politica ellenizzante di Antioco IV Epifane, il quale potrebbe ben trovarsi dietro epiteti come «re iniquo, il più malvagio su tutta la terra» (v. 32), così come i suoi satelliti potrebbero essere definiti da parte dei pii come «nostri nemici, ingiusti, i peggiori fra gli empi» (v. 32). Un'altra allusione alle circostanze ellenizzanti generate da Antioco IV può essere vista dietro al v. 38, nel quale si descrive l'assenza di leader religiosi («né principe, né capo, né profeta»), ovvero la vendita della carica di sommo sacerdote a gente senza scrupoli come ad esempio Giasone o Menelao, e la cessazione del culto ufficiale («né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie»), ovvero la profanazione del tempio da parte di Antioco IV Epifane con la seguente sospensione del suo culto fino alla purificazione operata da Giuda Maccabeo nel dicembre del 164. In assenza di un luogo determinato per celebrare il culto, l'unico sacrificio possibile è quello del «cuore contrito» (che sarebbe meglio tradurre con «animo contrito») e dello «spirito umiliato». Questi stessi aggettivi verbali, usati nel loro significato penitenziale ricorrono anche nel celebre Sal 51 (50) al v. 19, secondo la versione offerta dai LXX. Nel Sal 51 (50) sono applicati entrambi alla parola «cuore» (kardia), ma evidentemente con un significato affine (per non dire identico) a Dn 3, 39.

La preghiera penitenziale di Azaria non è priva di riferimenti e di allusioni alla storia della salvezza e alle promesse di Dio fatte ai patriarchi. Al v. 34 si fa menzione dell'alleanza e al versetto successivo vengono nominati i suoi destinatari privilegiati: Abramo, Isacco e Israele. A ciascuno viene applicato un appellativo: Abramo è l'amico di Dio, il che richiama Is 41, 8; Isacco è il servo di Dio e Israele è il santo di Dio. Si fa ancora esplicita menzione della promessa contenuta in Gn 15,5 e 22,17, il cui destinatario è sempre Abramo, la promessa cioè di una discendenza numerosa come «le stelle del cielo» e «la sabbia sulla spiaggia del mare» (v. 36). Le argomentazioni su cui l'autore fa leva sono la fedeltà di Dio verso se stesso (v. 34) e l'amore che Dio nutre verso i patriarchi Abramo, Isacco e Israele (v. 35), un'argomentazione quest'ultima che richiama un concetto particolarmente caro al mondo rabbinico: “il merito dei Padri” Il salmo penitenziale di Azaria si conclude con un diffuso senso di fiducia e di abbandono nelle mani di Dio: «non c'è delusione per coloro che confidano in te» (v. 40), «ti seguiamo con tutto il cuore» (v. 41), «trattaci secondo la tua benevolenza» (v. 42), «salvaci con i tuoi prodigi» (v. 43). La parte finale della preghiera di Azaria è carica di fiducia, ma anche di attesa: Dio non rimane inerte perché non è in gioco solo la vita dei suoi servi, ma la credibilità del suo stesso nome: «salvaci con i tuoi prodigi, da' gloria Signore, al tuo nome» (v. 43), «sappiano che tu sei il Signore, il Dio unico e glorioso su tutta la terra» (v. 45).

46-50. I vv. da 46 a 51 rappresentano l’intervento del narratore, il quale spiega al lettore alcune cose che 3, 46-50. I v. da 46 a 51 rappresentano l'intervento Azaria non potrebbe dirgli; l'attenzione del lettore viene infatti spostata su ciò che sta accadendo fuori della fornace nella quale Azaria ha intonato il suo salmo penitenziale. Fuori dalla fornace i servi del re si affaticano ad aumentare l'intensità del fuoco (v. 46) ma cadono vittime essi stessi dell'irruenza del fuoco fomentato oltre misura (vv. 47-48). Il fatto della morte di quei Caldei che si trovano vicino alla fornace può essere letto, in base all'intero svolgimento della narrazione, come uno degli aspetti dell'intervento di Dio in favore dei tre giovani, anche se ciò non è esplicitamente affermato neppure dal narratore. I v. 49 spiega il contesto in cui nasce la preghiera di Azaria: l'intervento di un angelo, segno della presenza di Dio, allontana la fiamma dai giovani e rende abitabile l'interno della fornace. Dietro questo breve commento del narratore è possibile vedere non soltanto una polemica contro l'idolatria dei popoli ma anche contro la concezione magica del mondo: mentre i nemici di Dio tentano di asservire gli elementi ai loro scopi, gli elementi stessi si volgono al servizio di chi fa professione di pietà.

51-90. Il v. 51 introduce tutta la rimanente sezione deuterocanonica, ovvero fino al v. 90. Si tratta di un inno di lode, la cui indole è ben specificata, nella versione di Teodozione (seguita da BC) da tre verbi (quattro per i LXX): «si misero a lodare (bymnoun), a glorificare (edoxazon), a benedire (eulogoun)», a cui i LXX aggiungono exypsoun, che qui potrebbe tradursi con «a esaltare». La benedizione, che è il riconoscimento della sovraeminente gloria di Dio, è indirizzata al «Dio dei padri nostri», quel Dio, cioè, che ha parlato ad Abramo, Isacco e Giacobbe (v. 36). Tutta la creazione, nei suoi singoli elementi visibili ed invisibili, ragionevoli e irragionevoli, viene invitata a lodare il Dio di Israele che possiede la regalità (v. 54) e uno sguardo che penetra gli abissi (v. 55); egli ha salvato dalla morte Anania, Azaria e Misaele (v. 88) e la sua grazia è eterna (vv. 89-90).

I primi cinque versetti dell'inno (vv. 52-56) si concentrano su Dio e sulla sua gloria; Dio viene definito come «benedetto» (eulogêtos, oppure eulogèmenos) all'inizio di ogni versetto; dal v. 57 fino alla fine dell'inno il «benedetto» si trasforma in «benedite» (eulogeite) e non solo Israele ma l'intera creazione prende parte al cantico di lode che i tre giovani innalzano al Dio dei padri. In questi primi versetti dell'inno si parla della santità e della regalità del Dio di Israele, due attributi rappresentati da due elementi molto familiari alla storia di Israele: i tempio e il trono, ovvero le due grandi istituzioni che hanno segnato la vita del popolo fino alla deportazione babilonese; i due attributi di Dio, per i quali gli va tributata la lode, sono dunque rappresentati dal «tuo tempio santo glorioso» (v. 53) e dal «trono del tuo regno» (v. 54), dal quale Dio esercita la sua signoria universale che raggiunge gli abissi (v. 55). E abbastanza chiaro, perciò, che qui il salmista intende sia il tempio sia il trono nella loro dimensione celeste; tuttavia non è assente il collegamento almeno con il tempio di Gerusalemme (che è l'unica realtà che rimane dopo il crollo della monarchia): nella seconda metà del v. 55 fanno la loro comparsa infatti i cherubini che erano appunto collocati sopra l'arca dell'alleanza (cfr. Es 25, 18). La parte successiva dell'inno, dove «benedetto» si trasforma in «benedite», coinvolge nella lode l'intera creazione alludendo in molti punti all'Antico Testamento e in particolare al libro della Genesi e alla cosmologia veterotestamentaria. Basti pensare ad esempio alle acque che stanno sopra i cieli del v. 60 e confrontare poi con Gn 1, 6-8; il «firmamento» (v. 56) si ricollega ancora a Gn 1, 6-8; le «potenze (dynameis) tutte del Signore» (v. 61) richiamano Sal 148, 2 e 103, 21 dove ricorre il medesimo termine greco ma non nel medesimo significato. Infatti il Sal 148 per dynameis intende astri, mentre il Sal 103 intende riferirsi alle schiere angeliche al servizio del Signore. Nel contesto di Dn 3, _dynameis potrebbe essere semplicemente inteso come l'insieme dei corpi celesti. «Sole e luna» (v. 62) si ricollega a Gn 1, 16; «luce e tenebre» (v. 72) si ricollega Gn 1,3-4; «creature che germinate sulla terra» (v. 76) si ricollega a Gn 1,11-12; «mari e fiumi» (v. 78) si ricollega a Gn 1,9-10; «mostri marini» (v. 79) si ricollega a Gn 1,21; «uccelli dell'aria» (v. 81) si ricollega a Gn 1, 20-22; «animali selvaggi e domestici» (v. 81) si ricollega a Gn 1, 24. La finale dell'inno procede come a cerchi concentri-ci: dalla universalità dell'invito alla lode: «figli dell'uomo» (v. 82) si passa al solo Israele (v. 83); poi il cerchio si restringe ulteriormente e all'interno di Israele vengono invitate solo alcune categorie: i «sacerdoti del Signore» (v. 84), i «servi del Signore» (v. 85), i «giusti», і «ріi» e gli «umili» (vv. 86-87); infine il cerchio si stringe ancora e l'invito alla lode si rivolge solo a tre persone: Anania, Azaria e Misaele per essere stati liberati dalle fiamme e dalla morte (vv. 88-90).

Liberazione dei giovani 3,91-97 La narrazione riprende in lingua aramaica e i compagni di Daniele (che nella sezione precedente erano stati identificati attraverso i loro nomi di origine) tornano ad essere chiamati con i nomi che avevano ricevuto alla corte di Nabucodonosor: Sadrach, Mesach e Abdenego (cfr. 1,7). Con la fine dell'inno di lode cantato dal tre giovani, il narratore riporta il lettore fuori della fornace per fargli osservare che cosa sta accadendo all'esterno; qui ci si imbatte prima di tutto nella reazione del re davanti ad un miracolo evidente: le sue vittime prima erano legate e ora sono sciolte; non subiscono alcun danno dal fuoco e non sono più tre ma quattro; anzi, l'aspetto del quarto uomo è sovrumano (v. 92). L'allusione va chiaramente intesa nella linea del versetto 49: per il re pagano il quarto uomo è «un figlio di dei» (v. 92), mentre il narratore spiega al lettore che si tratta di un «angelo del Signore» (v. 49). All'uscita dei tre giovani dalla fornace il miracolo è constatato non soltanto da Nabucodonosor ma anche dai satrapi, dai prefetti, dai governatori e dai ministri del re (v. 94), ovvero quelle medesime autorità lì convenute per adorare la statua. L'evidenza dei fatti costringe Nabucodonosor a riconoscere l'assoluta superiorità del Dio di Israele «poiché nessun altro dio può in tal maniera liberare» (v. 96). Il re esprime il suo riconoscimento della grandezza di Dio e della sua unicità attraverso due atti: una lode e un decreto. Nella espressione di lode (v. 95) l'idea di Nabucodonosor tende a coincidere con quella del narratore (il quarto uomo non è più «un figlio di dei» ma un «angelo» mandato da Dio per proteggere i martiri della fedeltà che «hanno esposto i loro corpi»); nel decreto viene stabilita una legge simile a quella che riguardava la statua (cfr. v. 6): chi «proferirà offesa contro il Dio di Sadrach, Mesach e Abdenego, sia tagliato a pezzi e la sua casa ridotta a un mucchio di rovine» (v. 96). La pericope si conclude con la tematica della esaltazione del giusto perseguitato (cfr. Dn 2,48 e Gn 41,40): i tre giovani ascendono a cariche pubbliche nel regno babilonese.

SOGNO PREMONITORE E FOLLIA DI NABUCODONOSOR _3,98-4,34 La sezione che adesso prendiamo in esame inizia con gli ultimi tre versetti del c. 3 per estendersi poi lungo tutto il capitolo successivo. Dal punto di vista del genere letterario essa si presenta come una lettera del re Nabucodonosor a tutti i popoli. Il contenuto della lettera (riportato dal c. 4) è assai affine allo sviluppo narrativo del c. 2: si tratta di un sogno che ha turbato il sovrano (v. 1), un sogno che i saggi del regno non sono capaci di spiegare, mentre Daniele sì (v. 15). La parte finale del c. 4 descrive la realizzazione del sogno (vv. 25-34). A parte l'introduzione, o il preludio, rappresentato dagli ultimi tre versetti del capitolo terzo, tutta la sezione contenuta nel capitolo quarto può essere inquadrata all'interno di uno schema tripartito che ha nel sogno di Nabucodonosor il suo fulcro: esposizione del sogno (vv. 1-15), interpretazione del sogno (vv. 16-24), realizzazione del sogno (vv. 25-34).

Preludio 3,98-100 Il primo versetto di questa piccola pericope è già molto eloquente a riguardo del genere letterario davanti a cui ci troviamo: compaiono qui gli elementi caratteristici dell'epistolografia antica, elementi che ritornano nell'epistolario neotestamentario; abbiamo un mittente («Il re Nabucodonosor»), dei destinatari («tutti i popoli, nazioni e lingue, che abitano in tutta la terra»), un saluto tipico della corrispondenza («Pace e prosperità», che sarebbe meglio tradurre con «La vostra pace si moltiplichi», per meglio aderire all'espressione usata dal testo aramaico). La lettera del re ha la finalità di far conoscere «i prodigi» e «le meraviglie» che Dio ha compiuto per lui (vv. 99-100). In altri termini, si tratta di una professione di fede da parte di Nabucodonosor che, in virtù della sua ufficialità, appare ancora più solenne di quella che chiude il c. 2. Inoltre, se si guardano le parole di Nabucodonosor attraverso il filtro della terminologia deuteronomista, si può intravedere dietro questi segni e prodigi citati dal re una concezione degli interventi salvifici di Dio nella storia dell'uomo.

(cf. VINCENZO CUFFARO, Daniele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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