DE CATECHIZANDIS RUDIBUS – 4
4. La tensione di quelli che vengono ad ascoltarmi mi dice invece che il mio discorso non è così freddo come sembra a me, e dalla loro gioia arguisco che vi trovano utilità; e perciò faccio del mio meglio per non rifiutare l’esercizio di questo ministero, quando mi accorgo che accettano volentieri ciò che offro loro.
Così è per te: dal momento che così spesso le persone desiderose di essere istruite vengono indirizzate a te, è evidente che il tuo discorso non è sgradito agli altri com’è sgradito a te. Non devi quindi considerarti inutile per il fatto che non ti riesce di spiegare come desideri ciò che sai; a parte il fatto che neppure riesci a capire le cose come vorresti.
Fintanto che siamo in questo mondo, infatti, non vediamo se non «in enigma, come nello specchio» (1Cor 13,12). Neppure l’amore è tanto potente da infrangere il velo opaco della carne per penetrare nel sereno del cielo, da dove prendono luce anche queste cose che passano.
Siccome chi vive di fede si avvicina ogni giorno di più alla visione di una luce che non conosce l’alterno ritmo del giorno e della notte, e che «occhio non vide, né orecchio udì, né entrò in mente umana» (ivi 2,9), il vero motivo che ci fa percepire come noioso il nostro discorso di iniziazione è proprio il desiderio di veder sempre cose nuove e il tedio di dir quelle vecchie.
L’esperienza dice però che ci facciamo ascoltare molto più volentieri, quando facciamo con gioia quel che facciamo: se la trama del nostro discorso è pervasa dalla nostra gioia, essa riesce più spedita e accetta.
Di conseguenza, il problema maggiore non è di saper di dove cominciare o fin dove condurre il discorso su quel che si insegna, né quello di saper se prolungarlo o abbreviarlo senza comprometterne la completezza, e tanto meno di vedere quando abbreviarlo o prolungarlo. La preoccupazione più grande deve essere quella di trovar il modo di catechizzare gioiosamente: e quanto più ci riusciremo, tanto più piacevole sarà il nostro discorso.
L’esigenza è lampante: «Dio ama chi dà con gioia»; e se ciò è vero riguardo all’elemosina, lo è tanto più riguardo ai doni dello Spirito.
Ma l’aver questa gioiosità (3) al momento opportuno dipende dalla misericordia di colui che ci fa obbligo di usarla.
E allora con l’aiuto di Dio parleremo anzitutto di queste tre cose:
- del metodo da seguire nella esposizione della dottrina;
- dei doveri e delle direttive da suggerire;
- del modo infine di procurarsi la necessaria gioiosità.
_________________ Note
(3) Gioiosità è il termine che usiamo per tradurre il termine latino «hilaritas». Preso nel suo contesto, ci pare che il termine voglia dire non semplicemente che l’educatore è allegro (l’allegria potrebbe anche essere dovuta a incoscienza!), ma che la sua gioia, per quanto controllata, ha solidi motivi, che provengono dalla fede alla quale sta introducendo il postulante. Si tratta quindi di una gioia tanto intensa da poter essere comunicata. Il termine italiano gioiosità pare indichi appunto questa capacità di contagio derivante dalla fede. È certo comunque che nessun termine di nessuna lingua esprime di solito esattamente il corrispettivo di un’altra.