EZECHIELE – Capitolo 1

VOCAZIONE DI EZECHIELE E ORACOLI CONTRO ISRAELE

La gloria di JHWH e la vocazione

La visione 1Nell’anno trentesimo, nel quarto mese, il cinque del mese, mentre mi trovavo fra i deportati sulle rive del fiume Chebar, i cieli si aprirono ed ebbi visioni divine. 2Era l’anno quinto della deportazione del re Ioiachìn, il cinque del mese: 3la parola del Signore fu rivolta al sacerdote Ezechiele, figlio di Buzì, nel paese dei Caldei, lungo il fiume Chebar. Qui fu sopra di lui la mano del Signore. 4Io guardavo, ed ecco un vento tempestoso avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinìo di fuoco, che splendeva tutto intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di metallo incandescente. 5Al centro, una figura composta di quattro esseri animati, di sembianza umana 6con quattro volti e quattro ali ciascuno. 7Le loro gambe erano diritte e i loro piedi come gli zoccoli d’un vitello, splendenti come lucido bronzo. 8Sotto le ali, ai quattro lati, avevano mani d’uomo; tutti e quattro avevano le proprie sembianze e le proprie ali, 9e queste ali erano unite l’una all’altra. Quando avanzavano, ciascuno andava diritto davanti a sé, senza voltarsi indietro. 10Quanto alle loro fattezze, avevano facce d’uomo; poi tutti e quattro facce di leone a destra, tutti e quattro facce di toro a sinistra e tutti e quattro facce d’aquila. 11Le loro ali erano spiegate verso l’alto; ciascuno aveva due ali che si toccavano e due che coprivano il corpo. 12Ciascuno andava diritto davanti a sé; andavano là dove lo spirito li sospingeva e, avanzando, non si voltavano indietro. 13Tra quegli esseri si vedevano come dei carboni ardenti simili a torce, che si muovevano in mezzo a loro. Il fuoco risplendeva e dal fuoco si sprigionavano bagliori. 14Gli esseri andavano e venivano come una saetta. 15Io guardavo quegli esseri, ed ecco sul terreno una ruota al fianco di tutti e quattro. 16Le ruote avevano l’aspetto e la struttura come di topazio e tutte e quattro la medesima forma; il loro aspetto e la loro struttura erano come di ruota in mezzo a un’altra ruota. 17Potevano muoversi in quattro direzioni; procedendo non si voltavano. 18Avevano dei cerchioni molto grandi e i cerchioni di tutt’e quattro erano pieni di occhi. 19Quando quegli esseri viventi si muovevano, anche le ruote si muovevano accanto a loro e, quando gli esseri si alzavano da terra, anche le ruote si alzavano. 20Dovunque lo spirito le avesse sospinte, le ruote andavano e ugualmente si alzavano, perché lo spirito degli esseri viventi era nelle ruote. 21Quando essi si muovevano, anch’esse si muovevano; quando essi si fermavano, si fermavano anch’esse e, quando essi si alzavano da terra, anch’esse ugualmente si alzavano, perché nelle ruote vi era lo spirito degli esseri viventi. 22Al di sopra delle teste degli esseri viventi era disteso una specie di firmamento, simile a un cristallo splendente, 23e sotto il firmamento erano le loro ali distese, l’una verso l’altra; ciascuno ne aveva due che gli coprivano il corpo. 24Quando essi si muovevano, io udivo il rombo delle ali, simile al rumore di grandi acque, come il tuono dell’Onnipotente, come il fragore della tempesta, come il tumulto d’un accampamento. Quando poi si fermavano, ripiegavano le ali. 25Ci fu un rumore al di sopra del firmamento che era sulle loro teste. 26Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve qualcosa come una pietra di zaffìro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane. 27Da ciò che sembravano i suoi fianchi in su, mi apparve splendido come metallo incandescente e, dai suoi fianchi in giù, mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore 28simile a quello dell’arcobaleno fra le nubi in un giorno di pioggia. Così percepii in visione la gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra e udii la voce di uno che parlava.

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Approfondimenti

VOCAZIONE DI EZECHIELE E ORACOLI CONTRO ISRAELE Ezechiele era stato condotto in Babilonia, dopo l'espugnazione di Gerusalemme, con la prima ondata di prigionieri (597 a.C.). Costoro, calcolati sulle 20-30 mila persone, furono insediati presso la collina di Tel-Aviv, nelle vicinanze di Babilonia. Dopo i primi disagi cominciarono a sistemarsi secondo i compiti di lavoro ad essi imposti e a riorganizzarsi, come potevano, nella convivenza civile e religiosa: lo raccomandava dalla Giudea Geremia, l'autorevole veggente di Anatot (Ger 29). Non smettevano intanto di interessarsi delle vicende della loro terra e di sognare la disfatta dei potenti loro oppressori e un pronto ritorno in patria (Sal 137). Erano convinti che la loro città santa non poteva rimanere a lungo sotto il giogo dei pagani e che mai costoro sarebbero riusciti ad abbatterla (24,25). Passati 3-4 anni in tale stato, nel luglio del 593 il figlio del sacerdote Buzi, in una mistica esperienza presso il fiume Chebar, riceve la vocazione profetica. Probabilmente egli era nel suo 30° anno di età, quando, se fosse rimasto in patria, avrebbe dovuto iniziare il suo ministero levitico ereditario. L'investitura avviene in una cornice sfolgorante. La maestà di JHWH, che ha la sua dimora tra i cherubini del tempio di Sion, viene à trovarlo presso il luogo di preghiera degli esuli, uno dei canali dell'Eufrate, e gli dà l'invito a essere suo portavoce tra i connazionali suoi compagni. Non gli assicura un facile successo; lo premunisce contro resistenze e opposizioni; alla fine però – gli viene promesso – si dovrà riconoscere la presenza e sollecitudine del Dio dei padri in mezzo ai discendenti d'Israele: in concreto, una tenace missione di recupero e di salvezza per i suoi aberranti fratelli di sventura. Dio rivela la sua indomabile fedeltà al popolo dell'elezione sinaitica (20,ss.). Al raggiungimento di questo progetto il neo eletto prodigherà tutte le sue energie fino all'eroismo. Docile ministro del culto, egli non muove la minima obiezione per il difficile incarico: solo rimane profondamente sconvolto per quel che ha visto e sentito, il fulgore del Dio Altissimo, i pianti e i guai che attendono la sua gente. Appena ripresosi, dà inizio alla proclamazione dei messaggi.

La gloria di JHWH e la vocazione 1,1-3,27 In questa prima unità abbiamo la presentazione autobiografica:

a) dell'esperienza inaugurale del neo eletto (1,1-28); b) della sua chiamata profetica (2,1-7); c) della consegna dei messaggi (2,8-3,16a); d) delle modalità con cui dovrà compiere l'incarico (3,16b-27).

Sono gli elementi costitutivi di un autentico profeta.

In a) vengono descritte le circostanze concrete e le forme dell'apparizione: si tratta di un evento storico che porta i riflessi mentali di chi l'ha vissuto; in b) viene determinata la vocazione, con l'abilitazione all'ascolto, col compito di riferire le parole divine ai destinatari; in c) vi è la consegna dei messaggi, col simbolo del rotolo dei “guai” da assimilare; in d) il comportamento del nuovo messaggero: impegno e responsabilità di sentinella, alternare ritiro e gesti silenziosi a denunce e ammonimenti. Ne risulta una descrizione molto istruttiva di una delle geniali figure profetiche dell'AT: incontro straordinario col Dio trascendente, percezione chiara dei suoi progetti salvifici, rispetto della personalità e contingenza umana, vivo interessamento per la conversione del popolo eletto.

La visione 1,1-28 Il capitolo 1 inizia con la descrizione (vv. 1-3) di data, luogo e inizio della visione. Ezechiele (il cui significato è «Dio ti fortifica»), figlio del sacerdote Buzì, si trovava con i deportati giudei del 597 a.C. presso il canale Chebar, un piccolo affluente dell'Eufrate. Era probabilmente in preghiera. Presso l'acqua corrente gli Ebrei, lontani dal suolo sacro e tra i pagani, ritenevano più facile il contatto col loro Dio. Ricorreva l'«anno trentesimo»; ma non si specifica di quale epoca. Alcuni pensano ci si riferisca all'inizio della riforma deuteronomistico-giosiana (2Re 22,18ss.) e cioè al 621: non è improbabile. Altri, all'età del profeta, in quanto proprio in quell'anno sarebbe entrato in funzione nel tempio quale sacerdote: è possibile anche questo. Altri optano per una correzione del testo in «3°» o «13° anno». Ma nessuna proposta offre prove sicure. Quel che rimane più certo è il riferimento dell'inserzione dei vv. 2-3 in 3ª persona: un redattore, rispettoso del testo autobiografico del maestro, ha allineato la data del «30° anno» con quelle di tutto il libro, computando dalla deportazione del re Ioiachin (aprile 597). Si era cioè nel 5° anno del primo esilio babilonese: il 4 giugno 593.

«I cieli si aprirono» (v. 1): l'espressione è unica nell'AT. La volta celeste si apre per mostrare le realtà soprannaturali (cfr. Mt 3,16; Ap 4,1), cioè per le visioni dell'ambito divino (come in 8,3; 40,2). «Fu sopra di lui la mano di JHWH» (v. 3b): la mano di Dio indica la sua potenza nell'agire (Es 9,3; 1Sam 5,9), il suo impulso nei profeti (2Re 3,15), la forza che abilita Ezechiele a vedere e ascoltare realtà sovrumane (3,22; 8,1; 37,1). Il profeta qui si dichiara sotto l'influsso del Dio onnipotente.

4. La nube incandescente. La descrizione procede per gradi, cioè come si andava presentando allo sguardo del veggente. È un uragano in movimento proveniente dal nord, cioè dalla regione del monte Sion, seguendo la via carovaniera che dalla Palestina scende in Babilonia: è formato da una grande nube incandescente, segno di una presenza sovrumana (Sal 18,8-16; 1Re 19,11), con al centro il luccicare dell'elettro (=hašmal, simbolo, in testi orientali, della divinità). Si intuiva già qualcosa di trascendente.

5-10. I quattro viventi quadrimorfi. Lì in mezzo, dal basso verso l'alto, si individuano quattro esseri animati, detti hayyôt (plurale femminile). A loro vengono applicati pronomi e verbi ora al femminile (12 volte), ora al maschile (33 volte): si trattava di figure sui generis. Tale uso ambiguo del genere non ci autorizza per sé a escludere da questi versi la testimonianza diretta di Ezechiele: lo troviamo altrove anche nel nostro libro. Vi si inseriscono tuttavia doppioni e ripetizioni a opera esclusivamente dei redattori (come alcune frasi dei vv. 11.12.24). I quattro esseri avevano quattro aspetti (v. 6). In ebraico panâm ha un duplice significato: «aspetto» e «faccia»; per cui certi interpreti hanno attribuito quattro facce ai singoli esseri. Alla luce delle figure polimorfe (i karibû) dei palazzi assiri (specie di cariatidi) possiamo immaginarli così: di fronte avevano aspetto umano, cioè viso, petto, mani di uomo, al lato destro forma di leone, al lato sinistro di toro, e nelle ali fattezza d'aquila (v. 10). Tutte le creature sono al servizio del supremo Signore: si mette in risalto il dominio universale di JHwH.

11-25. Ali, ruote, fuoco, fragore. A Ezechiele è familiare l'uso del numero 4 (4 abominazioni nel tempio, c. 8; 4 piaghe nel castigo, c. 14; 4 angoli della terra, c. 37). Nel nostro brano si parlerà ancora di 4 ali, 2 per liberarsi in alto, 2 per coprire il corpo in segno di riverenza; di 4 ruote accanto ai 4 viventi, ricoperte nei cerchioni da borchie rilucenti, quasi vividi occhi: segno del dominio di JHWH su tutta la terra (4 punti cardinali) e della sua onniscienza (tanti occhi). Le gambe affusolate, gli zoccoli solidi come di bronzo, i viventi si muovono diritti davanti a sé, veloci come il baleno (v. 14), senza bisogno di cambiare posizione, poiché a sospingerli è lo stesso spirito che pervade ali, ruote, esseri (vv. 12,17.20). In mezzo a loro si vedono come dei carboni ardenti sprizzanti fuoco (v. 13). Quando tutto il complesso si muove, si ode un fragore immenso, come il tuono di grandi acque. Agli elementi teofanici della tempesta, della nube e del fuoco si aggiunge infine quello del tuono (Es 19; Ab 3): Dio si rivela in tutta la sua potenza.

26-28. La figura umano-divina sul trono. Sopra il capo dei quattro esseri si scorge ora una lastra luminosa, quasi un pezzo di cielo, simile a quella vista da Mosè ai piedi di JHWH in Es 24,10. Vi si erge una specie di trono di zaffiro, su cui appare la figura di un essere dalla sembianza umana, dai bagliori dell'elettro, cioè della divinità (v. 4), avvolto dai fulgori dell'arcobaleno. Il neo sacerdote non esita a riconoscere in tutto l'insieme l'apparizione della maestà divina, il kābôd: che è la manifestazione dell'essere trascendente quale risplende in tutto il creato (Is 6,3; Sal 19,2) e nelle teofanie del monte Oreb (Es 24,17), e si rende percepibile, per concessione dell'alto, agli occhi di alcuni prediletti sia nel tempio, sia fuori (11,23; 43,4). Ezechiele cade faccia a terra: è l'atteggiamento dell'adorazione e della totale dipendenza di fronte al supremo interlocutore: “Ecco l'umile tuo servo, disposto a tutti i tuoi voleri!” (Gdc 13,20; 1Sam 3,10; Dn 8,17s.). Le approssimazioni («come», una «specie di») e qualche incoerenza nelle descrizioni indicano il desiderio del veggente di rendere quanto più esattamente possibile la sostanza della grandiosa visione. La quale, improntata a elementi dell'iconografia biblico-sacerdotale (cherubini alati, emblemi teofanici, ruote per l'arca in processione), con qualche accostamento a figurazioni ambientali, doveva convalidare la missione straordinaria del figlio del sacerdote Buzì in terra pagana.

(cf. GAETANO SAVOCA, Baruc – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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