EZECHIELE – Capitolo 2

Chiamata e missione profetica 1Mi disse: «Figlio dell’uomo, àlzati, ti voglio parlare». 2A queste parole, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. 3Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. 4Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”. 5Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro. 6Ma tu, figlio dell’uomo, non li temere, non avere paura delle loro parole. Essi saranno per te come cardi e spine e tra loro ti troverai in mezzo a scorpioni; ma tu non temere le loro parole, non t’impressionino le loro facce: sono una genìa di ribelli. 7Ascoltino o no – dal momento che sono una genìa di ribelli –, tu riferirai loro le mie parole.

Consegna dei messaggi 8Figlio dell’uomo, ascolta ciò che ti dico e non essere ribelle come questa genìa di ribelli: apri la bocca e mangia ciò che io ti do». 9Io guardai, ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. 10Lo spiegò davanti a me; era scritto da una parte e dall’altra e conteneva lamenti, pianti e guai.

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Approfondimenti

Chiamata e missione profetica 2,1-7 «Mi disse» (v. 1): il soggetto non viene nominato; ma l'unico che in questa scena possa parlare è l'essere assiso sul trono, identificato già in 1,3 con JHWH. Il profeta sente ed esperimenta il divino mandante attraverso i segni della sua presenza (una «voce», 1,28; una «mano» 2,9): non lo contempla direttamente. L'espressione ben (figlio) + un sostantivo designa l'individuo di una certa categoria; qui ben-adam (uomo), di fronte agli esseri superumani della scena, potrebbe enfatizzare il carattere di debolezza del veggente prostrato al suolo (= adamâ, «terra»), e da allora (più di 90 volte) costituirà l'appellativo proprio dell'umile figlio di Buzì nei rapporti col celeste interlocutore. Nonostante la sua piccolezza, la voce divina gli ordina di alzarsi (v. 2), perché possa recepire con fiducia le parole del suo signore. Uno “spirito”, infatti, rûah, una forza proveniente dall'alto come quella che muove i quattro viventi, lo solleva e lo abilita all'ascolto. Il veggente non è un automa, ma un essere personale cosciente di fronte al mandante supremo.

3-5. «Io ti mando agli Israeliti» (v. 3): “inviare” è il termine tecnico per l'incarico di messaggero (Is 6,9; Ger 1,7). Gli «Israeliti» qui indica l'intera discendenza di Giacobbe: gli esuli delle 10 tribù del Nord e il resto del regno di Giuda (37,16). Vengono qualiticati «popolo di ribelli». Nel TM si parla di «popoli ribelli»; ma è da intendersi delle varie tribù d'Israele (cfr. Gn 35,11; Dt 33,19).

«Si sono rivoltati» si riferisce per sé al rifiuto di vassallaggio al proprio sovrano; «hanno peccato» alla trasgressione di norme e di obblighi: sono due verbi che sintetizzano la lunga storia di infedeltà dell'intero popolo eletto contro il Dio dell'alleanza e i suoi statuti. «testardi e dal “cuore indurito”» (v. 4a), letteralmente «impudenti di faccia e duri di cuore»: vengono così definiti nella loro ostinatezza psicosomatica, nel loro intimo e nel loro aspetto esterno, in quella caparbietà che sarà spezzata solo dall'immissione di «un cuore di carne» e di «uno spirito nuovo» (36,26).

«Tu dirai loro: Dice il Signore Dio» (v. 4b). L'espressione «dice il Signore» è “la formula del messageero” e denota la fonte delle parole che vengono consegnate (Es 5,10; Gdc 11,15): molto frequente in Ezechiele (circa 130 volte) e in Geremia, quasi a rivendicare la genuinità dei loro oracoli contro le aberranti convinzioni degli uditori. Nel TM di Ez il tetragramma sacro (JHWH) è spesso rafforzato dal nome divino 'adōnāy (=Signore); i LXX traducono con un solo termine «il Signore»; forse nel testo ebraico si tratta di una denominazione originale caratteristica del sommo rispetto del nostro profeta al cospetto dell'infinita maestà, equivalente a «JHWH il Signore» (cfr. Es 23,17; 34,23).

«Ascoltino o non ascoltino... sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro» (v. 5): scopo della missione profetica è la dimostrazione che il Dio d'Israele si è manifestato ancora una volta nelle vicende del suo popolo e persegue il suo indefettibile disegno di salvezza (5,5; 20,5; 36-37; cfr. Os 3). La formula di autodimostrazione di JHWH («e saprete che io sono JHWH... che io ho parlato...») ricorrerà più di 70 volte in seguito: riguarda il riconoscimento di JHWH o della sua presenza fondata sulla verifica di eventi speciali straordinari (ad es. il risorgere di ossa aride: 37,13; o un castigo esemplare: 5,13; o una restaurazione di pura misericordia: 16,62s.).

«Sono una genia di ribelli» (v. 5b), letteralmente «sono una casa di ribellione». Di fronte a “figli di ribellione” di Nm 17,25 e a “popolo di ribellione” di Is 30,9, la frase ezechieliana definisce in radice i suoi connazionali: «sono una discendenza-dinastia di pervicaci».

6-7. «Non li temere» (v. 6): il profeta è prevenuto e incoraggiato per il suo arduo compito. Due immagini dipingono al vivo l'ostilità e le reazioni che l'attendono: circondato da spine e seduto su scorpioni. E ne viene ribadita la ragione: i suoi compagni d'esilio appartengono per nascita a quell'ostinata genia di rivoltosi. Conoscendoli, egli non deve neanche lasciarsene impressionare (v. 7). La sua obbedienza e il suo coraggio dovrà essere frutto non di mancanza di informazione, ma di piena fiducia nel mandante divino; il quale lo rassicura con l'energia della sua parola e con la previsione del successo finale: alla fine sapranno. Un umile mortale, corroborato da una potenza soprannaturale e docile al suo comando, potrà certamente portare a termine la difficile missione affidatagli.

Consegna dei messaggi 2,8-3,13 2,8-9. Il profeta è esortato ad accogliere la parola nella forma che gli viene proposta, in contrasto con coloro che si rifiutano di ascoltarla; benché ossequiente al suo Signore, egli dovrà dar prova di pronta adesione al compito di messaggero di castighi.

«Era scritto all'interno e all'esterno» (v. 9): il rotolo conteneva anche nel retro espressioni di lamento e esclamazioni di dolore («Guai!»: Ger 22,13); erano le reazioni suscitate dalle sventure che si sarebbero abbattute sugli Israeliti: un modo di esprimersi orientale, una specie di metonimia.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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