GAUDIUM ET SPES 77-78
DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)
PARTE II – CAPITOLO V – LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI
Introduzione 77 In questi nostri anni, nei quali permangono ancora gravissime tra gli uomini le afflizioni e le angustie derivanti da guerre ora imperversanti, ora incombenti, l'intera società umana è giunta ad un momento sommamente decisivo nel processo della sua maturazione. Mentre a poco a poco l'umanità va unificandosi e in ogni luogo diventa ormai più consapevole della propria unità, non potrà tuttavia portare a compimento l'opera che l'attende, di costruire cioè un mondo più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno tutti con animo rinnovato alla vera pace. Per questo motivo il messaggio evangelico, in armonia con le aspirazioni e gli ideali più elevati del genere umano, risplende in questi nostri tempi di rinnovato fulgore quando proclama beati i promotori della pace, «perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).
Illustrando pertanto la vera e nobilissima concezione della pace, il Concilio, condannata l'inumanità della guerra, intende rivolgere un ardente appello ai cristiani, affinché con l'aiuto di Cristo, autore della pace, collaborino con tutti per stabilire tra gli uomini una pace fondata sulla giustizia e sull'amore e per apprestare i mezzi necessari per il suo raggiungimento.
La natura della pace 78 La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita a opera della giustizia » (Is 32,7). È il frutto dell'ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta. Infatti il bene comune del genere umano è regolato, sì, nella sua sostanza, dalla legge eterna, ma nelle sue esigenze concrete è soggetto a continue variazioni lungo il corso del tempo; per questo la pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente. Poiché inoltre la volontà umana è labile e ferita per di più dal peccato, l'acquisto della pace esige da ognuno il costante dominio delle passioni e la vigilanza della legittima autorità.
Tuttavia questo non basta. Tale pace non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi con fiducia e liberamente le ricchezze del loro animo e del loro ingegno. La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l'assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace. In tal modo la pace è frutto anche dell'amore, il quale va oltre quanto può apportare la semplice giustizia.
La pace terrena, che nasce dall'amore del prossimo, è essa stessa immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre. Il Figlio incarnato infatti, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio; ristabilendo l'unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha ucciso nella sua carne (166) l'odio e, nella gloria della sua risurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini.
Pertanto tutti i cristiani sono chiamati con insistenza a praticare la verità nell'amore (Ef 4,15) e ad unirsi a tutti gli uomini sinceramente amanti della pace per implorarla dal cielo e per attuarla.
Mossi dal medesimo spirito, noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità.
Gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo; ma in quanto riescono, uniti nell'amore, a vincere i1 peccato essi vincono anche la violenza, fino alla realizzazione di quella parola divina «Con le loro spade costruiranno aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà più le armi contro un altro popolo, né si eserciteranno più per la guerra» (Is 2,4).
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Approfondimenti
Durante la prima sessione del Vaticano II papa Giovanni XXIII pubblicò l’enciclica “Pacem in terris” (11 aprile 1963), nella quale affrontò il tema di quell’«anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi« (n. 1) che è la convivenza pacifica tra gli individui, le famiglie, i popoli, e nell’intera famiglia umana. In essa sosteneva che «al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si deve sostituire il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia» (n. 61). Faceva anche un accorato invito: «Come vicario di Gesù Cristo, Salvatore del mondo e artefice della pace, e come interprete dell’anelito più profondo dell’intera famiglia umana, seguendo l’impulso del nostro animo, preso dall’ansia di bene per tutti, ci sentiamo in dovere di scongiurare gli uomini, soprattutto quelli che sono investiti di responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole ed umano» (n. 63). Il Vaticano II diede chiari segni di condividere la stessa “ansia di bene per tutti” anzitutto nel suo Messaggio iniziale del 20 ottobre 1962, nel quale dichiarò di voler tenere in gran conto tutto quello che compete alla dignità dell’uomo e quello che contribuisce alla vera fraternità dei popoli, particolarmente la pace tra essi e la giustizia sociale, e poi nella Costituzione “Gaudium et Spes”, nella quale dedicò la prima sessione del suo ultimo capitolo precisamente al tema della promozione della pace.
La Costituzione inizia, descrivendo la situazione mondiale da questo punto di vista. Si può dire che la situazione non sembra essere fondamentalmente cambiata dopo i decenni da allora trascorsi ma la presa di posizione della Costituzione davanti alla panoramica sembra dover cambiare: «Tutte queste cose ci obbligano a considerare l’argomento della guerra con mentalità completamente nuova» (n. 80). L’avverbio che affianca l’aggettivo rivela una volontà di accentuazione molto forte: non basta la novità, ci vuole una “completa” novità nella mentalità. Il tema della pace non può, quindi, essere affrontato come veniva affrontato finora. Quali sono le novità? Anzitutto, quella specie di definizione che la Costituzione dà della stessa pace. Si tratta di una sua “vera e nobilissima concezione”, come viene detto nel n. 77. Superando, infatti, una visione meramente negativa di essa che prevalse per secoli tanto nella società quanto nella Chiesa, afferma: «La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita “opera della giustizia” (Is 32,7)».
L’associazione della pace alla giustizia, già presente nei testi profetici veterotestamentari, come si desume per esempio dalla citazione del profeta Isaia fatta nel testo, ritorna incalzante nel pensiero conciliare. Come a dire che non ci si può illudere di avere pace se non si coltivano i giusti rapporti tra gli individui, i gruppi e le nazioni. O, ancora, che ogni ingiustizia è un semenzaio di guerra. Anche l’apparente “tranquillità dell’ordine” – definizione agostiniana della pace – può covare la guerra, proprio perché essa può essere solo una copertura dell’ingiustizia. Tardi o presto tale pseudo-pace è destinata a scoppiare.
L’aver vincolato in questo modo la pace e la giustizia, in tutta l’estensione della parola, richiama ad una responsabilità quasi sconfinata. La giustizia, infatti, ha a che fare con gli atteggiamenti, con le programmazioni e con le azioni della vita di ogni giorno e dei momenti nodali della vita collettiva. Perché è proprio in tutto questo vasto ambito che essa è messa alla prova e sfidata. Solo se si coltiverà in esso la giustizia si potrà avere la tanto desiderata pace.
Una seconda novità è data dalla netta condanna che la Costituzione fa della guerra totale. Per secoli si era parlato, anche nella Chiesa, di una guerra “giusta”; ora il Vaticano II, facendo proprie le condanne già pronunciate dai recenti papi dichiara: «Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione» (n. 80).
Un doppio fondamento sorregge, come si vede, tale condanna. Religioso l’uno, umano l’altro. L’atto di guerra ha una dimensione religiosa perché è “delitto contro Dio”, e una dimensione umana perché è “delitto contro la stessa umanità”. Il testo non spiega la relazione esistente tra i due, ma non è difficile coglierla se si tiene presente la visione evangelica delle cose che sottostà all’intera Costituzione. Alla sua luce si può dire che la guerra è delitto contro Dio proprio perché è delitto contro l’umanità, dato che, stando al Vangelo del giudizio finale, ciò che viene fatto o non viene fatto all’uomo viene fatto o non fatto a Dio stesso (Mt 25,31-46). Così, quello che alla luce della ragione è un semplice atto umano negativo (la guerra, con le sue tristi conseguenze), acquista una dimensione teologalmente negativa. Ed è proprio questa visione religiosa e umana di ogni intervento bellico mirato indiscriminatamente alla distruzione che fonda lo rende illegittimo.
Ovviamente, sostiene ancora la Costituzione, questa radicale condanna non elimina il diritto alla legittima difesa dei popoli in caso di venire aggrediti. «La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande importanza. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni» (n. 79).
Come si vede, il documento conciliare sembra sopportare a mala pena l’appello alla legittima difesa. Ne accetta l’uso, ma solo perché e fintantoché non ci sarà “un’autorità internazionale competente”. L’esistenza di una tale autorità lo renderebbe, quindi, obsoleto. Il che permette di intravedere pure quale sia l’auspicio del concilio: la creazione di una autorità del genere, che sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti.
Tratto da: La pace universale nella “Gaudium et Spes” di Luis A. Gallo, Note di Pastorale Giovanile, maggio 2003.